Sadhana l'urlo del silenzio
di

Marco Tonato

 

 Segue prima parte

Passo le mie giornate a leggere e a studiare. Studio veterinaria, mi piace perché adoro gli animali, con una particolare attenzione al settore canino, anche se comunque non disdegno neppure gli altri.
Le settimane passano veloci, mi rendo conto, tra un esame e l’altro trovo sempre il tempo di fare una passeggiata su all’eremo, ma di Josuè nessuna traccia, ormai sono un paio di anni che ci vado e non lo trovo più.
Ho provato ad andare anche a orari differenti per cambiare, ma senza essere fortunato.
Mi rattrista il fatto di non avergli chiesto qualcosa di più, la speranza è comunque presente, so che prima o poi lo rivedrò, allora esaudirò tutti i miei dubbi.

Nel frattempo, mi sono trovato più volte con Antonio, abbiamo risolto alcune questioni rimaste sospese, ci siamo fatti anche delle ferie assieme.
Siamo andati, spinti da avventura, in posti tropicali e ce la siamo spassata alla grande, abbiamo trascorso una settimana in barca a vela intorno ad alcuni favolosi e invitanti atolli, ci siamo abbuffati di ogni tipo di pesce, siamo stati presenti al migrare delle balene, abbiamo visto alcuni squali girare attorno alla nostra barca, quasi a farci capire che il mare era la loro casa.
Siamo stati una decina di giorni in un appartamento vicino al mare, custodito da un giovane italiano maestro di surf e di sub.
Il giovane, ma già robusto ragazzo, lo abbiamo conosciuto in corriera, mentre eravamo diretti a nord dell’isola di cuba.
Il ragazzo, seduto davanti a noi, sembra essere un tedesco, tanto i capelli sono biondi, invece d’un tratto ci chiede in italiano se per favore può abbassare lo schienale.
Sbalorditi, facciamo segno di si con la testa.
"E’ il primo italiano che troviamo", dice Antonio esclamando.
"Da quando siamo partiti".
"Per forza", ribatto.
"Non ci siamo mai avvicinati a zone popolate", rispondo sorridente ed euforico.
Il ragazzo come si accorge della nostra italiana nazionalità ci chiede per primo un favore, anzi per lui, più che un favore sembra essere di più e con fare deciso ma a modo, ci chiede la gazzetta dello sport. "E’ una vita che non la sfoglio ", mi dice contento. "Vi faccio da cicerone se me la fate vedere un attimo", ci dice.
"Eccola, prendi pure", gli dico con il sorriso stampato sulle labbra, e ci mettiamo a ridere tutti e tre senza motivo.
Dato che il tipo è anche simpatico, gli faccio vedere che con noi abbiamo tre bottiglie di vino bianco, lui, con un euforia straripante ci invita a cena senza pensarci due volte.
Accettiamo volentieri e gli diamo due bottiglie in fiducia.
La sera, ci prepara una spaghettata di frutti di mare e tre aragoste a testa, comperate da un pescatore appena arrivato dalla spiaggia ci dice, restiamo allibiti della sua gentilezza.
Ha già trovato pure un appartamento tutto arredato a nuovo, di li a poco nasce un sodalizio che si protrae per tutte le restanti ferie.
Una sera, mentre Antonio sta parlando con un altro italiano conosciuto pochi giorni dopo, il ragazzo mi fa un discorso e rimango di sasso.
Comincia ad assicurarmi che sono pochi i tipi come noi, che siamo rari, e data la nostra rarità siamo anche i più sfigati, nel senso che siamo soli contro di tutti.
"Perché abbiamo una visione totale e reale della vita", dice sicuro delle affermazioni fatte.
"Non c'è di che preoccuparsi, siamo abituati a tutto e a tutti", continua.
"Non saremo certo noi quelli che si tirano indietro, anzi, siamo tipi con un’alta spiccata voglia di crescere, di cercare.
La verità è la nostra meta e ricerca, intessiamo la ricerca dell’assoluto e dell’equilibrio con lo scopo di arrivare al vero", replica di slancio tutto d’un fiato.

Resto ad ascoltare per più di un’ora quello che ha da dire il ragazzo, che si chiama Elio, e quando apro bocca mi scivola fuori del profondo un sonoro sì. "Sì", è tutto quello che mi viene da dire in quel preciso istante, ha un significato così grande da non essere equiparato a nient’altro.
Sì, è l’insieme di tutto quello che ho da dire, che posso elencare, tanto è esatto quello che ho appena udito.
Elio, mi viene da pensare, ha elencato tutte le cose che anch’io desidero e che amo.
"Solo noi", dice.
"Guardiamo il tramonto fino al crescere della luna, solo chi ha una certa sensibilità osserva con gli occhi di un bambino ciò che per gli altri è normale, ci sono poche persone che si meravigliano ancora di quello che la vita, la natura, ci offre,
E noi ne facciamo parte", replica di slancio.

Elio da allora non l’ho più rivisto, è sempre comunque presente dentro di me.
I tipi come lui non si dimenticano di certo, è un lusso aver a che fare con tali persone.
E’ quando trovi persone come queste che ti si riempie il cuore di gioia, sono come la casa dei desideri, dei nostri desideri, il fortino che ti dona la sua sicurezza.

In quel periodo Ocram vive momenti di malinconia miscelata a nostalgia.
La nostalgia, lo assale soprattutto in presenza di vecchi ricordi amorosi, ricorda perfettamente le giornate trascorse con la fidanzata che più ha amato, almeno fino a quel momento.
Si ricorda benissimo delle serate passate assieme in macchina, anche solamente a parlare, l’importante era stargli vicino, annusare la pelle profumata, guardarla negli occhi e sentire il suo respiro ansimante nella bocca, quella bocca che affamata di baci e d’amore, si donava con ardore alle provocanti avance.
Ricorda specialmente dei momenti estatici passati in ferie, dove tutto sembrava non avere fine, dove il tempo non passava mai tanto era l’amore che scaturivano i loro corpi, dove il tempo non trovava spazio, tutto era una bolla d’amore, un contenitore riempito di promesse, desideri, e sogni.
La nostalgia però sa bene Ocram è una brutta gatta da pelare, lascia strascichi insormontabili e invalicabili, ti rende schiavo del tempo, non ti lascia pace, tutto quello che è già passato per Ocram può non aver più alcun significato, ma come si può non ricordare i momenti passati con la propria fidanzata?, come si può far finta di niente?.
Ocram passa le giornate, il periodo, in modo intenso, si tuffa a capofitto in qualsiasi cosa gli passi per la testa.

