Niente si spreca (non si butta via niente)
                                                  di Donna Pellegrin
                                                                                                 

 

                                                                   
                                                                                                    Presentazione

    E' per me davvero un grandissimo onore ospitare su L'Isola Amena questo bellissimo racconto di Donna Pellegrin, americana di terza generazione ma profondamente legata alle sue origini italiane e caccuresi. 
    In queste brevi pagine Donna ci racconta l'avvincente storia dei nonni emigrati dalla Calabria nel West Virginia e di come, grazie alla loro laboriosità e al loro ingegno, non solo riuscirono a superare senza eccessive privazioni, pur nelle ristrettezze dei tempi, la Grande Depressione, uno dei periodi di crisi economica più drammatici della storia moderna che fece seguito al crollo di Wall Street del 1929, ma di come seppero dar vita ad un "modello di sviluppo sostenibile" uno modo di vivere e di produrre "eco  - compatibile" in una fattoria che produceva  non solo  tutto ciò di cui  la famiglia Oliverio aveva bisogno per vivere decorosamente, ma anche ciò che serviva al padrone della stessa fattoria, ai numerosi parenti della famiglia Oliverio che spesso capitavano a Viropa anche in gruppi numerosi soggiornandovi per lunghi periodi e  gente affamata di passaggio che nella fattoria trovava sempre di che mangiare, ma riciclava tutto ciò che consumava per ricavarne altri oggetti o nuove derrate alimentari. 
  E' davvero fonte di orgoglio apprendere che quasi un secolo fa dei contadini caccuresi o sangiovannesi erano riusciti a creare un modello di sviluppo che oggi, una civiltà allo stremo, terrorizzata da una crisi economica non meno grave di quella del 1929,  cerca disperatamente per sopravvivere e far sopravvivere un pianeta sempre più malato. 
   Il racconto, pubblicato sul
Mother Earth News website,  è tratto da un libro che Donna sta scrivendo per raccontare la storia della sua famiglia e delle sue radici italiane che sarà pubblicato, ci auguriamo a breve e che costituirà una preziosa fonte di notizie non solo sulla vita delle comunità calabresi nell'America del primo Novecento, ma anche sulla storia caccurese a cavallo tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX.
                              Peppino Marino

  Niente si spreca (non si butta via niente)

La storia è scritta da Donna L. Pellegrin, sulla base di quanto narratole da Erma Lee Oliver Pellegrin e inserito come racconto nella nostra  raccolta Wisdom From Our Elders dell’anno scorso.

Ogni volta che mia madre ascolta la famosa lirica di John Denver, Le Strade di Campagna mi riportano a casa, riaffiorano alla sua mente ricordi vividi della fattoria di 40 acri a Viropa, in West Virginia, dove lei e la sua famiglia non solo superarono la Grande Depressione ma grazie ad essa prosperarono. Mia madre, Erma Lee Oliver Pellegrin, ultima di dieci bambini, era nata nella fattoria nel 1930. È l’ultima sopravvissuta della famiglia Oliver. Pensa ancora alla fattoria con orgogliosa nostalgia. "Mio padre aveva un dono", ricorda. "Poteva far crescere qualsiasi cosa". Ed era davvero così.

Mio nonno, Jim Oliver, una volta noto come Giovanni Battista Oliverio, era un immigrato italiano. Passò la giovinezza a lavorare la terra sui pendii rocciosi della Calabria dove capitava che il salario di un giorno fosse una cesta di ricotta. Quando il lavoro di mio nonno, i suoi principi e le sue conoscenze incontrarono la terra fertile del West Virginia, la produzione fu abbondante. Nella fattoria c’erano meli, peri, viti, un campo di fragole, uno di mais e un acro sul quale mio nonno coltivò insolite varietà di vegetali. Vicino alla casa colonica c’era un orto speciale dove coltivò le sue famose piante di pomodoro. Ogni anno, i semi delle migliori piante venivano conservati per i raccolti futuri. I fiori di mia nonna abbellivano e decoravano tutto. Gladioli, calendule, petunie conferivano bellezza e romanticismo fuori e dentro casa.

