(Segue
Seconda parte)
Fra Vincenzo, il più anziano, fa cenno con un
semplice gesto di chiedere la grazia e di rendere tale pranzo, la
semplice comunione di pace e amore per tutti i presenti e per tutti
coloro che ne traevano beneficio.
Tutto questo restando in piedi davanti al proprio
posto, con mani congiunte e con il capo chino.
Anch’io mi ritrovo a far ciò per non essere
diverso, per non suscitare scalpore, in fin dei conti sono un ospite e
dato tale devo adeguarmi alla prassi.
In me, nasce ancora una volta la sensazione di non
verità.
Il semplice fatto di sottostare a delle regole
quotidiane, fa sorgere dubbi ancora più grandi.
Come può essere religiosa una persona che
sottostà a delle regole che possono in questo momento non essere
gradite dallo stesso?.
Qual è la religiosità in tutta questa prassi?,
dato che in questo momento mi sarei seduto e avrei semplicemente
ringraziato il tutto, mangiando e assaporando tutte le varie cibarie,
senza essere ripetitivo nelle preghiere di ringraziamento scritte e
trascritte da tanto tempo.
Dov’è la sincerità della verità in tutta
questa falsa preghiera?.
Mentre sto mangiando, ascolto senza entrare nelle
discussioni.
Il loro modo di comunicare è sempre seguito da un
permesso superiore, sembrano militari che per parlare debbano avere il
permesso.
Non è un permesso dichiarato, parlato, è un
permesso più fine, lo si legge nei modi di entrare nei discorsi.
Forse loro non ne sono consapevoli, ma io che mi
trovo lì a pranzare al di fuori delle loro regole, mi salta davanti
come il riflesso di uno specchio.
Non riesco a capire come mai anche all’interno di
un posto religioso ci debba essere questa sorta di umiltà
sottomissiva.
Loro, che per primi predicano l’amore nella
totalità, che lodano l’uguaglianza, che non hanno principi di
superiorità e di supremazia.
Come possono essere tutto ciò e assecondare il
loro comportamento all’interno del proprio santuario?.
Io, che nel mio semplice e pacato modo di
comportarmi e di esistere metto tutti gli esseri umani sullo stesso
piano, tratto tutti allo stesso modo, quel modo che nasce dall’amore
verso il tutto, verso tutte le cose esistenti, ora mi trovo ad essere
testimone di una condizione tutt’altro che religiosa.
Non riesco a mettere a fuoco il loro modo di
intendere tale religiosità.
Tutto questo nasce forse da un modo sbagliato di
percepire la preghiera, la vera preghiera?.
In quel preciso istante i miei ricordi mi riportano
ad un aneddoto che è stampato nella memoria.
Ho letto da qualche parte che la preghiera non è
la lettura che di solito è ripetuta, bensì, la preghiera, la vera
preghiera, nasce dal momento.
Non è una cosa scritta e riletta.
Non sono le solite frasi fatte, ma trova la sua
veridicità nel modo in cui è espressa.
Non c’è nell’atto del pregare alcun segno di
ripetizione, tutto nasce seconda del bisogno, dall’amore verso
tutto.
La preghiera è anche un modo di comunicare a se
stessi, di riflettere.
Quest’aneddoto dice inoltre che non è necessario
pregare al Signore nel modo in cui insegna la religione, nel modo
formale, come fosse una lettura giornaliera, ma trova la vera forza
nel momento in cui tale preghiera è presente per tutto l’arco della
giornata.
La preghiera nasce dal ringraziamento a Dio per
tutto quello che ci dona, non nasce dal desiderio, quello non è
preghiera.
Se tu desideri che Dio faccia per te quello che ti
sembra più giusto, quella non è preghiera, è essere irreligiosi,
perché sei ancora pieno di desideri e i desideri ti allontanano dal
tuo centro, da te.
Quando ti accorgi che quello che sei e che hai ti
è donato, il semplice, grazie, all’esistenza, è preghiera.
Ecco, questa è la vera preghiera, quella che anche
l’intimo mi trasmette, quella che riempie di luce.
Fra Vincenzo m’invita a brindare in nome della
pace e dell’amore.
Alzo il calice di vetro divertito.
Il brindisi sfocia in una risata generale.
Anche i frati novelli si lasciano trasportare dall’euforia,
da una logica conseguenza.
Il mio amico Alberto, ripresosi dai discorsi
precedenti, è lanciato da una liberatoria gioia, si divincola tra le
tavole in cerca di qualcosa o qualcun che condivida.
Vederlo allegro e contento nel suo mondo, m’intenerisce.
Sono dispiaciuto solo per averlo rattristato fuori
in cortile, ma dura pochi attimi.
Fra Vincenzo frena la riflessione e mi chiede di
restare anche per cena.
"E’ difficile negare la richiesta, ma non
posso".
Gli dico con rammarico che l’invito è alettante
ma che per ragioni non mie devo rientrare per cena.
Fra Vincenzo allora con fare scherzoso e bonario mi
esorta a tornare prima possibile.
La visita se pur breve, ha aperto in lui una
simpatia sincera, onesta, il tutto mi rende felice.
Nonostante le riflessioni e convinzioni sul loro
modo di proseguire il cammino della vita, trovo in loro qualcosa che
si avvicina sì alla verità assoluta, ma c’è qualcosa che non
chiarisce definitivamente il dubbio.
Bevuto il caffè circondato da fra Alberto, da fra
Vincenzo e da alcuni frati novelli, usciamo dalla mensa in preda ad un
bisogno d’aria fresca.
La giornata frizzante e calda, si prostra ai nostri
occhi nella sua totale bellezza.
In lontananza s’intravedono gruppetti di case
sparse ma meticolosamente appostate.
I campi, coltivati a mais, rendono l’atmosfera un
giardino.
Un giardino che non ha confini.
Come sarebbe stato bello se tutto fosse così,
privo di barriere, libero nella sua infinita bellezza.
Noto fra Alberto tornare cupo e pensante.
E’ strana la sua espressione, mi chiedo se quello
che sta facendo è veramente la sua via.
Ci sediamo ancora per pochi minuti sull’erba
verde appena tagliata, il profumo conferma, la veridicità della
falciatura.
Io, di nuovo in preda a chiarimenti colgo di
sorpresa con una domanda fra Vincenzo.
Lui, con una risata smorzata dalla mancanza d’aria
nei polmoni, risponde senza tanti sotterfugi.
La risposta però è priva di energia.
Forse anche tra loro la verità, quella che fa
male, è difficile da affrontare.
Il mio amico resta stupito dalla faccia di fra
Vincenzo, lo nota.
E’ da tempo che tale domanda m’incuriosisce ed
ora che ho l’opportunità per evocarla non ho il minimo dubbio a
formularla.
Sapere da un diretto interessato la risposta non fa
che rallegrarmi e sincerarmi, anche questa è una cosa che mi porto
appresso fin da bambino.
Il semplice fatto di costatare di persona e con le
mie orecchie ciò che voglio sapere è una verità sacrosanta.
Qualche volta mi chiedo come la gente possa
ascoltare certe discussioni per sentito dire, quando l’unica verità
è data solamente dalla realtà del momento.
Come può una persona estranea raccontare per
propria esperienza ciò che non le è accaduto?. Sembra logico pensare
che il riportare l’esperienza di qualcun altro non fosse altro che
parole campate in aria, prive di significato.
