E’domenica, la mattina di una fine settimana di primavera,
alle prime luci dell’alba, mi alzo di scatto quando la sveglia
elettronica emette quel suo suono metallico e stupido.
Di colpo mi ritrovo ad annaspare tra la stanza in cerca di qualcosa da
mettere.
Dopo aver indossato una felpa di cotone un paio di jeans e avermi
infilato le ciabatte, esco dalla camera per andare a preparare la
colazione.
Nel momento in cui apro la porta della camera, sono investito da una
luce così forte da farmi perdere l’orientamento.
Avanzo tenendomi con le mani al muro, come uno che cammina sul
cornicione, non riesco a capire se sono i miei occhi che non vedono o
se la luce non mi lascia scampo.
Prima di entrare in cucina, mi fermo un attimo al bagno a sciaquarmi
il viso, visto che non riesco proprio a svegliarmi.
Ho quella strana faccia che ti viene dopo una serata passata a fare il
balordo in discoteca a bere e a fumare.
Lo specchio mi riflette con un’immagine distorta, ho i capelli tutti
arruffati tipo cocker, le palpebre degli occhi sono nere a forma di
mezza luna rovesciata. Questa mattina non mi riconosco proprio, di
solito esco dal letto con un aspetto più dignitoso ma nonostante
tutto mi appare tutto molto buffo.
Lavatomi e sciaquatomi abbondantemente, dato l’aspetto che mi
ritrovo ad avere, finalmente m’infilo in cucina, preparo la moka per
il caffè con lentezza e mentre aspetto d’udire il suono rauco della
stessa, entra mio padre, ci salutiamo con il solito freddo e quieto
modo.
"Ciao papa’".
Lui.
"Ciao ".
Dopodiché mio padre nella sua solita stressante abitudine mi chiede
dove sto andando.
In modo semplice e calmo, ma già irritato dalle sue solite domande,
gli rispondo che vado a fare come abitudine, un giro nel bosco con il
cane.
Sentito ciò, mio padre, non contento mi chiede se penso di tornare
per la Santa Messa.
Irritato ancora di più, dovuto al fatto che sa bene non ci vada mai,
gli rispondo con più forza e decisione.
"Papa’ mi hai rotto con questa storia, ogni
santa domenica ti devo ripetere le solite cose, ma lo fai apposta?
".
Lui, sgomento del mio modo di ringhiargli addosso s’innervosisce
e replica assicurandomi che non vuole mi scaldi tanto.
"Non vedo d’averti ferito con la mia
domanda", mi dice.
Lascio perdere per non rovinarmi la giornata, un
giorno penso ci sarà anche posto per i nostri malintesi e riuscirò
sicuramente a mettere in carreggiata il nostro debole ma pur sempre
valido rapporto di padre e figlio.
Uscito di casa, dopo aver consumato la colazione un
po’ irretito, sono travolto come da un camion, dal mio cane, che
nella sua foga, scaturita da una gioia incontrollabile, mi assale
letteralmente in puro stile felino, senza però arrecarmi nessun
danno.
Dopo che l’entusiasmo del mio cane si trasforma
in una più moderata e allegra dimostrazione d’affetto, preso il
guinzaglio e indossati gli scarponi, parto con grand'euforia verso la
solita e piacevole destinazione.
Da subito mi accorgo di quanto sia bella la
giornata che sta per iniziare, il cielo è sereno con qualche
nuvoletta sparsa e rende il tutto un po’ più pittoresco.
I boschi che mi circondano sono già ricolmi di
primavera, si sta già aspettando con ammirazione la nuova stagione
che trabocca di colori e di profumi primaverili.
Le gambe sono indolenzite e non riesco ad attuare
un’andatura adeguata, mi sento in pace con l’esistenza, sono in
essa, però il mio corpo fisico, la forma, è di tutt’altra idea.
Nell’incamminarmi verso l’eremo, il posto che
normalmente frequento, incontro alcuni visitatori dall’aria e dall’aspetto
simpatico, molti di questi, provenienti da paesi lontani, lanciano un
alone di stupore allo scorgere di tanta bellezza.
Ora osservando con più attenzione posso vedere con
chiarezza l'aprirsi della nuova stagione abbracciare l’estasi della
rinascita.
Si nota da subito il candido bianco delle
campanelle macchiato qua e là da piccoli e coloratissimi gruppetti di
primule.
Il sottobosco oramai scema di colori autunnali,
noto che il risveglio è già abbondantemente iniziato, le piante
svuotate delle loro foglie dall’incalzare del gelido inverno ora
sono ricolme di germogli verdi.
Constatato che l’andatura si è fatta più
sciolta e più amichevole, proseguo rimbalzando qua e là sul sentiero
oramai familiare, le gambe rullano come impazzite per trovare la
migliore aderenza, tutto mi riconduce consapevolmente all’età
fanciullesca.
Arrivato all’eremo, mi siedo in un tavolino di
pietra che serve ai visitatori per consumare il picnic.
Sono circondato da cosi’ tanta bellezza che non
riesco a focalizzare un punto di ristoro, non riesco a tenere a freno
la mia mente, tutto passa e torna velocemente, non riesco a
focalizzare momento per momento tutto quello che vedo.
Ad un certo punto sento un suono provenire dall’altra
parte dell’eremo, mi sembra di capire provenga da una delle tante
grotte che si trovano nei paraggi.
Scendo dal tavolino incuriosito e mi dirigo all’indirizzo
del suono, non è altro che un battito ritmato di bongo, più mi
avvicino e più mi entra nella testa, o nel mio cuore, sono contagiato
da tutto ciò dovuto anche dal fatto che normalmente il posto mi mette
sempre in soggezione per la sua tranquillità e la sua primordiale
misticità.
A pochi passi dalla grotta, da cui fuoriesce il
ritmo battuto del bongo, quasi a richiamare l’istinto animale che
ora mi trovo ad avere, mi fermo più per paura che per un valido
motivo.
