La
cattura di Maria Oliverio, alias Ciccilla
Maria Oliverio, detta Ciccilla, una delle più crudeli brigantesse del
Meridione, nacque a Casole Bruzio il 30
agosto del 1841. Di indole indubbiamente delinquenziale, discese sempre
più la china criminale anche perché venne presa nel vortice di vicende
storiche non sempre limpide, tumultuose, etero dirette da poteri
forti in feroce contrapposizione che finivano per scaricare
le loro nefaste conseguenze sempre sulla povera gente, sulle classi più
deboli e più degradate alle quali Ciccilla indubbiamente apparteneva e
tutto ciò non poteva non incanaglire ulteriormente chi canaglia lo era
un po' per nascita. Forse per questo le gesta criminali della trista
fuorilegge finirono per attirare l'attenzione di celebri studiosi e
letterati italiani ed europei.
Nel 1858, all’età di 17 anni, sposò un giovane
di Macchia di Spezzano Piccolo, Pietro Monaco che, successivamente, diventerà prima soldato
dell’esercito meridionale, poi volontario garibaldino e, infine, uno
dei più abili e feroci briganti della provincia di Cosenza.
La casa natale di
Ciccilla a Casole Bruzio
Mentre il
marito era alla macchia fu fatta arrestare dal famigerato maggiore
Pietro Fumel, un vero e proprio criminale di guerra mandato in Calabria
per reprimere il cosiddetto brigantaggio e che rimase famoso per le
torture, le esecuzioni pubbliche, lo scempio dei cadaveri di quelli che spesso erano nient'altro
che patrioti che combattevano, a torto o a ragione, contro chi aveva
conquistato con le armi e la violenza e assoggettato la loro patria e
imposto nuovi e più pesanti balzelli, la tassa sul macinato e la leva
obbligatoria. Fumel faceva spesso fucilare sulla pubblica piazza i
combattenti, i loro fiancheggiatori e, a volte, persino i familiari,
decapitare i morti e impalare le loro teste. Ma questo tristo figuro non
fu il solo che si macchiò di crimini così orrendi e ripugnanti. L'arresto della donna aveva
l'evidente scopo di costringere il marito a costituirsi.
Ciccilla, comunque, in quanto a ferocia, non aveva niente da
invidiare all'aguzzino piemontese, come dimostra l'assassinio della
sorella che ella riteneva essere l'amante del marito e che massacrò con
ben 48 copi di accetta. A
seguito di questo episodio fu costretta a darsi alla macchia
seguendo il consorte nelle sue scorrerie.
La casa di Pietro Monaco
Quando il 24 dicembre del 1863,
dopo aver consumato "il cenone di Natale" Monaco fu ucciso dal suo
braccio destro Salvatore De Marco, alias Marchetta, con la complicità
di Vincenzo Marrazzo e di Salvatore Celestino, alias Jurillu in una baracca
nella valle di Jumiciello, un fiumiciattolo che attraversa il
territorio di Pedace, Ciccilla, ferita nell’occasione al braccio,
riuscì a scappare e si unì
ad Antonio Monaco, cugino del defunto marito col quale raggiunse il
territorio di Caccuri. Qui Il gruppo si aggregò ai briganti Pasquale Gagliardi e
Ludovico Russo detto Portella e si rifugiò in due piccole grotte in località Serra del Bosco sul versante verso Cotronei,
a ridosso del
fiume Neto.
Dopo
alcune settimane di permanenza in quegli angusti pertugi, furono traditi dal brigante Giuseppe
Iaquinta che informò della presenza dei fuorilegge il comandante del 37°
Reggimento Fanteria della Brigata Abbruzzi di stanza a Petilia
Policastro.
Il capitano
Baglioni decise allora di organizzare una spedizione per la cattura dei
briganti e il 7 febbraio con i suoi uomini mosse da Cotronei verso il
bosco di Forestella. Per le piogge abbondanti non fu possibile guadare
il Neto per cui i soldati dovettero rientrare a Cotronei, ma il
9 mattina, con molti uomini, alcuni dei quali in borghese e
vestiti alla calabrese, guadò il fiume, risalì la collina e circondò
le due grotte. L’operazione
fu portata a termine da due squadre: una di 29 uomini al comando del
sottotenente Ferraris che si portò a monte delle grotte, l’altra, al comando del capitano
che si presentò davanti il rifugio dei fuorilegge. Appena
i briganti si videro circondati aprirono un intenso fuoco con i fucili a
due canne e i revolver di cui disponevano, standosene a riparo nelle due
grotte. Lo scontro fu molto violento. Uno dei primi a cadere fu il
brigante Antonio Monaco che ebbe la testa trapassata da una palla, poi
fu la volta di Pasquale Gagliardi che, seppure ferito ad una
coscia, continuò a sparare a lungo. Intanto l’altro brigante,
Ludovico Russo che si trovava nella grotta a sinistra rispetto agli
assedianti, faceva fuoco come poteva con un revolver, non avendo altre
armi all’interno del suo rifugio. Pare che sia stato proprio il Russo
ad uccidere il guarda boschi di Barracco
Michele Corvino che conosceva da moltissimi anni il Russo, mentre
cercava inutilmente di convincerlo ad arrendersi ai soldati.