Un’estate, decide di andare in un maneggio a provare ad andare a cavallo e ci riesce, ma non è nel tentativo che sta l’unicità, ma nel modo in cui effettua il tirocinio.

Sono davanti ad una bella ragazza dai capelli lunghi e biondi, ci diamo una stretta di mano e ci presentiamo.
La tipa, alta non più di un nano, mi chiede quando penso di incominciare.
Le affermo che avrei voglia di farlo al più presto, anche subito.
Mi guarda sorridente e assicura che non è possibile.
Un po’ sgomento chiedo il motivo, lei, mi risponde subito dopo affermandomi che non è possibile perché già tutto prenotato, la guardo e non so che fare, per giunta non ho neanche voglia di cedere così facilmente le armi.
Chiedo insistentemente ma gentilmente se può farmi un favore, ma la richiesta trova fine con la parola, con la testa fa segno di no.
Aspetto un attimo e nel frattempo faccio un giretto per il maneggio.
Osservo con cura i cavalli dentro ai rispettivi box, ne vedo di tutti i tipi e razze m’impressiona la loro mole dal fatto di non averli mai visti da tanto vicino.
Mentre guardo uno stallone più alto di me, arriva da dietro l’istruttrice e mi fa motto di andare nel suo piccolo e confortevole ufficio.
Ci scambiamo un’occhiata amichevole e prende lo spunto per chiedermi cosa possa fare per me.
"M’interessa imparare velocemente ad andare a cavallo", gli dico subito, con delicatezza e un minimo d’intraprendenza.
"La sua collega prima assicurava che oggi non è possibile", continuo.
E lei.
"Non è assolutamente vero", risponde cortese e sorridente.
"Mi è appena giunta una telefonata di un tipo che per ragioni personali, oggi non può proprio venire", ribatte lei.
"Quindi se vuoi puoi cominciare tra pochi minuti".
Salto dalla gioia, le sorrido e ci scambiamo un paio di battute ironiche.

Sono vicino al cavallo di nome Alvin, Carla, l’istruttrice, mi fa vedere come si sella un cavallo e mi ritrovo a guardare fermo come un palo.
Dopo avermi fatto vedere le nozioni più importanti, l’istruttrice, mi accompagna nel recinto, mi fa salire in sella e posta le staffe.
Datomi le istruzioni per tenere un minimo le redini, parto al passo e comincio il giro del campo.
Dopo un paio di giri al passo tutto entusiasta, succede il caos.
Dall’altra parte del recinto, vicino ad un campo coltivato a mais, tutto ad un tratto, sento uno sparo. Ad un cacciatore gli parte accidentalmente un colpo di fucile.
Nello stesso preciso istante, mi ritrovo al galoppo sfrenato, senza rendermene conto.
L’istruttrice, che è piazzata in mezzo al campo, si mette ad urlare per la paura, io, vado a mille, come sopra ad una Ferrari, per giunta senza volante e freni, non riesco più a fermarlo tanta è la paura che il cavallo ha preso.
Ad un certo punto, dopo svariati giri, il cavallo, da solo, mi grazia e si ferma a bere.
Scendo e la prima cosa che mi viene da fare è il segno della croce.
Carla, l’istruttrice, mi guarda e dice: "Volevi imparare subito no, eccoti servito".

Un giorno, dopo una ventina di lezioni, mi fa provare un cavallo di nome Sulfur.
E’ fermo dentro al box da otto mesi, per giunta il cavallo ha solamente un occhio, nonostante tutto, accetto e salgo.
Subito il cavallo non conoscendomi, si trattiene dal fare cose strane, ma poi, quando si rende conto che a cavalcarlo ce uno che non sa andare, si dà alla pazza gioia.
Sono suo ospite per circa venticinque interminabili minuti, va a destra e a sinistra a piacimento, si ferma e parte al galoppo sfrenato, va diritto verso lo steccato e gira di scatto, arriva in un punto e si ferma di colpo.
Carla, continua ad urlarmi di fermarlo, ma mi diverte troppo, anche se da qualche parte, inconsciamente, mi balena un po’ di paura.