Fra Vincenzo, rivolgendomi la parola un po’ più
ridimensionato, commenta che sono un tipo strano.
Quante volte ho sentito dire tale parola, oramai
non mi ferisce più, è diventata un’amica, fa parte del modo di
essere.
Incuriosito dall’osservazione gli rispondo che
non mi è nuova, che tutte le persone che mi conoscono non usano altro
vocabolo.
E’ tanto che lo sento dire.
Per rincuorarmi aggiunge che sono si un tipo
strano, ma uno strano buono.
Gli replico con voce serena che non è chiaro il
sistema di classificare.
Mi ritengo una persona normale, sicuramente con
qualche difetto, ma non per questo strano, diverso. Non capisco qual
è il criterio della parola strano. Sono consapevole che il mio modo
di fare non è equiparabile a nessun altro, ma sono anche convinto che
ognuno di noi ha le sue doti e le sue strane manie, non per questo si
può dire ad una persona d’essere strana.
Allora chiedo a fra Vincenzo se ci sono persone
buone e normali, cattive e normali, o se ci sono persone buone e
strane e persone cattive e strane. Non sembra essere il metro di
misura per identificare il sentimento delle persone.
L’esperienza dà che l’importante è avere a
che fare con persone dall’animo buono, non racchiudo nel buono anche
lo strano, non esiste, è stupido.
Se nell’azione di tutti i giorni c’è l’amore
a guidare le persone, non si può dare per strano ciò che
esteriormente è percepito, ma nella mancanza dell’amore stesso si
può dichiarare senza paura che le persone tali, non sono altro che
cattive e prive di significato.
Detto questo, con una sensazione di luce all’interno,
noto fra Vincenzo che con i suoi settant’anni di vita, trequarti dei
quali passati all’interno dell’eremo, mi sta scrutando come una
tigre scruta la preda, con quel fare istintivo e fugace, con quella
strana sensazione da felino.
Rido nel vedere il vecchio farsi ancora dei
problemi. Rincresce avergli aperto chissà quale altro cruccio. Le
domande sono solamente tante curiosità ma evidentemente suscitano
ancora molte perplessità, si vede.
Dov’è la serenità tanto acclamata dalle persone
religiose, dalle persone votate all’amore e alla comprensione?.
Saluto il mio amico fra Alberto con una stretta di
mano forte e calorosa.
Un attimo prima di partire gli prometto di tornare,
e gli prometto anche di tornare con una sorpresa.
Lui, divertito, strabuzza gli occhi e guarda a
destra e a sinistra per vedere la reazione di fra Vincenzo e dei
confratelli.
Lo lascio salutando con la mano fra Vincenzo.
Giù, per il sentiero, rimbalza nelle orecchie la
campanella che richiama per dovere tutti i religiosi alla santa messa,
io, libero da tale dovere, ringrazio tutto con semplicità e senza
dovere.
Osservo le cose e gli animali che mi circondano,
liberi nelle loro funzioni.
Le farfalle colorate di giallo e blu, volano a
zigzag guidate dall’amore, dalla totale libertà.
L’erba alta nei fossati, gioisce del suo
splendido e forte arbusto dell’acqua che scorre portentosa verso
valle, anch’essa inseguita da un’arietta tiepida di fine estate.
Gli insetti rincorsi dalle rondini intente a
cibarsi di tutto quello che l’esistenza offre, fanno pensare a
quante altre opportunità sono in possesso, il solo pensarlo mette i
brividi.
Noi, gli unici animali dotati di cervello
consapevole, ancora a soffrire dei nostri desideri, inconsapevoli
della grandiosità e della generosità che l’esistenza ci dona senza
chiedere alcunché, ancora dubbiosi e infelici di tanta beatificazione
e di tanta prosperità.
Il solo respirare mi fa sentire più vivo e
partecipe di tanta creazione.
Arrivo a casa e trovo mio fratello intento a
preparare la cena.
Che bello vedere anche le mie posate, il mio piatto
riposto con cura e amore sopra la tovaglia.
Noto con felicità la pentola riempita di pasta per
due.
Costato che dall’animo di mio fratello Beppe, la
bontà e il cuore sono di casa, che sensazione unica e coinvolgente
tanta sensibilità.
E come sarebbe invece stato brutto tornare e
trovare mio fratello chiuso nel suo appetito, ingordo della sua sola
pastasciutta, egoista al punto di non ricordare nemmeno di avere anche
un fratello.
Saluto mio fratello simpaticamente, battendogli una
mano sulla spalla e mi divincolo in camera.
Cambiatomi degli abiti che mostrano i segni di una
giornata passata all’aperto, torno in cucina e notato che la pasta
è già fumante nel piatto, mi siedo a tavola con appetito.
Beppe, intento a mangiare e a gustare la pasta
condita a ragù, chiede d’istinto dove sono andato tutto il giorno.
Allegramente, gli spiego che ho passato una
giornata in visita ad un amico, in un santuario.
Strabuzza gli occhi e balbettando chiede se per
caso sto avviandomi al voto religioso.
Incredulo ma compiaciuto, guardo Beppe, che nel
frattempo sta per vomitare nel piatto tutto quello che ha mangiato
dalle risate e rispondo.
"Non credo.
Come ti è saltata in mente una domanda così
pessima e stupida?", dico curioso della risposta.
"Pare logico, dato che ultimamente t’interessi
tanto a tutto quello che riguarda la religione e la
spiritualità".
"Altro che", dico sorridente.
"Era ora che ti si accorgessi, stupiva sempre
più vedere che non lo capivi".
"Non è vero", risponde lui con fare
intimidatorio.
"E’ solo che non riuscivo a mettere a fuoco
le tue iniziative, ma a parte tutto, non mi sosterrai che hai voglia
di penetrare all’interno del sistema ecclesiastico", borbotta
carico d’apprensione.
"Ti sembro il tipo di frate moderno?, un frate
eretico e peraltro scorbutico", esclamo divertito.
"Guarda che se sono andato a trovare il mio
amico fra Alberto, è solamente per vedere con i miei occhi quello che
succede all’interno di un santuario, vedere qual è l’atmosfera
che si respira".
Mio fratello, più rilassato e calmo, m’invita
piacevolmente a spiegare cosa mi fa avere tutta questa voglia di
scoprire, d’interesse.
Senza tanti preamboli, gli elenco i parametri che
risultano incomprensibili e ingiustificabili per accettare tale
sacrificio.
Ascolta pazientemente e attentamente.
Ora anche lui è preso dalle mie valide teorie.
Si nota dallo stare proteso in avanti con tutto il
busto, poggia il petto sulla tavola con la testa presa tra le mani,
attento e concentrato.
Ogni tanto qualche domanda d’accertamento.
Le sue più che domande sono curiosità sulla
validità dei miei interrogativi.
Chiarito tutti i dubbi sulla ricerca di verità,
Beppe mi esorta a continuare il cammino, ora anche lui è contento e
convinto del modo di sperimentare.
Godo pienamente nella fiducia ripostami.
E’ la prima persona che riconosce il mio modo di
essere, fino ad ora avevo incontrato solamente persone che ascoltavano
e annuivano senza però darmi la sensazione di verità.
Nelle disparate esperienze non avevo trovato nient’altro
che persone dalle orecchie perforate, pare che ogni qualvolta entrassi
in certi argomenti, quelli che stavano a sentire non fossero altro che
marionette.