Constatato che la paura è solamente una mia
proiezione, scorgo dall’imbocco della grotta una figura dalle
somiglianze indiane.
I capelli, lunghi e bianchi donano un aspetto
mistico e religioso ad un corpo snello e longevo.
Dopo un attimo di timore e di studio, assumo la
posizione del loto a pochi passi dal tipo e mi lascio trasportare
dalle onde sonore del bongo.
Il silenzio che si frappone tra un battito ed un
altro mi trascina giù fino in fondo al mio essere, sento il ritmo
avanzare sempre più dentro il mio corpo, nel mio interno più
interno, mi arriva in toni cosi forti che mi si sente scoppiare
dentro, come se la musicità avesse trovato la sua esplosione nell’istante
in cui trova il mio centro.
Ricordo di essere entrato in uno stato estatico per
circa mezz’ora, o forse per un attimo, un’eternità, non potevo
rendermi conto, era troppo bello, il tempo non aveva confini, spazio,
era tutto un’immensa e vasta prateria di gioia e danza, tutto si
focalizzava in un punto.
Il tipo, fermatosi all’improvviso, mi riporta
catapultandomi d’un tratto alla realtà.
Apro gli occhi di riflesso costatando lo strano ma
efficace modo di fare, lui, sicuramente serba lineamenti indiani, non
un cenno al mio indirizzo, non una sola mossa o un solo gesto al mio
indirizzo, quasi a snobbarmi, a tenermi fuori dei suoi confini.
Dopo averlo osservato con totale ammirazione, mi
avvicino ancora un po’ per scorgere in lui qualcosa di familiare, ma
la mia cocciutaggine si dimostra del tutto inutile.
Allora ci prova anche il mio fedele cane,
scodinzolando si avvicina furtivamente fino quasi a sfiorarlo, ma il
tipo impassibile e composto non ci fa caso.
Deluso, dopo circa dieci minuti, effettuo un ultimo
tentativo facendo vibrare la mia voce.
"Buongiorno ", gli dico rompendo il
silenzio della grotta.
"Come mai da queste parti? ".
Lui, ancora sulle sue m'ignora nuovamente e così,
richiamato il cane, parto per tornare a casa.
Mentre proseguo il sentiero che mi riporta giù in
paese, mi riecheggia nelle orecchie lo strano ma invitante battito del
bongo e di nuovo mi entra come abbagli di luce.
Mi sembra di venire oltrepassato da una rasoiata di
calore, quasi a perforarmi senza però sentire alcun dolore, anzi, la
vibrazione che scaturisce tale melodia, mi penetra con dolcezza nell’intimo,
come se i battiti non fossero altro che i battiti del cuore della
persona amata.
Arrivato giù in paese, scosso e rapito da tanta
beatitudine, rientro a casa, deposito lo zaino e do da mangiare al
cane.
Entro in casa, saluto mio fratello che nel
frattempo si è alzato dal letto e vado a farmi una doccia
ristoratrice.
Mentre faccio la doccia, ritorna alla memoria quel
visto e udito su all’eremo, la voglia di raccontarlo al mio amico
Antonio mi fa nascere un’ansia che si tramuta in un sentimento
liberatorio.
L’ora di pranzo mi siedo a tavola nel solito
posto. Mio padre, a capotavola, sprigiona la sua spiccata
autorevolezza in modo visivo, quasi fosse ancora incerto di tanta
autorità.
Comincio a mangiare senza far caso alla
conversazione che mio padre e mio fratello stanno facendo, l’ignorarli
però vedo non li turba per niente, io, raccolto nei miei pensieri, mi
assaporo con squisito appetito la pasta.
Passato qualche minuto, mio padre, rivolgendomi la
parola all’improvviso, mi chiede curioso della mia risposta, com’è
andata la passeggiata nel bosco, se ho incontrato qualcuno o se invece
ho trovato qualcosa di speciale da raccontare. Gli rispondo di aver
incontrato un tipo strano, ma non uno strano inteso come tale, strano
nella sua semplicità, nell’attrazione che scaturiva verso di me.
"Suonava il bongo", gli rispondo subito.
"Vicino all’eremo".
Allora mio padre dice scontroso: "Ocram lo sai che bisogna stare attenti agli
estranei, e che non bisogna avvicinarsi a certi tipi ".
"Papà, certo che lo so, non continuare per
favore a stressarmi la vita con le tue solite romanzino, " gli
dico.
"Ti capisco, ma non sono nemmeno uno stupido,
e poi non ci ho nemmeno parlato, quindi, qual è il problema? ".
E lui.
"Lo dico per il tuo bene e sappi in ogni modo
che sono più vecchio di te e la so certo più lunga ".
Non ci sto e rispondo;
"Sei sempre li solito rompiballe che vuole
impormi quello che devo e quello che non devo fare, ho vent’anni e
so quello che faccio, non sarai certo tu ad insegnarmi come mi devo
comportare a quest’età".
A questo punto mio padre comincia ad urlarmi
addosso che lo manco di rispetto, che lui a suo padre non avrebbe mai
risposto in questo modo, dunque non era un atteggiamento da farsi.
Lo assecondo per non litigare ancora di più, e me
ne vado per non continuare in quella stupida scenata.
Trovo un mio coetaneo al bar, che normalmente
frequento e chiedo se ha visto il mio amico Antonio, lui guardandomi
di traverso mi fa cenno di no con la testa, allora mi dirigo
velocemente verso casa sua.
Arrivato a casa d’Antonio, un tipo che si fa
spinelli di brutto, suono il campanello.
Dopo un attimo d’esitazione, esce sua madre, gli
chiedo se posso parlare con suo figlio, ma lei, accortasi subito della
mia reale visita, mi anticipa dicendomi che Antonio è al fiume a
pescare e che probabilmente non sarebbe tornato prima di sera.
Salutata sua madre, parto alla ricerca d’Antonio.
Strada facendo, mi passano davanti agli occhi dei
flash.
