Il mio nick-name è Debert, e da un anno chatto con una
adorabile amica dal nick Liv. Di lei potrei oramai distinguerne gli
scritti anche senza leggerne il mittente, per come sono strutturati,
per lo stile, l’ironia e per quel divino sarcasmo di cui sono
talvolta intrisi. A volte provo, e riesco anche ad indovinarne le
risposte, le reazioni ed i toni, a seconda degli stati d’animo,
delle emozioni e degli argomenti del momento. Non sopporta, ad
esempio, per nessuna ragione al mondo che io possa, anche
involontariamente, dubitare della sua fiducia, e qualora una sola
parola scritta in fretta le faccia percepire un tono di diffidenza o
di distacco, non esita a scaricarmi addosso una montagna di cordiali
ed urbani insulti. Ha ragione lei, intendiamoci, non si può
intrattenere una relazione corretta e duratura se non è fondata sul
rispetto e la fiducia reciproca. Certi valori insomma, non si toccano.
Una volta mi capitò di offendere la sua suscettibilità
rinfacciandole di aver ripreso un mio vecchio scritto, peraltro di
nessuna importanza. Ricordo che le scrissi stupito: ma perché mai hai
conservato e ripreso quel pezzo? Per un attimo mi parve accecata dall’ira:
avevo osato in qualche modo dubitare di lei, della sua correttezza,
insinuando, sia pur marginalmente, che quelle parole fossero state
conservate per chissà quali scopi. E più cercavo di farle notare
quanto insolita fosse quella strana archiviazione di uno scritto di
nessuna importanza, per poi farlo rivivere, più precipitava la
situazione. Alla fine dovetti subire il suo silenzio di ritorsione per
circa un mese. A mente fredda capii che non era il caso di perdere una
formidabile interlocutrice, peraltro difficile da incontrare nell’affollatissimo
web e decisi di fare il primo passo per riavvicinarla. La presi da
molto lontano, argomentando sul tema dell’amicizia, con una serie di
deduzioni che mi portarono ad affermare che tra i due sessi poteva
esistere una vera amicizia soltanto se i contatti rimanevano
rigorosamente circoscritti al virtuale. Altrimenti, come dei burattini
mossi da un burattinaio invisibile che sta dentro di noi e che la
scienza ha identificato nel Dna, l’amicizia sarebbe inevitabilmente
progredita, oppure regredita, ma non avrebbe potuto rimanere tale, com’è
nell’accezione comune. Questa idealizzazione dell’amicizia in
formato asettico e virtuale, evidentemente le piacque, e ripristinammo
il dialogo. Quando però percepii una sua ulteriore disponibilità,
precisai all’improvviso che con queste grandi amiche, era mia
abitudine fare la doccia insieme. Grazie a questa battuta, i nostri
contatti ripresero con frequenza per lo più giornaliera, alimentando,
come avviene nella maggior parte dei casi, la curiosità reciproca di
materializzare, di vedere e quindi di incontrare il misterioso
interlocutore. Come da rituale, la invitai ad un appuntamento,
elencando nel contempo le controindicazioni, illustrandole cioè che
nemmeno noi avremmo certo fatto eccezione a quelle mille altre storie
parallele che quotidianamente e fortuitamente si incrociano e crescono
in chat. Le dissi insomma, avvertendola, che probabilmente sarebbe
stato meglio lasciare il nostro sogno magico lì, chiuso in un
cassetto virtuale, dove è giusto rimanga custodito, al riparo da
qualsiasi deterioramento della realtà quotidiana. Ricordo di aver
perfino citato, forse un po’ a sproposito, il colonnello tedesco
Dollmann: "Non si deve mai ritornare dove si è stati
felici". Per impedire alla realtà di impossessarsi del sogno,
con il rischio che lo faccia svanire. Tutte queste considerazioni,
servivano in realtà da alibi per neutralizzare un suo eventuale
rifiuto, cosicché, se avesse accettato ne sarei uscito felice e
vincente, se avesse rifiutato, avrei comunque constatato uno squisito
feeling tra di noi, delle affinità elettive ed avrei comunque
riproposto più avanti l’atteso e oramai inevitabile incontro. Non
ci fu bisogno di contorte strategie, perché Liv accettò di buon
grado d’incontrarmi, fu lei stessa anzi, a fissare il luogo e la
data, dicendomi che, due mesi dopo, il suo lavoro, l’avrebbe portata
ad un centinaio di chilometri dalla mia città, e sarebbe stata un’occasione
magnifica per guardarci finalmente negli occhi. Nel frattempo, la mia
fantasia cominciò a lavorare vorticosamente e iniziai una sorta di
ricerca e di corsa contro il tempo: dopo oltre un anno di metodiche
frequentazioni on-line mi chiedevo: ma chi è Liv? Ecco allora che
cominciai a cercare tutte le tracce possibili, parlandone anche ad un
amico esperto in informatica, famoso per esser riuscito a violare i
sistemi di sicurezza e le protezioni, insinuandosi negli archivi
segreti della Cia, almeno così si raccontava, alimentando una
formidabile leggenda in città. La curiosità e lo stupore aumentarono
enormemente quando, dopo qualche giorno, l’amico mi telefonò per
dirmi: Liv non è di Milano, come ti aveva detto, ma ti scrive da un
centro di ricerche in Svizzera! Mi dissi che molto probabilmente, era
la sua professione a costringerla a mantenere segreta la sua
identità. Ma allora perché mai offendersi al punto di interrompere
il dialogo invocando i principi di fiducia e stima reciproca? Ora era
lei a violare l’etica della correttezza! Che fare? Uscire allo
scoperto dicendole chiaramente che il giochetto era stato scoperto?
