Emozioni
Le
profezie piú azzeccate sono quelle del giorno dopo, ma questa volta lo
avevo detto. E carta canta: É UNA STUPIDA PIOGGIA SENZA UNO STRACCIO DI
ARCOBALENO......Alla fiera della muffa tutti i mercanti sono mummie.
Mutanti, mutandati, transumanti, impegnati a sfoggiare miserie e nullitá,
occupando le nostre vite e un paese che s'accende e si spegne. Vampate
di dignitá, lacrime amare, giorni di speranze, lunghe notti
dell'orrore, parole che sono insulti, insulti di parole. Tacere, forse,
tacere, non so. Non stare, assentarsi, lasciarli soli, nel delirio, non
dare sponda, non rispondere piú fino a ritrovare un senso, un
linguaggio con il quale tornare a dire piccole veritá. Ed allora
alzarci e gridare che é possibile un altro mondo, dove il tramonto che
guardiamo insieme, ci appartiene. É, per entrambi, il sole che scende e
non il giorno che muore, anche se poi ognuno declina a suo modo il
catalogo delle sue emozioni. Che é possibile camminare sul selciato,
mano nella mano, regalando petali di sorrisi e idee come pugni, canzoni
stonate e scale armoniche che accompagnino relazioni nuove, fuori da
questa pazzia collettiva. Io non ho le chiavi per uscire da questo
manicomio e forse l'unica rivolta é accellerare la malattia.
".....Tu chiamale, se vuoi, emozioni....."
IF
PER UNA
POSSIBILE VIA DI FUGA
di Salvatore Secreto
Ho
più volte definito con convinzione Salvatore un intellettuale e, ogni
volta che leggo un suo nuovo scritto questo mio convincimento ne esce
rafforzato. L'intellettuale non è un persona istruita, una persona
colta o, meglio, non è soltanto una persona istruita e colta, ma è
soprattutto un uomo che conosce il mondo con le sue storture, la
società, i suoi vizi, i suoi difetti, le sue meschinità, ma anche la
sua grandezza, la capacità di rinnovarsi, se solo lo volesse, le sue
ingiustizie, ma, contemporaneamente, il suo anelito di giustizia.
L'intellettuale è un uomo che ci presta i suoi occhi per farci
conoscere meglio il mondo, il suo presente, ma anche un suo possibile
futuro, la cruda realtà e i sogni, alcuni dei quali a volte si avverano
o, quanto meno ci aiutano a sopravvivere. Ecco, qui sento il bisogno di
ringraziare Salvatore ogni volta che mi presta i suoi meravigliosi
occhi.
Peppino Marino
SE
chi ha pagato tutte le crisi passate e presenti, di questo e
dell’altro mondo, non ce la fa più e decide perfino di farla finita;
SE non sappiamo più dove lasciarci cadere morti;
SE c’é chi non ha mai pagato nulla e non ha mai avuto bisogno di
chiedere un mutuo;
SE loro non sanno in quale delle loro ville andare a riposare;
Se c´é chi dorme su un materasso di denari e chi dorme per terra;
Se bussano alla nostra porta ed abbiamo paura di aprire perché aprire
vuol dire lasciare aperto un varco alla povertà che dilaga e ci fa
paura;
SE ci hanno convinto che la guerra é fra chi non ha nulla e chi ha
qualcosa ancora da mettere sulla tavola;
Se lavoriamo per pagare le tasse invece di pagare le tasse per vivere un
pò meglio;
SE versarsi addosso della benzina comincia a diventare proibitivo oltre
che orribile;
SE il cielo é sempre più scuro ed alle nubi possiamo toccare il culo;
SE il compito della politica, il dovere dei Governi é fare buone leggi
che rendano possibile e più semplice la vita e la
felicità della gente;
SE il 20% possiede tutto e l’80% quasi niente;
SE la dignità non é un pezzo di pane;
SE senza un pezzo di pane é molto complicata una vita degna d’essere
vissuta;
SE il rito della rappresentazione democratica si manifesta attraverso il
voto;
SE non siete capaci di fare una legge elettorale semplicemente decente,
lasciando tranquilli maiali e vacche che non c’entrano niente con la
vostra indecenza;
SE alle urne non ci va più nessuno per l’impossibilità di esercitare
il diritto democratico di poter scegliere;
SE nonostante tutti questi professori - salvatori, questi cavalieri di
tavole rotonde e quadrate, qui non ci salva nemmeno lo spirito santo,
ebbene allora LASCIAMOLI SOLI.
E forse .....”é giunta l’ora che volge al desio” ed il gesto più
“rivoluzionario” é preparare una via di fuga, un progetto di vita,
di relazioni umane possibili, in un altro luogo, in un posto dove
ancora si può vedere come il cielo abbraccia il mare e la sera
é un pentagramma di colori.
Naturalmente continua intatta in me l’ammirazione per tutti quei
movimenti che lottano per un
altro mondo possibile, un mondo in
cui tutti quei SE si possano riempire di giustizia ed uguaglianza ed
incoraggio i giovani a proseguire la loro lotta per un presente degno e
più giusto. Anch’io ci provai e lasciai sul cammino splendide e
dolorose esperienze. Ma ho giá dato e gli anni ti azzannano come un
branco di lupi.
Un vecchio film di tanto tempo fa s’intitolava ironicamente e
drammaticamente “La classe operaia va in paradiso”, a me han parlato
di luoghi bellissimi e lontani e nascosti dietro l’angolo dei nostri
sogni, sul ciglio dei desideri, di paesi dove si puó vivere degnamente
con 1000 euro al mese e perfino con una misera pensione previdenziale,
dove l’energia costa una manciata di centesimi ed il sole non manca
mai. Sarà vero, sarà falso? Non lo so, mi piacerebbe verificarlo.
Forse questo tipo di mobilità bisognerebbe cominciare a prenderla in
seria considerazione.
Si dirà: é una risposta individuale a un dramma collettivo. Può
darsi, ma chissenefrega!!!!! E
poi, quale sarebbe l’alternativa? Persino Gesù ebbe qualche dubbio
sulla possibilità di redenzione: ci mise tre giorni per risuscitare,
non sapeva se sarebbe valsa la pena.
É una resa, ma io decido le condizioni: a voi le “armi”, a me gli
spazi aperti ed un altro orizzonte ed il piacere di decifrare i
paradigmi di un nuovo alfabeto, di un linguaggio in armonia con i miei
desideri.
Mai nessuno é riuscito ad emendare il passato, ne credo valga la pena.
Io solo vorrei un altro presente dato che avete ipotecato il futuro.
Se molti di quelli che stanno soffrendo le magnifiche sorti di questa
società dell’opulenza riusciranno a mettersi in salvo( molti lo hanno
già fatto) non lo faranno a cuor leggero. La colpa é tutta di uno
Stato ( Italiano, Spagnolo, Greco, Portoghese, non importa) che ha rotto
i patti con i suoi cittadini e non riesce a garantire le condizioni
minime per poter vivere, uno Stato che ti toglie anche la voglia di
continuare a farne parte. Ribellarsi é giusto e fuggire via
e non farsi trovare se non da chi noi vogliamo é un modo di
ribellarsi con altri mezzi. La vita é unica ed irripetibile e
lentamente si consuma. Possiamo rimanere qui nel nostro letto a sognare
oppure andare a scovare i luoghi sognati e dare un altro senso al tempo
che ci rimane. Non so se un giorno troverò il coraggio per fare questo
passo nel vuoto. Non so se saprò assaporarne le vertigini, ma vorrei
tanto vivere questa sensazione di rimanere sospeso tra il sogno e la
realtà. Fuori dall’incubo
La
differenza tra un intellettuale e un uomo di normale intelligenza o,
peggio ancora tra un intellettuale e uno dei tanti peones che affollano i parlamenti di
mezzo mondo consiste nel fatto che l'intellettuale non solo riesce a
vedere molto più lontano, più in profondità e molto tempo prima quel
che accade o accadrà nel mondo e nella società, sia nel bene che nel
male (soprattutto nel male), ma sa anche spiegare con parole e concetti
semplici le cose, proporre soluzioni semplici, ma efficaci puntualmente
disattese dai milioni di stolti che si lasciano abbindolare dai potenti
che, sin dagli albori dell'Umanità reggono le sorti del mondo per
delega degli stessi stolti come gli indios dai vetrini di Colombo. Così
milioni di intelligenze, esseri pensanti, scatole craniche piene, molto
spesso di materia grigia di qualità, anche se da come si
comportano non sembrerebbe, si sono trasformati da esseri umani in
smodati consumatori nella ridicola convinzione che ciò ci fa star tutti
meglio. Per fortuna ci sono ancora intellettuali come Salvatore capaci
di farci fermare un attimo a riflettere e di mostrarci un possibile
mondo diverso e, forse probabilmente più felice. Peccato che, come
sempre, ci ostiniamo a guardare il dito e non la luna. Provare, per
credere, a leggere questo nuovo intervento di Salvatore.
