Cenni sulla storia della Chiesa caccurese


Chiesa di Santa Maria delle Grazie

     La Chiesa matrice di Santa Maria delle Grazie di Caccuri sorge nel cuore del centro storico tra la via Salita Castello e la Destra. Le origini risalgono probabilmente al XV secolo quando sorse anche  parte dell’antico abitato a ridosso del vecchio castro di difesa bizantino.  A testimonianza di ciò sono ancora visibili sul campanile i resti di monofore quattrocentesche. La base del campanile, infatti,  è  tutto ciò che rimane dell'antica chiesa prima delle successive ricostruzioni di cui ci occuperemo più avanti. 
     Santa Maria delle Grazie fu, probabilmente,  oltre alla chiesa dell’omonima parrocchia, anche quella delle altre due parrocchie,  quella di San Nicola e quella di San Pietro. Non v’è traccia, infatti, nella storia caccurese di altre chiese oltre quelle di  di San Marco, ubicata presso l’attuale villa San Marco e che nel XIX secolo divenne la “pagliera” di Barracco, della chiesa di Santa Maria del Soccorso annessa al convento dei Domenicani e di quella di San Rocco, fatta eccezione per la chiesetta rurale di Serra del Bosco, a un centinaio di metri dal luogo di cattura della brigantessa Ciccilla, moglie di Pietro Monaco, devastata da ignoti vandali alla ricerca di un improbabile tesoro e per quella di Santa Rania, dedicata a Sant’Antonio. E' evidente, però, che nessuna di queste altre chiese può essere considerata come sede di una qualche parrocchia.  V’erano poi alcune chiesuole annesse a grance o masserie come quelle di Bordò, dedicata a San Giacomo, di Giachetta e di Pizzetto o come la sontuosa chiesa dei Cavalcante  annessa al palazzo dei duchi (attuale castello), ma si trattava di luoghi di culto privati. Molto probabilmente la divisione in diverse parrocchie avveniva non su base territoriale, ma sul numero dei fedeli, mentre per i riti veniva utilizzata sempre la chiesa matrice. Le parrocchia  di San Pietro era ancora attiva nel 1742 quando il suo parroco era don Gennaro Lucente;[1] di quella di San Nicola, invece, non si hanno più notizie.    

                          
         Santa Rania - Chiesetta di Sant'. Antonio                                     Resti della  chiesa di Giachetta


      Quando la chiesa matrice  fu eretta  il paese era abbastanza popolato. Nel 1427 contava ben 1890 abitanti e nel XIII secolo era abitato addirittura da 2.385 anime. Tenendo conto della religiosità del tempo, possiamo dire la cittadina era letteralmente assediata da un clero tanto pletorico quanto avido il cui sostentamento  gravava sulle classi umili costrette a pagare la decima. La decima era una tangente fissa del 10% che veniva applicata su qualsiasi prodotto e che bisognava pagare obbligatoriamente, anche se non si era cattolici, cosa impossibile se si voleva conservare la pelle ed evitare il rogo. 
       Verso la fine del XVI secolo, però, iniziò il declino della cittadina che già nel 1621 contava solo 800 abitanti. Quest’”esodo biblico” che portò all’abbandono del paese dei Simonetta da parte di circa mille caccuresi, fu favorito, anzi incentivato dalle franchigie fiscali concesse dall’abate napoletano Salvatore Rota a coloro i quali si trasferivano a San Giovanni in Fiore, in virtù del privilegio dell'imperatore Carlo V del 12 aprile del 1530 evidentemente per favorire i Florensi. Lo spopolamento creò anche notevoli problemi di sostentamento  dei numerosi sacerdoti, canonici, curati per cui le autorità religiose cominciarono a porsi il problema  di sopprimere le altre parrocchie e potenziare la chiesa matrice affidando la cura delle anime all’arciprete e ai curati. Uno dei vescovi che premeva in tal senso  era il presule di Cariati Filippo Gesualdo che all’inizio del XVII secolo scriveva: “La Terra di Caccuri si bene haveva molte chiese curate tutte nondimeno sono redutte a una sola chiesa matrice la quale è servita dall’Arciprete, et altri curati li quali col detto Arciprete hanno la cura dell’anime per familias e l’entrate loro sono le decime de Parrocchiani, le quali sono cossì tenue  che non sono sufficienti appena a mantenere un sol curato, per lo sarebbe forse espediente unir  l’entrate e la cura in un solo Arciprete, perché se farebbe il servitio d’Iddio N. Sig.re con più frutto dell’anime et il curato viverebbe con più decenza. Vi sono ancora in detta terra altri sacerdoti et chierici li quali serveno alla detta chiesa, cappelle, oratorj e compagnie. Vi è la sola compagnia del Santissimo Sacramento.”