Torno a casa, dopo aver passato il pomeriggio in biblioteca, ciò che trovo ad accogliermi mi lascia senza parole.
Mio padre è steso sul divano privo di vita.
C’è un po’ di confusione, nessuno però mi rivolge la parola, cerco di ordinare i movimenti, tutto è stupido, banale, i pochi parenti che vedo, non mi degnano di uno sguardo, poi trovo mio fratello che con le lacrime agli occhi mi sussurra ad un orecchio che non c’era stato nulla da fare, che quando era arrivato a casa il padre era già a terra privo di vita.
In quel preciso istante ho uno strano modo di apprendere la realtà, vedo tutti i parenti preoccupati di fare e non fare, io, me ne sto in disparte, come un testimone sconosciuto che si è trovato lì per caso, come se quella fosse stata una scena di un film già visto molte volte, ed io fossi stato l’unico spettatore, uno spettatore speciale.
La prima cosa che mi balena in testa, e che non riesco a scrollarmi di dosso, è il fatto di non essere riuscito in tutta la mia vita ad avere un rapporto più sincero e amorevole con mio padre.
Quello che mi da più fastidio è che ho avuto tutto il tempo necessario per ottenere tanto, e non ci sono riuscito.
Ho fatto fiasco, quante volte avrei potuto farlo e per orgoglio non lo avevo mai fatto?.
Certo mi dicevo, questo è un sogno che prima o poi penso di realizzare, ed ora che ho la certezza del mio fallimento mi sento perso, privo di linfa, perché in questo momento tutto posso pensare tranne che ad una cosa; mio padre non saprà mai quanto mi sarebbe piaciuto abbracciarlo, stringerlo tra le mie braccia, tutto quello che volevo e che ho tentato di fargli capire era stata solo una scusa o un modo per tenerlo più vicino, per avvicinarlo sempre più, che quel che m’interessava alla fine era solamente di riuscire ad amarlo in tutto, per tutto e con tutto.
E’ il solo pensiero che assilla la testa, il mio strano essere, tutti i giorni, tutte le notti, l’unica cosa che riesco a pensare, tranne a questo, e che non sarei andato avanti tanto in questo stato, sono troppo esausto da quel pensare, da tutte le immagini che penetrano la mente.
Il film che ne vedo oramai l’ho visto centinaia di volte, spero mi si rompa la cinepresa, il mio stesso cervello, spero che in fondo anche il mio pensare abbia una fine, almeno questo ritengo sia l’unico sistema per porre fine a quest’assurdità.
Il giorno del funerale mi presento vestito di nero, ma non il solito vestito da cerimonia funebre, anzi, è più un vestito da ballerino di tango, camicia a punte larghe e pantaloni con pences stretti al ginocchio, come quelli da cavallerizzo.
Della cerimonia non m’interessa molto, quello che m’interessa di più è il sentire all’interno una calma serenità, come il mare dopo una tempesta, come fossi entrato all’improvviso in una foresta piena di cinguettii e ululati ed all’improvviso tutto si fosse zittito.
Noto che la sensazione che ora provo mi rende tranquillo, non l’avevo mai provata.
So bene cosa la gente pensi di me, ma non m’importa un gran che.
Tutti ora mi guardano con compassione, in quel modo che ti fa sentire tutti gli occhi addosso come a darti un po’ di coraggio, di rifocillarti della loro comprensione e della loro disponibilità.
Io, invece, non dispenso nessun saluto, non un solo cenno, non una sola parola, neanche con il fratello, niente è più prezioso del silenzio che m’avvolge, solo la silenziosità mi dona serenità e amore.
Ho capito che la vita è solamente un sogno, nulla di tutto quello che sento e percepisco l’ho avvicinato in tutta la mia vita, la morte ha bussato ed io gli ho aperto, senza paura.
Tutto quello che è successo nella vita non è niente davanti alla morte, mi viene da pensare, solo lei in questo momento appare avere un senso, certo, lei che è arrivata senza preavviso, senza un segnale, che davanti a tutto è la vincitrice, niente è più grande. Solo lei in questo momento può godere delle facce ammutolite della gente, priva di gioia.
Solo lei è l’ospite di questo banchetto.
Da quel giorno mi sento rinato, più forte, la vita ha voluto donarmi anche quest’esperienza, nonostante mi sia mancata la persona più vicina, sono più vitale, la morte ha confermato quello che già so.
La vita, è come un sogno, penso, bisogna viverla intensamente, bisogna tuffarcisi dentro senza paura, perché solo la paura, la paura di morire non ti fa vivere completamente.