Subito non riesco a decifrare il significato di
tali, ma nel volgere la ricerca del mio amico, tutto diventa chiaro,
sto pensando a quello strano incontro, quello con il vecchio.
Passata più di mezz’ora, alla ricerca di Antonio
con relativo rompimento di, trovo il mio simpatico e adorabile amico
intento a fumarsi una beata e sinuosa canna di Maria, per certi santa,
e con l’altra canna, quella da pesca, per intenderci, appoggiata
alla gamba di una sedia di plastica sfatta.
Al mio arrivo, Antonio, incredulo, mi chiede: "Ocram, che diavolo ci fai tu qui? ".
Ed io.
"Sono venuto a cercarti perché ti devo
parlare di una strana cosa che mi è successa stamattina, mentre ero
col cane su all’eremo ".
Lui.
"E che cosa ti sarebbe successo di così
terribile o entusiasmante, da venire fin qui, in cerca di me, visto
che non ci sei mai venuto?".
"Sono appunto venuto qui per poter parlarne
con qualcuno e si dal caso che quel qualcuno sia proprio tu ".
Lui, mi guarda perplesso e mi risponde che gli
sembro ebete o forse arrabbiato.
Replico affermando che ebete forse non lo sono, ma
che arrabbiato lo ero di sicuro, dato che avevo appena finito di
litigare, si fa per dire, con mio padre.
Così, comincio a raccontargli che ho trovato un
tipo strano su all’eremo e che nonostante abbia tentato l’approccio,
non mi ha minimamente degnato di un solo sguardo.
Antonio, dice sorridendo, che cosa me ne poteva
fregare, io, invece rispondo che m’interessa assai.
"Non è da tutti i giorni trovare una persona
così, non l’avevo mai notato prima", gli dico.
"Anzi, sono sicuro di non averlo mai visto in
precedenza, e che la sua figura mi è stata impressa dall’aspetto
carismatico e solitario".
Antonio ribatte che a lui del tipo non interessa un
gran che, e che se sono venuto al fiume per rompergli con sta storia
posso anche andarmene.
Mi giro dall’altra parte per attutire quello che
mi sta dicendo Antonio, poi lo scruto negli occhi.
"Antò, ma quanto hai fumato oggi?".
Si mette a ridere come un pazzo privo di cure, si
sbilancia dalla sedia cadendo all’indietro, nella caduta si rompe la
canna da pesca ed anche la sedia, mi metto anch’io a sganasciare,
mentre lui impreca a gran voce tutto quello che gli passa per la
testa, tante bestemmie e molte parolacce che addirittura non n’avevo
sentite mai prima.
Mi siedo vicino a lui, sull’erba, dato che il
posto lo permette, è carino, c’è un prato molto verde punteggiato
dai colori dell’arcobaleno, lo scrosciare del fiume sembra una
canzone per bambini, come la ninna nanna, il vento mi accarezza
leggermente i capelli e si ode il canticchiare degli uccelli che
risvegliatosi dall'inverno anche loro contribuiscono al sorgere della
nuova stagione.
Guardo Antonio in modo ansioso e noto che ammicca
un leggero sorriso da folletto, tipico del fuori di testa, ora,
ripresosi, mi chiede spiegazioni più dettagliate a riguardo.
Gli assicuro che appunto sono venuto al fiume per
sentire se ne sa qualcosa, ma già mi accorgo dal suo gesto negativo
che non ne ha la più pallida idea, quindi lascio perdere e mi metto d’accordo
per uscire la sera.
Lo saluto con una pacca amichevole sulla spalla e
lo lascio al fiume con un; " A più tardi ".
Torno a casa, e mi accorgo che la giornata oramai
è andata, il sole sta scomparendo all’orizzonte, la luce, fiacca,
minaccia già l’avvicinarsi dell’oscurità, ma nonostante tutto e
tutti sono contento, non so precisamente perché, ma la domenica
trascorsa mi è stata utile, mi sento diverso, forse ho notato
qualcosa che stuzzica il mio interesse, ho qualcosa cui pensare d’importante,
mi pare aver conquistato e conosciuto qualcosa d’identificabile,
qualcosa che vale la pena essere conosciuto e approfondito.
Arrivato a casa, subito mi viene incontro il mio
carissimo lupo, lo faccio giocare come il solito per un po’ con la
pallina di gomma, comprata apposta per non rovinargli i denti, così
mi ha sempre detto il veterinario di fiducia, poi entro in casa tutto
raggiante per la gioia che ogni volta il mio cane mi trasmette.
In casa, saluto mio padre e mio fratello, mi
rallegra notare mio padre già rilassato.
Vado subito a farmi una bella e rilassante doccia,
quella doccia che speri di farti quando ne senti quel bisogno
assoluto, quando appiccichi tutto e non vedi l’ora di assaporare l’acqua
sulla pelle, quando senti che scorre dalla testa ai piedi donandoti la
sensazione di una scossa elettrica, come se l’acqua fosse
folgorante.
Dopo aver fatto la doccia, mi vesto a puntino per
uscire, camicia bianca con jeans e scarpe nere lucide, un po’
fighetto e un po’ sportivo, vado in cucina, mi preparo un’insalata
mista e un petto di pollo sulla griglia, ceno, e parlo con mio padre
delle cose che mi sono successe al fiume, fortunatamente senza nessun
litigio ed esco in preda ad un entusiasmo colmo di frenesia per l’incalzare
della serata.
Trovo Antonio, che si sta facendo una superba
cannozza di marijuana, gli chiedo dove siamo diretti, lui, mi risponde
che intanto finisce di farsi la canna e che poi si vedrà.
Finita l’opera d’arte, Antonio accende la canna
e comincia a fumare come volesse mangiarla, fuma in modo nevrotico e
frenetico, con bramosia, quasi fosse un gelato al limone che rinfresca
il palato in una giornata afosa di prima estate, mi chiede se voglio
fare un tiro, io, d’impulso, faccio un paio di tiri abbondanti e
subito sento l’effetto che invade la mia testa, come lo scoppio
della granata al tocco del suolo.