    L’appello non sortì evidentemente il risultato sperato  per cui il problema si ripropose al suo successore, mons. Maurizio Ricci. In una relazione del 1621 il presule si dilunga sulle condizioni precarie dell’abazia dell’Ordine di San Bernardo che distava circa un miglio dell’abitato di Caccuri.  Scrive mons. Ricci che nell’ abbazia dell’ordine di S. Bernardo “sta un frate ch’a la Mensa dell’Abbate quale e Rodolfo de Rodolfi che la tiene in comenda, et resteranno per l’Abbate da 150 docati et la Mensa sarà docati 30. Questa chiesa è discosta dalla terra circa un miglio. La chiesa è destrutta et la casa del Monaco sta mal accomodata, sarebbe forsi bene levar il monaco et trasferire il servitio delle messe, che molte volte non se dicono, alla chiesa Matrice della Tera et farle celebrar dalla Comunità de preti, questo temperamento non sarebbe di preiudicio alla Religione, perche l’interesse è di niun momento. Sarebbe di qualche agiuto a questi poveri Preti, si sodisfarebbero le messe et si levarebbe anco qualche nido de Ladri”. Neanche allora il problema trovò soluzione per cui mons. Ricci  chiese  al Papa , nel 1625, la soppressione  la soppressione dell’abazia di Patia con la motivazioneche il servitio della messa dell’abbadia Paganella di S. Maria Trium Puerorum dell’abate Rodolfo mal servita da un frate di S. Bernardo, si riduchi alla comunità de preti di Caccuri con l’entrata della Mensa, che saranno da trenta ducati l’anno incirca, che saria d’utile alla chiesa perché saria servita et di nulla preiuditio all’abbate et si levaria quel nido de ladri. Il problema era probabilmente impellente dal momento che si trattava di reperire e razionalizzare le risorse per sfamare un esercito di religiosi molti dei quali, a giudicare dalle parole dello stesso vescovo, non godevano probabilmente di buona fama. Basti pensare che la sola chiesa matrice del paese era servita, oltre che dall’arciprete, da ben 18 sacerdoti. In queste condizioni le lotte a coltello tra i frati dell’abazia e i preti caccuresi per spartirsi la miseria erano comprensibilissime.
   Mons. Ricci non riuscì a risolvere il problema  perché la morte lo colse due anni dopo, nel 1627, probabilmente nel convento dei Domenicani di Caccuri dove aveva scelto di trascorrere gli ultimi giorni della sua vita.  

                  
                  Chiesa dei Tre fanciulli                                                      La madonna dei tre fanciulli

     Intanto il paese veniva colpito da una serie di calamità naturali tra le quali il devastante terremoto del 1638 che produsse notevoli danni  e poi quello del 1659.  I due eventi produssero danni notevoli alla quattrocentesca chiesa matrice per cui il vescovo Geronimo Barzellino decise di farla ricostruire a sue spese dalle fondamenta.  Nel 1682 il lavori erano già stati completati e la chiesa aperta al culto.  Negli anni ’20 del secolo successiva fu elevata alla dignità di collegiata col suo stuolo di canonici, il tesoriere e il cantore. Purtroppo il 1° luglio del 1769 il tempio caccurese andò completamente in cenere a causa di un devastante incendio. Anche questa volta, però, come la famosa araba fenicia, risorse dalle ceneri e verso la fine del XVIII secolo era già stata ricostruita e riaperta al culto. Ora la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, a tre navate con una cappella laterale sulla destra, risultava impreziosita dagli scanni corali e da un pergamo del 1795 di Battista Trocino, rampollo di una famosa famiglia di intagliatori caccuresi che realizzarono molte altre opere analoghe un alcune chiese del Crotonese come la cattedrale di Strongoli, [2] da un fonte battesimale litico e da molti dipinti alcuni dei quali  attribuiti al pittore rendese Cristoforo Santanna.  Conservava anche la campana fusa in loco da Angelo Rinaldi nel 1578 su commissione dell’Universitas caccurese.  


