LO STESSO MONDO
di

Bruna De Marco

 

 

               
Era nel suo posto preferito dove si rifugiava quando desiderava pensare, riflettere, meditare…

Ormai tutti la conoscevano per questa sua caratteristica che la distingueva abbastanza dalle altre e dagli altri in genere. ogni tanto sentiva il bisogno di isolarsi in un posto tranquillo ma che le permettesse di osservare quanto accadeva intorno a lei. Si era chiesta più volte cosa diversificasse questi vocaboli: pensare, riflettere, meditare, fantasticare…non trovava risposte, lei faceva tutto questo insieme; per lei voleva dire un’unica cosa: lasciarsi guidare dalla mente senza porre limiti alla ragione.

                Era amata da tutti forse proprio perché era sempre disponibile ad ascoltare. La giudicavano l’ascoltatrice per eccellenza, non aveva preconcetti o pregiudizi. Stava ad ascoltare in silenzio e con attenzione ogni storia e senza mai giudicarli li aiutava a “districarsi “ dai problemi del momento. Questo a lei non pesava anzi, provava piacere perché le permetteva di conoscere e verificare i diversi caratteri dei suoi simili, di conoscere le varie psicologie,  i diversi comportamenti di fronte alle stesse circostanze di vita.

Non che fosse però sempre così seria e profonda. Le piaceva anche divertirsi e scherzare. Era sempre la prima quando si dovevano organizzare scherzi e festeggiamenti, burlona e simpatica, dolce e sensibile, bella e amata, insomma quasi perfetta eppure…

Eppure c’era in lei un velo di malinconia che solo i più sensibili riuscivano a notare e che lei aveva volutamente ignorato fino a che aveva potuto. Per questo appena poteva, si rifugiava su quel sasso e all’ombra di un cespuglio,  osservava.

                Era affascinata dalla vita frenetica dei suoi simili. Andavano e venivano senza neanche guardarsi in faccia, unico e comune obiettivo era quello di portare a casa il pane quotidiano a qualsiasi costo. Questo era il principio fondamentale della Comunità: la soddisfazione del bisogno primario della sopravvivenza e questo lei proprio non lo mandava giù. La vita per lei non era solo guadagnarsi da mangiare e addormentarsi contenti di essere arrivati alla sera. C’era dell’altro, ne era sicura.

 

Era triste perché negli ultimi tempi le ombre e le distruzioni erano sempre più frequenti, si vociferava che la FINE fosse imminente ma era pur vero che suo nonno le aveva raccontato che da sempre era così. Il loro destino era quello, vivevano sempre con il rischio e la consapevolezza che potesse essere il loro ultimo giorno di vita. Ogni volta che suo padre e sua madre uscivano per andare al lavoro abbracciavano lei e i suoi fratelli come se fosse un addio e lei era rassegnata a questa condizione,  diciamo che per la sua razza la rassegnazione era la caratteristica principale oltre la laboriosità. Tra tutti i mondi e le razze esistenti certamente la loro era quella che lavorava di più. Ma lei sentiva che c’era altro. Era sicura che non nascevano per lavorare,  mangiare,  proliferare e basta. Lei sentiva che oltre a procurarsi il cibo, potevano, dovevano fare altro.

 Quante volte,  ascoltando il cinguettio  degli uccelli aveva immaginato di riprodurlo; a volte le sembrava di udire rumori diversi composti tra loro in un unico suono così delicato da provocarle brividi lungo il suo corpo. E poi avrebbe voluto tanto scrivere i suoi pensieri e lasciarli leggere a chi sarebbe venuto dopo di lei,  magari ai figli dei suoi figli,  a tutti coloro a cui lei non avrebbe potuto raccontarli di persona così come aveva fatto suo nonno con lei. Ecco, trovare un modo di tramandare i racconti, le esperienze di vita e i pensieri anche senza esserci. Fare in modo che i successori potessero sapere di lei senza averla mai conosciuta.

Ma queste forme di comunicazione di sentimenti ed emozioni non trovavano riscontro con gli altri. Per questo si sentiva diversa. Certo la PAURA era l’unica emozione che univa tutti.

In ogni famiglia quasi ogni giorno c’era un lutto dovuto alle ombre, così era morto suo nonno e sua nonna e molti suoi parenti. Ma del resto ogni razza aveva un destino di morte. Il ciclo della vita era uguale per tutti. Anche le ombre ne avevano uno,  solo che era molto più lungo rispetto al loro ed era vario,  loro avevano tantissimi modi diversi per morire.

             Certo lei era contenta di vivere nel suo mondo, aveva conosciuto tante razze e popolazioni  diverse  e  non  avrebbe  mai  scambiato la sua,  anche perché fisicamente considerava  le  altre,  tutte  razze  di  mostri  o  perlomeno  la   maggior  parte. Alcune creature somigliavano fisicamente a loro questo si  ma altre erano  così  diverse  che  si chiedeva spesso  come  potessero  svolgere  le  loro  stesse  funzioni  e  soprattutto  se dentro quei loro  strani  e a volte orribili corpi nutrissero sentimenti ed emozioni. Chissà se provavano amore, allegria, tristezza. Chissà se conoscevano la PAURA!!

Vide le sue colleghe che giungevano a chiamarla e fermò i suoi pensieri adoperandosi per scendere dal suo rifugio. Non vide la piccola zona scivolosa del sasso e ruzzolò giù rotolando su se stessa fino a finire per terra davanti alle sue amiche accorse per soccorrerla.

         “Ti sei fatta male Karin?” – le chiese Glade – “No grazie! Lo sapete che sono abbastanza “corazzata” . Le mie forme che piacciono tanto ai maschi a volte sono utili anche per noi.

         “Hai ragione!” – Le rispose Glade – “Sarà per questo che ci chiamano FORMICHE?”

             E insieme scoppiarono a ridere.

 

 

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