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# Perché ‘Patafluens? #

di Giuseppe Romanetti

Spiegare le motivazioni che mi hanno spinto a aderire ed a sviluppare tale progetto, che va ben oltre i confini del mondo teatrale, non è compito semplice e oltretutto richiederebbe uno spazio diverso da questo.

Già perché come spesso accade il tentativo di palesare la genesi di una manifestazione di questa natura porta a due possibili forme di pensiero. Una ideologica, tendente a costruire un corollario di risposte, di varia natura, che conferiscono al progetto una “necessità”. Un’altra più poetica, che ci libera dall’”obbligo” di dover spiegare una scelta che ha nella sua gratuità la propria bellezza e ragion d’essere.

Proverò tuttavia ad indicare qualcuno dei pensieri che mi hanno guidato in quest’avventura, che non sia quello ovvia dell’interdisciplinarietà, partendo proprio dallo specifico teatrale. Sicuramente per un’idea di teatro in formazione che mi porto dietro da sempre come una vetta da ascendere grado a grado. Un’idea euristica che ho l’ambizione possa un giorno verificarsi. Talora ciò che non vediamo crescere subito, lo scopriamo improvvisamente cresciuto. Ritengo che chi non perde di vista la meta, per quanto lento, avanza sempre più veloce di chi si muove senza scopo.

Perché una ragione importante del teatro è soprattutto stabilire ciò che è vivo da ciò che è ormai morto; ne seguono raffronti, accostamenti che possono aprire nuove prospettive critiche, creative e poetiche.

Allora pensare Patafluens ha significato, per me, esprimerlo nei suoi teatralmente; Un teatro da mangiare delle Ariette che ha fatto da preludio a tutta la manifestazione, e poi la pièce Par la taille di Jarry della Compagniè La Colline, la musica di Satie, i Piccoli suicidi di Gyula Molnar, le installazioni Acqua Micans di Franco Brambilla e Armadi di Antonio Catalano, per citare alcuni eventi. Significava ripercorrere la forza centripeta del teatro del secolo scorso allargando le frontiere senza, pregiudizi, attirando ai propri interni fenomeni che hanno altrove origine e consistenza. Nel 1896, anno in cui Alfred Jarry mette in scena a Parigi Ubu Roi, pubblica un saggio dal titolo Dell’inutilità del teatro a teatro scrivendo che i “théatres à coté”, i teatri irregolari, erano ormai diventati i “teatri regolari dei pochi”. Il vero teatro non è nel teatro. Se passiamo sopra all’affermazione estrema e all’insuccesso di quella rappresentazione di Ubu resta l’essenza di un teatro il cui scopo era “non di essere ma di divenire”. Un’affermazione ed uno spettacolo simbolici, che sono stati l’archetipo di molti teatri successivi delle “avanguardie storiche”. Patafluens però non è stato solo teatro, ma molto di più. Saremmo, credo, veramente poveri e miseri se non imparassimo ad attingere con rispetto ai valori di altre espressioni artistiche. E’ proprio in questo sta la giusta concezione moderna di chi assume la responsabilità di progetti artistico-culturali, essere in qualche modo un “architetto” la cui opera è una piccola “cattedrale di idee”.

Il teatro, la musica, l’arte, la poesia che invadono gli spazi urbani senza regole, senza codici estetici preconizzati, è un’immagine bellissima. Uscire dai santuari chiusi della cultura occidentale come esigenza di fuga per un ritorno alla strada come luogo centrale della vita. Così che ogni atto della vita diventa gesto creativo.

Con Patafluens si è cercato di ri-destare il senso della libertà del gesto, che diventa gesto poetico, e di portare avanti il senso di una rivoluzione permanente che è anzitutto rivoluzione del proprio pensiero, della propria sensibilità, del proprio spirito, dell’esser veri in un mondo che spesso c’impedisce di esserlo.

Queste poche righe riassumono solo alcuni dei pensieri e delle spinte emotive che hanno animato quell’esperienza. Sono note che, per stile, non attendono ad uno spirito propriamente patafisico, ma più che un’adesione a-critica ritengo sia più importante essere portatori consapevoli di quel segno.

[Giuseppe Romanetti è nato a Casalmaggiore (Cr) nel 1956. E’ laureato in Discipline delle Arti, Musica e Spettacolo presso l’Università di Bologna. Tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta svolge un’intensa attività in qualità di Animatore Teatrale nelle scuole e parallelamente all’organizzazione della rassegna “Recitarcantando”. Contemporaneamente si occupa di cinema sia nella conduzione di rassegne cinematografiche d’essai, sia tenendo seminari sul linguaggio cinematografico e audiovisivo. Dopo aver ottenuto il Diploma di Operatore Cinematografico e Televisivo si dedica alla produzione di filmati e audiovisivi. Dalla metà degli anni Ottanta si occupa esclusivamente di teatro, prima con collaborazioni nel campo del Teatro Ragazzi poi come assistente alla produzione di opere liriche. Dal 1991 è Direttore Artistico del Teatro Comunale di Casalmaggiore.]