Ora tutto mi passa davanti in maniera veloce e
confusa, vedo Antonio che mi osserva con disinvoltura, d'altronde per
lui è normale, ci mettiamo a ridere come due bambini appena compiuta
la marachella, poi Antonio mi esclama;
"Ehi Ocram, tutto a posto?, sei già andato mi
sembra è? ".
Ed io.
"Ti sbagli di grosso, se ho appena che fatto
un tiretto".
Subito dopo mi gira e rigira la testa in modo
vorticoso, ho strane sensazioni, sembra di essere in possesso delle
mie capacità sensoriali e allo stesso tempo non lo sono, tutto va e
viene come un’onda del maremoto, tutto precipitoso e incasinato da
non capirne più il senso.
Mi siedo su di un sasso e Antonio mi fa: "Mi avevi assicurato che non sentivi nulla, e
adesso devi addirittura sederti, con quella faccia stravolta che ti
ritrovi ad avere, a chi la vuoi dar da bere? ".
Lo guardo e faccio segno che si sieda anche lui un
attimo, il tempo per ritornare un po’ all’origine.
"Senti Antonio, in queste condizioni possiamo
andare solamente a divertirci in qualche locale o in qualche
discoteca, tu che ne dici?", gli esclamo scoppiettante.
"Per me fa lo stesso, dove vuoi tu ",
risponde a tono Antonio.
"Cosa ne dici se intanto che mi passa un po’
ce n’andiamo in una birreria?".
"Va benissimo", dice Antonio, così ci
dirigiamo alla macchina.
Saliti in macchina, accendo il motore della mia
golf sgangherata e mi metto in strada, accendo la radio e metto un cd
dei Pink Floyd.
Antonio mi da l’ok con il pollice e ci mettiamo a
ridere da scemi.
Ad una curva, quasi esco da strada, ma la buona
sorte m’impedisce di andare a sbattere su di un muretto.
In macchina cominciano a farsi strada discorsi
assurdi, io, in preda a non so quale ragione, comincio dare in
escandescenza.
I discorsi che ora mi ritrovo a fare non hanno
alcun significato, comincio a dire ad Antonio che potrei diventare un
ottimo meccanico di Ferrari, addirittura che potrei essere anche un
ottimo pilota.
Antonio mi ride addosso in maniera convulsa e
balbettando dalla spasmodica risata ribatte che al massimo posso fare
il meccanico si, ma di biciclette. Canticchiando la canzone The Wall,
replico che lui non sa niente delle mie qualità meccaniche.
In questo preciso momento posso essere qualsiasi
cosa tanto sono fuori, tutto mi sembra facile, le cose mi appaiono
così semplici, da non capire come mai ci vuole tanto a farle.
Arriviamo ad un American Pub e c’infiliamo dentro
come cani randagi, sembriamo due depravati in cerca di lussureggianti
femmine in calore, abbiamo tutti e due gli occhi sparuti all’infuori,
camminiamo in modo irregolare e tastoni, la gente affollata nel pub,
ci guarda quasi a cacciarci via al primo acuto.
Ci sediamo ad un tavolino appartato e da lontano
scorgo una faccia che non mi è nuova.
Passato l’attimo in cui lo sguardo lascia posto
al pensiero, una tipa, si avvicina e mi chiede se sono un certo
Davide.
Rispondo a malapena che sicuramente ha sbagliato
persona, lei, continua nella sua pantomima con un atteggiamento
disinvolto e sicuro. Dopo un po’, Antonio esce dal guscio e si mette
in luce dicendo;
"Ma tu, sei la gioconda? ".
Si capisce che la domanda è più scema di stupida,
ma lei infischiandosene palesemente risponde: "Certo che lo sono, non te n’eri accorto
subito?".
"Come no, aspettavo solamente una conferma
", gli replica Antonio perso come non mai.
Guardo Antonio perplesso e penso che è tutto
matto, continua a sparlare di cazzate, ma noto che la tipa non è da
meno.
A questo punto mi estraneo dai loro discorsi, anche
perché le cazzate che continuano a dirsi mi danno la nausea, quindi,
rotti gli indugi mi espongo e dico: "Scusa Antò, mi sono rotto le balle con sta
conversazione, cosa dici, ordiniamo da bere, oppure pensi di dover
passare tutta la sera con sta lagna?".
I due si guardano negli occhi e si mettono a
ridere, Antonio mi parla ad un orecchio e si rigira.
Sono in macchina da solo, sto guidando velocemente
giù per una stradina e non ricordo più dove va a finire, mi guardo
attorno per cercare un punto di riferimento e trovo quasi per caso un
incrocio che sembra familiare.
Svolto a destra e proseguo per una strada che porta
ad un laghetto, fermo l’auto e la spengo.
Alzo il volume della radio, chiudo gli occhi per un
istante, sento girare la testa, tutto quello che volevo fare con
Antonio in serata è andato, è sparito con la tipa chissà dove, mi
ritrovo da solo ad ascoltare la radio della mia auto in un clima
surreale.
Guardo l’orologio e faccio un balzo, sono già le
tre di notte, mi sembra di essere rimasto appena un po’, invece sono
già passate due ore.
Accendo la macchina e me ne torno a casa.
Il giorno seguente vado a casa di Antonio, è
ancora a letto alle undici, sua madre incazzata mi dice che ha già
provato a svegliarlo più di una volta, senza risultato.
Insisto che devo assolutamente parlargli, lei,
riprova con fare svogliato a richiamarlo fuori dal letto.
Passati un paio di minuti, si presenta a me con
tutta la sua spossatezza, fa cenno con la mano di seguirlo in salotto
tanto per restare per i fatti nostri.
Si scusa immediatamente per quello che è successo
la sera prima, ribatto che non importa, anche se il pensiero non è
quello.
"Antonio, voglio parlarti del tipo,
ricordi?". "Certamente che ricordo, ma si da il caso che non
m’interessi affatto. Ocram, è solamente uno che suona un bongo
tanto per farsela passare ".