Mia nonna, che aveva lo stesso nome di mia madre, portò dall'Italia le abilità che ne fecero la straordinaria moglie di un agricoltore. Mia madre diceva di sua madre: "Potrebbe organizzare un banchetto in due ore". Dal momento che la fattoria non aveva telefono, poteva capitare che una quantità di parenti si presentasse all’improvviso  e si trattenesse  per giorni. "Quando scorgeva l’arrivo di una macchina, spediva  uno dei ragazzi a tirare il collo a un pollo e una di noi ragazze nell’orto e, in men che non si dica, tutta la tavola era imbandita con pollo fritto con spezie e patate, mais, pasta, verdura e ogni genere di verdura tu possa immaginare".

Era mia nonna ad occuparsi della produzione di burro e formaggi nella fattoria. In una grande vasca posta su una vecchia stufa in casa mescolava il latte e una mistura di aceto finché il formaggio cagliava. Usava una lattina con dei fori sul fondo come filtro. Faceva ricotta, mozzarella e provolone che poi veniva appeso al soffitto a stagionare. Mia nonna era responsabile anche delle conserve. La frutta o la verdura che non venivano consumate immediatamente erano inscatolata ed immagazzinate per l’inverno. Durante le annate di siccità, l'eccedenza dell'anno precedente era un dono del Cielo.

Mia madre dice spesso che la fattoria era un luogo dove i frutti della terra erano benedizioni e nulla andava sprecato. Le vacche e i polli venivano alimentati soprattutto con quanto prodotto nella fattoria stessa e il letame degli animali veniva raccolto ed usato come fertilizzante per i raccolti. Se venivano acquistati alcuni alimenti, i sacchi colorati di cotone che li contenevano venivano usati per i vestiti delle ragazze. I sacchi della farina, in cotone bianco, venivano ricamati e utilizzati come cuscini e asciugamani, o cuciti insieme per farne lenzuola. Tutti i ritagli di stoffa venivano usati per fare i bei piumoni per i letti. Il pane raffermo, gli scarti del mais, i torsoli di mela, e gli altri resti della cucina venivano dati ai maiali. Cataloghi e imballaggi venivano riciclati nella compostiera all'esterno. Praticamente non si produceva immondizia nella fattoria.

Quando si macellava il maiale venivano utilizzate tutte le parti dell'animale. Mio nonno si occupava dei prosciutti, della pancetta e degli altri tagli da affumicare mentre mia nonna riempiva gli intestini per farne salsicce. I piedi venivano conservati sottoaceto, lo stomaco veniva preparato come trippa e il grasso bollito per farne sapone. Anche la vescica del maiale aveva un scopo. Mia madre ride, ricordando la sua infanzia: "Io la appendevo finché qualcuno non puliva la vescica e la gonfiava per me. Diventava una grande palla".

La famiglia Oliver utilizzava anche tutto ciò che cresceva spontaneamente nella fattoria. All’ inizio della primavera, denti di leone, portulaca, crescione d'acqua e foglie di senape venivano raccolti e mangiati in insalata. La radice di sassafras era usata per il tè. Noci, noci di hickory, more e papaie venivano raccolte in autunno insieme ai funghi e mia nonna li conservava. C’era un'area boschiva nella quale mio nonno portava i figli maschi a caccia di scoiattoli, quaglie e conigli e se trovava una tartaruga, per cena si mangiava zuppa di tartaruga.

La Grande Depressione non ebbe effetti sulla generosa produzione dalla fattoria che non solo era sufficiente per sostentare la famiglia Oliver, ma anche molti altri. Arrivavano regolarmente i cugini e a volte si trattenevano per estati intere. Il proprietario della fattoria, un benestante che viveva nella città vicina, veniva ogni giorno per ciò che spettava alla sua famiglia: latte fresco, uova e quant’altro. Capitava anche il visitatore di passaggio che, affamato, si fermava per chiedere cibo. Alcuni di essi erano così riconoscenti da offrire il proprio lavoro come ricompensa per il cibo ricevuto.

Quando i miei nonni invecchiarono e molti dei loro figli partirono, decisero di lasciare la fattoria per una casa su un piccolo appezzamento di terra più vicino alla città. Comunque, non abbandonarono mai il modo di vivere che li aveva sostenuti così a lungo. Portarono con sé la vacca e i polli e coltivarono un grande orto che ha prodotto abbastanza ogni anno da sostentarli per il resto delle loro vite. 

Nota: questo articolo è tratto dalla storia di famiglia dell'autore che sarà pubblicata ad una data futura.

              Traduzione di Marcella Marcelli