I loro modi di percepire erano talmente gelidi, che
un iceberg a confronto era caldo.
Giuseppe, non rendendosi conto dell’emozione che
scaturisce in me dall’attenzione, percepisce finalmente la vera
natura e la vera autenticità del mio comportamento.
Un’altra persona ha capito ciò, ora risveglia la
memoria, è Josuè.
Già, anche lui è l’artefice di tanta gioia,
benché torni alla memoria solamente per sporadiche manciate di
secondi, mi esalta, rende ogni volta più splendido e sereno l’essere.
A proposito non risulta aver fatto cenno a mio
fratello, ora che ha capito posso sicuramente parlarne senza essere
frainteso.
Il solo pensiero torna come un boomerang carico di
comprensione.
"Fa piacere averti con me", dico a Beppe.
"Posso contare sulla tua buona fede e lealtà.
Mancava uno che capisse veramente le mie intenzioni, che guardasse al
di là delle cose superficiali, cominciavo a sentirmi un po’
solo".
Lusingato da tanta esplicita bonarietà, mio
fratello, mi sottopone ad una semplice ma accurata radiografia
spirituale, si capisce oramai che l’interessamento è alquanto
proteso a svilupparsi nel tempo.
L’anima coperta da un dolce calore sembra
splendere ancor di più, il sapere Beppe interessato non fa che
alimentare la fiamma del cuore.
La serata si stava avviando ad un semplice e sereno
clima pacifico, quando, ad un tratto, lo squillare del telefono taglia
di netto i nostri intimi discorsi.
Mio fratello, alzatosi per primo, risponde e
stupito mi passa la cornetta.
"C’è fra Alberto", dice.
"Pronto, chi parla?".
Azzardo come se non lo sapessi.
"Sono fra Alberto ", risponde.
"Come stai?", chiede.
Ed io nel modo più spontaneo possibile, faccio eco
che va tutto bene.
Ma che cosa è successo mi chiedo, per ricevere la
telefonata se sono appena tornato dal santuario?. "Senti Ocram,
ma che casino hai combinato oggi con fra Vincenzo?".
Ed io.
"Ma quale casino, di che cosa stai
parlando?", ribatto.
E lui.
"La domanda che hai fatto a fra Vincenzo non
ti sembra sia stata fuori luogo e impertinente?", dice con voce
imbarazzata.
"Ho solo chiesto se è vero che all’interno
del monastero c’è dell’omosessualità, cioè se è vero che ci
sono frati gay, tutto qui".
E lui.
"E ti sembra una cosa
normale da chiedere?.
Guarda che hai fatto un
casino.
Fra Vincenzo continua a
addossarmi la colpa della tua visita, io, che non sapevo neppure che
venivi, cosa devo fare adesso?, mi ammonisce in tono minaccioso.
Gli altri frati non mi
guardano più allo stesso modo, ho la stessa fama di un Giuda",
continua.
Divertito da tanta
preoccupazione, dico a fra Alberto.
"Cerca di calmare un po’
le acque".
E lui.
"Certo, ci proverò, ma
sembra tutto troppo strano". "Stai pure tranquillo",
replico con la voce che tradisce un po’ un’aria divertita.
"Ci vediamo domenica, a
presto".
E metto giù il telefono con
una risatina che nasce e muore simultaneamente.
Mio fratello, seduto a
guardare la tv, resta stupito quando gli abbozzo un riassunto di
quello che è successo, anche lui sorridente, assicura che sono tutto
matto.
"Ma perché vai a fare 'sti casini?".
"Ma che casini",
replico.
"Sono loro che se la
sono presa, ho fatto solamente una domanda come tante altre, non ti
pare?".
E lui.
"Sicuramente hai fatto
solo una domanda, ma l’hai fatta a casa loro.
Perlomeno dovevi farla fuori
del santuario, non so, al tuo amico caso mai, sembrava più corretto,
o no?".
Resto immobile nelle
conclusioni, come ha fatto a prendersela così tanto fra Vincenzo?.
Allora è vero che all’interno
dei monasteri c’è questa strana ma veritiera realtà.
Da tutto questo casino,
quello che risulta essere semplice è il fatto che nessuno ne parla.
Le cose apertamente discusse
nelle varie trasmissioni televisive, danno falsati i modi e i metodi
di vita degli stessi.
Dov’è tutto questo parlare
amichevole e sereno tanto dichiarato dalla tv e dai giornali?.
Se loro sono al sicuro,
reali, se non si sentono colpevoli del modo di vita, perché tutto sto
baccano inutile?.
So di essere un po’
avventato nelle domande.
Ma qual è, mi chiedo, la
domanda più pertinente da fare se non quella di chiedere agli stessi
il motivo di tanta falsità?.
Risulta invece che la verità
assoluta non sia altro se non qualcosa di oscuro, al massimo qualcosa
di sporadico.
La falsità può nascere
solamente dalla paura, dalla paura di non essere come gli altri.
Se sei reale, se sei tu
stesso, nessuno ti può toccare, nessuna circostanza ti può rendere
schiavo della tua stessa natura.
E’ domenica mattina, sono
in cammino verso il santuario tanto parlato.
Arrivo alla porta e busso con
disinvoltura.
Perché preoccuparsene se
sono nel giusto.
Mi apre fra Celestino, un
confratello appena arrivato, mi guarda.
Non conoscendomi chiede in
modo amichevole cosa voglio, gli rispondo che sono venuto a parlare
con fra Vincenzo, il saggio e anziano della confraternita.
Dice di aspettare e resto
alla porta.
Arriva dopo pochi secondi il
mio amico fra Alberto, come mi vede, da cupo e pensieroso diventa
tutto un tratto allegro e spensierato, la visita gli da conforto, si
vede.
Ci salutiamo come sempre e mi
fa accomodare in un saletta adiacente alla sala mensa.
All’interno della stessa,
noto che è decorata con quadri dal valore inestimabile.
La tavola centrale,
accompagnata da splendide sedie di legno lavorato a mano, ne risalta
la bellezza. Anche i tappeti, provenienti da chissà quale posto,
fanno da spalla all’autenticità della sala, almeno così sembra.
La figura di fra Vincenzo
compare davanti ai miei occhi in tutta la sua forza ed espressività.
Ci sediamo tutti e tre nel
divano di pelle.
"Come va", dico a
fra Vincenzo semplicemente. "Come vuoi che vada", risponde
categoricamente lui.
"Hai messo un po’ di
pepe nelle nostre teste", replica seccato.
Diverte sentire un anziano
saggio prendersela tanto. Sono come il gatto che rincorre il topo, la
mia corsa però è dettata solamente da una curiosità personale. Lo
incalzo e gli dico; "Fra Vincenzo, come mai tanta rabbia nei miei
confronti?, che cosa c’è che non va della mia domanda?", lo
stuzzico incuriosito più che mai.
E lui.
"Ocram caro, tu non puoi
venire qui a fare certe domande.
Sono bestemmie.
Hai insultato non solo me, ma
anche i confratelli e questo non è giusto", mi risponde con
occhi pieni di tensione.
"A voi da fastidio che
uno insinui che all’interno del vostro santuario ci siano, come
dire, delle persone che hanno gusti sessuali identici, cioè, che ci
siano gay giusto?.
Ma allora, mi chiedo, se non
ci sono, qual è il problema?.
Mio padre ha sempre insegnato
che se sono nel giusto, se non faccio niente che possa essere contro
la natura o contro altro essere vitale, non c’è nessun problema,
posso tranquillamente girare per la strada a testa alta.
