FOGLIE D'AUTUNNO
di

Lorenzo De Marco

 

  Tre foglie si staccarono dalla grossa quercia, strappate ai loro rami da una folata di vento più forte delle altre. Roteando su se stesse furono sospinte in alto, piccole macchie gialle contro lo sfondo grigio piombo di un cielo coperto da nuvole cariche di pioggia.

   Lo sguardo di Bryan le seguì per un tratto, finché non le perse di vista. Poi ritornò ad osservare attentamente il limitare del bosco e si accertò che Clark e Bruce fossero a buon punto.

   -“Abbiamo quasi finito”- replicò Clark per rassicurarlo. - “Non ci resta che spianare il terreno e ricoprirlo di foglie morte per occultare la terra rimossa.”

   Bryan rabbrividì. Il freddo quella mattina era pungente. Ma non era solo quello il motivo.

   Da tempo avevano deciso di eliminare il loro socio in affari e continuare da soli il redditizio controllo delle segherie di West Point. Loro tre avevano organizzato un piano perfetto. Avevano fatto tutto quanto era in loro potere per portarlo a termine e finalmente ci erano riusciti. Nessun testimone, nessuna eventuale prova contro di loro. Avevano impiegato più di un anno per attuarlo, attenti a considerare ogni minimo dettaglio, ogni più stupido e apparentemente insignificante particolare che potesse tradirli una volta messo in atto il loro piano. Niente era stato trascurato.

  Eppure…c’era qualcosa di strano adesso in lui, un cambiamento dovuto forse a un vago, fatale e insensato presentimento. Si diede dello stupido e cercò di pensare a come sarebbe stato il suo futuro.

  Finalmente avrebbe ottenuto ciò che aveva desiderato più del denaro stesso: Sara, la donna del vecchio Herbert, quello schifoso bastardo che giaceva in quel momento sotto terra a pochi metri da lui. Avrebbe smesso di frequentarla di nascosto. Ormai era solo questione di tempo. Avrebbe fatto in modo che la loro relazione fosse resa pubblica in maniera naturale. Agli occhi dei conoscenti e degli abitanti del paese, lui si sarebbe avvicinato alla donna in nome dell’amicizia e della stima che lo legava al suo defunto marito. Poi, si sa, da cosa nasce cosa, si sarebbero consolati l’uno nelle braccia dell’altro e nessuno avrebbe mai sospettato di nulla.

  Forse, anzi, sicuramente ci sarebbero stati commenti maligni sulla vedova inconsolabile e sul socio dello scomparso che subentrava anche negli affari di famiglia. Che si accomodassero, pensò con una punta di insofferente astio. Nessuno comunque avrebbe potuto collegarlo alla morte del vecchio.

  Sara e lui avrebbero potuto sposarsi.….”Non posso sposarti Bryan, finché il vecchio sarà vivo. Non acconsentirà mai a divorziare e poi, mi lascerebbe in mezzo alla strada senza una sterlina.”

  Bryan sentiva queste parole rimbombare nelle orecchie come il suono amplificato di un martello contro l’incudine.

   “Dio mio” pensò con una stretta allo stomaco “forse ho fatto la più grande stupidaggine della mia vita”.

   Come una rivelazione, le parole di Herbert gli tornarono alla mente. Ricordò l’episodio. Quel giorno di due anni prima, quando il vecchio lo aveva convocato nel suo ufficio per definire insieme i termini di un nuovo contratto per la fornitura di legname a una vicina fabbrica di mobili.  Clark e Bruce erano fuori per una ispezione ai nuovi capannoni ancora in via di costruzione.

  A un certo punto Herbert aveva sollevato gli occhi dai documenti che stavano studiando ed era rimasto a fissarlo a lungo. In silenzio.

  Bryan lo guardò anche lui, sebbene con crescente imbarazzo. Abbozzò un sorriso incerto mentre pensava a ciò che si nascondeva oltre gli occhialini con la montatura di osso del vecchio, dietro gli occhi che lo fissavano attentamente, scrutandolo dentro.

  - ”Bryan.” Disse alla fine “Io sono vecchio e capisco che non posso competere con uno come te. La vecchiaia è una maledetta baldracca che ti succhia ogni energia. Già! Credi di essere invulnerabile per più di metà della tua esistenza e un bel giorno ti si blocca la schiena tirandoti su dopo esserti allacciato le scarpe, alla fine di quella che probabilmente è stata l’ultima, grande, vera scopata della tua vita.” 

  Rivide Herbert mentre prendeva un sigaro dalla scatola d’argento, lo rivide rigirare il sigaro tra le dita facendolo crocchiare accanto all’orecchio, annusarlo e infine accenderlo col suo zippo d’oro. Rivide il riflesso della fiamma sulle sue lenti e lo strano colore rossastro che assunse per qualche secondo il suo volto, di solito di colore grigiastro.Tra boccate di fumo che circondarono la sua faccia rugosa, il socio aggiunse  - “C’è di buono però che quella baldracca bastarda mi ha aiutato anche a capire tante cose, costringendomi a guardare con occhi diversi cose e persone. Anche quelle che credevo a me care.”

  Era stupefacente come tutta la scena gli tornava in mente con una nitidezza sbalorditiva. La cosa lo spaventò perché sapeva di non aveva una grande memoria, soprattutto per i dettagli. Invece, stava vivendo nuovamente quell’episodio nella sua completezza come in un deja-vu. Era tanto vivido il ricordo che gli sembrò quasi di sentire l’odore del fumo di quel maledetto sigaro e il vecchio che gli diceva - “Tu sei un bravo ragazzo. Sei un po’ troppo ingenuo, cosa che non si addice molto agli uomini d’affari ma sei tenace e un instancabile lavoratore. Stai attento a non lasciarti fregare da chi  conosce questa tua debolezza, figliolo.”

