IL VERDETTO
di

Lorenzo De Marco

 

   
     Freddy Collins salì sul rozzo ascensore della miniera che lo avrebbe riportato in superficie. Le assi del pavimento scricchiolarono sotto il suo peso. Il viso e la tuta dell’uomo erano quasi  completamente anneriti dalla polvere di carbone ed era zuppo di sudore.

    Si addossò stancamente alla grata di protezione della cabina. Meccanicamente azionò l’interruttore e l’ascensore cominciò a salire lentamente. Sollevò la maschera per l’ossigeno e cercò di respirare normalmente. Non ci riuscì. Sembrava stesse respirando fuoco. Se la infilò nuovamente. Si massaggiò la fronte e gli occhi. Gli doleva la testa. Faceva un caldo maledetto lì sotto. Chiuse gli occhi e per un lungo istante restò così, respirando profondamente. Quando li riaprì, il suo sguardo si fissò svogliatamente sulla parete rocciosa che scivolava via sotto di lui, a malapena illuminata dalla lanterna che dondolava ad ogni sobbalzo.

   Non aveva niente di buono da comunicare lassù, eppure non se ne preoccupava minimamente, era calmo, insolitamente calmo. Almeno, per il momento.

   Si ritrovò a pensare a suo figlio Sam, l’unico figlio che aveva avuto nell’infelice matrimonio con Susan. Ripensò alla lunga causa, dopo la separazione legale, per ottenere il permesso di allevarlo. Era stato felice quando il giudice aveva accolto la sua richiesta di affidamento ma la sua felicità era durata ben poco. Aveva visto suo figlio prendere una strada completamente diversa da quella che Freddy aveva sognato per lui. Avrebbe voluto che diventasse avvocato. E invece, lui se n’era fregato degli studi e del lavoro. Di qui erano nati i contrasti che avevano portato poi alle liti violente e alla rottura definitiva. Sam aveva cominciato a frequentare i balordi del suo quartiere ed era diventato un balordo come tutti gli altri. Nelle loro continue liti suo figlio gli aveva sempre rinfacciato che la colpa era sua, che lui non lo aveva mai capito. Diceva che non gli aveva mai dato l’affetto di cui aveva bisogno. Che a volte una carezza sarebbe stata più utile di uno schiaffo. Quante sciocchezze. Lui lo aveva educato come si conviene che un padre faccia con il proprio figlio, aiutandolo non con la comprensione e le carezze a diventare un vero uomo ma con la severità e la fermezza. Suo padre lo aveva cresciuto così. Per quanto fosse stata dura, non lo aveva mai odiato per questo. Lo aveva fatto diventare un uomo.

   Scosse la testa con rammarico. Povero Sam. L’ultima lite era stata davvero dura. I loro animi si erano riscaldati a tal punto che si era trovato a picchiarlo prima che se ne potesse rendere conto. Lui era uscito di casa, con il volto sanguinante sbattendosi la porta alle spalle. Freddy gli aveva ordinato di tornare indietro ed affrontarlo se era un uomo ma non lo aveva seguito. Lo aveva messo alla prova. Era stata l’ultima volta che aveva visto suo figlio. Dove aveva sbagliato, maledizione, dove? Povero, povero Sam, l’avrebbe mai perdonato?

    L’ascensore sobbalzò violentemente. Un senso involontario di terrore lo colse. – “No.” - Si disse controllandosi – “E’ troppo presto.”
   Guardò in alto, la superficie era ancora lontana.

   Che cosa avrebbe detto arrivato su? Come avrebbe trovato le parole adatte? Bah, ci avrebbe pensato poi. Sapeva sempre trovare le parole sul momento.

