Odori di disinfettanti e di morte si mescolavano nell’obitorio dell’ospedale
di Canterville. Il capitano Houges arricciò il naso e starnutì. Il
suo assistente, il tenente Gioberti restò immobile di fronte al suo
superiore. Houges, con il naso nascosto nel fazzoletto fu tentato di
ridere ma si trattenne. Intanto, l’infermiere che li aveva
accompagnati era sparito lasciandoli soli.
- "Non è certo il posto in cui
preferirei stare."
- "Sissignore."
Houges si strinse nella spalle. Il tenente Gioberti era uno di
quegli uomini impassibili e tutti di un pezzo che rappresentavano l’orgoglio
del Dipartimento. Per contro, era anche un pessimo conversatore.
Aspettarono in silenzio. Dopo una decina di minuti
entrò un uomo col camice bianco sbottonato e la targhetta da dottore
appuntata sul taschino. Tese la mano al capitano.
- "Ted Warren. Signor.."
- "Houges. Capitano Ed Houges." – Si rivolse verso
il tenente che intanto si era avvicinato ai due.
- "Il tenente Vincent Gioberti."
- "Piacere. Italiano?"
- "Mio padre era italiano."
- "Mi hanno detto che volevate parlarmi e sono venuto
immediatamente." - Iniziò Houges per entrare in argomento.
Warren infilò le mani nelle tasche del
camice.
- "A essere sincero, capitano, avevo chiesto al
dipartimento che mi mandassero qualcuno più competente, senza offesa,
s’intende. Ma evidentemente le autorità non si smentiscono mai.
Prego." - Così dicendo si avvicinò alla parete in fondo alla
stanza, tappezzata da portelli di acciaio. I due agenti lo seguirono.
Houges notò che alcuni di essi avevano una serratura a combinazione.
Il dottore si fermò proprio davanti ad uno di questi e armeggiò un
po’ con la manopola. Poco dopo uno scatto metallico risuonò nel
silenzio dell’obitorio. Warren tirò il maniglione e una ventata di
aria gelida li colpì mentre il contenitore uscì silenziosamente
sulle guide scorrevoli. Houges chiuse gli occhi istintivamente, poi li
riaprì con uno sforzo di volontà. Sebbene lavorasse da anni nel
dipartimento, non si era ancora abituato alle molte facce della morte.
- "Osservatelo bene, in ogni
particolare, per favore."
Il tenente si avvicinò per guardare meglio. I due osservarono
il corpo nudo del cadavere. Bianco, sulla cinquantina, calvizie
incipiente, corporatura abbondante, altezza un metro e ottanta circa.
Nessun segno di percosse o tumefazioni. Due ferite da arma da fuoco
all’altezza del ventre. Nient’altro, se si escludevano i tagli
effettuati durante l’autopsia. Osservando meglio questi ultimi,
Houges notò che i lembi delle incisioni non erano stati ricuciti.
Guardò il tenente che gli ricambiò lo sguardo stringendosi nelle
spalle. Insieme guardarono poi il dottore. Questi si aggiustò con
gesto meccanico gli occhiali sul naso.
- "Cosa ve ne sembra?"- Domandò
Warren con un sorriso strano sulle labbra.
Houges fu infastidito dal suo tono. Li stava trattando come due
scolaretti. - "In che senso?"
- "Vi sembra un uomo?" - Il tenente trattenne un
sorriso, Houges se ne accorse e decise che gli stava diventando più
simpatico.
- "Vorrebbe dire che non lo è?" - Chiese il capitano
con un accento meno ironico di quanto avesse voluto. Warren scosse la
testa.
- "Nel modo più assoluto. Quello che state vedendo è il
corpo di un alieno."
Quelle parole, dette in un qualsiasi altro
momento, in un qualsiasi altro luogo lo avrebbero fatto ridere, ma in
quell’ambiente freddo e asettico diedero invece la macabra
sensazione della carezza di un morto.
- "Un ..alieno?"
- "Esatto. A nostra immagine e somiglianza. Almeno, nell’aspetto
esteriore."
Dicendo quelle parole premette delicatamente
con le dita sull’incisione fatta dall’autopsia dal collo all’addome.