  Già da allora lui era l’amante di Sara e quella frase gli risuonò come una minaccia. Adesso si rendeva conto di ciò che Herbert intendesse dire realmente.

  Si ritrovò a maledirsi per ciò che aveva fatto. E dire che quando Clark e Bruce ne avevano parlato era stato subito d’accordo.

   Una delle tre foglie gialle atterrò placidamente sul terreno umido del sottobosco, coprendo dei piccoli funghi appena nati.

   Il rumore della pale contro il terreno era cessato. Bryan Se ne rese conto quasi per caso, quando la mente ritornò per un attimo alla realtà. Si voltò a guardare e impallidì: Bruce giaceva riverso a terra in una pozza scura, con la testa fracassata. Sentì le gambe diventare molli come gelatina. Si sforzò di restare in piedi e soprattutto di non svenire, sebbene la testa cominciò a girargli vorticosamente e lo stomaco in subbuglio minacciava di farlo rigettare. – “Cosa cazzo hai fatto!” Riuscì a dire senza poter staccare gli occhi dal corpo straziato.

   Clark aveva la testa tra le mani, inginocchiato accanto al cadavere. - “Non sapevo quel che facevo  ho visto dietro di me l’ombra di Bruce che sollevava il suo piccone e mi sono voltato di scatto colpendolo. Quel bastardo avrebbe ucciso me se non mi fossi accorto delle sue intenzioni.”

  Bryan cominciò ad avere paura, una paura folle. Il presentimento si era dimostrato reale. E lui, si era distratto a tal punto, lasciandosi trasportare dai suoi pensieri da non accorgersi dell’accaduto. E se avessero voluto uccidere anche lui? Sarebbe morto senza accorgersene, prima che avesse avuto il tempo per difendersi.

  Rimasero lì, incapaci di muoversi per interi minuti mentre la chiazza di sangue si allargava sul terreno mescolandosi in un impasto rosso brunastro.

- “Ed ora?” – domandò quasi piagnucolando Clark.
- “Sotterriamo anche lui, è la prima cosa da fare.” – rispose Brian quasi senza pensarci.

  Insieme si misero di lena, freneticamente a scavare un fosso mentre la disperazione e il vento, ora diventato continuo e gelido, li torturavano dentro e fuori.

  Scavarono una buca abbastanza profonda e vi fecero rotolare il corpo di Bruce. Il cadavere scivolò fino in fondo a faccia in giù. Senza quasi neanche pensare a ciò che stavano facendo, come in stato ipnotico, cominciarono a riempire la fossa di terreno.

  Clark si fermò.

  Anche lui si fermò, guardando l’uomo che gli stava di fronte come se lo vedesse per la prima volta. Avevano condiviso anni di lavoro e di bevute e perfino un omicidio ma adesso gli era completamente estraneo. E lo stava fissando con una strana, sinistra luce negli occhi.

  La  paura crebbe fino quasi a farlo impazzire. Fu sul punto di abbandonare quel posto, quell’uomo e di fuggire a gambe levate in un altro luogo, in un altro paese, in un altro mondo. Aveva ormai la certezza che il sospetto si era infiltrato in entrambi. Il dubbio che l’uno volesse far fuori l’altro era insostenibile. Ma non potevano restare così in eterno. Si rimise al lavoro con i nervi tesi ed i sensi acuiti come corde di violino. Clark lo imitò ma osservando ogni tanto di sottecchi il compagno.

  Poi, improvvisamente accadde: un’ombra, un movimento individuato con la coda dell’occhio e le pale, trasformate in strumenti di morte si conficcarono nei corpi dei due compagni.

  Un’altra foglia, dondolando come una barchetta in balia delle onde cadde al suolo. Vicino alla prima.

  Bryan voltandosi di scatto aveva quasi troncato il collo dell’altro. Questi cadde in ginocchio e poi si accasciò all’indietro guardandolo con un’espressione di stupore incredulo. Il sangue gli inondò il giubbotto e mentre la vita lo abbandonava, le sue labbra pronunciarono mute il nome della moglie di Herbert.

  - “Maledetta puttana! – Gridò Bryan prima che le forze lo abbandonassero. Riuscì a sedersi sull’orlo della fossa che stavano scavando per Bruce senza scivolarci dentro. La pala di Clark gli si era conficcata tra le costole perforandogli i polmoni. Cercò di tirarla via senza riuscirci. Cominciò a tossire mentre cominciava a mancargli l’aria e le ultime energie. Una bolla di sangue gli scoppiò in bocca mentre cercava di respirare.

  - “Puttana!” Riuscì a dire. Poi la vita lo abbandonò e il suo corpo rimase immobile così, seduto con la testa reclinata sul petto, le braccia penzoloni lungo i fianchi, la pala ancora conficcata nel petto.

  L’ultima foglia gialla, sfuggita alla presa del vento si posò al suolo dolcemente, quasi per caso, accanto alle altre due.

  Era la stagione che cantava l’agonia della natura e di tutte le cose del mondo. La terra, ingiallita e malata emetteva gli ultimi respiri strappati alla morte, dimentica che un giorno sarebbe rinata di nuovo, insieme a tenere foglie verdi e vogliose di vita.

 

 

 

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