Ed io.
"Se ti dicessi che non è solamente strano,
cioè che ha tutta l’aria d’essere qualcuno d’importante, che ne
so, un mistico, uno di quei tipi che la sanno lunga?, cosa ne
penseresti? ".
Lui.
"Ti pare il caso di pensare a ste stronzate?,
il mistico, uno che la sa lunga, per me è uno che si sbronza e si
fuma l’impossibile e poi si fa i cazzi suoi, ecco tutto".
Resto perplesso dalle parole di Antonio, ma dentro
di me, s’insinua una strana idea.
Antonio, ora più tranquillo della sera precedente,
mi convince a restarne fuori.
"Non è che sia pericoloso", mi dice.
"E’ solo che non ti devi rompere troppo con
sta storia tutto qui".
Lo ascolto, ma le parole entrano ed escono
simultaneamente, quasi fossi privo di orecchie.
Neanche il tempo di restare tranquilli, che Antonio
comincia a rullare un’altra canna, gli dico di metterla via, ma
insiste e in un minuto ce la già in mano accesa.
Se in questo preciso istante fosse entrata sua
madre, ci avrebbe sgammato di brutto, faccio notare, ma lui, incurante
dell’avvertimento ribatte che non ce nessun problema, tanto sua
madre è al corrente di tutto.
Faccio un paio di tiri e me ne torno a casa.
La sera mi telefona un’amica, una certa
Alessandra, ci mettiamo d’accordo per uscire assieme a mangiare un
boccone.
Andiamo in una pizzeria fuori mano, per strada mi
racconta entusiasta delle vacanze trascorse ai tropici, vinte per l’occasione
dalla continuità nel lavoro. Racconta inoltre di aver conosciuto un
tipo e che probabilmente riesce a vederlo ancora.
Perplesso e curioso gli chiedo: "Scusa se ti disturbo un attimo, ma tu non sei
assieme a Massimo da ormai tre anni? ".
E lei.
"Ci sono ancora assieme, ma sai siamo in rotta
e capisci no? ".
Ed io, impaziente.
" Non ho capito bene, stai con Massimo e te ne
porti a letto un altro?, ma sei scema e ti droghi?.
Non ti ci vedo proprio, fino a ieri mi parlavi
tanto bene del rapporto con il tuo fidanzato, tu che a spada tratta
difendevi i rapporti duraturi nati con spirito amorevole e innata
intelligenza".
"Sai Ocram, in certi momenti ti senti diversa,
tutto quello pensavi fosse, dopo un attimo non lo è più, trovi una
persona e pensi sia l’unico a capirti, che ti sa dare quello che
vuoi veramente, almeno questo lo pensi subito, perché poi va a finire
che è solamente una tua proiezione, un tuo ricorrente sogno.
Tutto all’inizio sembra combaciare come un
mosaico, poi man mano che il tempo passa ti accorgi che la persona che
hai davanti torna quello di prima, se stesso, non ha più la
vitalità.
L’energia che aleggiava attorno ora è svanita
nel nulla, tutto quello che avevi visto e che avevi trovato di buono
resta solamente un altro sogno, più angoscioso".
"Alessandra, non riesco ancora a capire come
hai fatto a cornificare Massimo, anche tu, come tutti ".
"Una persona ", dico.
"Vive una storia d’amore e cosa fa nella
maggior parte dei casi, prima o poi la cornifica.
Dov’è il rispetto, dov’è il sentimento d’amore
che li unisce, dove sono le persone con un senso logico di ciò che
fanno?, poi sento dire di quelle stronzate, tipo, che il furbo o la
furba sono quelli che li fanno, ma secondo te ", gli dico ad
Alessandra.
"Ti sembrano più furbi o intelligenti quelli
che li mettono?, a me in tutta sincerità, sono proprio loro i
perdenti e stupidi.
Come si fa ad essere furbi quando con le tue stesse
mani ti torci il collo?, se hai una relazione con un/a tipo/a e lo
cornifichi, non ti sembra sia una cosa da bambini?.
Solamente un’inconsapevole può pensare di essere
più tosto, più furbo ".
Lei, restata ad ascoltare muta come un pesce
esclama;
"Ma tu gli hai mai fatti i corni? ".
"No mai, perché, non ti sembra vero, oppure
pensi che non abbia il coraggio d’ammetterlo? ".
Gli rispondo a modo.
E lei.
"A sentire come parli posso anche credere in
fiducia, sai però com’è".
" Resta sempre solamente una stronzata ",
gli ripeto.
"Se uno è libero può fare ciò che vuole, ma
se è fidanzato e per fidanzato intendo che la persona che hai davanti
a te e quella che più ti piace, non solamente per il suo aspetto
fisico e basta, ma nell’insieme, così come l’hai vista/o la prima
volta, da come l’hai conosciuta, da come te ne sei innamorato, da
come l’ami, con la A maiuscola, allora non capisco perché si debba
rovinare tutto con una semplice storia occasionale, se veramente hai
rispetto per te e per la tua amata, devi avere il coraggio di fermarti
e di dire basta.
Lo so che può ed è difficile, ma li sta il
punto", ribatto convinto.
"Sai quanti ragazzi/e conosco che al ritorno
dalle/dai proprie fidanzate/i si uniscono in compagnia e vengono in
discoteca o in qualche altro posto a provare di rimorchiare qualche
altra/o ragazza/i?, mi domando come fanno ad amare una persona ed
andare con un’altra.
O si ama totalmente e quindi non hai bisogno di
altro, oppure non l’ami semplicemente", replico.
Alessandra mi guarda perplessa e un po’
sbigottita, neanche si è accorta di aver mangiato tutta la pizza,
tanta era l’attenzione.
Rimango lì in disparte con i miei pensieri, mi
trovo vuoto e ricolmo d’aria fresca, come se avessi tolto un peso,
un macigno, ora sto divinamente meglio.
Ora tutto è semplice e gradevole, muovo le mani
con cura.