Non capisco il vostro
comportamento, tutto qui", non manco di precisare.
E lui.
"Il punto è che tu non
tieni conto dei vari problemi che ci sono all’interno della nostra
casa.
Noi viviamo in un mondo che
è completamente diverso dal tuo, e quindi non ci può essere
confronto. Poi, non è assolutamente vero che da noi ci sono gay, non
sono mai esistiti e non ci saranno mai", mi risponde ancora più
esplicitamente fra Vincenzo.
Il mio amico fra Alberto lo
vedo di nuovo triste e cupo, lo lascio nella sua tristezza e continuo
a parlare con fra Vincenzo.
Arrivo al punto di chiedere
come mai girassero così tante voci al riguardo.
Replica che sono trovate
della gente che è al di fuori dei luoghi religiosi.
"Per infangare la chiesa
", dice più espressamente.
Ed io replico.
"Lo sai che tu vai
contro la natura stessa?.
Tu sei votato da spirito
benevolo verso gli altri giusto?, ma non ti rendi conto che trascuri
il tuo stesso essere.
Come puoi essere religioso se
sei il primo a non farti del bene?.
Se ci fosse Gesù Cristo ora
qui, ti direbbe sicuramente di lasciare andare tutte le tue stupide
idee e le idee che ti hanno inculcato i tuoi superiori. A me non
interessa che voi siate o non siate gay, se lo siete è solo un
problema vostro, ed è vostro anche il problema di non sapere chi
siete, perché non lo sapete.
Se lo sapeste non condurreste
una vita privandovi della forza che ha il vostro corpo per
natura".
Detto questo, fra Vincenzo è
trascinato dalla semplice verità, in un vortice di paura, ma dura
poco.
Vedo che l’orgoglio s’impossessa
ancora una volta del corpo e replica indignato.
"Ocram, sei fuori del
seminato.
Come fai a dire che noi non
siamo religiosi se abbiamo dedicato la nostra vita al voto di castità
e di umiltà per farlo?.
Da dove nasce la tua domanda
se noi siamo gli unici, compresi preti e suore, a donare la nostra
vita per amore al Signore?".
Ed io.
"Sei sicuro di donare al
signore quello che secondo te e la vostra chiesa vuole?.
Mi pare logico invece
affermare che voi non siate altro che fissi nelle vostre idee.
E’ il vostro credo che non
mi dà la sensazione di verità.
Credete talmente tanto in
quello che vi hanno insegnato che non avete nessun dubbio.
E’ il dubbio che ti fa
ricercare la verità assoluta.
Se uno crede, crede e basta,
non vede le cose con altro occhio se non con quello stesso che crede.
Il credo è la malattia di
tutte le chiese, non sapete dire altro", dico ansioso di
tappargli la bocca.
Quello appena detto, esce
dalla mia bocca dettata da una forza interiore.
L’anima mi guida a parlare
in questo modo, le parole che scivolano via, sono trasportate da un
fluido magnetico.
Viene da pensare che quello
che sta accadendo, non è altro che un’apparizione di Josuè.
E’ lui che mi trascina in
questa valle oscura fiorita di peschi e ciliegi, lo sento crescere all’infinito,
la sua potenza devasta il mio corpo con una luce accecante che
risveglia la consapevolezza.
Tutto esce con semplicità e
naturalezza, pari al respiro, tutto è in sintonia con l’esistenza.
"Perché c’è l’hai
tanto con noi?", dice fra Vincenzo preoccupato.
"Ma non c’è lo con
voi, è che sono alla ricerca di una verità, la verità assoluta, e
parto dalla prima logica cosa che deve essere in sintonia con la
realtà. La religione.
Se tutto quello che dite è
vero, non vedo perché prendersela tanto.
C’è qualcosa che non
quadra, giusto?", replico con un lieve sorriso.
E lui.
"Non ho mai sentito
niente di più stupido.
Come fai a sostenere che non
siamo religiosi e reali, quando, come già detto prima, siamo gli
unici ad esserlo.
La nostra vita si snoda in
varie direzioni, quella fondamentale per la nostra chiesa è l’amore,
e la religione è l’amore ".
Resto un attimo a pensare.
E’ sfuggevole la sensazione
di verità, questo è quello che dà fastidio.
Sentire parlare una persona
votata alla religione in questo modo è bello, ma quello che non
convince è che in pratica tutto è falsato, tante belle parole e poi
picche.
E’ da una vita che sento
parlare bene tutti quelli che hanno il potere di farlo, lo fanno, ma
nessuno non è mai stato di parola.
Se Gesù predicava la
povertà, l’umiltà e l’amore, come mai la chiesa è così tanto
ricca?, mi chiedo sempre più insistentemente.
Non dovrebbe essere la prima
a donare tutto quello che ha?.
Non diceva forse Gesù;
"Donate ai poveri tutto
quello che avete ed entrerete nel regno di Dio?".
Ma allora, perché la chiesa
non lo fa?.
Sono già entrati loro nel
regno di Dio, o hanno la stessa paura che hanno tutti, quella di
lasciare tutto?.
"Bevi qualcosa", mi
chiede fra Alberto impaurito della conversazione.
"No grazie, devo tornare
presto, ho delle cosette da mettere a posto", gli rispondo.
Noto fra Vincenzo pensieroso
e preoccupato. "Medita, medita", dico scherzando.
"Vedrai che un giorno,
forse, ti entrerà tutto chiaramente in testa, nella tua anima.
Ti accorgerai che sei
solamente fissato nel ruolo che tanto difendi.
Un giorno, se arrivi alla
consapevolezza, ti renderai conto di quanto stupido sia essere
identificati con la propria persona.
Tu non sei solamente un
frate, sei principalmente un essere, una persona, quindi siamo uguali.
Io e te non abbiamo nulla che
non sia identico.
I pensieri, le manie, le
paure, sono tutte uguali, cambia solamente il gioco, tu stai giocando
in un modo, io no, tutto qui, ma siamo due persone umane identiche.
Se parti con il presupposto
che due esseri umani hanno le stesse identiche caratteristiche sia
fisiche sia mentali, devi anche renderti conto che le cose di cui ha
bisogno il mio corpo, le ha anche il tuo.
Se respiro, respiri anche tu,
se mangio, mangi anche tu, se ho bisogno di dormire, l’hai anche tu,
quindi dov’è la differenza tanto acclamata?.
La sola differenza resta che
tu, voi, siete rinchiusi in un santuario a pregare e a consumarvi
nelle vostre stupide manie, non c’è niente di religioso in ciò che
fate.
Come può essere una
preghiera diretta all’esistenza, una frase letta e riletta da tanti
anni ?", gli dico. Anche le suore predicano l’amore, come dite
voi, ma anche loro continuano ad essere ottuse nel credo. Credono che
la fustigazione, una sorta d’autolesionismo che secondo le stesse
dovrebbe assolvere le anime peccatrici davanti a Dio, non sia altro
che un modo per arrivare a conseguire la realizzazione.
E’ altro che un farsi del
male.
Solo chi è masochista può
farsi del male.
Dov’è l’amore tanto
espresso e dichiarato se poi sono le prime a non adottarlo?.
Quelli che voi chiamate Santi
martiri, non sono altro che pazzi schizofrenici.
Il loro credo gli ha portati
a fare cose disumane.