Una mattina, sento squillare il telefono, m’alzo dal letto e vado a rispondere barcollando in qua e in là, dovuto al mio stato di coma.
Al telefono, con sorpresa, sento la voce d’Antonio squillare come quella di un bimbo quando ha fame, lui, ridendo come un matto, mi chiede se durante la mattinata vado a farmi il solito giretto su all’eremo, di rimando gli dico che non lo so ancora.
"Se ne ho voglia", gli ribatto subito dopo.
Non sono ancora pronto per ragionarci su, comunque lo informo che se cambio idea, passando per casa sua lo chiamo, lui, ridendo, mi dice che è contento, e che ha proprio voglia d’andare e di parlarmi.
Lo assicuro e gli prometto che si può già definire la partenza.
Messo giù il telefono, penso per un po’ al modo in cui Antonio ha parlato, ma il pensiero resta nell’aria perché il corpo si è già mosso verso la cucina.
Fatta la colazione, esco.
Il mio cane come mi vede, capisce subito che si va a fare un giretto, lo faccio giocare un attimo e parto.
Arrivo a casa d’Antonio, suono il campanello invano, mi sbuca da dietro facendomi saltare dalla paura, mentre il mio cane già tenta d’aggredirlo per difendermi.
Antonio, ripresosi dallo spavento, mi dice; "Ocram, non mi hai mai detto che il tuo cane è anche aggressivo".
Ed io.
"Secondo te, un cane che vede aggredire il suo padrone cosa deve fare se non difenderlo?".
E lui.
"Hai ragione, ma pensavo mi conoscesse, è da un bel po’ di tempo che mi vede con te".
"Guarda che i cani non sono come noi", gli ribatto senza batter ciglio.
"Loro sono tuoi amici, ma se ti comporti in modo sbagliato sono anche i tuoi peggiori nemici".
A quel punto, dopo aver chiarito il fatto, c’incamminiamo verso il sentiero.
Il giorno mi sembra già un po’ speciale, vista anche la presenza di un ospite.
Mentre c’incamminiamo sul sentiero, chiedo ad Antonio come mai è contento e qual è il motivo di tutta quella pazza voglia di vedermi, lui, borbottando fra se, fa capire che ha una sorpresa ma che la dice su all’eremo.
Mentre saliamo all’eremo, noto in Antonio qualcosa di strano, di familiare, sembra abbia ricevuto una benedizione di fiducia.
Ora ho la sensazione che anche lui si accorga di quanto bella sia la natura, non l’ho mai visto guardare con occhi pieni di gioia il paesaggio, un semplice fiore.
In un’occasione lo vedo fermarsi a guardare un tronco d’albero rinsecchito e parlargli con amore, sembra tutto così strano e allo stesso tempo incantevole.
Mi rende felice.
Arriviamo all’eremo e ci sediamo sopra ad un sasso dal quale sono stati ricavati un paio di posti a sedere, sistemiamo i nostri zaini a terra e ci rilassiamo un attimo.
Sento un rumore provenire dalla grotta in cui ho conosciuto Josuè, corro a vedere se c’è, ma ritorno sconsolato al mio posto.
Probabilmente è stato un sasso, che rotolando addosso alla roccia mi ha dato la sensazione d’udire il suono che provoca il bongo del vecchio.
Antonio, visto che sono sparito via di corsa, al ritorno mi chiede dove sono andato.
Rispondo che mi sembrava avere udito qualcosa di familiare, chiede se penso ancora di trovare il tipo, il Josuè tanto famoso di cui parlo spesso, gli replico che è esatto.
A quel punto, prendo lo spunto per chiedere ad Antonio il motivo di tanta voglia di parlarmi.
Mi fa; " Ocram, mi sono innamorato di una ragazza e siccome sei il mio miglior amico, te ne voglio parlare, anche perché vorrei sapere il tuo parere".
Resto stupefatto, penso per un attimo a com’era Antonio prima di conoscere la tipa, penso a come sia cambiato in questo periodo, almeno in questo momento, dato che è da tanto tempo che non lo vedo.
Mi passa per la mente tutto quello che Antonio è, o è stato, uno come lui, sempre pronto a fumare canne, sempre pronto a sballare e a mettersi nei guai.
Antonio, il classico tipo che della vita non gl’importa assolutamente niente, o poco, tanto è andare in un posto o nell’altro, lui, che con le ragazze si è sempre comportato male, che le ragazze gli servono soltanto per svuotare il seme in eccesso, che le usa senza ritegno come fossero altro che contenitori vuoti da riempire e da buttare, come il sacco delle immondizie quando è pieno e lo devi buttare nel cassonetto.
Un giorno addirittura mi assicura che ad una tipa gli ha perfino vomitato addosso dopo averla portata in macchina a fare sesso, ed io, mi ricordo, stavo ad ascoltare, mi faceva schifo, mi sentivo male per lei. Ho cercato di farlo anche ragionare, una volta addirittura a casa sua l’ho pure sentito dire alla madre che poteva andare a fare la puttana e non la santarellina in chiesa, ed ora mi vene a dire che si è innamorato di una ragazza, mi chiedo nell’intimo se veramente l’amore può trasformare una persona così, dato che ci credo in modo religioso.
Ora che il mio amico mi parla in questo modo, sembra che bestemmi cose che a lui non passano nemmeno per l’anticamera del cervello, del cuore.
Mi sveglio dal burrascoso vortice di pensieri, guardo Antonio e sorridendogli faccio segno di continuare a parlare della tipa.
Comincia a dirmi che è da un paio di mesi che la frequenta, che è innamoratissimo, e che non si è mai sentito così bene.
Nell’ascoltare le sue parole, osservo la sua bocca, il modo con cui gesticola con le mani, guardo nei suoi occhi se ce veramente quello che sta dicendo, voglio scoprire se i suoi sentimenti hanno a che fare con le parole.
Intanto continua a parlarmi in modo strano, sento uscire dalla sua bocca parole piene di significato, piene di vitalità quasi incompressibili alle mie orecchie.
Dopo avere parlato della fidanzata, e dei suoi desideri, mi chiede cosa ne penso, ed io con fare tranquillo.
"Sono contento che tu abbia conosciuto la persona giusta, spero, anzi sono certo che questa ragazza ti farà scoprire cose nuove, sensazioni forti.
Ti auguro di essere sempre così vitale e gioioso, di godere fino in fondo l’amore che scaturisce il vostro stare insieme, che tutto proceda secondo le tue aspettative e quelle della tua ragazza".
Antonio, dopo avere ascoltato con entusiasmo le mie parole, mi dice; " Ocram, ma tu non sei mai stato innamorato veramente di una ragazza?".
"Certo che lo sono stato", gli replico compiaciuto. Comincio a raccontare tutto quello che mi passa per la testa, ripercorro i sentimenti ancora vividi che mi ribollano nell’intimo fino a raccontare anche le cose più segrete, allora, incuriosito da tanto ardore, Antonio mi chiede; " Ma perché l’hai lasciata se eri così tanto innamorato?.
Io esclamo con trasporto.
"Il perché non te lo posso dire, però ti posso affermare che l’essere innamorati è una cosa sconvolgente, ti fa pensare e fare cose che non hai mai pensato prima".
Mi guarda con occhi innocenti, come a chiedere di spiegare meglio il concetto.
Lo capisco perché la strada lo già percorsa, ma faccio finta di non accorgermene, taglio così la conversazione e dico ad Antonio di andare.
Nel tornare giù, noto che Antonio non è del tutto soddisfatto della mia considerazione, ne sono anche un po’ contento, penso a quante storie deve ancora passare per riuscire a capire quello che gli ho appena detto, ammesso ci arrivi.
Arriviamo giù in paese e troviamo ad aspettarci la mia amica Alessandra.
Mi strizza l’occhio sorridente e mi torna alla mente quello che è successo l’ultima volta che ci siamo visti.
Dentro di me nasce una sottile risata, ci chiede dove siamo diretti, gli rispondo subito che stiamo andando a casa.
Colgo l’occasione e le presento Antonio, lui si espone e ci chiede se abbiamo voglia di andare a casa sua, così, a bere una birra.
Faccio segno di sì, Alessandra ci da l’okay.
"Porto a casa il cane", dico proseguendo.
Nel frattempo vedo loro due allontanarsi in direzione opposta.
Arrivo a casa d’Antonio, suono il campanello, mi apre la porta Alessandra.
Ne esce un alone di fumo già conosciuto.
Entro e trovo Antonio che si sta fumando l’erba con un arnese mai visto prima.
Capisco subito che l’atmosfera è da scoppiati di testa.
Antonio continua a fissarmi con gli occhi da pesce lesso, sorride quasi convulsamente, resto ad osservarli per pochi secondi e dico ad Antonio; " Senti Antonio, non puoi smettere di fare tutto quest’odore? ".
"Quale odore, questo è profumo", mi risponde con occhi lucidi.
"Antò, per favore, mi hai invitato a bere qualcosa ed ora che sono qui non voglio restare a guardare due che si tirano", gli ribatto un po’ seccato.
Alessandra, per rompere il discorso, chiede come va. Rispondo che va bene, ma che sono in un periodo di transizione, mi sembra di essere in attesa di qualcosa ma non so cosa, dichiaro allora in tono fermo ed eloquente.
Poi, le chiedo come va la storia con il suo fidanzato. Ribatte che l’ha mollato, così senza tante storie.
Non un gesto di stizza o malinconia, io, mi sento estraneo a tutta questa storia, non so se ridere per la faccia tosta d’Alessandra, o se prenderla a schiaffi per tutte le cazzate che stava combinando.
Antonio nel frattempo, versa da bere su tre bicchieri ricavati da dei vasetti di nutella, faccio segno ad Antonio se è possibile andare in bagno, mi indica che si trova in fondo al corridoio.
Nel percorrere lo stesso, vedo che alle pareti ha alcune foto che lo ritraggono da bambino.
Su una, è in seggiolone con la faccia paffutella e innocente, diverte vederlo in quel modo, visto com’è ora.
Vado in bagno e un attimo dopo sono già di ritorno. Apro la porta del salotto e trovo i due che si stanno baciando appassionatamente, mentre dallo stereo, acceso da poco, esce la canzone dei Doors, The end.
Resto scioccato e distaccato, ricordo ancora vivamente quello che mi ha detto su all’eremo Antonio, mi sembra di essere uno stupido spettatore, non so se scappare oppure fare finta di niente, tutto quello che riesco a fare è di restare immobile.
Ho la testa che comincia a girarmi, non so se per il fumo inalato o per la situazione.
Mi siedo a fianco di loro due, che non si sono accorti nemmeno del mio ritorno.
Li osservo con spirito staccato, sembra una cosa illogica e allo stesso tempo logica, tutto si mescola ad una vorticosa sensazione d’asfissia.
Sento mancare il respiro, mi alzo di scatto e vado di nuovo in bagno.
Resto per un po’ davanti allo specchio.
Mi domando se sono io quello sbagliato o se tutto è sbagliato.
Nasce dall’anima un istinto d’amore, si trasforma in beatitudine, sembra quasi che il mio stesso essere dia dei segnali precisi al riguardo.
Data l’esperienza che mi trovo a vivere in quel frangente, il mio corpo sembra lanciarmi in un mondo completamente diverso, più familiare, quasi in un’estasi fanciullesca.