Ogni movimento è dettato da una grazia
sorprendente, perfino quello che mangio è diventato di colpo più
saporito, più gustoso, sembra aver cambiato marcia, vado a mille.
Alessandra, ricomposta la sua mente, mi chiede se
ho voglia di accompagnarla al cinema. Spontaneamente dico di si, così
ci dirigiamo alla cassa, pago, ed usciamo.
Saliti in macchina, ci mettiamo d’accordo per la
scelta del film, tutti e due optiamo per un film d’azione, quei film
fatti di sparatorie e sangue.
In macchina, le faccio cenno del giorno prima, del
vecchio, lei mi ascolta incuriosita e distante, ne parlo vantando di
averlo conosciuto su all’eremo.
"Sembra uno che ha vissuto, che ha qualcosa da
esprimere", gli dico contento e divertito.
Lei, visto che non le importa molto, mi domanda se
può accendere una sigaretta, la vedo nervosa e tesa, le do il
consenso, poi, precipitosa, si gira, mi guarda e mi mette una mano
sull’inguine.
Gliela tolgo immediatamente.
"Sei matta?, cosa fai, ci provi anche con
me?", gli urlo nelle orecchie.
"Pensavo lo volessi pure tu, mi sembrava aver
capito che ci stavi".
Ed io.
"Ma secondo te, qual è il motivo che ti ha
fatto credere tanto?".
"Pensavo mi avessi invitata a cena anche per
questo, che avessi un debole per me", si scusa lei.
Non riesco a credere alle mie orecchie, ma guarda
un po’ questa che ti va a inscenare, per giunta dopo tutto quello
che le avevo detto sulle coppie e sulle relazioni.
La guardo ridendo e le rinfaccio;
"Dovrei pure far finta di nulla,
assecondandoti, e limonarti senza ritegno?".
"Scusa", dice lei.
"Ritiro tutto quello che ho fatto ".
"Scusa un cazzo, non te ne frega un accidente
delle relazioni e dei sentimenti, tu guardi con un solo occhio, ci
vedi benissimo ma solamente da una parte".
Divento rigido, fermo l’auto a destra e scendo a
prendere una boccata d’aria.
Resto cinque minuti sul bordo di un fiumiciattolo,
ascolto l’acqua scorrere e zampillare, tutto è calmo li sotto,
nulla è fuori posto, le alghe si piegano a destra e a sinistra senza
costrizione, semplicemente si lasciano trasportare dalla corrente.
I sassi ben levigati e rotondeggianti sembrano non
far caso all’incessante passaggio dell’acqua, sono ritornato calmo
e sereno, quel piccolo break mi fa tornare nei binari.
Torno alla macchina, ingrano la marcia e porto a
casa Alessandra.
Nel tragitto, si scusa e fa capire che non voleva
rovinarmi la serata.
Impassibile, arrivo sotto casa sua, mi espongo
dicendole che dopotutto forse ho esagerato, convinto comunque della
mia idea, la saluto e riparto.
Per strada tutto ritorna alla memoria, i discorsi
sulla coppia, sull’amore, tornano risucchiati e nuovamente il mio
essere, la mia anima s’imbatte nell’amore.
Amore, una parola così piccola ma con un
significato così grande, impercettibile, infinito, ti da e ti toglie
allo stesso modo.
Amare, non vuol forse dire amare
incondizionatamente una persona?, non vuol dire semplicemente,
apprezzare tutto di una persona, della persona che tu ami?.
Se si ama, perché tutte queste storie?.
Chiudo la riflessione arrivando nel garage di casa
e m’infilo dopo un attimo in casa.
Passo la settimana a farfugliare con dei libri
rintanato in casa, sto studiando, o così si può dire.
Mi ritrovo la domenica mattina con il cane sul
sentiero che porta all’eremo, incontro altra gente con altri cani,
il mio si mette in luce per la sua non tolleranza nei confronti dei
suoi simili, passo l’ostacolo ed assaporo tutto quello che la natura
mi offre senza chiedere nulla in cambio.
Da lontano sento uno strano rumore, tendo l’orecchio
per sentir meglio, man mano che mi avvicino lo distinguo sempre più
fino ad assaporare con meraviglia l’armonia e il battito già
conosciuto in precedenza.
Mi trovo a pochi passi dal vecchio, sta rullando
sul bongo in modo frenetico, allo stesso tempo quello che ne esce è
di una melodia primordiale, entra nel mio sangue come un ago gigante
invisibile, penetra dappertutto, sono inghiottito da tanto stupore.
Mi avvicino curioso e ansimante, non so come fare a
fraternizzare, tento qualcosa per incuriosirlo, ma non ci riesco,
allora mi siedo a pochi passi da lui e lo scruto.
Ad un certo punto, si ferma e mi guarda diritto
negli occhi, sono disarmato come non mai, manda una specie di fluido
con gli occhi, non lo si vede, lo si percepisce.
La sensazione allevia l’angoscia, ora il corpo è
più tranquillo, il tempo mi è amico, non riesco a pronunciare però
nessuna parola, non un gesto, un cenno, lui, apre finalmente bocca e
mi chiede il nome.
"Ocram", gli sussurro, poi non dico
altro, niente di più.
Il vecchio invece si avvicina e mi tranquillizza
dicendomi di non preoccuparmi.
Sono li da mezz’ora e incomincio a farmi un po’
di coraggio, non è che il vecchio non me lo dia, anzi vicino a lui mi
sento più forte, privo di paura, è semmai lo stato mentale che è
incredulo di tutto ciò, che rinuncia ad uscire da quella strana
sensazione.
Apro bocca per la prima volta e quello che esce è
chiedere chi è a lui.
Dice di chiamarsi Josuè.
Incuriosito dal nome riesco a formulare una nuova
domanda.
"Josuè, è da tanto tempo che frequento
questo posto, ma non ti ho mai visto prima, da dove sbuchi?".
E Josuè.
"Sono sempre stato qui, ma tu probabilmente
non ci hai mai fatto caso".