Professare una vita di
sopportazione e sacrifici e diventare Santi per questo, è solo andare
contro l’amore proprio, come fate a volere del bene, se non amate
nemmeno il vostro corpo, la vostra anima?", finisco di dire.
"Anche le tue sono belle
parole", dice fra Vincenzo.
"Ma cosa fai oltre a
parlare?, parli anche tu come noi perché hai la lingua", mi
ammonisce minaccioso.
Ed io.
"Certo che parlo
solamente, posso farlo.
Non mi sono assunto nessuna
responsabilità al riguardo.
Non ho da fare niente che non
faccio già, sei tu che hai scelto una via impegnativa, ma vedo che
non è percorsa nel modo migliore.
Siete tutti voi che avete
scelto di aiutare la gente religiosamente.
E’ vostra la scelta ed è
vostro anche il compito, io, mi limito a scoprire se quello che dite
è anche portato a termine, per una mia curiosità".
Resto zitto per pochi minuti.
Fra Vincenzo, vedo, è cotto.
Non è stato sconfitto con le
parole, è sconfitto al di dentro.
E’ come la coca cola
sgasata, manca di brio, di entusiasmo.
Mi alzo in piedi con
disinvoltura e saluto fra Vincenzo, il mio amico, fra Alberto coglie l’attimo
per chiedermi della sorpresa, quella promessa la settimana prima.
"E’ questa", gli
rispondo divertito.
"Me lo immaginavo che ne
usciva un casino, non ti sembra una buona sorpresa questa?".
"Certo che sì, speravo
però fosse qualcosa di diverso, non so, che volessi entrare a far
parte della confraternita".
Rispondo ridendo "Sei proprio spiritoso,
a proposito, pensa a quello che stai facendo, l’esistenza ti
aspetta".
Prima di andare, gli
suggerisco a fra Vincenzo di meditare.
"Meditare?",
brontola lui.
"Certo, meditare",
gli rispondo, mentre sto per andare.
"Che novità è
questa", esclama allibito fra Vincenzo.
Mi fermo ad ascoltarlo ancora
un attimo, così, per divertimento.
"Lo facciamo tutti i
santi giorni", continua.
Ed io, proseguo.
"Si lo fate, lo so.
Si dal caso però che la
vostra meditazione non sia altro che un’altra tecnica mentale",
ribatto precisando.
Lo vedo più cupo del solito.
"Vorresti sostenermi che
anche la meditazione è una cosa sbagliata?", non manca di
ribattere fra Vincenzo.
"Non ho detto questo.
Ho solo precisato che la
vostra meditazione, è sbagliata".
La fronte corrucciata di fra
Vincenzo mi indica la sua perplessità.
Poi lui, riesplode
lamentandosi.
"E da quando sono
entrato a far parte della confraternita che faccio meditazione.
L’ho studiata e provata in
lungo e in largo e sono sicuro di aver conseguito il metodo più
giusto", ribatte.
Ora tu mi vieni a ricordare
che devo meditare.
Medita tu invece.
Mi sa che ne hai più bisogno
di me", insiste ora più arrogante che mai.
Resto ad ascoltarlo divertito
ancora di più.
E proprio sereno e
tranquillo, si nota.
Messo vicino ad un neon, lo
stesso si accenderebbe dalla elettricità che ora scaturisce.
"Per voi la meditazione
è un metodo da acquisire", replico sicuro.
"Ma la vera meditazione
non è un metodo, non ha bisogno di nessun metodo.
La meditazione, accade.
La meditazione è",
rincaro allegramente.
"Ho sentito tante
persone parlare di meditazione.
Tutte hanno una loro tecnica.
C’è chi usa il metodo del
pensiero, chi quello del focalizzare un qualcosa, chi quello di
lasciar andare le cose brutte per sostituirle con parole dolci ed
esatte, o quello di visualizzare d’essere in un posto pacifico e
beato.
Sono altro che tecniche,
servono a poco.
Ti fanno stare meglio, questo
è vero, ma è solo un surrogato della vera meditazione.
Fra Vincenzo, non sta più
nella pelle.
La sua voce, ora, è carica d’ira.
"Non ti permetto di
sostenere che la mia meditazione e quella che ci hanno tramandato i
nostri avi, è sbagliata.
Noi la conserviamo e la
attuiamo ancora con meraviglia.
Ci dà serenità e
beatitudine", esclama allibito delle mie parole.
"Vedi", ribatto
amorevolmente.
"Non sei così beato e
sereno come dici".
La sua arroganza lo conferma.
"Prova a stare seduto o
steso sul letto senza forzare i tuoi pensieri.
Lascia che il tuo corpo e la
tua mente agiscano da soli.
Senti e vedi all’interno di
te quello che succede stando semplicemente immobile, tranquillo.
Non cercare di pensare a cose
belle o a posti paradisiaci.
Così, come fai tu e i tuoi
confratelli, vi state solamente allontanando dalla vera meditazione.
La vera meditazione accade
come il respirare.
Cosa fai per respirare?.
Niente.
Respiri semplicemente.
Come fai a camminare?.
Cammini semplicemente.
Non stai li a provare e a
riprovare.
Questo lo fai solamente
quando sei bambino, anche se non ti accorgi.
Quando hai imparato, cammini
e basta.
Non pensi a come mettere il
piede destro e quello sinistro.
Prova per una volta.
Ma stai attento bene alla
mente.
E’ lei che ti svia, è lei
che ti dice di non continuare, di non proseguire.
Se stai bene attento, noterai
che dopo un po’ la mente vuole rimpossessarsi della sua funzione.
Vuole ritornare a comandarti,
ad ordinarti.
E’ lei che, senza
consapevolezza, ti fa fare le cose che fai normalmente.
Tutto quello che fai
inconsapevolmente è opera della mente.
Sei il suo schiavo.
Se la meditazione arriverà,
ed arriva, sarai trasformato", dico per finire.
Me ne vado guardandolo di
striscio, quasi scoppio a ridere a vedere la faccia sbalordita e
confusa di fra Vincenzo.
Sono da un paio di mesi
immerso nella natura, voglio vivere a stretto contatto con lei,
assaporarne tutte le forme e profumi, colori e vitalità.
Voglio vivere da eremita.
Mi cibo d’uva selvatica, di
fragole, di mirtilli e more.
Tutto quello che trovo e che
mi dona la natura, mi basta.
Ho preso questa decisione
dopo avere costatato che la vita che trascorro giù in paese è priva
di significato.
L’aver parlato tanto, ha
esaurito tutte le risorse.
Ora, l’anima, vuole
serenità e pace, non posso che accondiscendere.
Che bello scoprire le varie
forme di vita, e da queste che accolgo le intuizioni.
Il semplice stare a guardare
mi dà delle risposte mai esaudite prima d’ora.
Ho esperienza diretta che la
vita è in costante movimento e mutamento.
Sto attento a non disturbare
la creativa vitalità di tutti gli insetti che ne sono coinvolti.
Si risveglia nel mio intimo
un amore incontenibile, mai provato.
Dio, l’esistenza, è
questo.
Tutto e tutti, facciamo parte
di un unico sistema.
Mi colpisce questa sintesi,
è reale e veritiera, dà una sensazione di totale, universale.
Dormo in un sacco a pelo.
Di sera, prima di coricarmi,
sto ad ascoltare i rumori che la natura produce.
Questo stare fermo e in
silenzio, crea in me una sensazione fantastica, magnetica.
