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DATA : 9 maggio 1978

Personaggi: ALDO MORO e PEPPINO IMPASTATO

A questa data sono legati due personaggi della nostra storia, due emblematici uomini, differenti per età, cultura e ruolo. Uniti dal comune amore per la politica e della data della loro morte: 9 maggio 1978.

Entrambi sono stati uccisi, e per entrambi i casi ci sono voluti molti anni prima di arrivare ai colpevoli (anche se solo per Impastato possiamo parlare di caso chiuso). 

Se la storia del primo è a tutti nota, quella del secondo lo è un pò meno (raccontata recentemente dal film di M. T. Giordana: "I cento passi").

La Storia

Peppino Impastato era nato a Cinisi, provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948. Il padre Luigi, era un piccolo imprenditore affiliato al clan Badalamenti e lo zio, Cesare Manzella, un capomafia che venne ucciso nel 1963 nel corso di una guerra tra opposte fazioni. Ancora ragazzo, Peppino ruppe col padre e sviluppò una lucida coscienza politica. Nel 1967 fondò il circolo "Musica e cultura" promuovendo cineforun, concerti, spettacoli e dibattiti fra i giovani di Cinisi e del circondario (Terrasini, Partinico, Villagrazia). Nel 1976 aprì Radio Aut, piccola emittente corsara con cui denunciava illegalità e affari di Cosa Nostra. Venne assassinato il 9 maggio  del 1978, durante la campagna elettorale, con una carica di tritolo che lo dilaniò sui binari della ferrovia. La morte venne rubricata come l'incidente sul lavoro di un facinoroso sprovveduto o, ancora peggio, come lo spettacolare suicidio di un depresso autodistruttivo. Solo vent'anni dopo la procura di Palermo rinvierà a giudizio Tano Badalamenti come mandante dell'assassinio. E' solo del mese scorso la condanna definitiva.

Dal film "I Cento Passi" di Giordana, un periodo tratto dalla trasmissione radiofonica del,giorno della sua morte:

"Questa mattina Peppino avrebbe dovuto tenere il comizio di chiusura della campagna elettorale. Non ci sarà nessun comizio, non ci saranno più trasmissioni. Peppino non c'è più, Peppino è morto, si è suicidato. Sì, non sorprendetevi, è andata  così! I carabinieri lo dicono, lo dice il magistrato...hanno trovato un biglietto: voglio abbandonare la politica e la vita....questa sarebbe la prova del suicidio, la dimostrazione....E lui per abbandonare la politica e la vita cosa fa? Va alla ferrovia, picchia la testa contro un sasso, macchia di sangue tutt'intorno, poi si avvolge nel tritolo e salta per aria sui binari...Suicidio! Come l'anarchico Pinelli, che vola giù dalla finestra della questura di Milano, come l'editore Feltrinelli che salta su un traliccio dell'Enel...Questo leggerete sui giornali, questo vedrete alla televisione....Anzi non vedrete proprio niente...perché questa mattina giornali e televisione parleranno di un fatto molto più importante...del ritrovamento a Roma dell'onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle Brigate Rosse. E questa è una notizia che fa impallidire tutto il resto, per cui: chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia! Chi se ne fotte di questo Peppino Impastato! Adesso spegnetela questa radio, giratevi dall'altra parte. Tanto si sa come va a finire, si sa che niente può cambiare. Voi avete la forza del vostro buonsenso....quella che non aveva Peppino....Domani ci saranno i funerali...voi non andateci...Lasciamolo solo! E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la Mafia la vogliamo! Non perché fa paura ma perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace! Noi siamo la mafia!..." 