Peppino Marino
TEMPI MODERNI
Si
consuma per produrre e nel modo più veloce possibile. Usare e gettare.
Poi, se nella spazzatura finiscono anche pezzi della nostra vita, beh
peccato. Certo non tutti consumano, ma questo é un altro discorso.
La caratteristica di un prodotto non é la sua utilità
e nemmeno quanta vita
possiede, ma la sua estetica, cioè la sua parte effimera che, nomen
omen, dura poco.
Siamo passati, come direbbe Zygmunt Bauman, “dall’etica del lavoro
all’estetica del consumo”, da cittadini a consumatori.
Si producono moltissime cose inutili che servono soltanto a riempire di
rifiuti il nostro pianeta che, come tutti sanno e quasi tutti ignorano,
é finito anche se con noi ha una pazienza infinita. Si producono cose
che spesso servono soltanto a riempire gli scaffali della nostra vanità.
Dicono quei depredatori, che dirigono il mondo, che bisogna ridurre il
debito che loro stessi hanno contribuito a generare. E la riduzione
comincia massacrando milioni di persone che non sanno minimamente che
significa edge found, derivati tossici, subprime e merda varia. Cioè la
soluzione comincia non sequestrando i beni di tutti questi delinquenti
freschi di manicure, ma affamando la povera gente già affamata, con le
unghie sporche e nere come il futuro e a cui nessun carnevale riesce più
a strappare un sorriso.
I politici banchieri ( e viceversa) hanno un solo obiettivo: salvare le
banche e i loro privilegi. Il mio sogno sarebbe eliminare tutte le
banche private. Con una Banca Pubblica che si dedicasse a rastrellare
denaro per poi prestarlo a quelli che ne hanno bisogno, senza chiederti
per questo anche l’anima, già mi riterrei rozzamente soddisfatto. Ed
essendo un sogno non saprei se é “tecnicamente” possibile.
Dicono i politici d’ogni luogo, d’ogni colore: bisogna ritornare a
crescere, bisogna creare occupazione. Dopo le manovre lacrime e sangue,
quando avranno finito di tagliarci oltre la speranza anche le mani, per
impedirci di afferrarli per il collo, vedrete che torneremo a crescere
più belli e più forti che pria. Ed il bambino pantagruelico che é
dentro di noi, giá si lecca i baffi. Mentono senza pietà, senza
scrupoli.
Per
competere con i paesi emergenti, con le economie più forti, bisogna
puntare sulla qualità del prodotto e ciò é possibile, lontano dai
parametri cinesi ed al netto dei vizi quasi esclusivi del nostro paese,
soltanto con l’innovazione tecnologica. D’altra parte, se
l’innovazione produce un aumento della produttività, provoca anche
una riduzione della forza lavoro impiegata. Quindi, se produciamo di più,
se l’offerta é superiore alla domanda e, contemporaneamente,
diminuisce il monte salari, come é possibile assorbire tanta
produzione?
É semplice: facendo crescere il debito la cui riduzione si indica come
conditio sine qua non per uscire dalla crisi.
Spesso mi appisolo sul divano guardando i documentari dove appaiono gli
animali di tutto il “creato”. Un giorno sognai che, sotto il
calduccio di una coperta, un branco di leoni guardava la tele e
commentava le gesta di alcune fiere particolarmente feroci.
Strangolavano le prede pià deboli e poi si facevano il segno della
croce. “ Non lo fanno poi così male”, dicevano, mentre con dolcezza
leccavano i loro piccoli.
Rino Girimonte (Salvatore Secreto)
Avrei voluto e potuto inserire questa lettera di Salvatore nella
rubrica "le vostre lettere" nella quale raccolgo le mail che
mi scrivono tanti amici per ringraziarmi del lavoro fatto per questo
sito o per esternami le loro impressioni. Ho preferito, invece, metterla
fra le sue "cose" poiché la ritengo uno dei suoi tanti
capolavori letterari, una semplice, grande lettera nella quale il nostro
amico ci spiega, in medo semplice, oserei dire pudico, ma nel
contempo esauriente e meraviglioso, la sua poetica, la corretta
esegesi dei suoi scritti. E nel far ciò finisce, ancora una volta,
inevitabilmente, essendo questa la natura dell'uomo, la linfa che
alimenta il suo essere, il sangue che scorre nelle sue vene e nella sua
carne, per far nuova poesia. Provare per credere a leggere,
con attenzione e con la mente libera dalle angosce e dalle miserie
quotidiane dell'esistenza, questo periodo: "Non
mi succede mai di dire: domani mi alzo e scrivo un verso. Accade sempre
che un colore, un odore, un ricordo, brandelli d’un sogno, le sequenze
della solitudine, lo scricchiolio di un mobile nella notte che sembra
voler fare due passi per sgranchire le ossa, la goccia del rubinetto che
cade come un singhiozzo permanente, cioè qualsiasi cosa può partorire
una vendemmia d’uva dolce."
Non
oso ancora rubare altro tempo al lettore o abusare della sua pazienza e
lo lascio a godere di questa preziosa perla meritevole di figurare in
ben altro e autorevole scrigno.
Peppino Marino
Compañero,
ti mando questi spunti o "spuntature"
Carissimo Peppino, prendo spunto dai tuoi sempre squisiti e lusinghieri
commenti ai miei “pruriti” letterari, per spiegare e spiegarmi come
nasce questo bisogno di dare alla luce quelle piccole “creature” che
si agitano dentro di noi. Per spiegare e spiegarmi ( verbo
pedagogicamente presuntuoso) l’assenza di un racconto precostituito,
l’inconsapevolezza di un progetto e di una “tecnica dei
sentimenti”. Non mi succede mai di dire: domani mi alzo e scrivo un
verso. Accade sempre che un colore, un odore, un ricordo, brandelli
d’un sogno, le sequenze della solitudine, lo scricchiolio di un mobile
nella notte che sembra voler fare due passi per sgranchire le ossa, la
goccia del rubinetto che cade come un singhiozzo permanente, cioè
qualsiasi cosa può partorire una vendemmia d’uva dolce. O amara.
Naturalmente la chitarra deve almeno avere qualche corda per poter
vibrare.
Non c’é mai un’idea, un concetto all’origine di un
verso, ma sono i versi che, come ballerini, compongono e scompongono
figure, immagini, arabeschi. Ed ognuno, secondo i filtri culturali
ed esistenziali, interpreta a suo piacimento, per riempire i propri
vuoti a perdere o, semplicemente, per regalarsi un’emozione.
Nel cuore, nell’anima, s’aggrovigliano le parole che, come perle di
sudore, scivolano dalla nostra fronte fino al fiume e, di li, verso il
mare dei sentimenti e delle emozioni
Poi si perdono nel nulla ma quell’attimo, che ci riconcilia con la
bellezza, già ci appartiene. Volendo e vincendo le nostre pigrizie,
sempre possiamo riscattarle dai fondali profondi dell’indifferenza.
Il
senso, la simbologia, l’enigmistica metaforica, é una ricerca che
faccio, quando la faccio, sempre a posteriore. Viene dopo aver goduto
della musicalità, del ritmo.
Quando
mi chiedono di spiegare un strofa, spesso
non so che dire e mi rifugio nella musica. Ecco, la musica. Una strofa
di quattro versi deve suonare come un giro armonico composto di quattro
accordi.
É
come una danza indiana. I movimenti del corpo, la sonorità, auspicano
il compiersi di una magia, l’avverarsi di un auspicio ma, alla fine,
é lo svolgimento del rito stesso che nasconde il sapore
degl’ingredienti magici, il benessere di una catarsi. Anche perché é
difficile pensare, almeno per noi, che picchiare su un tamburo possa
provocare una “commozione fra le nuvole”. Come diceva De Gregori,
“...E non c’é niente da capire...”
La
poesia é un po' come l’utopia, una splendida signora che sembra stia
lì, sulla linea dell’orizzonte ed ogni tanto alza un braccio per
indicarci la direzione, il senso di marcia, ma più ci avviciniamo, più
lei s’allontana, più la cerchiamo e meno la troviamo. Ed allora, “a
cosa serve l’utopia”, domandò uno studente ad un famoso scrittore.
“ Non serve a niente, però ci aiuta a camminare”, rispose.
Nel
momento preciso in cui evadono dalla prigione nella quale le teniamo
rinchiuse, le parole già non ci appartengono, s’offrono come
prostitute generose, gratis a tutti i clienti. E, per chi le scrive, non
c’é maggior piacere che scoprirne di nuove, metterle in fila o alla
rinfusa con la speranza che riescano ad avvicinarmi alla mia stella, per
abbracciarla prima ancora che si spenga. Ossia: non c’é proprio
niente da capire, soprattutto se sono io il maestro che deve spiegare e
soprattutto perché ognuno é ammiraglio della propria nave.