Sono a casa ad accarezzare il cane, ma non ricordo come ho fatto ad uscire dalla casa d’Antonio, non ricordo nemmeno se ho salutato oppure se sono uscito senza degnarli di uno sguardo, comunque stare li vicino al mio cane scodinzolante mi procura felicità, mi dà gioia, anche se nell’angolo più remoto di me, sento un po’ di tristezza.

Alla sera mi telefona Antonio, lo sto solo ad ascoltare.
Fa dei discorsi vaghi e privi di significato.
Si sente che ha un po’ di timore nei miei confronti, ma noto, che nonostante tutto, non sembra tanto dispiaciuto.
Quando apro bocca la prima volta, mi viene da vomitargli addosso tutto quello che mi passa per la testa, però mi trattengo e gli dico solamente che non mi è ancora andato giù quello che lui ha fatto con Alessandra, dopo tutto quello che mi ha raccontato su all’eremo.
Per non peggiorare le cose, lo assecondo e annuisco, se pur con fatica, a tutto quello che spara dalla bocca.
Si capisce che ha voglia di chiedere scusa, ma l’orgoglio è troppo forte.
Messo giù il telefono, mi rifugio in camera ad ascoltare un po’ di musica.
Mi tornano alla mente gli anni passati, ricordo particolarmente bene gli anni dell’infanzia.
Ricordo con nostalgia che passavo delle giornate semplici ma concitate.
Andavo a scuola con la cartella a valigia, con due o tre libri.
La merendina, la prendevo al negozio in centro paese.
L’unico.
Quello era uno dei momenti più belli perché, varcata la soglia di quella porta, tutto diventava così diverso, così speciale, era un universo a parte, tutte quelle caramelle, tutte quelle stecche di cioccolata, la zona giocattoli che ci rapiva gli occhi, e poi, si doveva scegliere come ogni mattina, la merendina giusta, c’era chi prendeva un panino e chi solamente una brioche.
Nel negozio, avveniva il primo contatto con gli altri, con gli amici e conoscenti.
Mi ricordo che noi non guardavamo mai com’eravamo vestiti, però, quello che saltava subito agli occhi erano i capelli.
Si perché quelli erano ogni volta un motivo valido per gli sfottò.
Si faceva il coro degli indiani, oppure si faceva il tipico gesto con la mano alla bocca.
Quando noi tutti eravamo pronti a partire, uscivamo dal negoziante con un po’ di nostalgia per quei cinque minuti passati in quell’ambiente così profumato di spezie e di bellezze.
Poi, al proseguire verso la scuola, ci si raccontava le cose che erano successe il giorno prima, si perché non tutti si potevano vedere dopo la scuola.
Quello che veniva detto tra di noi in quel piccolo tratto di strada e di tempo, era di un’assurdità e semplicità unica.
Si rideva per cinque minuti solo perché ad uno di noi gli si era slacciata una scarpa e di lì era quasi inciampato.
Eravamo leggeri da qualsiasi pensiero.
Mi ricordo che a quell’età, tutto era spensierato, si poteva giocare a nascondino per un intero pomeriggio, o a calcio senza nemmeno rendercene conto.
Nulla era pesante, tetro, tutto era cristallino, alla luce del sole.
L’unica cosa che ci poteva impensierire era quella di fare i compiti.
Quelli di solito si facevano o subito dopo mangiato o alla sera al rientro, tutto dipendeva dalla precedenza che si dava alle cose.
Ad esempio, io, mangiavo poco per fare subito i compiti, infatti, mi chiamavano stecchino, data la mia corporatura esile, quindi dopo i compiti ero libero di fare tutto il pomeriggio.
Finito di mangiare quel poco che mi serviva per tenermi alla lontana dall’anoressia, partivo per le mie gite quotidiane nel bosco.
Il gioco mio preferito era andare nel bosco vicino a costruirmi il capanno sopra agli alberi, come il leggendario Robinson Crusuè.
Il bosco, per me, era, ed è, il posto più bello che potessi conoscere, mi piaceva da pazzi poter essere nella natura, dentro nell’intimo suo, mi sembrava di essere un amico, un tutt’uno con essa.
Ricordo perfettamente che quell’ambiente mi metteva paura e allo stesso modo mi faceva sentire parte di sé, come penso si senta un qualunque animale nel suo habitat.
E’ nel suo profondo silenzio, che sentivo la voce dell’insieme, quel nulla, mi sembrava di capirlo così bene che non avevo bisogno alcuno di traduzione.
"Avete mai sentito, voi, la voce che viene dal nulla?. Ecco, quella voce è la vostra, la mia, quella che si può udire soltanto con il silenzio, con l’assoluto silenzio.
E’ quella voce che arriva da dentro, dal mio, dal vostro, dal nostro cuore.
Quando si ode, non ha nessun ostacolo, può, e anzi, non è una voce forte, non è aggressiva, non è arrogante, ma è una voce leggera, semplice, può essere udita da qualsiasi posto, si può girare su se stessi, si può tapparsi anche le orecchie ma lei sarà ed " E’ "sempre li che ti chiama, che ti aspetta.
E’ una voce così limpida e invitante che non possiede bisogno d’auto parlanti per trovare la sua via, la strada.
"Ecco quella voce è sempre stata il mio punto di riferimento, anche se devo assicurare che non l'ho sempre ascoltata.
Penso e spero che quella voce la sentano tutti prima o poi ".