La pelle scivolò all’indietro come un sacco vuoto. Houges sentì
nello stomaco i resti dell’hamburger con le cipolle agitarsi in
maniera preoccupante. Cercò di ignorare quanto stava accadendo nel
suo organismo e si sporse per dare invece un’occhiata in quello del
cadavere. Gli organi vitali erano stati lasciati al proprio posto. Da
ciò che riusciva a ricordare delle lezioni di anatomia che era stato
costretto a seguire durante il corso per entrare nell’F.B.I., forme
e dimensioni erano evidentemente differenti da quelli che ricordava.
Stava inequivocabilmente guardando qualcosa che non era umano.
- "Se questa creatura non è aliena allora costituisce un
fenomeno straordinario, unico nella storia della medicina"-
Affermò il dottor Warren. – "Con tali apparati organici
sarebbe impossibile vivere sulla terra." - Indicò quelli che
avrebbero dovuto essere polmoni. – "Questi…chiamiamoli
polmoni per semplificare, sono molto più simili a branchie.
Dovrebbero sintetizzare ossigeno dall’acqua separandolo dall’idrogeno.
Il sangue è freddo come quello dei rettili e ha molte più funzioni
di quello umano. Dalle prime analisi effettuate su un campione,
abbiamo scoperto che serve a raffreddare il corpo mantenendone
costante la temperatura a 30 gradi centigradi circa. L’organismo è
provvisto di una pompa che ha all’incirca la stessa funzione del
nostro cuore ma che con l’ausilio di una miriade di piccole
ghiandole può arricchire il plasma di sostanze rigeneranti,
coagulanti e energetiche. La cosa davvero sorprendente è che non
esistono organi involontari. Da quello che si è potuto capire dall’autopsia,
sembra che queste ghiandole possono immettere nel plasma sostanze
capaci di inibire o accelerare qualsiasi funzione organica.
Respirazione, battito cardiaco, digestione…il tutto comandato dal
cervello. Benché siamo sicuri che ci debba essere una specie di
auto-regolazione che entra in funzione quando il soggetto è in stato
di incoscienza o durante il sonno questo essere è capace di
controllare ogni singola cellula del proprio corpo. Per
quanto riguarda il cervello invece, ci aspettavamo grosse sorprese ma
siamo rimasti delusi. Se si esclude il fatto che è suddiviso in
quattro sezioni principali invece di due emisferi come in quello
umano, non vi sono grosse differenze di funzionamento."
- "E come spiega…"
- "Che questo essere riesca a vivere in un ambiente vitale
diverso dal suo? Abbiamo trovato un piccolo congegno elettronico
inserito nella testa, in quella zona che se paragonata a un cervello
umano potremmo grossolanamente definire regione talamica. Ci risulta
che quel giocattolino è un bio-computer, collegato tramite proprie
diramazioni nervose all’organismo. In altre parole è un congegno
sofisticatissimo che funge da by-pass tra cervello e sistema nervoso.
Le analisi sono ancora in corso ma sono sicuro che quella piccola
cosina abbia la funzione di adattare il loro metabolismo e la loro
respirazione all’ambiente che li circonda."
Warren estrasse dalla tasca un piccolo oggetto scuro di forma
vagamente triangolare e lo tese a Houges.
Toccare quella cosa gli procurò una sensazione indefinita. Era
calda, come se fosse viva. Gli parve perfino che vibrasse. Ma la
sensazione durò meno di un attimo. Porse il congegno a Gioberti. La
mano del tenente si ritrasse all’improvviso. Una lieve scossa di
energia statica passò tra i due.
Vide il tenente giocherellare soprappensiero
con il manufatto alieno e poi restituirlo al dottore che lo fece
sparire nuovamente nella sua tasca.
Il capitano si sentiva intontito. Non
riusciva a crederci, nonostante l’evidenza. Accettare una cosa del
genere significava mettere in discussione tutte le sue convinzioni,
tutto ciò in cui credeva, tutto.
- "Come è morto?" – Aveva già
visto i fori di proiettile bruciacchiati, ma al momento stava
raccogliendo le idee. Stava cercando di mettere ordine nel nuovo stato
mentale. Aveva bisogno di tempo.
-"Due proiettili in pancia. La polizia lo ha trovato due
giorni fa in un vicolo vicino ai bidoni dei rifiuti. Hanno avuto la
segnalazione da parte di alcuni abitanti del quartiere. Quando lo
hanno trovato era già morto da circa quindici ore.
- "Hanno trovato niente che lo possa identificare?"