 

Aldo Moro era nato a Maglie nel 1916 e aveva avuto, in gioventù, un pensiero socialista. Era stato, in particolare, colpito dalla condizione dei carcerati. Militante della Fuci (l'organizzazione cattolica universitaria) divenne presto un dirigente della Democrazia Cristiana; professore universitario, insieme ad Amintore Fanfani era chiamato "cavallo di razza" per cultura e visione politica. Con Fanfani fu l'iniziatore del centro sinistra negli anni Sessanta e per molti anni presiedette il governo, con Pietro Nenni alleato.
Alto e triste venne conosciuto per la lunghezza micidiale dei suoi discorsi politici ("il dottor Divago") e per la sua visione - contorta nel linguaggio, ma alla fine evidente - di un qualche patto da stipulare con il Pci. Il 16 marzo del 1978 mentre usciva dalla sua casa a Roma per andare a Montecitorio, a dar vita al primo governo italiano con un'alleanza ufficiale con il Pci, fu Rapito dalle Brigate Rosse, che uccisero i cinque uomini della sua scorta. Venne tenuto prigioniero per 55 giorni nel centro della capitale. Il Parlamento italiano non venne riunito per tutto il periodo. I servizi segreti di tutto il mondo non riuscirono a trovare la prigione dei terroristi, anche se le segnalazioni furono tante e precise. Aldo Moro, che dalla "prigione del popolo" aveva incessantemente scritto lettere invocando una trattativa, venne assassinato il 9 maggio. Paolo VI, che si era adoperato per la sua salvezza, si rivolse a Dio rimproverandolo. Moro, che aveva inviato una maledizione al mondo politico che non l'aveva salvato, venne dimenticato, anche se rimase a lungo negli incubi dei politici italiani che gli erano stati vicini.

Dal libro "Affaire Moro" di L. Sciascia riportiamo questo periodo:

"-Il 16 marzo 1978, qualche minuto  prima delle nove, l'onorevole Aldo Moro, Presidente della Democrazia Crisitiana, esce dal portone numero 79 di via del Forte Trionfale. Sono ad attenderlo la 130 blu di rappresentanza e un'alfetta bianca con la scorta. Il Presidente deve prima recarsi al Centro studi della DC e poi, alle dieci, alla Camera dei Deputati, dove ,l'onorevole Andreotti presenterà il nuovo governo e ne dichiarerà il programma. Di questo nuovo governo, che sarà il primo governo democristiano sorretto anche dai voti comunisti, l'onorevole Moro è stato accorto e paziente artefice... Scritta e letta subito dopo il rapimento, questa è una pura cronaca di quel che l'Onorevoel Moro stava facendo e aveva in programma di fare. Per contro, se oggi scrivo:  Il 16 marzo 1978, qualche minuto  prima delle nove, l'onorevole Aldo Moro, Presidente della Democrazia Crisitiana, esce dal portone numero 79 di via del Forte Trionfale. Sono ad attenderlo la 130 blu di rappresentanza e un'alfetta bianca con la scorta. Il Presidente deve prima recarsi al Centro studi della DC e poi, alle dieci, alla Camera dei Deputati, dove ,l'onorevole Andreotti presenterà il nuovo governo e ne dichiarerà il programma. Di questo nuovo governo, che sarà il primo governo democristiano sorretto anche dai voti comunisti, l'onorevole Moro è stato accorto e paziente artefice...; se oggi scrivo questo- le stesse parole e nello stesso ordine- per me e per il lettore tutt'altro ne sarà il senso. Si è come spostato il centro di gravità: dall'onorevole Moro, che usciva di casa ignaro dell'agguato, alla Camera dei Deputati dove l'assenza dell'onorevole Moro avrebbe rapidamente prodotto quel che la sua presenza difficoltosamente avrebbe conseguito: e cioè quell'acquietamento e quella concordia per cui il quarto governo presieduto dall'onorevole Andreotti veniva approvato senza discussione alcuna. Al dramma del rapimento si è come sostituito - per quel che volgarmente è detto il senno del poi - il dramma che l'assenza dell'onorevole Moro dal Parlamento, dalla vita politica, è più producente - in una determinata direzione - della sua presenza. E direbbe Pirandello: "il dramma, signori, è tutto qui".

 
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Aggiornato il: 15 maggio 2002