Il corpo sembra dissolversi e
nel suo dissolversi compare una consapevolezza rispolverata.
Sì, è proprio questa la
sensazione, è come uno specchio lasciato in disparte per anni.
Ora che lo rivedo e lo
spolvero, ritorna a splendere e a riflettere tutto con chiarezza.
I pensieri formulano domande
che evaporano come l’acqua a novanta gradi.
Non c’è domanda alla
consapevolezza.
Tutto è chiaro e
cristallino, è trasparente come il sorgere del sole che la natura ha
le sue regole non scritte, ma dettate dall’esistenza stessa.
Quello che ora assale la
memoria, è il discorso tenuto al santuario, quello che ha dato tanto
fastidio a fra Vincenzo, relativo alla presunta presenza di gay.
Ricordo ancora vivamente di
averne parlato a lungo una sera con Antonio.
Anche lui era convinto che
fossero esseri umani uguali a noi in tutto e per tutto, ma non era
stato abbastanza chiaro da convincermi.
Ora la natura, la verità,
diffonde delle informazioni che non sono altro che l’assoluto,
quello che è.
Vedo che i fiori per fiorire,
hanno bisogno del polline, che gli animali, per riprodursi, hanno
bisogno di accoppiarsi con uno di sesso opposto.
Il sole accarezza il fiore di
loto, come l’ago di pino, riscalda il campo di mais, come il campo
incolto.
Il sole dà la luce al
bisonte, come alla formica, dà luce all’oscurità, come l’oscurità
toglie la luce.
Il sole dà vita alla rosa,
pari al semplice filo d’erba, dà la vita al ratto, pari alla
colomba, dà vita al seme, pari all’albero.
La luce crea l’ombra, l’ombra
che tanto brami al caldo estivo, come il sole riscalda una giornata
invernale.
Il vento che tanto dà
fastidio nelle fredde giornate invernali, tanto fa contenti i marinai
che gonfiano le loro vele assopite.
Il vento che fa scompigliare
i capelli e ti fa arrabbiare, è lo stesso che rende felice una
mandria di cavalli che sventolano la loro criniera con allegra
libertà.
Il vento che esplode la sua
rabbia nella tempesta, è figlio di quello che ti fa udire il canto
della foresta, è quello che porta il polline e che ti fa meravigliare
lo sbocciare della primavera.
L’acqua, tanto fa tremare
la persona che annega, quanto fa cantare di gioia il contadino che
irriga i campi, quanto fa paura e terrore alle persone alluvionate,
pari alla gioia dei vacanzieri al mare.
Dà la vita al germoglio
indifeso, quanto al pianeta intero.
Disseta la gola dopo una
corsa, quanto lava via il sangue del bambino appena ucciso.
E’ potente nella sua foga,
quanto dolce quando ti accarezza al lavarsi.
Scende in profondità, quanto
in altezza.
La terra ci dà i frutti,
tanto quanto ce li toglie.
Si piantano i semi, come si
seppelliscono i morti, dà la sensazione di compattezza, tanto quanto
l’intensità di una frana.
Crea montagne come voragini,
è spessa come nella fragilità di un granello di sabbia.
Noto che l’acqua scorre
sempre verso il fondo valle, e so per certo che il giro che fa, non è
mai lo stesso, tutto è in movimento.
E’ un ciclo vitale quello
che compie.
Parte dalle vette, arriva in
pianura e si disperde in mare, poi le nuvole riportano la stessa ad
alte quote e ricomincia il nuovo ciclo.
Tutto è in relazione alla
vita, alla crescita.
Antonio, una volta, mi disse
che in ogni modo i gay sono esseri umani e dato tale non possono non
essere equiparati a tutti gli altri.
Gli avevo risposto.
"Sì, sono uguali
fisicamente, ma mentalmente sono malati da una inconsapevolezza.
Il loro essere omosessuali,
non è altro che un gioco creato dal loro cervello e loro s’identificano
con il gioco stesso.
Anche i travestiti allora
sono normali.
Anche i viados, sono normali.
Certo che lo sono,
fisicamente.
La natura ha donato loro
delle caratteristiche, anche se non proprio uguali, in ogni caso fanno
sempre parte dell’esistenza.
Con questo non vuol dire,
essere normali".
Dicendo questo, Antonio era
andato a raccogliere un semplice esempio in natura.
Voleva farmi credere che
siamo come gli animali.
"Siamo animali".
Gli avevo assicurato.
"Solamente abbiamo un
cervello per ragionare e una consapevolezza che è al di là del
pensare.
Arriva dall’intimo ed è
intrinseca alla nostra natura, alla nostra persona".
Quello che lui voleva farmi
capire, era che tra animali esiste però l’omosessualità.
"E’ vero".
Gli avevo ribattuto.
"Quello che dici è
verissimo, ma resta pur sempre il fatto che l’uomo si distingue per
avere il cervello.
L’uomo sa di essere tale e
sa anche che deve morire, prima o poi.
E’ l’unico animale che sa
per certo che deve morire, gli altri non lo sanno.
"Se l’esistenza ci ha
donato il cervello, perché non usarlo?.
Qui nasce il malinteso,
credono che quello che pensano sia tutto reale e veritiero.
Non è assolutamente vero.
E’ il cervello che si è
impossessato del loro spirito, della loro essenza.
Noi comuni mortali, siamo
nati puri, senza nessun pensiero rivolto alla perversione, quello
arriva dopo, dopo aver vissuto in ambienti sbagliati, dopo aver
vissuto il rapporto con il proprio corpo in maniera errata.
Non è parte della nostra
esistenza, è una nevrosi, una malattia che si sono creati loro".
"A questo punto".
Dicevo ad Antonio.
"Anche chi lo fa con gli
animali è normale, è una sua scelta.
Il cane che si lascia fare
non sa.
Ho visto anch’io, con i
miei occhi, cani in effusioni amorose, pur essendo entrambi maschi, ma
non per questo si può dire che l’uomo è come un animale.
E’ chiamato appunto, uomo,
perché ha un’intelligenza ed un cervello che lo eleva dal resto.
Capisco che l’omosessuale c’è
sempre stato, ma se guardi la storia dell’uomo, ti rendi conto che
da quando esistiamo, fanno lo stesso sbaglio.
Tutti quelli che pretendono
di essere "normali", in realtà vogliono solo far credere di
esserlo.
Non lo sono.
Non ho mai visto un branco di
elefanti fare orge, non ho mai visto un leone farlo con un cucciolo, e
anche se fosse, sono sempre e comunque animali.
E’ la mente che dà la
perversione alle persone che si lasciano trasportare da questo stupido
gioco. L’amore, quello vero, è dettato da un’armonia, da una
comunione spirituale reciproca che sfocia nel più assoluto incontro.
L’uomo e la donna si
fondono in un tutt’uno solo la consapevolezza è la cosa reale e
veritiera dell’atto, questa è religiosità.
Ricordo perfettamente che
Antonio non riusciva ad entrare nei parametri da me elencati.
Mi stupivo che uno come lui,
seppur un tipo sempre cannato e fuori di testa, non riuscisse a capire
che comunque la normalità, era ed è dettata dalla natura stessa.
Poi, all’improvviso, dal
nulla.
"Josuè", esclamo
urlando.
"Mi hai fatto prendere
una paura".
"Ah sì, pensavo l’avessi
già trascesa", dice ridendo a crepapelle.