– Chiese il tenente.
- "Addosso niente. Il portafoglio è stato trovato poco
lontano, vuoto."
- "Quindi sembrerebbe un normale omicidio per
rapina." – Disse Houges.
- "Sembrerebbe." – Confermò il dottore.
Houges guardò ancora una volta il cadavere.
Nessuno poteva mettere in dubbio che fosse un uomo. Un uomo fatto e
finito, con tutti i suoi difetti fisici, calvizie e adipe comprese.
Chi avrebbe potuto sospettare un’origine aliena in un essere così
comune? Nessuno. Almeno, fino a quando non gli fosse capitato di dare
un’occhiatina al suo interno.
- "Non mi è chiara una cosa." -
Disse Houges, in verità parlando più a sé stesso che agli altri
due. - "Se ce n’è uno, devono essercene per forza degli altri.
E se ce ne sono altri, mescolati tra la gente comune, è chiaro che
non vogliono rivelarsi agli esseri umani. A questo punto mi domando
perché? Se agiscono in segreto è certo che non sono animati da buone
intenzioni nei nostri confronti. Dunque perché lo fanno? A quale
scopo? Che cosa stanno complottando?"
Lasciò queste domande sospese nell’aria
fredda dell’obitorio. Il dottore e il tenente rimasero a guardarlo
in silenzio. Nei loro occhi Houges lesse le sue stesse domande ma
nessuna risposta o perlomeno, nessuna che potesse tranquillizzarlo.
Gioberti, la fronte corrugata, stringeva a pugno le mani e le
rilassava in continuazione. Era impaurito anche se tentava di non
dimostrarlo. Poi Houges si voltò di scatto e domandò al dottore: -
"Avete parlato con altri di quest’uom…di questa cosa
qui?"
- "Solo io e il mio staff ne siamo a conoscenza. Quando è
venuta fuori la cosa, al momento dell’autopsia, ho dato l’ordine
di mantenere la cosa nel più assoluto riserbo. Sono uomini in gamba e
manterranno il segreto. Alla polizia è stato redatto un normale
rapporto che conferma la morte per ferite di arma da fuoco. Può stare
tranquillo Houges. Non è la prima volta che l’ospedale ha a che
fare con il Dipartimento."
- "Ben fatto, dottor Warren. E’ un piacere collaborare
con uomini in gamba come lei." - Si strinsero la mano,
accomiatandosi.
Houges si allontanò rapidamente, seguito
dal tenente. Le prime luci dell’alba stavano rischiarando le strade
ancora deserte. L’aria fredda condensava il loro respiro in sbuffi
di vapore. Salirono in macchina. Houges mise in moto e si lanciò a
tutta velocità per le strade di East-River. I lampioni andavano man
mano spegnendosi. "L’alba nel Maine è la più deprimente
del mondo" pensò il capitano.
Per un po’ nessuno dei due parlò. Ognuno
stava ancora cercando di mettere ordine nei propri pensieri. Houges si
accese una sigaretta. Nell’ultima mezz’ora si era completamente
dimenticato di essere un accanito fumatore. Tirò una profonda boccata
e assaporò il sapore del tabacco. Era acre e acidulo. Disgustato
aprì il finestrino e gettò la sigaretta appena accesa per strada.
- "Questa faccenda mi ricorda un film visto da
bambino" – disse rivolto al tenente. Poi, sempre guardando la
strada aggiunse – "Crede di trovare qualcosa nella banca dati
della centrale? Non dovrebbe essere difficile risalire alla sua
identità. Beh, almeno in circostanze normali sarebbe così."
Il tenente respirò profondamente prima di rispondere.
- "Dovremo consultare l’archivio delle persone
scomparse. Forse si potrebbe scoprire qualcosa in più dalla
descrizione del soggetto nel rapporto redatto dal dottore e dalle
impronte digitali. Dovremo procurarci anche una copia del verbale
della polizia sull’omicidio. Non so. Ma sono certo che qualcosa
troveremo."
Era quello che Houges si aspettava e temeva.
Da quel momento in poi la realtà per lui non sarebbe più stata la
stessa. Non avrebbe più guardato i suoi simili come prima. Alieni tra
gli uomini. Chi l’avrebbe mai detto. Proprio lui che aveva sempre
considerato stronzate i racconti e i film di fantascienza. Ma perché?