Oppure continuare la finzione? Una serie di considerazioni di
opportunità e di forte curiosità mi fecero scegliere la seconda
alternativa, cominciai allora a ricostruire tutto ciò che Liv mi
aveva raccontato di lei, vagliando ogni frase, in cerca di eventuali
contraddizioni. Ma da solo non potevo farcela, quindi non mi rimaneva
che ritornare dal mio amico, il mago dei computer, per riuscire a
sbrogliare questa affascinante matassa. Non aveva dubbi, il paese d’origine
dei messaggi era la Svizzera. Di più. Per rintracciarla aveva dovuto
forzare alcune protezioni simili a quelle in uso negli archivi
militari. Mi disse: Vai all’appuntamento e cerca di saperne di più,
innanzitutto se sia una ricercatrice che vuole vendere qualche
scoperta scientifica e se ti ha contattato per questo. Mi stavo
chiedendo perché mai una ricercatrice, ammesso che lo fosse davvero,
perdesse il suo tempo intrattenendo uno sconosciuto per un anno in
chat. C’erano mille strade più agevoli se era solo un corriere che
stava cercando! Nei giorni che seguirono, prima dell’appuntamento,
cercai di carpire qualche informazione utile che poi il mio amico
avrebbe utilizzato ed elaborato per le sue ricerche. Liv, il nick-name
che aveva scelto, ad esempio, non poteva che essere il diminutivo o l’anagramma
del suo nome: Liviana, Ilva, o qualcosa del genere, ma non avevo
ancora nulla in mano che mi facesse progredire nella costruzione del
mosaico. Il mio amico, tra l’altro, stramalediceva il giorno in cui
si era offerto di aiutarmi perché gli telefonavo a tutte le ore per
riferirgli ipotetiche piste da seguire che, di volta in volta, mi
venivano in mente. La città scelta per l’incontro fu Bologna, in
una osteria caratteristica del centro. Lei mi disse che mi avrebbe
riconosciuto con facilità, avrei dovuto aspettarla, in uno dei tavoli
sulla sinistra di fronte al banco del bar. Il giorno dopo ero lì, in
attesa della misteriosa Liv, appoggiato al banco a chiacchierare col
barista, visto che dei tavoli sulla sinistra non c’era traccia.
Ironia della sorte, nelle mie considerazioni che precedettero l’improbabile
incontro, avevo ipotizzato l’eventualità che uno dei due, per
qualche motivo, disertasse l’appuntamento. Non fui quindi molto
stupito nel non vederla arrivare quel giorno e, mentre chiacchieravo
del più e del meno, appresi una cosa molto curiosa dal barista: era
da un paio d’anni che il locale era stato ristrutturato ed i tavoli
una volta alla sinistra del banco bar ora non c’erano più. Quando
chiamai il mio amico al telefono per raccontargli che era andata buca,
mi disse: probabilmente Liv era lì, a pochi metri da te e voleva solo
accertarsi che tu non mancassi all’appuntamento. I due giorni
successivi la chat tacque ed io cominciai a pensare che questa volta,
la finzione era finita, le prove generali erano fallite per qualche
motivo a me sconosciuto. Oppure era stata solo un’esercitazione di
una scienziata sulle potenzialità della rete nel convincimento delle
persone, su come e quanto insomma si potesse condizionare il
comportamento pur rimanendo protetti ed anonimi a distanza. Non fu
così. I giorni che seguirono Liv si rifece viva, scusandosi del
contrattempo, provocato da un imprevisto nel suo lavoro, che le aveva
impedito di avvisarmi. Mi disse, tra l’altro, che era dovuta andare
all’estero per un progetto di espansione aziendale che la vedeva
come probabile candidata a dirigere la nuova filiale. Rimasi un po’
perplesso, ma decisi di stare ancora al gioco per vedere a cosa e dove
mi avrebbe condotto. Quella stessa sera il mio amico mi telefonò per
dirmi di non muovermi di casa, perché aveva importanti notizie da
darmi. Poco dopo era lì e, scandendo lentamente le parole, disse: La
sola possibile Liv che ho trovato negli archivi, era una ricercatrice
che lavorava in un centro svizzero, ma è morta alcuni anni fa!
Eccola, disse allungandomi una lunga lista di nomi su una stampa in
modulo continuo di alcuni metri ed indicandomi quello evidenziato: Lia
Van Rieel nata il 18.11.1965 e deceduta il 3.10.1999. Ci sarà
qualcuno che usa il suo nome, gli dissi. E’ la prima cosa che ho
pensato, rispose, poi però ho dato un’occhiata alle ricerche
avviate in questo centro ed ho scoperto che si occupano di esperimenti
di interazione tra uomo e macchina, o meglio la possibilità di
trasferire tutte le informazioni e le conoscenze di una persona in un
disco fisso, in un computer e consentirgli così di continuare studi e
ricerche anche dopo la morte, infaticabilmente. Quando se ne andò,
ripensai immediatamente al particolare dei tavoli, nell’osteria dell’appuntamento:
evidentemente lei c’era stata prima del rinnovo del locale. Il
giorno seguente era il diciotto novembre: inviai a Liv i migliori
auguri di buon compleanno. Mi rispose: "Grazie tesoro, sei stato
l’unico a ricordarti di me, del mio compleanno".
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