Con
questo bellissimo componimento che consiglio di leggere e rileggere on
molta attenzione per goderne appieno la bellezza Salvatore vinse,
due anni fa, un concorso letterario. Il lirismo del nostro amico poeta
è il filo conduttore di tutte le sue opere, ma in alcuni versi, come
quelli della strofa
Il
corpo gode,
geme, suda ed implora,
la sua luce é una stella che s’allontana
ed un suicidio di cellule m’avvicina
alle soglie del crepuscolo che mi sfiora.
tocca,
a mio avviso, vette altissime.
Peppino Marino
Le parole scemano nel tempo
Le
parole scemano nel tempo,
ed io, chiuso qui, in questa stanza,
giocai con l’amore e la speranza:
acqua fresca che disseta il mio sgomento.
Tornerò
quando s’acquieterà lo scempio,
nel fuoco delle idee nascosi il mio silenzio,
cornacchie di schiuma agonizzano all’orizzonte,
le vene corrono in cerca del loro sangue.
Uomini
che vivete mascherati,
nelle pieghe della memoria, sui selciati,
nelle visceri del mondo, nei solai,
nelle pagine dei libri, negli addii:
umani sono i sogni lacerati,
amare le storie dei battuti.
Nella notte gelida la mia chitarra piange,
accordi fragili che cadono dalle dita,
come il ronzio d’un lamento distante,
come un sorriso che nasce senza vita.
Il
corpo gode,
geme, suda ed implora,
la sua luce é una stella che s’allontana
ed un suicidio di cellule m’avvicina
alle soglie del crepuscolo che mi sfiora.
Fichi
d’india abbracciati nelle cunette,
come catena di mani che lambisce
tutti i naufraghi fuggiti nella notte:
la speranza é una lucciola che resiste.
Volli
leggere il libro dell’Universo
sotto il cielo del diritto, nella terra del rovescio:
Non ho più nulla da chiedere se non il perdono
alle persone amate, a quelle offese invano,
ai giorni che non ti ho avuta,
per la mia vita esagerata,
ai viaggi senza ritorno che allontanano il traguardo
e non c’é più, sull’altra sponda, neanche più il ricordo.
Terminar
non so questo poema,
chi leggerà ormai i miei stupidi versi?
L’inchiostro più non tinge, é già finito;
ma se rettificar potessi la mia storia
non saprei se viverla d’un solo fiato
o assaporarla a piccoli sorsi.
Ma
come posso rinunciare alle tue labbra,
a quei viaggi insieme, fino all’alba,
alla sequenza di baci, la luce del tuo sorriso,
ai tuoi piedi freddi, gl’istanti di paradiso,
la lingua di fuoco, il piacere, il pianto,
pioggia di primavera per il mio tormento?
Come
posso fare a meno del mistero, dell’aroma del fieno nel granaio,
dei palpiti di una nuova era, del pane che cuoce il fornaio,
dei giorni che trascorrono come una danza,
del vortice di passione che m’incatena?
Chissà
terminar non voglio questo poema
e le parole son colombe di breve vita
che scivolano come gocce sulla tua finestra
aperta ogni notte per l’incontro.
Il
mio sogno é sparire nei tuoi occhi,
e,
quando la luna scenderà tra gli ulivi
e le palpebre saran cariche di stanchezza,
canterò una canzone, vita mia,
e morirò una volta ancora fra le tue braccia.
Salvatore Secreto ci ha inviato delle pregevoli riflessioni su alcuni
dei problemi più gravi che affliggono l'Umanità che arricchiscono noi
stessi per primi, poi anche questo sito. Salvatore sa farci riflettere
sulle cose e sugli uomini usando un'arma molto efficace: la poesia,
un'arma capace di radere al suolo anche il più inespugnabile fortino
dell'indifferenza e dell'egoismo.
LE DUE
SPONDE DELLA SPERANZA
Quando
il mare si spezza e si fa onda, nel Mediterraneo, come in un cimitero
liquido, si celebrano esequie collettive e, in questa eclisse salata,
ogni naufrago s’afferra al suo scoglio, s’abbraccia ad una sirena di
speranza, mentre i pesci portano in bocca un fiore di pietà.
Il
sole della libertà sembra svegliare i popoli dell’altra sponda e i
dittatori fuggono con la cassa piena di denaro ed infamia. La geografia
della paura, la fragilità dei nostri tempi fragili, scrivono un
racconto che sfugge alla realtà virtuale alla quale siamo sottomessi.
Gli occhi spiano le nubi cariche di cenere radioattiva, 50 samurai
lottano per placare la bestia nucleare, il popolo d’oriente
c’insegna la disciplina del pianto, la dignità di fronte al diluvio
universale, mentre gli altri, pazientemente, cerchiamo la radice
quadrata dei venti, l’incognita di questa equazione, la variabile
indipendente della natura con la sua bellezza e la sua potenza
distruttrice. Per contare i morti non sono sufficienti le dita della
mano e la più poderosa tecnologia non é riuscita a scongiurarli.
Il
numero 11 sta meritandosi un luogo privilegiato in questo calendario del
dolore e, mentre abbiamo ancora nelle orecchie e nel cuore l’eco del
tremore, che rimbalza di parete in parete, piango i morti dell’ultimo
terremoto di Lorca. Dalle case più umili alle chiese che custodiscono
la solennità del mistero, dalle scuole con i loro saperi ai focolai con
i loro sapori, torneranno a rivivere. Con l’aiuto del suolo, la
solidarietà delle persone buone, torneranno ad alzarsi. Con criteri di
massima sicurezza che, disgraziatamente, chi é preposto spesso
dimentica in beneficio del massimo profitto, riprenderà la vita,
tragicamente interrotta. Quando tutto é ancora macerie, rivendico la
bellezza di questi luoghi e la necessità di amministrarli con onestà e
passione, con saggezza e amore, perché é qui dove vivono i nostri
sogni, perché é qui dove abbiamo la speranza d’essere
felici, perché é
qui dove cresceranno i nostri figli.
Eppur
si muove, diceva Galileo, e altri tremori si manifestano nelle piazze
della Spagna, nelle città italiane, nei cieli d’Africa, nelle
periferie latinoamericane. Il tam tam cresce nella rete, la
comunicazione circola nelle vene di un sistema che non da risposte e non
permette domande. Le nuove generazioni stanno rimanendo senza pagine su
cui scrivere, non hanno più inchiostro per la loro calligrafia, non
hanno nulla da perdere ed a nulla vogliono rinunciare. Sono stanchi di
aspettare il futuro e verso il futuro vanno correndo. Nessuno può
interpretare questa voce collettiva ed é per questo che cantano la loro
canzone. Dicono : “SE VOI C’IMPEDITE DI SOGNARE, NOI NON VI FAREMO
PIU' DORMIRE”.
Note
sparse
Fino
a qualche tempo fa pensavo che, in guerra come in amore, era conveniente
essere, almeno, in due. Dopo una breve riflessione durata, più o meno,
quanto la mia vita, ho capito che, forse, non sarebbe del tutto
sbagliato avere un po' d’amor proprio.
Allora, una volta compreso che non sono un’anima pura, ho cominciato a
dubitare del sesso degli angeli. Un percorso per ripidi e splendidi
pendii che mi hanno condotto dall’isola dell’ideologia
all’arcipelago delle idee, a cercare empaticamente di capire le
ragioni dell’altro, a interrogarmi se il peso ed il luogo che occupo
nel precario equilibrio della biosfera
riveste piú importanza di un verme rosso della California.
Ho cercato, sto cercando ancora, di capire se sto facendo qualcosa di
cui mio figlio, in seguito, dovrà vergognarsi. Davvero difficile da
capire, in questo cortocircuito della comunicazione nel quale siamo
tutti intrappolati. Ma vorrei guardarlo negli occhi e leggere il suo
futuro non in termini di PIL, ma con altri parametri, altri indicatori,
che tengano conto della sua felicità, del suo benessere e non del suo
“bentenere”. Ecco, il PIL, questo taumaturgo che misura tutto,
tranne ciò che rende la vita meritevole d’essere vissuta. Questo PIL,
come diceva Robert Kennedy, che non ha spazio nella sua contabilità per
la salute dei nostri figli, la qualità della loro educazione, la gioia
dei loro giochi, la bellezza della nostra poesia.
Sto cercando, perché già ho capito, di adattare la mia esistenza in
armonia con una legge fondamentale della fisica, quella legge
cioè che ci dice che
non é possibile una crescita illimitata in un sistema finito.
E che da questo treno, un giorno, tutti scenderemo senza aver avuto il
coraggio di chiederci se l’odio, l’invidia, la violenza,
l’intolleranza, il non rispetto, la sopraffazione, lo sfruttamento,
l’ingiustizia, erano davvero così inevitabili e quanto ha giocato la
mia indifferenza nella loro affermazione e cittadinanza.