Perché si nascondevano dietro sembianze umane? Cosa stavano
combinando? Si domandò che lavoro facesse l’alieno trovato morto.
- "Occupava sicuramente un posto di rilievo. Dalle
ricerche risulterà che era benestante anche se non ostentatamente
ricco. Non un personaggio pubblico ma abbastanza influente da
esercitare un qualche potere pur restando nell’ombra. Assistente di
qualche personaggio politico o membro del consiglio direttivo di
qualche grossa società. Qualcosa del genere."
Houges si stupì. Il tenente gli aveva letto nel pensiero?
- "Già, certo. Potrebbe essere." - Ribadì Houges,
ancora perplesso per quella coincidenza. – "Se si stanno
infiltrando tra noi è la prima cosa che dovrebbero fare. Del resto è
la più logica. Occupare posti chiave nella nostra società per
operare delle scelte utili ai loro piani. Dare sempre maggior potere
ai loro simili e infiltrarne sempre di più. Ramificare la loro
organizzazione e consolidarla a livello economico e politico. Il passo
successivo sarebbe quello di creare un governo e un mercato globali,
controllati da pochi paesi, i più potenti e così, con i loro
"uomini" collocati al posto giusto, non avrebbero alcuna
difficoltà a ribaltare tutto il sistema. Avverrebbe così lentamente
che nessuno se ne accorgerebbe. A quel punto gli uomini, quelli veri,
saranno asserviti al loro dominio. Del resto, non sarebbe la prima
volta. Lo hanno già fatto su altri mondi." - Si fermò di colpo.
Ma che cazzate stava dicendo? Aveva parlato di un fiato esprimendo
concetti assurdi, a lui completamente estranei. Pensieri che la sua
mente razionale non aveva mai neanche lontanamente sfiorato gli si
erano invece parati davanti come immagini vivide e concrete. Eppure,
maledizione sapeva che non erano altro che un mucchio di stronzate.
Mere fantasie infantili. Ma allora da dove erano saltate fuori? Era
stato come se avesse letto nella mente di un’altra persona. Si. Ecco
perché aveva potuto parlare in quel modo. Si voltò verso il tenente.
Lui lo stava guardando mentre le sue mani continuavano a tormentarsi.
Poteva aver letto davvero nella mente di
Gioberti? Allora era un telepate a sua insaputa? Stava pensando una
cazzata dietro l’altra. Quasi per mostrare a sé stesso che si stava
sbagliando, cercò altre informazioni nella mente del tenente e queste
non tardarono a venire. Con facilità, senza alcuno sforzo.
Immagini di una flotta di astronavi in
viaggio e di altre astronavi nascoste nel cuore di montagne. Volti di
altri alieni che si muovevano insospettabili tra la gente della terra.
Accordi stipulati in gran segreto tra uomini e alieni. Si ritrasse
terrorizzato dalla mente di Gioberti. "Mi sto immaginando
tutto" si disse. Senza che se ne rendesse conto, il piede
premeva l’acceleratore a tavoletta. Davanti a loro una galleria. "Questo
però spiegherebbe i suoi silenzi, la sua riservatezza."
La paura attanagliò Houges. "Se
cerca di farmi fuori?" Guardò di nuovo l’uomo che gli
sedeva accanto e si accorse che questi lo stava fissando intensamente.
L’auto imboccò a folle velocità il
tunnel. La luce sparì di colpo riducendosi ad un piccolo puntino a
qualche centinaio di metri più avanti. Prima che i suoi occhi si
abituassero al buio, Houges percepì un movimento alla sua sinistra.
Quasi senza pensare estrasse la pistola e sparò uno, due, tre volte.
Anche lui fu ferito dalle pallottole del revolver del tenente. L’auto
sterzò bruscamente a destra.
Lottando contro l’incoscienza cercò di
riprendere il controllo della macchina. La galleria terminò e la luce
tornò ad illuminare l’interno dell’auto macchiato di sangue. Il
corpo del tenente era immobile, con la testa appoggiata contro il
finestrino. Houges si sentiva sempre più debole, più debole. Chiuse
gli occhi. Si lasciò andare.
La macchina uscì fuori strada e andò a
sbattere contro una quercia. Pochi secondi prima che prendesse fuoco,
all’interno dei due corpi ormai senza vita, due piccoli oggetti di
metallo, di forma vagamente triangolare, smisero di funzionare.
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