Fin da ragazzino sento di non essere come gli altri, perlomeno ho qualcosa dentro che mi fa credere di essere un po’ diverso.
Già dall’infanzia mi rendo conto che non mi comporto come gli altri, come i miei coetanei.
Ad esempio, tengo molto all’amicizia, quella con l’A maiuscola, ma non ho mai conseguito a tale.
Quella che per me si chiamava e si chiama amicizia, si potrebbe chiamare amore, perché l’amicizia è tutto, è integrità, spontaneità, altruismo, bontà, generosità, tutto quello che può far piacere a chi ne riceve.
Da ragazzino ero un selvaggio privo di disciplina. Secondo la gente, non mi fermavo ad un semplice rimprovero, conseguivo la mia meta a qualsiasi costo.
Andare a giocare era ed è di vitale importanza, non m’importava a che costo, l’importante era ed è essere libero, l’importante era sentirsi vivi, selvaggi, privi d’alcun condizionamento.
La paura non la conoscevo, facevo tutto ciò con grande coraggio, forse con un po’ di leggerezza, ma tutto quello che passava per la testa lo facevo. L’esperienza me la dava il mio modo di fare, non sperimentando le cose per sentito dire, con tutto il mio essere, a costo di sgradevoli inconvenienti.
Ho capito fin da ragazzino che bisognava viverla la vita, pericolosamente, solo così riuscivo ad ottenere una vita piena di emozioni, piena del tutto, nell’insieme.
Quello che però è sempre stato di estrema importanza, era di fare le cose consapevolmente, coraggiosamente e detestavo la falsità.
Quando tornavo a casa dopo ore di vagabondaggio, se mio padre mi chiedeva dove fossi stato tutto il tempo, glielo dicevo senza nessun problema, anche a costo di qualche sgridata da megafono.
Per me la verità in ogni situazione, e non la verità falsata, era ed è l’unica via da percorrere anche oggi, a costo di grandi sacrifici e negazioni.
Mi ricordo ancora oggi di aver rubato delle caramelle dal negoziante.
La vergogna che portavo appresso tutti i santi giorni, per quella stupida bravata, non lo avevo fatto perché mi mancavano dei soldi, no, per puro scopo, solo per vedere e sentire come ci si stava.
Dopo quell’esperienza, non lo feci più, lo spirito di verità e di lealtà, cominciò ad impossessarsi di me ancora di più, quel gesto stupido mi faceva sentire sporco, mi faceva sprofondare nel baratro dei bastardi, dei pochi di buono, mi sentivo mancare dentro, non potevo far finta di niente.
Ero perseguitato.
Fu questo gesto che esaltò le mie qualità.
Rubare, mi ricordo, sarebbe stata l’ultima cosa che avrei rifiutato di fare a qualsiasi costo.
Tutto questo mi aveva, e mi ha, fatto capire che la verità si trova all’interno di noi, tutto quello che c’è all’esterno è soltanto superficiale.
Tutto quello che si deve capire è lì, nel tuo intimo, nella parte più nascosta di noi, nell’ascoltarsi.
Come quando si parla con la propria fidanzata senza neppur aprire bocca, solamente con lo sguardo, con i movimenti del corpo, con sensazioni che arrivano dal nulla.
Sensazioni che anche se sono descritte non possono mai toccarci allo stesso modo, no perché è quello il vero miracolo, che non possono essere ne descritte ne vendute.
I sentimenti e l’amore possono essere solo vissuti. Questo è il più grande dono che la natura ci ha fatto, e chi non n’è mai venuto a conoscenza non saprà mai qual è la sua forza.