Abbiamo concesso molto, troppo al peggio di noi stessi, essendo capaci
anche del meglio. Come é possibile che di fronte alle brutte cose solo
siamo in grado di dire che nell’orto del vicino ce ne sono ancora di
peggio? La tua verità e la mia non verità vengono contabilizzate
entrambe, ed entrambe contribuiscono a
formare il bilancio dell’esistenza.
Ma é difficile ragionare. E poi Roma é pur nata da un omicidio!!!
Non vi sono regole compartite, basiche per cui é impossibile una
convivenza fatta di comprensione, di compassione, di differenza sulle
idee ma nel rispetto della persona.
No, bisogna vincere, l’imperativo categorico é annientare il
“nemico” in una guerra reciproca, questa si, con la par condicio,
dove se uno dice: piove, l’altro risponde: c’é il sole e, nessuno
dei due si gode la bellezza della pioggia, la luminosità del sole.
Troppo occupati a guerreggiare fra di loro, senza capire che può
piovere anche quando c’é il sole.
L’indipendenza , certo relativa, delle idee, l’indipendenza
dall’ideologia, certo sarebbe bello!!
E se uno dei “miei” é un mascalzone, non spulcio nelle file
“nemiche” in cerca di un altro mascalzone per autoassolvermi e cosí,
en passant, cementificare la coscienza.
Entrambi, in ogni caso, abbiamo un problema. A entrambi conviene
liberarci dei due mascalzoni, perché 1+ 1 non é = a zero.
Possiamo continuare a correre in questa pazza pornografia della fretta,
possiamo continuare a non
sentire le grida che la natura c’invia, possiamo mantenere il
battito del nostro cuore in disarmonia con la nostra terra, possiamo far
finta che la profondità dell’insulto, dell’aggressione
all’equilibrio sottile del pianeta é un costo inevitabile al
“progresso” dell’umanità, oppure possiamo provare a far qualcosa
per impedire tutto questo. E non sono vagiti di una sibilla. Migliaia di
scienziati di tutto il mondo ci stanno avvisando da tanto tempo, ma non
ascoltiamo.
Dicono che i dinosauri, 65 milioni d’anni fa, si estinsero per
l’impatto d’un asteroide sulla terra. Qualcuno insinua che,
comunque, erano predestinati all’estinzione perché non si
accarezzavano a sufficienza.
E noi, miseri bipedi, altro che carezze! Stiamo lasciando sul nostro
pianeta un’impronta ecologica indelebile.
Siamo tutti presi dalle nostre piccole battaglie, pubbliche e private,
siamo tutti affascinati dalla cetra che suona Nerone mentre sta
bruciando Roma.
E adesso, si dirà: Ma questo qua, mo’ che vuole? Che si é perso?
Dove vuole andare a parare con questa specie di semone? Con chi ce
l’ha?
Ecco, tranquilli, non ce l’ho con nessuno. A volte uno scrive solo
perché ne ha bisogno. É come una terapia. E se, sgranando questo
rosario confuso, leggendo queste parole almeno uno, uno soltanto di voi
sente che non sono dirette contro qualcuno ma, al contrario, cercano di
intercettare la sensibilità di qualcuno, allora sarò contento di
averle pensate e scritte.
NAVIGARE
Ho
strappato le foglie all’albero del tempo
per contare le assenze, i dolori del mondo,
scommettendo sul nero quando vinceva il bianco,
dribblando il destino per continuar giocando,
quando fuori il sol brillava e, dentro, solo il vento
sfogliava il mio sorriso, asciugava il pianto.
Ho
contato le onde per arrivare al porto,
non mancava nessuna, eran tutte al suo posto,
ed ogni sirena scivolava leggera come un concerto,
ogni naufrago cercava il suo scoglio a cuor sgomento,
ed un cielo capriccioso guardava con dispetto
le labbra di schiuma nel mare aperto.
Mi
affacciai sul fiume e fu un istante:
le parole nell’acqua scorrevano lente,
le vedevo passare sotto il ponte
bagnate, vuote, inutili, spente
come mosche fastidiose sotto un sole cocente,
come salmoni impazziti risalendo la corrente.
Ho
visto un raggio di sole ed erano i tuoi occhi,
sorgenti di lacrime, fra le cime, nel vuoto, persi
tra il labirinto del buio, la troppa luce dei deserti
un soffio di primavera che un giorno perdetti,
e quando l’ansia fiorisce esco fuori a cercarti
nella profonditá dei sogni, negli occhi degli altri.
Ho
vissuto i miei giorni come un soffio, un sospiro,
graffiando con le unghie le veritá ed il mistero,
cercando di vendere i miei affanni, il mio credo,
brandelli d’umanitá, uno straccio di pensiero
progetti d’ altri mondi, senza confini, che io ignoro,
desideri, bisogni, sussulti di decoro.
In
occasione
della
presentazione del romanzo "Il due di bastone" di Olimpio
Talarico, Salvatore Secreto ha scritto:
Il
viaggio più lungo
Il
viaggio più lungo, così come la più intima e breve avventura,
comincia sempre con un piccolo passo. E mi riempie di gioia
accompagnarti, caro Olimpio, in questo tuo battesimo letterario, in
un’epoca in cui il senso delle parole, le verità che narrano, la luce
che proiettano sopportano a volte, con tutta evidenza, l’indecenza e
l’indegnità di chi queste verità racconta.
É un momento di gioia perché, nonostante le diaspore, le migrazioni,
gli esili dell’anima, ci sentiamo di questa terra e, quando uno di noi
ci regala un motivo per sentirci orgogliosi di essere caccuresi, ebbene
io lo celebro e ne gioisco.
La memoria é un treno che ritorna, che scorre lungo ogni sua
stazione, che sfiora ogni tua stagione. Un pentagramma di aromi e
ricordi che scivolano via sul binario del tempo.
Ma ancor prima ci sono i fatti, l’esperienza, ed é un fatto, una
fortuna per me aver incrociato, fin da bambino, una persona dolce e
tenera come tua madre, la mia cara, giovane maestra che, in pochissimo
tempo riuscì a trasmettermi molto di più dei primi rudimenti della
conoscenza.
Ricordi antichi che si alimentano ad ogni nuovo incontro. E per lei,
tenerti qui, in questa circostanza é, ne sono certo, la più dolce ed
efficace delle medicine, quelle che curano nel più profondo
dell’animo, quelle che danno una ragion d’essere a una madre:
l’orgoglio per il proprio figlio.
Mi sento lusingato, caro Olimpio, di meritare la tua amicizia. Non
t’inganno, non ho avuto il tempo materiale di leggere il tuo lavoro,
ma mi fido del tuo sguardo, del tuo sorriso. Se solo una piccolissima
parte della tua straripante umanità sarai riuscito a far scorrere in
queste pagine, il tuo sforzo sarà ricompensato, ne sarà valsa la pena.
Ed io te lo auguro.
Siamo qui per levare l’ancora e soffiare sulle vele. Tu già sai che
le tue parole sono colombe di breve vita, già non ti appartengono, sono
già in balia di pirati e bucanieri, sono sostanza per i pesci e
pescatori solitari. Ma le parole anche ci sopravvivono e,
comunque, il naufragio é una tappa ineluttabile nell’orizzonte di
ogni esistenza. Ti faccio i miei più sinceri ed affettuosi auguri e ti
prometto che rispetto al tuo prossimo libro sarò molto più critico e
severo. E, soprattutto, lo leggerò prima.
Ancora
una grande poesia del grande Salvatore, un poeta vero, capace di toccare
le corde più sensibili dell'animo umano, un uomo che ha sempre
qualcosa da insegnarci, che sa commuoverci, affascinarci, ma,
soprattutto farci pensare, riflettere ed apprezzare la nostra esistenza.
Grazie, Salvatore, grazie di cuore.
Peppino Marino
IL CAMMINO
Lo sanno tutti, non serve l’indovino:
Il cammino diritto non é uguale al retto cammino.
Il cammino contorto non é un vicolo cieco,
é uno spazio aperto, con uscite generose,
curve sinuose, salite, discese,
verso l’azzurro del cielo,
la profondità dell’incerto;
Una bussola d’incognite,
una rotta con tante soste,
per riposare, prendere il te con limone e paste,
specchiare il sorriso con il verde dei tuoi occhi,
mangiare una mela, mordere un seno,
scivolarti dentro, leggero
come il veleno.
Senza fretta, lascerò passare tutti all’incrocio
perché il mio tempo é mio, non é vuoto,
e passerò quando un soffio scuoterà la neve,
quando il gallo annuncerà il sole.
Perché la terra, voi lo vedete,
non smette di girare
e gira anche la Primavera,
il destino e la nostra storia.
Per quelli che non hanno nulla,
perseguiti dalle ombre, la rogna, la guerra,
per quelli a cui ogni diritto é negato
e se pur bisogna andare, cammineran a ritroso,
con il viso sporco, il cappello vuoto.