Resto sbalordito.
Spiego che sono anni che vengo all’eremo, che lo
ho girato in lungo e in largo, ma mai un solo avvistamento, non una se
pur piccola vista, di questo ne sono sicuro e convinto, posso mettere
le mani sul fuoco.
Il vecchio, prima che finisca di parlare mi ferma a
modo e mi dice che non è questione di occhi.
Più incuriosito che mai, domando che cosa intende
dire per " Non averlo visto".
Si mette a ridere e dice che faccio già troppe
domande.
"Tutto ha il suo tempo, un giorno capirai e
allora non ci sarà più nulla da chiedere".
Con questo, lui, mi chiude la bocca, si fa per
dire, e rimango sulle mie mentre Josuè assume la posizione del loto e
resta in silenzio.
Il suo silenzio si protrae per molto tempo, tanto
che non so se ricominciare a parlare oppure per paura di disturbarlo,
di lasciarlo in pace nella sua silenziosità. Fatto sta che lo lascio
dispiaciuto con un saluto e me ne torno giù in paese.
Al bar del paese trovo il mio amico, Antonio, ed
entusiasta gli racconto la novità, ma lui se ne frega, lascio
perdere, lo saluto e torno a casa spedito.
Do da mangiare al cane, ci gioco per una decina di
minuti, ed entro in casa a farmi un bel panino con la cioccolata,
visto che era da un pezzo che non lo mangiavo.
La sera, esco dopo aver cenato e cerco di
convincere Antonio ad ascoltare quello che ho da dire, per un attimo.
Fa cenno con la testa di aspettare un momento, si
sta facendo una canna,
Poco più tardi, mentre fumiamo, Antonio chiede di
quale novità sto parlando.
Raggiante e malinconico gli riporto quello che ho
visto su all’eremo, anzi, forse è più giusto dire quello che è
successo.
"E’ successa una grande cosa", gli
dico.
"L’aver scambiato solamente due parole, ha
fatto scatenare in me un’estasi di pace, tanta era la voglia di
conoscerlo", replico.
Antonio esclama: "Ascolta Ocram, di tutta la storia cosa pensi
di ricavarne?".
"Non voglio ricavarci nulla, sono già fin
troppo contento di avergli parlato e di averlo rivisto, non avrei mai
immaginato potesse capitare proprio a me’", gli rispondo.
Allora, Antonio, dato che la storia si fa
interessante, entra nei particolari e mi chiede quanti anni ha il
tipo, dove abita, se so come si chiama e che cosa ci faceva su all’eremo.
Io, incredulo di tale interesse, rispondo: "Antò, so solo che si fa chiamare Josuè, ma
non so, né quanti anni abbia, né cosa faccia, so solamente che è un
tipo dall’aria strana.
"La prima volta che lo vedi, può incutere un po’
di paura, ma fatta conoscenza, è come averlo tutto attorno, ti
penetra perfino all’interno del corpo, lo percepisci dappertutto,
nel sangue, nel respiro, addirittura se sei presente spiritualmente,
nel tuo battito del cuore, insomma è qualcosa di veramente
unico".
Antonio, sbigottito mi dice: "Ma va, Ocram, ora stai esagerando, stai
montando un po’ la storia, per incuriosirmi di più, faresti bene a
riguardare la tua posizione, di tutta questa storia".
Mi prendo un attimo per riflettere, giusto a
riordinare i miei pensieri e lo attacco dicendo ad Antonio che è
tutto reale, che non ce nulla di falso e di illusorio, che quello che
ha appena sentito è pura e semplice realtà.
Poi, Antonio mi chiede che cosa penso di fare la
sera, rispondo che non mi va di fare assolutamente nulla.
Tenta di convincermi ad uscire con due sue amiche,
quasi ci riesce, se non per un impegno che mi torna a mente dover fare
il mattino seguente, lui, insistente più che mai, arriva a
convincermi nonostante le mie continue negazioni, e salgo in macchina
con lui.
Siamo davanti alla casa di una delle due ragazze,
con la mano mi fa cenno di attendere, mentre lo vedo dileguarsi, per
una stradina molto stretta e ripida.
Girando le frequenze della radio, trovo una
stazione di musica afro, alzo il volume a manetta e ascolto a tutte
orecchie la musica dei vecchi tempi.
Girano come in un film, le scene degli anni
passati, tutto è confuso, belle cose si mescolano a cattive, come a
formare un unico quadro, come, quando ci si mette a ridere e a
piangere nello stesso istante.
"Hai presente la risata strappa lacrime?
", ecco, in quel modo.
Sento aprire la portiera della macchina, mi giro, e
vedo una tipa, carina, alta e mora, dagli occhi di colore azzurro che
m’invita a scendere e a presentarmi.
Dice di chiamarsi Elena, le stringo la mano calda e
mi presento.
Lei, si mette a ridere, dice che ho un nome buffo,
la guardo e rido anch’io.
Antonio, avvicinatosi, m’invita tutti e due a
dare un taglio al nostro primo approccio.
"Dobbiamo andare", esclama.
Fatti circa una ventina di chilometri, mette la
freccia e si ferma vicino ad una casa in strada, scende e scompare.
Guardo Elena dallo specchietto retrovisore, si sta
mordendo il labbro inferiore, le chiedo se è preoccupata, ma lei, mi
assicura subito dicendomi che non lo è affatto.
"Anzi", risponde in modo gentile.
Devo ridiscendere dall’auto, per presentarmi all’altra
amica di Antonio, anche lei è molto graziosa, noto.
Ci presentiamo entrambi con mano forte e decisa e
risaliamo in macchina velocemente.
"Be’ ", sbraita Antonio.
"Che si fa ora?, andiamo in disco, o avete
qualche altro posto dove andare a sbattere le nostre chiappe?".
Lo guardo e penso a quanti altri modi ci sono per
dire ciò, mi espongo e dico che si può andare pure in un pub, le
ragazze ci danno l’occhei e ripartiamo.