La zona delle grotte in
località Serra del Bosco
Nell’azione
persero la vita anche i bersaglieri Giovanni Spagnolini di Fara Novarese
e Francesco Agnolini di Cittaducale. Solo il giorno successivo, dopo una
notte di assedio, Ciccilla e il Gagliardi, gravemente ferito, vista
l’inutilità della loro resistenza, si arresero. Il Gagliardi morirà
di lì a poco, probabilmente dissanguato, data la gravità della ferita, mentre il cadavere di
Antonio Monaco fu decapitato e la testa portata a Cotronei per essere
mostrata al giudice.
Ciccilla, ancora
sofferente per la ferita che le era stata inferta dagli uccisori del marito,
fu condotta a Cotronei e, subito dopo, a Catanzaro dove fu
processata e condannata a morte, unica brigantessa italiana condannata
alla pena capitale. In seguito ottenne la grazia dal re
Vittorio Emanuele II che commutò la condanna a morte in ergastolo e fu rinchiusa nella fortezza di Finestrelle (TO),
un lager a circa duemila metri di altitudine tristemente famoso
come luogo di pena di tanti combattenti ed ex soldati borbonici
colpevoli solo di essere rimasti fedeli al loro re, dove pare sia morta una
quindicina di anni dopo.
Secondo alcuni a catturare la brigantessa fu un
reparto del 58° Reggimento fanteria comandato dal capitano Dorna,
ma la notizia non regge ad una verifica delle fonti ufficiali per
cui è da ritenersi infondata. In realtà, il capitano Dorna
fu uno degli uomini, assieme al citato Fumel, che più si diede da
fare per neutralizzare il marito, Pietro Monaco, ma non certamente
protagonista nella cattura della focosa moglie.
Ciccilla
Il lager di Fenestrelle in Val Chisone, prigione di Ciccilla
Le
grotte nelle quali i briganti avevano trovato rifugio si trovavano sul
versante sud di Serra del Bosco, di fronte Cotronei, in una zona molto
impervia del territorio caccurese a qualche centinaio di metri dalla
chiesuola, anche se in alcuni testi la località, con la solita
superficialità di molti storici, viene erroneamente
indicata come facente parte del territorio di Santa Severina il cui
limite territoriale si trova a qualche chilometro dal luogo egli eventi,
al di là del fiume Neto. Purtroppo, a seguito dell'alluvione del 1972
l'intera zona fu soggetta ad un movimento franoso per cui i due antri
furono sepolti da una massa di terriccio e non sono più visibili,
come ci ha raccontato il nostro amico Domenico Loria, già ragioniere
del Comune di Caccuri che ricorda benissimo le grotte e il racconto
delle vicende, così come ebbe modo di ascoltare dal nonno e che ci ha
accompagnato nel corso di una visita al sito effettuata assieme a Peppino Curcio
autore del libro Ciccilla. Storia della Brigantessa Maria Oliverio del
brigante Pietro Monaco e della sua comitiva, Pellegrini Editore, Cosenza
2010
nel quale l'autore ha ricostruito mirabilmente la vicenda e al
dott. Paolo Rizzuti.
La figura di Ciccilla finì per affascinare anche un grande
scrittore e giornalista come Alessandro Dumas che sul giornale
L'Indipendente da lui fondato, scrisse un racconto sulle gesta della brigantessa e
del marito dal titolo "Pietro Monaco sua moglie Maria Oliverio e i loro complici"
Purtroppo un luogo teatro di fatti storici che hanno
attirato l'attenzione dell'Europa intera, a un paio di centinaia di
metri da un'antica chiesuola, anch'essa distrutta dall'incuria e forse
dall'avidità degli uomini, risulta del tutto sconosciuto
alla quasi totalità dei caccuresi e lasciato nel degrado e
nell'abbandono. Con un po' di buona volontà, così come suggerisce anche
l'amico Peppino Curcio, se ne potrebbe fare una meta di turismo
culturale. Basterebbe poco: una piccola pulitura del bosco per
realizzare un sentiero di accesso, l'apposizione di qualche cartello con una
ricostruzione sommaria degli avvenimenti, un po' di pubblicità su
internet o su qualche televisione locale.
Serra del
Bosco: resti dell'antica chiesuola
|