E vagano derisi verso il ritorno
come rondini inseguite dall’inverno,
con le scarpe sulle spalle,
ed il giorno che si spegne.
Per quelli che gridano per gli altri
con le parole dell’inganno, per ingannarti,
per quelli che odiano dentro fino ad odiare se stessi,
per gl’inginocchiati, i supini, gl’indecisi,
per quelli il cui pensiero é un impaccio
e la libertá un dolce indigesto.
Per quelli che hanno tutto e tutto non é niente,
cacciatori di quaglie, di sorrisi della gente,
con l’anima in forziere
e i conti sempre da fare,
con segreti che sussurrano
e sussurri che minacciano.
Anche per voi la ruota gira
e, senza né pena né gloria,
l’eterno si contraddice:
una lacrima, una preghiera e una croce.
E già, se la pena durasse un istante e il finale fosse un miracolo,
non mi sarei perso su questo cammino,
né accelerato senza pudore,
con i polmoni al limite,
i vuoti a perdere
e la fantasia a spingere,
lasciando sfuggire l’occasione
di asciugare tutte le lagrime,
di piangere tutte le perdite
e mancare le mie rivincite.
Di silenzio si veste la notte,
quando tutte le verità son certe
e in ogni vicolo una stella cade,
e in ogni sogno, un sogno riappare
per frammentare la vita in rivoli d’oro,
giocar con la speranza e morir davvero,
ricucir le ferite e riprendere il volo.
Che sia più sicuro il cammino diritto, mi lascia perplesso.
Dipende dai segnali che incontri, lo scopo del viaggio, i limiti, il
percorso.
Dipende dal contesto.
Non c’é pioggia senza nuvole,
non c’é luce che rinunci al bagliore,
ed io mi sporgo sulle tue labbra di fragole
e ti lascio queste parole.
E poiché il tempo fende la sua lama
nella mia carne
e il vento sempre raccoglie nuove voglie,
resterò ai tuoi fianchi appeso fino al mattino,
per cantarti la canzone più dolce e poi,
e poi via di nuovo, lungo il cammino.
Auguri di Buona
Pasqua
La
memoria é il magazzino del passato dove i morti continuano a vivere.
Tutte le persone a me care, giá scomparse, rivivono negli scaffali dei
ricordi. Penso ad uno di loro e subito si accende il profilo, un gesto,
un dettaglio, un episodio, una frase.
Passo in rassegna i loro volti ed é incredibile il rilievo che assumono
in me all’istante. É come se un pittore li disegnasse e mi facesse
dono del dipinto.
C’é un’esistenza autonoma, estranea alla morte, che vive in noi,
che perdura nel tempo presente e si alimenta con il pane vecchio, con
sussurri di note antiche, con l’eco di parole spente che si
affievoliscono fino a scomparire, come i cerchi d’acqua nel fiume
quando un bambino tira una pietra.
Ma c’é di più. Li penso ad uno ad uno, infaticabili viaggiatori a
nessuna parte, e m’appaiono con il loro sorriso e dimentico le grida,
gli sgarbi, le cose brutte che pure hanno abitato la nostra relazione.
C’é una sorta d’indulto del negativo e solo le cose belle rimangono
a galla in questo mare delle assenze. Ci rendono migliori ed il rancore
coltivato in vita svanisce come un omaggio alla loro scomparsa.
Non risorgono queste anime come Gesù, ma solo perché non sono mai
morte per davvero. E le processioni mentali sono libere d’imposte e
non soccombono al calendario ne alle stagioni dell’emergenze.
Nelle stazioni del dolore ognuno asciuga le proprie piaghe e disseta la
bocca che ha amato. Ognuno ha il suo Cristo in croce, ma le lacrime non
hanno colore e sono tutte salate.
Persino nel linguaggio comune la morte é protagonista involontaria di
un curioso movimento “dell’immobile”, per cui quando uno muere
“se ne va”, “transita” anche se, naturalmente, non c’é niente
di più quieto di un morto.
Ed ancora, ci sono persone che é difficile sotterrare, che resistono più
di altre, così come ci sono vivi da tempo giá morti. Ma questa é la
vita, cari miei, prendere o lasciare e quando io non ci sarò più,
resterà il ricordo di me in qualche parte dell’universo, fra l’erba
dei campi, alimento dei pesci, nido per gli uccelli, rifugio delle
formiche, sostanza e cibo per nuove esistenze, insomma il ciclo che
riparte, con tutti i misteri, poche certezze ed una canzone che non
riesco propio a dimenticare.
Solo una morte é definitiva: quella che la mente cancella.
Buona Pasqua a tutti.
Lo sguardo
Lo sguardo,
come l'udito, bisogna educarlo.
Il
disordine dei nostri tempi s’inscrive dentro un ordine predeterminato e
ferreo. Il suono più famigliare é il tam-tam di guerra, violenza e banalità.
“Quale
sfinge di cemento e alluminio gli ha
sfracellato il cranio e gli ha divorato il cervello e l’immaginazione?
Moloch!
Solitudine! Lerciume! Schifezza! Spazzatura e dollari inafferrabili! Bambini che
strillano nei sottoscala! Ragazzi che singhiozzano negli eserciti! Vecchi che
piangono nei parchi!
....Moloch
mentale! Moloch duro giudice di uomini!
….Moloch prigione incomprensibile! Moloch galera, teschio di morte
senz’anima e Congresso di dolori!”
Era
“L’Urlo” di Allen Ginsberg, lontano nel tempo:
1956. Hasta siempre, poeta!
Siamo
cechi e viviamo la nostra cieca vita nella più assoluta oscurità.
Siamo
carne da sondaggio, reliquie statistiche, numeri freddi. Tutto é ben
organizzato dentro una gerarchia di valori
(?) e contro l’imprevedibile trascorrere della natura.
La
tecnica, la Scienza, la Democrazia: aggeggi mitologici dei nostri tempi,
riconducono l’istinto di libertà nel letto di un fiume asciutto, nella gabbia
dorata del Sistema. Aggeggi, forse necessari, però non producono felicità.
La storia dell’umanità ha conosciuto esseri straordinari, fuori dal comune:
metà uomini e metà caproni.
Nessuno sfugge e la complessità di un uomo é archiviata in una banca di dati
di un cervello malato.
Mi chiamano due compagnie di assicurazioni per offrirmi i loro prodotti. E
vabbè!
Sapevano tutto di me ed io niente di loro.
L’unico valore spirituale dei nostri giorni é il denaro. E la pubblicità, la
sua dottrina religiosa, registra affiliati in tutti gli angoli di questo triste
mondo.
Mi viene in mente una piccola storia:
Mentre
Confucio stava contemplando la caduta dell’acqua della cascata Lu Liang da una
altezza di 300 piedi, vide un uomo galleggiando in una turbine d’acqua
spumeggiante. Sarà un suicida, pensò. E mandò i suoi
discepoli per aiutarlo.
Cento
passi più sotto l’uomo, fischiettando, usciva tranquillamente dall’acqua.
--Posso
chiederti come hai fatto, che metodo hai seguito, chiese Confucio?
--Nessun metodo, rispose il presunto suicida.
-Entro nel vortice dell’acqua e con lui emergo.
-Seguo il cammino dell’acqua e non impongo il mio potere. É cosi che
galleggio.
Lo so, é difficile ascoltare la voce del fiume, ed é ancora più complicato
mettere le sue acque in una bottiglia, ma bisogneráà pur trovare qualcosa, un
cammino, per sfuggire al destino dell’affogato.
Io, come
vedete, non ho nessun metodo, nessuna linea da offrire. Soltanto
pongo la necessità di una riflessione. E mi rodo il fegato.
“ Sono
molto negativo, non propongo nulla ed aspiro all’eternità”.
Semplicemente, sospetto che ci deve essere un modo differente di vivere, di
guardarci, di ascoltare la natura, le sue voci, i suoi silenzi, i suoi dolori.
Di cercare la bellezza, la felicità, di trovare una soluzione all’enigma
senza privarci della possibilità di frequentare le meraviglie del suo mistero.
Senza
fretta, con passo tranquillo e sguardo sereno. Con la comprensione nell’anima
ed un briciolo di compassione fra le mani. Forse la
soluzione é lasciare aperto il cammino della ricerca. Forse, non c’é niente
da cercare.
Una
notte sognai che stavo sognando e, nel sonno, mi svegliai perché quel sogno non
mi piaceva. Anzi mi rendeva infelice. E decisi, sempre nel sonno, d’
inventarmi un altro mondo da sognare.
Con tante donne ed uomini, bambini ed anziani, giovani di tutti i colori che si
parlavano in tutte le lingue della terra, che dividevano il pane, che bevevano
lo stesso vino, che si scaldavano al sole di un mattino nuovo. Tutti con la
stessa opportunità di vivere con dignità, con gli stessi diritti, gli stessi
doveri, salutandosi con un sorriso, una stretta di mano.