Ritorno in me dopo una buona mezz’ora perso nei sogni.
Mi alzo dal letto indolenzito dovuto alla posizione fetale che il corpo ha assunto, mi stiracchio un po’ facendo attenzione ai movimenti bruschi, il mio corpo ora riprende le sue normali funzioni, lo sento flessibile, caldo, piacevole, tutto, ora è più familiare.
Sento il sangue scorrere in tutto il mio corpo, sembro rinato.
Questo piccolo riposo mi dona un’energia fresca, mi si sono rifocillati tutti i tessuti, tutte le cellule, vibro di salute.
Mi alzo gioioso e spumeggiante e vado in cucina. C’è mio fratello che sta guardando la tv, ci salutiamo solamente, poi, visto che lui non parla, apro bocca per primo dicendo; " Beppe, che hai fatto oggi di bello? ".
E lui, si limita a rispondermi.
"Sono andato con un mio amico allo stadio, poi mi sono fermato al bar, e sai chi ho trovato al bar?". Mi dice con sorpresa.
"Chi ".
Dico io.
"Ho trovato il tuo amico Antonio con una ragazza, pare abbia detto si chiamasse Alessandra ".
"Ti hanno detto qualcosa? ", replico incredulo.
"No, no, Antonio mi ha solo salutato e mi ha detto appunto che era con sta tipa, Alessandra, poi basta, sono tornato a casa ".
Resto un po’ sulle mie, alla tv danno un film d’azione che ora non mi va di vedere, riattacco e chiedo a mio fratello se allo stadio si è divertito.
Lui, risponde con tono asciutto che non è stata una bella partita, però, tutto sommato, ha passato un buon pomeriggio.
Si è divertito a vedere le cariche dei celerini addetti alla sicurezza, me lo sta dicendo in un modo così divertito che ad un certo punto m’irretisco e gli chiedo; " Senti Beppe, ma come fai a divertirti quando succedono questi incidenti? ".
E lui, mi replica in modo educato.
"Mi divertono perché c’è tutta questa tensione no, senti che sta per esplodere da un momento all’altro, poi vedi che tutto si concentra in pochi minuti.
Botte a destra e a sinistra, tutti che scappano o rincorrono, ognuno al suo posto, c’è chi riceve e chi dà.
E’ come andare all’arena se ci fossero ancora i gladiatori, non ti pare? ", dice scherzando ma in modo formale.
Resto lì, come un ebete ad ascoltare i suoi miseri discorsi.
"Non mi sembra che tutto questo abbia senso ", gli dico dopo un attimo di smarrimento.
"Sembra piuttosto stupido andare allo stadio solo per quello, che ne dici? ".
"No, che non lo è, è anzi bello soprattutto per quello, almeno così ti estranei un attimo dal solito tram tram", replica mio fratello.
Sentito questo, mi viene voglia d’impartirgli una sonata verbale.
Incomincio ad elencare tutti i motivi che secondo il mio punto di vista sono validi per non accettare questo verdetto, questi futili episodi.
Gli ricordo che non è così che va interpretato il gioco del calcio, e non solo quello, gli chiarisco espressamente che non è quello il modo d’interpretare lo sport, tutti quei casini non succederebbero se la gente che li provoca fosse più corretta, più consapevole.
"Solo una testa vuota, può andare allo stadio per provocare risse", gli dico un po’ irrigidito.
"Dov’è il senso di giusto in tutto questo?, dov’è andata la gente con l’animo buono e la gente con sensato modo di fare? ", ribatto teso.
Mio fratello dice che è tutto lo stesso, vuole farmi credere che c’era e non c’è niente da fare.
"Così stanno le cose".
M’irretisco ancora di più, comincio ad urlargli addosso.
"Ma come fai a affermare che è tutto lo stesso, non ti rendi conto che quello che fai tu, quello che non fai tu, è la stessa cosa che fanno i facinorosi? ".
Mi guarda un po’ di traverso e pensieroso, poi.
"Ma Ocram, come fai a classificarmi uguale ai facinorosi?, non mi sembra di averti assicurato che ho partecipato, sono solo stato un testimone dell’evento e mi sono divertito un po’".
Lo guardo con compassione.
Certo, capisco che non tutti sanno di essere responsabili delle proprie azioni, ma come si fa a non rendersene conto in certe circostanze?. Comunque obietto.
"Beppe, tu sei uguale se non peggio di coloro che hanno acceso tutti i casini, non ti rendi conto che sei stato presente a disordini con spargimento di sangue e ne sei anche felice?, come puoi esserne felice? ".
E lui.
"Non penso di essere l’unico responsabile di tutto ciò, non ti pare? ", ribatte ansioso.
"Certo che lo sei, tutti quelli che erano li allo stadio ne sono.
Tu, voi, avete contribuito in modo passivo all’evento e non avete fatto niente per evitarlo.
Lo sai che tu puoi fare qualcosa e non lo fai?", continuo.
"Guarda che non sono uno che fa i miracoli, non sono Ghandi che metto tutti in sit-in a terra e fermo quello che tu chiami coinvolgimento.
Cosa credi, che mi entusiasmi in maniera così spudorata quello che è successo oggi? ", mi ribatte Beppe seccato.
Ed io.
"Ti assicuro che tu, voi, potete fare qualcosa, solo che non lo volete fare, tutto qua.
Vai a vedere gente che tira calci ad un pallone, che guadagna miliardi e vi riempite anche di botte, ti sembra normale?.
Perché non lo guardi sotto un altro aspetto?.
E’ normale secondo te, che un giocatore di calcio guadagni suon di miliardi e un dottore, che ha studiato per trent’anni e salva vite di umani, prenda si e no un decimo di stipendio, ammesso che lo prenda?.
Non ti rendi conto che contribuisci a tutto questo?. Tu che vai allo stadio, paghi queste cose, evolvi lo star sistem, contribuendo a ciò, non fai che rafforzare tutto quello di cui è, non è vero? ", gli ribatto con forza.
Lui ora un po’ più ansioso.