        
Il pulpito di Battista Trocino del 1795

     I guai per la chiesa caccurese, però, non erano ancora finiti. L’ otto marzo del 1832, a seguito della grave scossa che colpì il Marchesato di Crotone e gran parte della Calabria centrale, un terrazzino sul quale poggiava la parete  sud cedette per cui il muro subì un abbassamento che provocò gravi danni alla volta. Ecco come l’ingegnere alunno Vincenzo Sassone, incaricato dal delegato del re, ingegnere Federico Bausan, descrive i danni: “ Il muro laterale di detta chiesa poggia su un terrazzino ; dietro le replicate scosse di tremuoto quest’ultimo si è ribassato perché sostenuto da un debole muro, in conseguenza il detto muro laterale è uscito di piombo cagionando grave danno alla volta della nominata chiesa, essendosi di già divisa in tre sezioni longitudinali.[3] Davvero sfortunato questo monumento, ma anche questa volta la Commissione locale per la ricostruzione  nominata dall’intendente De Liguoro, provvide a riparare i danni.
   Molti furono gli arcipreti che si avvicendarono alla guida della parrocchia caccurese, ma noi ci limitiamo a citarne solo alcuni le cui vicende si intrecciano con episodi significativi della storia del paese e, a volte, anche con quella nazionale.  Uno dei più sfortunati fu certamente don Francesco Franco, morto nel 1784.    Don Franco divenne arciprete nel maggio del 1727 in seguito alla morte del suo predecessore Giovanni Pietro Provello.
[4] Come il più celebre Don Abbondio, si trovò anch’egli nello spiacevole ruolo di “vaso di coccio costretto a viaggiare tra i vasi di ferro” del vescovo di Cerenzia Carlo Ronchi e dei fratelli Cavalcanti, don Rosalbo, duca di Caccuri e don Antonio, cavaliere  gerosolimitano e priore della Congregazione del SS. Rosario. Entrambi gli illustri fratelli vivevano in “
scandaloso, adultero, incestuoso e sacrilego concubinato” con una tale Serafina Piluso, una donna sposata che pare non facesse differenza tra i due. La cosa giunse alle pudiche orecchie del presule che dopo i ripetuti rimproveri ai due signorotti a le diffide a desistere dal loro comportamento scandaloso e peccaminoso, ingiunse all' arciprete di rifiutare ai due l’eucarestia. Il povero don Franco, però, non se la sentì di affrontare le ire del duca e del fratello cavaliere per cui disobbedì al suo vescovo. Questi, si infuriò ed estese l’ingiunzione anche a tutti gli altri sacerdoti caccuresi. A questo punto pare che i due decisero di pentirsi e di fare penitenza per cui furono perdonati e riammessi ai sacramenti, mentre il povero arciprete fu punito e mandato agli esercizi spirituali per un mese nella chiesa della congregazione del SS. Salvatore di Mesoraca.[5]

   Un altro arciprete caccurese famoso fu don Antonio Gabriele, nato a Caccuri probabilmente nel 1796 che resse la Parrocchia di Santa Maria delle Grazie dal 1820  al 1842.[6] Proprio nel 1820 s’ imbatté, nelle strade di Caccuri, nell famoso brigante Salvatore Meluso, alias Nivara che, insieme a un altro brigante sangiovannese, Pasquale Cimino detto Manchetta, pare avessero tentato di aggredire un certo Giuseppe Rao che abitava nelle vicinanze di piazza Umberto. Il Meluso, dopo essere stato accusato di numerosi atti delittuosi, si rifugiò a Corfù e, in seguito,  fece da guida ai Bandiera nel loro tentativo eversivo del 1844. L’arciprete caccurese, chiamato a testimoniare, pur sostenendo che i due erano armati di fucile e pistole, dichiarò che, comunque, non gli erano apparsi agitati, né ostili, ma che avevano financo voluto baciargli la mano.[7] Don Gabriele fu anche membro, per alcuni anni, della Commissione per il restauro delle abitazioni danneggiate dal terremoto del 1832.  

                         
                               D. Secchiari - Don Antonio Gabriele incontra il Meluso
                                 Tratto da Cronache di poveri briganti di G. Marino

  Tra gli altri  arcipreti ricordiamo don Francesco Antonio Lucente, fino al 1882, don Giuseppe Pitaro, dal 1903 al 1934, don Pietro Scalise e don Francesco Fusi che tenne la parrocchia fino alla fine degli anni '50 del secolo scorso. 

                                               
                                 
Don Pietro Scalise                         Don Peppino Pitaro (Giuseppe Sabatino Pitaro)


   Prima di chiudere queste pagine ricordiamo alcuni parroci come don Domenico De Rose, Don Agostino Chirico e don Gennaro Lucente che ressero la parrocchia di San Pietro. Un'ultima considerazione ci sembra davvero doverosa; Caccuri dvev'essere sempre stata una cittadina pervasa da una grande religiosità supportata da profonda cultura per essere riuscita a dare alla Chiesa cattolica, nel corso dei suoi quattrodici secoli di storia,  ben quattro vescovi: Giovanni Carnuto nel XVI secolo, vescovo di Carinola e poi di Cariati,  i fratelli Francesco Antonio e Domenico Andrea Cavalcante nel XVIII secolo, il primo arcivescovo di Cosenza, il secondo arcivescovo di Trani, Raffaele De Franco,  arcivescovo di Chieti e di Catanzaro nel XIX secolo e l'agiografo Cornelio Pelusio, biografo dell'abate Gioacchino da Fiore e preside della Congregazione dei Cistercensi di Calabria e Lucania. 

     


[1] Pericle Maone, Caccuri monastica e feudale, A.G. Mercurio, Portici 1969, pag. 44

[2] Anna Russano, Alto Crotonese Calabria - I monumenti, gli oggetti d'arte, la storia, la gente, Gangemi editore Aprile 2001, pag. 118

[3] G. Marino, IL terremoto del 1832 nel Marchesato di Crotone – I danni e la ricostruzione di Caccuri, Cosenza 2012, editoriale progetto 2000, pag. 39

[4] A. Pesavento, La chiesa matrice di Caccuri dedicata a Santa Maria delle Grazie, pubblicato su La Provincia KR 8/9/202

[5] A. Pesavento, op. cit.

[6] Russo F., Regesto, (71526).  

[7] G. Marino, Cronache di poveri briganti, Pubblisfera, San Giovanni in Fiore 2003, pp. 34,35