Purtroppo era solo un sogno, ma non dispero.
L’amore
L’amore é il colore
dell’immenso,
Il suono del silenzio;
L’amore é il peso del ricordo,
Un sussurro, un lamento,
Il volo di due uccelli nel vento,
L’abbraccio della notte al giorno,
La precisione del sorriso,
La profondità del pianto.
L’amore contrae lo
spazio,
Congela il tempo,
Imprigiona l’attimo,
Rende vana la ragione,
Gioca con un filo di luce,
simula la guerra, a volte, la pace.
Coniuga verbi di
grammatiche antiche,
Un melange di libertá e catene,
Un fruscio d’una gonna a un ballo,
Le carezze segrete, un brivido sul collo.
Dell’amore si prende
tutto:
Il bello, il brutto,
Il chiarore d’un mattino,
La nebbia, il dubbio, l’oscuro,
Il cerchio di fuoco, le ore d’insonnia,
Il freddo d’un addio.
L’amore cerca
l’eco dell’eterno,
Fa la sponda all’infinito,
É leggero come le
farfalle,
É fatto con la materia delle stelle.
Va e viene come una
nave pirata,
Un giorno ti riempie, un’altro ti svuota,
Ha il colore dei tuoi occhi,
La curva dei tuoi fianchi,
Un
gioco, un abbaglio,
Un filo d’erba, un giglio;
Poi, d’improvviso,
Un gemito, un sussulto,
Crisi, catarsi, un insulto;
Il vuoto nelle
mani,
I
letti sfatti, promesse senza domani,
Quando le
carezze sono stanche,
E la dolcezza già si finge,
E la noia disegna il gesto
d’uno scarto, un pretesto,
un gioco al massacro,
un calvario, un simulacro.
Dal suo labirinto non
si esce,
Quando scema la speranza,
d’un colpo rispunta una luce,
Quando il cammino sembra diritto,
Retto non é il cammino,
Quando le coppe sono piene, alte in cielo
Del suo peregrinare sono schiavo.
Poi, l’autunno cade come una
sentenza,
Un coltello che apre le vene,
E ti lascia come un lenzuolo:
Sporco, fuori, di sangue,
Bianco, dentro, come la neve.
In
Caccuri 14 Agosto 2009
Un
modo come un altro per dire buon Natale a tutti.
Il prospero anno é un po' azzardato, con i tempi che corrono, ma forse
proprio per questo voglio desiderarlo con più forza.
Con
il capo chino ascoltando la musica dei venti,
Che
stai cercando, poeta, fra le pagine illuminate dei tuoi sogni?
Chi
conosce il tremore dei tuoi silenzi,
chi
resiste all’ immagini che racconti?
E
le lagrime del dubbio sgocciolarono fra le tue mani vuote
e
da tanta solitudine arrugate.
I
tuoi occhi, interrogativi scuri nella nebbia più amara,
agonizzano
in una diagnosi senza luce, che nulla spera
poiché
la scienza che tutto sa, l’essenziale ignora.
In
ogni angolo si nasconde la tua ombra,
Il
coltello della tristezza é affilato ed ingombra,
Sveli
le cicatrici della vita,
però
dimmi, che stai cercando, poeta?
Forse
é troppo poco la bellezza di quel crepuscolo,
La
scultura di quei fianchi, quei suoi occhi che sono un miracolo?
Di
quali orrori sei il sintomo, la prova,
Vagabondo,
pellegrino dell’idioma?
Perché
esisti e canti in questa valle di sordi,
In
questa palestra dei ricordi?
Io
non ho la colpa, mi dichiaro innocente,
Caddi
nell’inganno con dose effervescente,
M’avvicinai
al tuo cuore, scalzo e senza scudo,
M’aggrappai
ai tuoi ricami, solo ed ignudo,
Come
un naufrago abbracciato al destino
Come
un viandante che ha perso il cammino.
Cosa
cerchi, poeta, io l’ignoro,
Ma
nei pomeriggi d’inverno io non dispero,
Aspetto
la precisione miope del tuo verso,
Le
metafore, il ritmo, la profondità, il concetto,
La
lucida armonia d’un imperfetto
Che
mi dia la pace, che acquieti i sensi,
Che
spalmi sul pane caldo l’aroma di quei tempi.
E
sono qui sotto un cielo che minaccia,
Che
s’apre all’incognita che ci schiaccia
E
soltanto spero che questo pianto si faccia canzone
Che
il vento spargerà come un’alluvione
In
tutti gli anfratti del dolore, quello vero, senza fine
Che
non cessa quando spingi il bottone.
Salvatore Secreto
Addio a mia madre
Anche
se la gioventù é una meravigliosa malattia che si cura con il tempo, anche se
il tuo tempo era già venerabile, anche se la talpa della sofferenza aveva
cominciato a scavare il suo inesorabile labirinto, non ci si rassegna mai alla
perdita di una persona cara.
Però la morte, poiché a cattivo gusto, congelerà di noi il gesto più brutto,
più stupido, fisserà il fotogramma più incredulo, l'immagine più stupita. A
volte, la più serena.
Alla fine, la morte azzera nobiltà e miserie, chiude la cartella degli appunti
della vita e ci riconsegna un volto che non é più quello che abbiamo baciato e
accarezzato nei giorni dolci dell'infanzia.
Alla fine, la morte é così sicura della sua vittoria che ci concede un'intera
vita di vantaggio.
Disgraziatamente la materia, nel mio pensiero, ha un peso specifico che opprime
l'anima, la schiaccia e non la fa volare verso orizzonti piú gioiosi, lontani
da questa amara e umida terra.
Ed io invidio, davvero invidio e rispetto coloro che hanno fede, che trascendono
la caducità del corpo e lo innalzano "qual piuma al vento" e lo
immaginano incontaminato e celestiale.
Disgraziatamente, non so forzare il destino, né il binocolo del tempo. Uno vede
ciò che vede e niente più.
E davanti a me c'é una bara e dentro c'é mia madre con tutto il suo passato ed
i ricordi più belli ed i ricordi più brutti.
C'é la memoria della famiglia, la nostra storia simile a quella di tantissime
altre, davanti alle quali offro il mio più affettuoso omaggio.
La tua vita di rinunce, stoicismo e sacrifici. Il tuo dolore, ripetitivo come un
singhiozzo. La tua esistenza e la felicità, in lotta permanente, come due rette
parallele con pochissime occasioni per sfiorarsi. Il tuo orgoglio di madre, la
tua fragilità di donna.
Schiava e regina del tuo piccolo regno, governante premurosa di tutti i nostri
temporali, della rosa dimenticaste il profumo e l'insondabile armonia del
petalo. Troppe spine han lastricato il tuo cammino.
Le persone come mia madre e mio padre, esempi indelebili della processione
migratoria, non hanno mai disfatto del tutto la valigia nella quale si adagiava
il sogno del rientro.
Da questo paese siamo partiti, qui sei voluta tornare. E' il compiersi
dell'eterno ritorno.
A tutti voi un grazie di cuore per accompagnarci in questo momento. E non c'é
momento piú alto e solenne per dire grazie a te, mamma, per avermi dato la
vita. Riposa in pace.
Tuo figlio Salvatore
Il
grande Salvatore Secreto dalla Spagna ci manda questa stupenda poesia che
ricorda uno degli avvenimenti più drammatici di questi ultimi anni: l'ennesima
strage di innocenti prodotta dall'odio e dalle incomprensioni fra gli uomini. "Ancora tuona il cannone", cantava Guccini nel secolo scorso,
e chissà ancora per quanto!. Grazie Salvatore e un grande, affettuoso abbraccio
Giuseppe Marino
In onore delle vittime di Madrid
11
Marzo, giovedì le 7 e 37
il dolore e le carni aperte,
il fragore e poi niente, la mosca impertinente della morte.
Silenzio, le lenzuola del sangue innocente
coprono la stazione di Atocha.
Madrid, ma poteva essere Roma o Londra, poco importa.
La sete del terrore succhia il sangue d'ogni fonte.
192 vite spezzate per sempre,
2062 feriti nel corpo e negli affetti
in quei vagoni senza destino, divelti,
in quei marciapiedi di lacrime amare
in quella mattina gonfia di bare.
Daniel, Roberto, Maria ed il destino.
Un professore ed un fornaio
un emigrante ed un operaio
un disperato ed un netturbino,
un'anziana ed un bambino
che come un sospiro di primavera
attraversava il sole di quel mattino.