"Già trascesa?",
gli rispondo.
"Sei ancora fermo al
primo gradino. Tutto quello che ti ho detto, non ti ha fatto fare un
balzo qualitativo?", dice ancora con spasmi di risata.
"Devo trascenderla?,
pensavo fosse solo una cosa da sapere", dico spaventato.
E lui.
"Tutto è da
trascendere, tutto quello che nasce dalla tua mente, quello che trovi
pensante all’interno è da trascendere.
Quando trascendi sai per
certo che non è.
Tu non sei paura, è solo una
tua proiezione, tutti ne hanno, tutti sono in qualche modo cattivi e
in qualche altro buoni.
Guarda i tuoi pensieri, si
snodano in mille direzioni diverse.
Ora pensi all’amore, subito
dopo sei odioso, pensi di voler del bene a te stesso e subito dopo non
te ne vuoi, sei in amore con la fidanzata e subito dopo la maltratti.
Tutto è da trascendere,
quando trascendi sei religioso, non sei più ciò che la tua mente
vuole farti credere, quello è un gioco, il gioco più stupido e
pericoloso che ci sia.
Ma ancora non lo sai, ed è
per questo che ti dico tutto questo, voglio solamente aiutarti a
percepire il vero significato.
Se lo comprendi sarai per
sempre allietato da una consapevolezza che è al di là della mente,
sei trasceso, in perenne meditazione".
Quello sentito apre una
finestra umana alla comprensione.
Josuè, comparso all’improvviso,
mette nelle mie vene un caldo e saporito nettare di essenza.
Il suo modo di presentarsi
non fa che aumentare la mia già acquisita potenziale spiritualità.
"Senti Josuè, vorrei
sapere come fai a presentarti dinanzi a me quando cavolo vuoi, non
riesco a capire il tuo modo di agire, borbotto carico d’apprensione.
Josuè.
"Sei tu che mi chiami,
non lo hai ancora capito?.
Io non sono, oppure sono,
dipende da come lo guardi.
Non hai ancora capito che
sono intrinseco a te, ne faccio parte.
Quando entri in meditazione,
quando lasci da parte la tua mente, compaio.
Io sono te.
Apri la luce della tua
consapevolezza, ed io esco, come il genio della lampada di Aladino,
solo che non sono estraneo al tuo essere, ne faccio parte, viviamo
perennemente ed eternamente assieme".
"Cosa stai a
dire?", dico in preda ad una curiosità mai conosciuta.
"Vorresti dirmi che ti
fai vedere quando sono in silenzio con il mio corpo?, quando la mia
mente è ferma?".
Lui.
"Certo, è proprio
così.
Sei tu che scateni la
consapevolezza, io, sono ciò, la tua consapevolezza.
La tua perenne ricerca
interiore ha fatto sì che succeda.
Sei solo stato tanto testardo
da non rinunciarci e ci sei riuscito.
D’ora in poi non sarai più
quello di prima, capirai cose che prima non riuscivi a comprendere pur
essendo intelligente.
Vedi Ocram, la mente non fa
parte della consapevolezza, la mente serve a far posto alla cultura,
alle parole, la tua mente, quello che immagazzini nel cervello non è
altro che un ammasso di parole.
Come un computer, solo che il
tuo computer funziona per conto suo, e tu, voi, non ne siete al
corrente.
Ti ho sentito dire a qualcuno
delle cose molto belle, questo è bello, è un aiuto, ma sono comunque
solo parole, al di là delle parole, esiste il vero significato di
tutto.
E’ il silenzio che scatena
la vera gioia.
Il silenzio che nasce dalla
mancanza di confusione nella tua mente.
Quello che sentivi da piccolo
nel bosco, quello che tu chiamavi, "L’urlo del silenzio",
non è altro che l’assoluto, è l’essenza del tuo essere.
Quando trovi questa
silenziosità dentro, sei arrivato a casa.
Ora non ne sei ancora in
possesso, ci vorrà ancora del tempo, ma ricorda che la strada è già
fatta, il solo comprenderlo ti dà il buon uscita per il cammino. Non
troverai più alcun ostacolo alla realizzazione, basterà seguire il
sentiero.
Nessun problema potrà
fermarti o deviarti perché tu sai che il problema non esiste è
qualcosa che ha a che fare con la mente, non con te, tu sei oltre.
Hai trasceso il tutto".
"Ti racconto la storia
delle due lucertole", dice scherzoso ma allo stesso tempo
convinto.
"Va bene, ti
ascolto", gli rispondo curioso.
"Una volta c’erano due
lucertole, una buona e una cattiva.
Quella cattiva era quella che
faceva sempre i dispetti.
Disprezzava e insultava ogni
qualvolta c’era occasione.
Quella buona invece restava
sempre impassibile e cercava di accontentare in tutto e per tutto,
anche, a volte, passando per stupida.
Divenute grandi era stato
loro ordinato di andare tutti i giorni a prendere dell’acqua per
tutto il villaggio.
Un giorno, quella cattiva,
trovò una scorciatoia, però questa era irta di pericoli.
La buona, visto la
pericolosità, le disse che era troppo ardua, ma la cattiva, ignorando
l’accortezza, non l’ascoltò e continuò a percorrerla.
Dopo un po’ di tempo la
lucertola cattiva si ruppe una gamba e quella buona, sentite le
lamentele, si accorse a vedere cosa le era successo.
Nel vederla, dato che si era
rotta una gamba, la portò al villaggio coricandosela in spalla.
Mentre la lucertola cattiva
aspettava la guarigione, quella buona continuò a lavorare facendo del
suo meglio.
Passati alcuni giorni, la
lucertola cattiva ricominciò a lavorare.
Un pomeriggio, la lucertola
buona, consigliò per il bene dell’amica di tornare al vecchio
sentiero.
La cattiva arrabbiatasi per
il consiglio datogli da quella buona, la insultò e la ridicolizzò.
Poi non contenta la riempì
anche di sonate botte.
La sera, le lucertole
anziane, riunitesi in consiglio, chiesero a quella buona cosa le era
successo, lei, per non confessare l’accaduto, rispose che era caduta
lungo il sentiero.
Quella cattiva, che era
presente al dialogo, rise e disse che l’aveva vista ruzzolare a
terra e che era andata a soccorrerla.
La buona non aprì bocca,
poi, chiese alla cattiva come mai aveva detto quella bugia.
Rispose che con le lucertole
stupide e ignoranti non parlava.
Ogni Santa domenica, le due
lucertole si recavano come rito alla Santa Messa.
Tutte e due professavano d’essere
l’una più religiosa dell’altra.
La lucertola prete, predicava
che l’essere buoni e umili era una virtù che non conosceva limiti.
La buona, finita la Santa
Messa, si vantava d’essere quella più religiosa.
La cattiva, nonostante la
fama, si beava d’essere la più furba e così di ottenere più fama
e denaro.
Dopo alcuni giorni, la
lucertola cattiva, considerando che percorreva molta meno strada, si
vantava di portare molta più acqua al villaggio e quindi d’essere la
più ammirata.
La buona, ricordandogli che
la scorciatoia non era altro che impervia, le disse che non era
questione di tempo, ma di previdenza.
Una sera, la cattiva, mentre
tornava al villaggio con l’ultimo catino d’acqua, fu travolta da
una frana e morì.
Quella buona e umile,
continuò a percorrere la strada più lunga e meno impervia".