   Provò nuovamente a togliersi la maschera. L’aria era sempre calda ma respirabile. Con un gesto nervoso sputò la chewing-gum che sparì sotto di lui. Guardò nuovamente in alto e vide la luce del giorno penetrare attraverso l’apertura. Con tutta calma spense la lanterna e la lampada posta sull’elmetto preparandosi ad uscire, alzò lo sguardo affinché gli occhi si abituassero gradatamente alla luce intensa del giorno e rimase ad osservare l’apertura che ingrandiva man mano che la piattaforma saliva.

   Finalmente, con un leggero ma secco schianto, la piattaforma si fermò. La luce del sole era troppo forte e l’obbligò a chiudere gli occhi e a portarsi la mano al viso per schermarlo dai raggi accecanti. Tutto intorno regnava un profondo silenzio.

   Strano. – pensò – Credevo ci fosse qualcuno ad aspettarmi – Quando riaprì gli occhi fissò stupito le migliaia di persone che a loro volta lo stavano guardando in silenzio.

   In altre occasioni si sarebbe sentito maledettamente a disagio di fronte a quell’ammasso di gente, sentendosi il fulcro della loro attenzione. In quel momento invece, si limitò a osservarli girando lentamente lo sguardo intorno. Lesse con leggero timore nei loro occhi una terribile, insopportabile ansia, a stento trattenuta. C’erano anche decine di telecamere. Alla fine, un commentatore televisivo si scosse dalla stasi quasi ipnotica in cui sembravano essere caduti tutti e gli si avvicinò. Pronunciò al microfono la parola “Allora?” e poi indirizzò l’apparecchio verso di lui.

   Freddy osservò a lungo il microfono, come se fosse per lui un oggetto alieno, poi fissò la telecamera e infine il commentatore televisivo. L’uomo che gli stava di fronte era teso come una corda di violino. Vide grosse gocce di sudore che gli rigavano il viso disfacendogli il trucco. Non sudava solo per il caldo, pensò. Milioni di persone aspettavano una risposta da Freddy Collins, Capo minatore in pensione.

   Il silenzio era totale. Un leggero soffio di aria calda percorse la vallata dando un’ingannevole sensazione di refrigerio. I capelli e gli abiti della gente si mossero per qualche secondo spinti da quella brezza. Poi tutto ritornò ad essere immobile e sommerso dal silenzio.

   - “Signor Collins….allora?” – Il telecronista ripeté imbarazzato la sua domanda. Freddy riportò l’attenzione su di lui.
   - “Niente da fare.” Si limitò a dire.

    Dopodiché Freddy spinse delicatamente da parte il cronista oltrepassandolo e a passi misurati si diresse verso il muro di persone. Meccanicamente la gente si scostò creando un corridoio largo abbastanza per farlo passare. Tutti quegli uomini, quelle donne, giovani e anziani erano rimasti immobili, interdetti, incapaci di proferire parola o anche solo di pensare. Sentì i loro occhi puntati su di lui, insieme a quelli di milioni di persone che attraverso l’occhio delle telecamere lo guardavano in religioso silenzio dalle loro case, dai bar, dai negozi, dagli uffici. Lo avvertì quasi come un contatto fisico.

   Freddy aveva deciso dall’inizio di essere forte e di non farsi coinvolgere. Ma fece l’errore di guardare un attimo di troppo negli occhi di quelle persone che gli stavano davanti. E allora rimase atterrito. Sentì una scossa elettrica attraversargli la schiena e la nuca e rizzargli i capelli in testa. Quello che vi lesse era incredulità, sbigottimento e poi il Terrore. Il terrore  profondo, infinito. Cominciò a tremare e questo lo avrebbe perso. Sarebbe probabilmente morto linciato dalla folla prima che fosse arrivato alla macchina. Dietro quegli occhi aveva visto svegliarsi delle belve che avevano bisogno di sbranare qualcuno per soddisfare in qualche modo la loro rabbia e la loro impotenza. Si sforzò di controllarsi. Smise di tremare con un tremendo sforzo di volontà. Riprese in mano saldamente il controllo dei suoi nervi e procedette.