Già appartenete ai miei pensieri,
già siete l'incubo di
tutti i poteri
che "in un tripudio di tromboni,
con la tovaglia sulle mani
e le mani sui coglioni",
volge la vista altrove
per controllare i cattivi
e sentirsi ancor più buoni:
lampi di odio, uragani e guerre,
non v'è scampo da Caccuri a Finisterre,
ed io, che non
rinuncio all'amore,
guardo mio figlio come fosse un fiore
e penso alle madri che han perso il loro giglio
quel giorno di marzo che scordar più non voglio:
Salvatore Secreto
L'amico
Salvatore Secreto ci ha inviato questa bellissima poesia. Si tratta di versi
stupendi, forti, che ti prendono allo stomaco e che condivido perfettamente,
soprattutto quelli della quarta e della quinta strofa. Avrei voluto scriverli io
questi versi, ma mi ci voleva la penna di Salvatore. Grazie, amico mio. e
arrivederci alla prossima.
Ti abbraccio.
Peppino
Come un Prometeo urbano
Come
un Prometeo urbano,
con gesto divino,
rubo luce alla notte,
come un cieco che gioca a tresette,
come un ubriaco che scommette
sul suo vagare e sulla gravità
e poi piange perché non sa,
non sa più dove andare
oltre il limite del suo orinare,
oltre l'azzurro dei suoi occhi
che son due scrigni aperti
e accecano come lampi
agitati da tutti i venti.
Sono
un fiore che sogna una farfalla,
sono una lacrima che feconda un sorriso
e, come il girare virtuoso di una palla,
guardo nella mente
e sequestro l'orizzonte.
Chi afferma che più in là non c'é niente?
Lo disse già qualcuno, c'é un altro orizzonte,
un po' più vicino,
a portata di mano.
Basta togliere il velo scuro
con cui vediamo tutto nero.
"Tutto
ció che é reale é razionale"
e se non lo é, poco male,
metto davanti i miei buoi
ed affermo: son cazzi suoi.
Mica posso soccombere a questa inezia,
mica si ripete questa delizia.
La vita é una sola, magica e materiale
ed al principio delle scale
tutti i destini,
dalle teste privilegiate ai cretini,
abbiamo diritto ad essere felici,
a rigirarci nelle nostre feci,
a non essere uccisi.
Come
la bimba e la madre piangente,
il ragazzo con fame urgente
che solca il crepuscolo come un diamante,
l'ombra ed il soldato
che rimane sul selciato,
nella polvere e nel pensiero,
in un finale sicuro,
in questa guerra senza confine
in questo tempo senza più pane.
Le
lacrime più vere
come fulmini che ignorano frontiere,
per chi fabbrica la morte
e poi parla di cattiva sorte
o danni collaterali
e, non curante dei miei guai,
prega per la mia fine,
perché vuol farmi, alla forza, del bene
non sapevo di avere tanti amici,
ansiosi di passarmi dalla padella alle braci.
S'occupa
di noi troppa gente,
deprimente ed elegante,
s'occupa di noi un potere infinito
che controlla la realtà ed il mito,
le radici ed il genoma,
il DNA e la trama,
tutti i capitoli del copione,
dal prologo alla fine.
Non
puoi farlo fesso
perché s'arrabbia e, spesso,
quando meno te l'aspetti,
un nugolo di esperti,
ti spiegano il bene ed il male
a te, che sei un po' speciale.
Ed io dico basta e scopro l'imbroglio,
esco dal mazzo ed aggiro lo scoglio:
non stiamo al mondo solo per soffrire
e nemmeno solo per durare,
ed allora la vita mi condono,
mi sento più uomo
e m'invento un nuovo dio,
più vicino, più mio,
chissà meno guerriero,
forse più umano e più sincero,
senza tante promesse e che perdoni
tutti quelli che, a priori,
si credono migliori,
o altri, come me, che si sentono ancor bambini,
e con pieno diritto ad essere coglioni.
Mentre
riposa l'ubriaco,
nel sogno etilico,
confonde il grano con la paglia,
non sa più se é una palla,
che rimbalza e vola
come un urlo che scappa dalla gola,
o un baco da seta
che, dopo una notte quieta,
scopre d' essere una farfalla,
meravigliosa e bella,
o forse soltanto una lucciola
che va da sola
verso il primo raggio di sole
e mentre il giorno s'accende
lei, dolcemente, muore.
Salvatore Secreto (Spagna)
Il
vecchio, la palla e la morte.
Racconto
di Salvatore
Isidoro
L’oscurità avvolge
ciò che la luce abbandona.
Le entropie vitali si azzerano, come se una grande forza sospinga il tutto verso
il nulla.
La vita è una
sola.
La stanza è priva di
arredamento, aspra e silenziosa. L’uomo disteso nel proprio giaciglio ,
ritrova se stesso, sconfigge l’embolia spirituale che lo ha confinato nella più
cupa solitudine.
E’ vecchio. Nella vita ha dato tanto. Proprio come un pezzo di
ferraglia arrugginita, tra non molto verrà gettato al macero biologico. Non
importa, non conta ciò che sei stato.
Bussa
alla porta un piccolo bimbo che abita sotto. Non trova risposta, egli non può
rispondere.
La palla, con la quale
giocava, è volata al secondo piano nel terrazzo di quel vecchio solo, dalla
pelle solcata da rughe profonde quanto l’oceano.
Adesso serve che Lui
apra la porta per tornare a giocare. Una sola Palla. Una sola Vita.
Bussa
ancora una volta, chiama timoroso il suo nome di battesimo. Quel nome che per
anni non lo ha mai abbandonato. Quel nome sacro, che i suoi genitori gli diedero
in un estasi religiosa , alla luce di un aspide, unto di acqua santa, glabro
finalmente da peccati.
Il bimbo non sa perché
la porta è chiusa. Non sa cos’è la morte. Per Lui è importante recuperare
quella palla fondamentale per continuare la sua attività.
Crede che Lui non
voglia aprire. Crede nella cattiveria, nella ostilità che i moderni schemi gli
hanno insegnato.
ll bimbo ora scende le
scale. Ritorna in cortile. Osserva la palla ingabbiata tra quelle misere
ferriate del vecchio terrazzo. Un modesto alito di vento la smuove ben poco.
Egli spera che possa spiccare un salto e tornare da lui. Non può essere.
Ritorna a casa. Chiede
alla mamma di poter intercedere, presso il vecchio per avere indietro quella
palla.
Ella ascolta il
figlio, si arrabbia e pensa al vecchio. Va per le scale, sale al secondo piano,
bussa alla porta.
Nulla. Nessuna
risposta, nessun segno vitale.
Eppure lo ha visto entrare due ore prima. E’ sicura. Sicurissima.
ll figlio la osserva senza fiatare, in silenzio. E’ come se avesse adesso un
presagio , una sensazione. Ma non sa cosa. Il pensiero è la palla. Ritornare a
giocare.
L’odore
forte e mediterraneo di sugo di pomodori, cucinato ad arte dalla signora che
abita di fronte, invade le scale. E’ stuzzicante. Il bimbo immagina la pasta
immersa in esso, scalfita ad arte da neve di grana.
La mamma chiama
qualcuno al telefono.
Arrivano
quelli colla tuta arancione. Il bimbo li osserva incuriosito. Forse sono
arrivati a liberare il suo pallone, forse scaleranno le mura del condominio e
prenderanno quella palla, liberandola da quella prigione occasionale. Forse.
Riescono ad aprire la
porta. La mamma non osa entrare. Esce subito dopo uno come gli altri. Parla con
la mamma. Ella si fa il segno della Croce. Il bimbo lo ha riconosciuto, glielo
ha insegnato Don Roberto. Gli aveva detto che è una cosa bella. Si
tranquillizza. Qualcuno avrà smesso di pregare.
Sfugge agli occhi
della mamma, entra dentro. Gli uomini arancio sono nel piccolo soggiorno,
parlottano tra loro.
Il
vecchio è immobile. Il letto è proprio di fronte all’accesso al terrazzo. Il
bimbo deve prendere il pallone, chiede scusa al vecchio immobile e pallido, apre
con delicatezza il finestrone, per non svegliarlo. Esce in terrazzo e finalmente
prende la sua palla.
Appena rientra,
richiude il finestrone. Con la palla tra le mani si avvicina al vecchio. Il
profumo del sugo adesso è anche in questo misero appartamento, sbatte tra le
pareti, irretisce i sensi del gusto. La palla tra le mani. La vita tra le mani.
Si avvicina ancora. Lo tocca. E’ freddo.
Scappa fuori
dall’appartamento.
Ritorna da sua mamma.
e Le dice:
“Mamma? Sai cos’è
la morte?”- la mamma lo osserva intimorita pronta a non rispondere.
“Io lo so!” -
continua il bimbo;
“E’ quella cosa
che ti fa riprendere il pallone e ricominciare a giocare quando non riesci farlo
da solo o quando gli altri non vogliono..”.
Fine.
L'UOMO
Unico essere che ama volere,
in
cerca solo di stelle vere.
A
volte impavido, altre meno,
con
gli occhi rivolti ad un cielo sereno,
l'uomo
è grande, ed ahimè, lo sa,
ma
insegue solo ciò che non ha!