"Quale pensi sia il
significato della storia", dice Josuè con un pizzico di
severità.
Ed io.
"La storiella, può
mettere in condizione di dare per scontato che la lucertola buona sia
quella più religiosa e veritiera, ma quello che balza di primo
acchito, è che tutte e due hanno mancato il raggiungimento alla
realizzazione.
L’essere o non essere, non
comporta necessariamente d’essere più religioso di altri, è solo
un surrogato.
La chiesa ha creato questo
stratagemma.
L’unico vero modo d’essere
religiosi è quello di cercare all’interno di noi stessi il vero
paradiso", gli rispondo convinto e fiducioso.
"E’ vero",
assicura Josuè.
"Il vero significato
della vita è il raggiungimento della realizzazione.
Se guardi bene, c’è tanta
gente che fa del bene e altrettanta che non lo fa.
Sono assolutamente identici,
mancano tutti la realizzazione".
E’ vero, osservando bene
tutto il percorso fatto nella mia vita, trovo che la mancanza di
comprensione e la non capacità di capire il meccanismo, era la mia e
la vostra paura, la mia e la vostra ansia, tutto è in relazione.
Ho capito che l’amore, la
consapevolezza e la comprensione, non sono altro che un’unica cosa.
Uno stato meditativo che porta la fiamma al centro, che nutre la
fragranza della consapevolezza.
Visto che ho acquisito la
consapevolezza, o più precisamente, che la consapevolezza è entrata
dentro di me, me ne ritorno giù in paese.
Neanche restare per pochi
giorni da solo a meditare, dà la sensazione di unica realtà, anche
quella sembra una fuga dal mondo.
Così decido di sana pianta
di tornare a vivere in paese.
Da subito mi accorgo di
quanto sia rumorosa la strada che conduce a casa, i camion, carichi
fino all’inverosimile, spruzzano nuvole di smog ad ogni partenza.
Le macchine accatastate in
fila indiana sono come formiche in preda ad un attacco di fobia, sono
impazzite.
C’è chi suona
ripetutamente il clacson senza rendersi conto del baccano che fa, chi
parte a razzo per far vedere che ha la macchina più potente, più
grossa.
Tutto si riduce ad una
competizione.
Io, travolto da un’energia
straripante, sono contento di sentirmi al di fuori del gioco, non ci
trovo nulla di speciale.
Più che speciale, è una
mancanza di sentimento, di responsabilità.
Gli unici ad essere sempre
contenti e liberi, sono i cani randagi che trovo per strada.
Anche i gatti, sembrano non
fare caso al casino che l’uomo inscena tutti i giorni.
Il loro modo di vita è
semplice, libero.
Forse la preoccupazione più
grande per loro è di trovare qualcosa da mangiare, ma anche questo
non traspare dagli occhi.
Arrivo a casa.
Mi viene incontro abbaiando
il cane, Maciste.
E’ contento di rivedermi,
lo fa capire, anche un morto se ne sarebbe accorto.
Entro in casa, saluto mio
fratello e vado a dormire.
Questo è quello che successe
ad Ocram.
L’arrivare ad essere, era stato solo un processo, un processo
voluto, voluto soprattutto dall’esistenza.
Il seme di tale è una cosa che hanno tutti, aveva capito.
Stava alle persone amplificarlo, annaffiarlo e diffonderlo fino a
farlo nascere ed esplodere in tutta la sua vera forza.
La sua ricerca interiore lo
ha portato a capire che le persone sono come i fiori, la loro bellezza
sta nell’esprimere tutta la forza, la fragranza, sta nel
raggiungimento della fioritura, dall’aprirsi all’esistenza.
Tutti abbiamo un seme, un
germoglio pronto a svilupparsi, ma se restiamo tali non arriveremo mai
ad espandere le nostre qualità.
Solamente chi non ha paura di
esprimere il suo vero potenziale n’esce fiorito, e solo chi è
fiorito si distingue per unicità, per fragranza.
Dopo aver conseguito tanto,
ad Ocram, gli si sono aperti spazi e avvenimenti straordinari, tutta
la sua vita ne ha tratto vantaggio, tutte le persone che lo circondano
ne traggono vantaggio.
Anche la sua amica
Alessandra, dopo svariate disavventure e continui sbagli, aveva capito
finalmente il vero significato della vita.
Restando accanto ad Ocram, ha
saputo riversare tutto il suo amore senza falsi pregiudizi e
ipocrisie.
Anche lei era caduta nella
trappola dell’ego.
Si era convertita alla
religione, nel mondo monacale, ma non era stato altro che l’opposto
di quel fatto in precedenza, non era consapevole del meccanismo che la
mente portava a fare.
Solo restando a fianco e in
sintonia ad Ocram, aveva capito che il riversarsi all’opposto non
era altro che un gioco creato dalla mente.
Le persone vere, quelle
religiose, non fuggono, sono reali in tutte le situazioni.
Alessandra aveva capito che
il rifiuto del mondo mondano, a sostegno di quello monacale, non era
altro che una nuova scappatoia.
Credeva che il rinchiudersi a
pregare e a professare una vita così detta, "Religiosa",
fosse la cosa più giusta da fare per tornare ad essere in sintonia
con l’anima.
Si sbagliava, e da questo
sbaglio ha tratto vantaggio.
Ora anche lei poteva
ringraziare l’esistenza per il processo che aveva dovuto compiere
per arrivare a tanto, a scoprire il vero significato.
Quello che succede ad ognuno
di noi, non è altro che un processo che l’esistenza regala per
comprendere e se solo stiamo più attenti, forse ci accorgiamo.
Il paradiso è qui, basta
cambiare il modo di guardare, di sentire, di vedere, di annusare e di
tastare.
E’ domenica, la mattina di
una fine settimana di primavera, alle prime luci dell’alba, mi alzo
di scatto quando la sveglia elettronica emette quel suo suono
metallico e stupido.
Era un sogno.
Di colpo mi ritrovo ad
annaspare tra la stanza in cerca di qualcosa da mettere.
Dopo aver indossato una felpa
di cotone, un paio di jeans e avermi infilato le ciabatte, esco dalla
camera per andare a preparare la colazione.
Nel momento in cui apro la
porta della camera, sono investito da una luce così forte da farmi
perdere l’orientamento.
Avanzo tenendomi con le mani
al muro, come uno che cammina sul cornicione, non riesco a capire se
sono i miei occhi che non vedono, o se la luce non mi lascia scampo.
Prima di entrare in cucina,
mi fermo un attimo al bagno a sciaquarmi il viso, visto che non riesco
proprio a svegliarmi.
Ho quella strana faccia che
ti viene dopo una serata passata a fare il balordo in discoteca a bere
e a fumare.
Lo specchio mi riflette con
un’immagine distorta, ho i capelli tutti arruffati tipo cocker, le
palpebre degli occhi sono nere a forma di mezza luna rovesciata.
Questa mattina non mi
riconosco proprio, di solito esco dal letto con un aspetto più
dignitoso, ma nonostante tutto mi appare tutto molto buffo.
Lavatomi e sciacquatomi
abbondantemente, dato l’aspetto che mi ritrovo ad avere, finalmente
m’infilo in cucina, preparo la moka per il caffè con lentezza e
mentre aspetto d’udire il suono rauco della stessa, entra mio
fratello, ci salutiamo ma resto perplesso.
La foto di mio padre e quella
d’Antonio, sono incorniciate e poste sopra la credenza.
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