   Alle sue spalle, il commentatore dimenticatosi della diretta si lasciò cadere per terra e rimase così, seduto, il microfono penzoloni nella mano a guardare il cielo, oltre l’orizzonte.

   Freddy si domandò cosa sarebbe successo di lì a poco. Qualcosa immaginava. Forse anche più di quello che avrebbe desiderato. Una follia violenta e omicida si sarebbe scatenata in ogni regione del mondo. Molti probabilmente si sarebbero suicidati, altri sarebbero impazziti, altri come lui avrebbero continuato a vivere rassegnati fino alla fine.

   Sorrise a pensarci: l’uomo aveva dimenticato da tempo gli errori del passato e cercando di rimediare in qualche modo aveva bandito le armi nucleari. Le ultime portatrici di morte furono raccolte decine di anni addietro in un deposito costruito in fondo ad una miniera di carbone abbandonata. Ma forse per la fretta di qualche zelante candidato alle elezioni, forse per la superficiale incoscienza di qualcuno, nessuno aveva condotto ricerche geologiche più accurate del luogo dove avrebbero dovuto riporre l’apocalittico arsenale. Si erano fidati delle perizie risultanti ai tempi dell’apertura della miniera. Così nessuno si era accorto inizialmente che sotto il deposito correvano dei condotti lavici  di un vulcano spento da millenni. Il suo cratere attualmente ospitava un gigantesco lago. La scoperta fu fatta da alcuni studenti universitari diversi anni dopo, mentre preparando la loro tesi di laurea, stavano svolgendo delle ricerche geofisiche nella zona. Diversi giornali riportarono la notizia. Nei paesi civilizzati ci fu una certa risonanza. Si interpellarono scienziati e si organizzarono un certo numero di cortei ma com’era prevedibile, fu assai meno costoso dar credito a quella corrente di pensiero che affermava che l’eventualità di un risveglio dell’attività vulcanica, era così remota da considerarla nulla. E così la cosa finì in una bolla di sapone. Quel lago c’era già prima che l’uomo comparisse sulla faccia della terra e probabilmente così sarebbe rimasto fino alla fine dei giorni.

   Ma la settimana precedente i sismologhi avevano rilevato una attività anomala nella zona del lago e un considerevole aumento della temperatura delle acque e del terreno circostante. Messi in allarme, avevano condotto ricerche più approfondite e grazie alle nuove tecnologie, in due giorni si era arrivati alla inequivocabile conclusione: Il vulcano si stava risvegliando. Tempo otto giorni e la bocca sarebbe esplosa mentre i condotti lavici avrebbero innalzato la temperatura a tal punto che il deposito sarebbe esploso prima. Nessuno poteva accedere al deposito in quanto era stato blindato da tonnellate di acciaio e cemento. Ma se questo non sarebbe bastato a proteggere l’arsenale dalla forza distruttiva della natura rendeva invece impossibile l’accesso agli uomini per prelevare le bombe. Non c’era tempo. Freddy era stato mandato giù per constatare di persona la situazione in base alla sua esperienza. Ma il sottosuolo ormai era così caldo che nelle prossime ore neanche le tute d’amianto sarebbero state sufficienti a proteggere chi si fosse avventurato lì sotto. Una volta giù, aveva ringraziato il medico che gli aveva fatto indossare contro la sua volontà la maschera per l’ossigeno. Freddy pensò ai miliardi di megatoni che avrebbero liberato un’inconcepibile forza distruttiva sulla terra, e una lacrima gli rigò il viso: - “Povero Sam” – mormorò.

   Arrivò al parcheggio, deserto quando era arrivato e adesso brulicante di auto scintillanti. Montò in macchina e mise in moto. Il motore rombò a pieno regime. Decise che aveva una gran sete. Già. Per spegnerla aveva bisogno di alcool, di molto alcool. Ingranò la prima e si diresse in direzione della città, lasciando il sole e la gente alle sue spalle.

 

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