Spesso
aggressivo verso chi lo teme,
non
sa che la vita si alimenta col bene!
V
Cavallaro
Gira
incontrollato, da solo nello sconfinato
a volte in fretta, a volte a rilento,
senza mai apparire spento.
Meta perseguita da un uomo un po’ avventato;
resta un enigma ed un mistero
proprio perché troppo veloce è il suo nocchiero.
Popolato da una miriade di etnie,
il mondo, luogo magico, di mille poesie.
Vincenza Cavallaro
Luna...10/08/03"
E’
ugualmente gelida come rugiada d’inverno…
La cosiddetta “sempiterna” che striscia alle soglie del firmamento;
spècchiati nelle acque marine, impreziosendole di oro tremante…
tu, luna, non spegnere mai i cuori ardenti di chi sogna un deserto rosso di
passione.
Vincenza Cavallaro
La
nostra concittadina Lina Di Rosa, dagli Stati Uniti, ci manda questa bellissima
poesia sul paese della sua infanzia che pubblico
con piacere misto a commozione.
Grazie, cara amica
e in bocca al lupo.
Ricordi
della mia Caccuri
L'acqua scorreva in un piccolo
acquedotto
che passava davanti la nostra porta,
offerta da una sorgente
che il suo nome non mi viene in mente
s'era dal canale o dal Cucinaro
dove la mamma andava i panni a lavare.
Ma una cosa e' certa
e mai saprò scordare
quanto era
bello
a saltellarci di dentro
a piedi scalzi e di contro senso
nei giorni caldi di quelle estati
nonché un passante
si fermava per rimproverare
che l'acqua non si doveva bloccare,
perché c'era un orto
sotto il muro di quella strada
con piante, assetate, che aspettavano.
Ma chi mai ascoltava!
Poi c' è un' immagine
sempre presente
guardando in alto
sulla cima di quel paesello
com'era grande il castello!
E mi chiedevo,
ma chi lo abitava?
Gente ricca, fantasmi o pipistrelli?
E mi giravo intorno
la Serra Grande di fronte
con le sue rocce, il verde e una mandria
dove pecore e capre belar si sentivano.
Che meraviglia, quella bella natura
colma d'aria fresca e pura.
Oggi nonostante la distanza
e tanto tempo passato
,
vedo ancora mia mamma,
sotto un cielo azzurro
fra monti e castello,
sorridente sulla mezza porta
di quella casa ove io nacqui,
nella via , di nome, Via Parte.
Lina
(Di Rosa) Giuliano
Nipote dello scomparso maestro Angelo Di
Rosa
Eccovi
tre bellissime poesie di Emilia con le quali ricostruisce con maestria
personaggi e tradizioni del nostro paese.
Notate con quale delicatezza e con quanta poesia Emilia ci parla della
"Negra Parca"
A
VISITA CA NUN T’ASPETTI.
Ieri sira eranu a rolla a parrare
‘e tutte e cose ca ne venianu alla mente
Certe vote pure ‘e sguaiatine,
Certe vote pure ‘e cose serie
Fore i guagliuni jocavanu all’ ammucciarella,
Alcuni alla sguiglia
Ogni tantu ravanu fastidio e nue guillavanu
.
Era ‘na jornata gual’ all’ atre
Ma all’ammacciuni c’era ancuna chi s’aggirava
rotava ‘n tornu allu paisi, chi se stava priparannu allu scurare
.
Nue impegnati ‘ntra discussione
'un n’accorgianu 'e s’ospite inatteso
sinceramente ‘un pensavanu propriu a illa
.
Allura cume pe' dispettou,
‘ntru migliore momentu 'e ra discussione
ancunu annunciava arreti ‘a porta
ca propriu’ ntra chillu mentre
‘a disgraziata, senza 'mmitu e senza avvisu
avia' fattu ‘a visita a zu Michele!!!!!
Dedicata ad uno zio che ora
non è più con noi
ZU
TOTONNU
Me
ricordu ancora ‘u jornu
che piccirilla l’he vistu pe’ la prima vota
Era tra i pochi c’avianu ‘na machina
E a mia me paria ch’era ‘nu riccone
Nu pocu me facia’
soggezione
Me pensava che chisà ‘e due venia'
Ma poi m’ha dittu…
“Veni ca te portu a fare ‘nu giru”
E mentre me guardava già avia’ capitu
ca me piacia chillu
ziu novu
.
Illu c’è sempre statu, ‘ntri momenti belli e chilli noni.
Arrivava la matina prestu
certe vote pe’ jire alla posta, allu mericu o alla farmacia;
‘ un passava mai rerittu
Io
fujva a ce priparare ‘nu bellu cafè:
….cu’ su vivia illu ‘un su vivia nessunu
;
Surchiava chi te facia
venire ‘a gulia
Alla fine tuttu contentu me ricia …”Ah, niputè
chi bellu cafè.”
Mo signu ccà, luntana e ru paise
miu,
illu
oramai un passa cchiù ‘e ra casa
mia
e la matina, quannu me priparu ‘nu cafè,
me vena’ de pensare
…ca oramai un tena cchiù ‘u sapure ‘e prima!!!!
In questa poesia Emilia ci
parla delle feste di Maia, un'antica tradizione che ancora si rinnova
ogni anno.
CHILLE CAMINATE
'E PRIMAVERA
Me ricordu
chilla matina ‘e maiu
quanno me risbigliava prestu
pecchì sentia’ forte ‘u profumu
‘e chillu bellu mazzu ‘e iuri.
Eranu iuti finu allu Cuccu a pere
a cogliere nu mazzu ranne
pe’ lu mintere supra ‘a porta!
Chi piacire
chille caminate ‘e primavera
paria ca ‘u tempu s’avia de fermare
c’ avianu ‘e restare quatrarelli a jocare….!
Ma ‘u tempu passa e tuttu se porta arreti
l’anni chi ‘e piccirilli para un passanu mai
si ne vannu prestu….però ‘ntra certi jorni particolari
e’ nu profumu ‘e primavera
chi me ricorda
ca quannu mamma mia
mintia ‘nu mazzu ‘e juri alla porta
io era ancora
piccirilla e senza penzeri.
Emilia
Pasculli, da Como, ci ha inviato questa bellissima poesia che ritengo
perfetta, sia per la lingua, sia per i contenuti, sia per l'amara, ma
realistica conclusione: la presa d'atto dell'impossibilità di influire sul
corso degli eventi, quando, viceversa, sono gli eventi di questi tempi infami
che cambiano la nostra vita, il nostro mondo, i nostri orizzonti, i nostri punti
di riferimento.
Credo di poter dire grazie ad Emilia anche a nome dei tanti amici
visitatori.
Un abbraccio affettuoso
Peppino
SIMU CHILLU CHI
SIMU
Simu chillu chi simu!
Certe vote...ntre jornate nigure
pensamu ca simu finiti...
ciancimu, ne disperamu...
ma 'u jornu roppo tutti cuntenti
ririmu cu' nascia lu sule.
Simu chillu chi simu!
Poveri cristi supra 'ssa terra
Circamu nu sensu alle cose....quannu ce pensamu.
L'amicizia ne rura 'u tempu chi ne serva
L'amure 'u tempu e na canzuna.
Simu chillu chi simu!
Piccule petre lungu 'nu senteru
Chisà addue ne porta......!
Forse volimu cammiare 'e cose....
Me vena de rirere
pecchì sunnu 'e cose chi ne stannu cammiannu!
E nue poveri cristi
Restamo chilli chi simu.
Ancora
una bella poesia di Emilia Pasculli, che ha voluto fare il ritratto di
un personaggio caccurese a entrambi molto caro e che, oggettivamente, era uno
dei più bravi ed invidiati ballerini del paese. Che dire? Ancora tanti, tanti
complimenti a Emilia e un grazie di cuore per l'affetto che nutre ancora e
sempre per il suo paese.
‘U
BALLU E ZU VICENZU
Quannu
ballava zu Vicenzu
era
na bellezza allu guardare;
paria
ca puru u munnu
'nseme
a illu volia girare.
E
solitu se piava' 'a megliu ballerina..
…e
no ppe dire e chisà cume mai
era
sempre 'a cchiù curiusa!
Nue
quatrarelli ne mintianu
a
rolla e paria ca puru nue
giravanu
cu' giravano illi ..
Tanghi,
valzer e mazurche
….
zu Vicenzu un se stancava mai.
A
mia me preoccupava però
u
sguardu e ra mugliere!!
Me
ricurdu ca quannu finiscia lu ballu
le
ricìa sempre: “Vicè sì nu sguaiatu”
Ma
zu Vicenzu, veramente, si ne fricava
E
solia dire…
Parra,
parra ….. mugliere mia
A
vita e 'na fatica e dura pocu
e
alla fine 'e ra jornata cchi né resta….
'nu
biccheri e vinu bonu e 'na ballata!!!
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