Ci sediamo ad un tavolino un po’ soffuso all’angolo
del pub, c’è poca gente, ma l’atmosfera è giusta. Ordiniamo da
bere quattro birre da mezzo.
Elena comincia a parlare, da subito capisco di non
essere attento, sono immerso in un altro mondo.
Non ricordo esattamente di aver bevuto, ma mi
ritrovo con il bicchiere in mano vuoto, penso mi abbiano fatto uno
scherzo, ne ordiniamo altre quattro.
La tipa mora, la Elena, mi da un colpetto sulla
spalla e quasi tossisco tanto è forte, però mi serve ad uscire dal
sogno.
Comincio a dialogare con la Elena del più e del
meno, poi, per coincidenza, arriviamo a parlare tutti e quattro della
stessa identica cosa, ci scambiamo le nostre opinioni a proposito.
La Elena, mi accorgo, sembra essere la più
intelligente, tutte e due sono studenti universitarie mi dicono, una,
la Elena, studia biologia, l’altra, dice di studiare medicina.
Bevute le altre quattro birre, l’alcol comincia a
sortire i primi effetti, cominciamo a sparare cazzate a tutta
volontà, Antonio crede d’essere un Latin Lover, gli dico ridendo
che più che un Latin Lover, sembra uno fattone, un rottame.
Le ragazze si mettono a ridere, e una di loro, la
Elena, mi fa l’occhiolino.
Subito non ci faccio caso, ma l’insistere della
Elena conferma la sua disponibilità, così sgattaioliamo in macchina
tutti e quattro.
Io, dietro con la Elena, comincio a baciarla sul
collo, lei mi sbottona la camicia e me la toglie.
Davanti, qualche volta, quando punto l’occhio,
vedo Antonio arruffarsi con la Chiara, tanto è scattoso e spavaldo,
ogni tanto si odono dei mugolii.
La Elena si toglie la maglietta ed il reggiseno e
scopro con stupore che ha due enormi tette, mi si parano davanti al
naso con fierezza.
Comincio a baciarle con ardore, mi viene pure il
singhiozzo e devo fermarmi per non soffocare.
Passato l’attimo, mi slaccio i pantaloni, lei, mi
prende tra le mani il Gigio e ci gioca.
Mi sussurra ad un orecchio che ha voglia di fare
l'amore ed acconsento immediatamente tanto sono eccitato, non posso
più farne a meno, mi rendo conto, il cervello, oramai in panne, non
ragiona più o così sembra sia.
All’improvviso, lei dice che ha il ragazzo, e che
le piace da morire farlo con uno sconosciuto.
Mi ritraggo subito, tutte le sensazioni che stavo
provando svaniscono immediatamente nel nulla, come risucchiate da un
buco nero, pensavo di essere in balia del mio già eccitato sesso, ma
ecco che lontanamente, nel mio intimo, nella più profonda e remota
anima, tutto è ancora veglio e vigile.
La Elena mi guarda sbigottita, apre bocca ma la
fermo subito e mi rivesto.
Davanti sento ancora delle risatine, ma non ci
faccio caso, apro la portiera della macchina ed esco a prendere una
boccata d’aria.
Di lì a poco, esce anche la Elena a chiedere
spiegazioni, non la bado, è troppo forte il disgusto, mi si contorce
anche l’intestino, quello che la Elena stava per fare era
assolutamente al di fuori del mio più remoto pensiero.
Esce anche Antonio, pure lui a chiedere
spiegazioni, gli dico di lasciare perdere.
"Forse un giorno te lo spiegherò",
replico.
Ora non so più cosa fare, non capisco se ho voglia
di andarmene a piedi, oppure di farmi accompagnare a casa, per fortuna
ad Antonio viene voglia di andare così colgo l’occasione e salgo
davanti con lui.
Nella corsa verso casa, nessun dialogo, non una
sola parola, io, sulle mie, non considero più gli altri, non per
mancanza di rispetto, perché sono troppo preso dai pensieri che
affollano in testa.
Arrivato a casa di Antonio, dopo aver accompagnato
a casa le due ragazze, Antò, chiede spiegazioni insistentemente.
Riferisco, già più tranquillo, che con una
ragazza fidanzata non mi va di farlo, per principio, e che non l’avrei
mai fatto e che se a lui andava bene così, da parte mia no.
"A questo gioco non ci sto", gli dico.
Antonio mi dice che sono uno stupido, che, vista l’occasione,
dovevo farmela e che per i ripensamenti avevo tutto il tempo.
Gli ringhio: "Ascoltami bene, per me tu puoi farti tutte le
ragazze che ti pare, ma sai una cosa?, tutte le tue scopate non ne
valgono una sola, ho reso l’idea? ".
E lui.
"Ma sei proprio scemo allora, cosa ti costava
farti una bella chiavata in santa pace e per giunta poi non avevi
neanche la briga di raccontarle chissà quale storia dato che era già
fidanzata?, non ti pare? ".
Ancora più nervoso, gli rispondo: "Antonio, vai a cagare sopra ad un prato di
ortiche, forse ti faranno sentire un po’ di prurito, visto che con
la testa di sentire non ne provi proprio".
Si mette a ridere come un allocco, dice che sono
tutto matto, nel frattempo, parlando, tira fuori dalla tasca del
giubbotto una canna e l’accende, se la fuma di gusto, poi me la
passa, la prendo e la butto dentro alla feritoia di un tombino.
M’inveisce contro che sono un deficiente, gli
dico che semmai il deficiente sarà lui, che con quella merda in
testa, oramai non funzionava più niente.
"Questa roba ti ha bruciato il cervello, non
te ne rendi conto? , fai cose che non hanno senso, ti stai tagliando
le vene un po’ alla volta e ci stai anche li a guardare ".
Detto questo, me ne vado sconsolato, non mi è
neanche piaciuto fargli la romanzina, però, penso, se lo merita,
visto anche il modo stupido che ha di fare con le ragazze.
Continua....
|