"Senti Ocram, per me quello che dici mi va bene, però non penso che tutte le colpe siano mie o di quelli che erano allo stadio, ora mi sa che stai esagerando".
Ancora più seccato.
"Ha sì, ti sembra che esageri, lo sai almeno perché succedono tute queste cose?, perché la gente è stufa, non ne può più, trova una scusante per esplodere.
E’ normale no.
Uno arriva alla domenica stressato dal lavoro e cosa fa se non sfogarsi?, come può trovare pace secondo te una persona in un mondo come questo?.
Se un praticante di fumo, di quei tipi che prendono soldi a palate per le cazzate che fanno, è più stimato, più lodato di coloro i quali donano solidarietà, come fai a non sentirti colpevole di tutto questo?.
Non sarebbe più giusto pagare di più quelle persone che dopo otto, nove ore di lavoro, fanno anche servizio di volontariato?.
Quelle persone che donano la loro vita per gli altri, il loro amore, la loro esperienza, la loro anima.
Ti rendi conto che la gente bisognosa E’ sempre esistita e che se andremo avanti di questo passo lo saranno sempre?.
Non vedi che il povero E' sempre stato POVERO, il ricco, RICCO, che quello povero ha solo doveri e non diritti, che tocca sempre a lui pagare.
Come mai secondo te, quelli che dovrebbero pagare di persona, SONO SEMPRE FUORI?.
Ti sembra giustizia questa?, ti pare che lo stato abbia sentimento in quello che fa.
"Per il popolo, a vantaggio del popolo".
Non hai mai visto un governo in tutto il mondo che abbia fatto qualcosa per cambiare tutto questo casino?, MAI, non ci sarà mai se le persone si comportano sempre allo stesso modo.
Come si fa a affermare che è tutto lo stesso, non ha senso. E’ dall’individuo che la società deve cambiare, nel singolo, non nella massa.
La massa è quello che fanno tutti, tutti sono coinvolti e inconsapevoli.
L’individuo E’ quello che può e che deve trasformare tutto questo in modo diverso, cominciando dalle piccole cose, ad esempio, dall’amare tutto quello che ti è donato dalla vita, dall’esistenza.
Come puoi predicare di fare del bene agli altri, se tu sei il primo a non volertene?.
Tu credi di volertene, ma non lo fai.
La gente crede di volersi bene, ma non lo fa.
Non puoi nasconderti dietro ad un vaglia postale per l’aiuto umanitario, quando non ti saluti nemmeno con i tuoi vicini, quando per un pezzo di terra, che non è tuo.
"Ti è stato donato".
Ti scontri con i vicini a suon di insulti se non peggio.
Ti sembra sia servito a qualcosa mandare tutti quei soldi giù in Africa, ammesso che siano arrivati?.
Oppure, sono serviti ad ingrassare i soliti maiali che se potessero ti ruberebbero anche l’anima?.
Certo ora possono prenderti gli organi, perché con i soldi possono farlo giusto?; mandano qualcuno a sequestrare un bambino o un ragazzo, si prendono quello che serve e tutto va a posto, giusto?.
Ma questo è solo futile quando si rendono conto che ciò non è tutto.
Possono portarti via anche il rene, il fegato, ma l’anima no, quella è sacra per qualsiasi essere vivente, gli puoi prendere tutto ma non quella.
Questa è la vera risorsa di ogni individuo, questo è il vero miracolo, il tuo patrimonio, non ha eguali, non può essere toccata.
Non una lama di coltello può intaccare ciò che tu sei, che tu hai per dono della vita stessa, dall’esistenza stessa.
Vedi Beppe, quando siamo nati, eravamo tutti buoni, eravamo ricchi di tutte le qualità donateci dalla natura, dall’amore.
Poi la nostra società ci ha messo davanti ad un bivio, c’è chi è restato umile e virtuoso, e c’è chi è diventato egoista, ipocrita, e tutte quelle cose che hanno portato a questo oggi.
Noi siamo nati puri come l’acqua di sorgente, limpida, fresca, viva.
Puri come l’aria.
Trasparenti come un raggio di sole caldo e libero.
Il bambino, noi tutti, siamo verità assoluta.
I bambini non si nascondono dietro falsi pregiudizi o ipocrisie, diventano impuri, privi di vitalità e di freschezza, pieni di maschere, gli è imposto dalla nostra società.
E’ da bambini che bisogna insegnare loro cos’è la bontà, cos’è l’amore, cos’è l’umiltà.
E’ da piccoli che apprendono le cose sia buone che cattive, quindi è colpa soprattutto degli stessi genitori, che a loro volta hanno ricevuto lo stesso trattamento, e per questo dovevano cambiare consapevolmente ciò.
E’ dalle scuole, dal lavoro, dalla società stessa, la stessa religione, se poi da grandi sono quel che sono. Sono in balia.
C’è comunque una minoranza che fortunatamente non è così, perché sono nati con cromosomi diversi, con cromosomi puri, intoccabili dall’esterno, alcuni di noi hanno delle proprietà che nel tempo si distinguono e questo mi rende felice, entusiasta".

Detto questo, mio fratello resta di stucco, non sa più cosa fare e dire, si gira e rigira nel divano, lo vedo farfugliare qualcosa ma è del tutto inutile, forse ho esagerato ma si meritava una lezione, penso.
Lo guardo ancora per un attimo, lo saluto.
Lui, mi fa cenno di aspettare.
Mi fermo e resto immobile, come una statua che aspetta che qualcuno si accorga di lei.
Beppe, mi si avvicina e mi dà una pacca sulla spalla, gli rimando un sorriso amichevole, assicura che è tutto vero quello che gli ho appena detto, ma lui non sa come comportarsi per cambiare le cose.
Lo guardo con compassione e lo conforto, gli affermo che è tutto a posto lo stesso.
"L’importante è che capisci il messaggio", gli confermo calorosamente.

                                            Fine prima parte  
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