Lontani i clamori delle proteste e della violenza innescata da pochi esagitati e provocatori al vertice dei G8 di Genova, ripropongo alla vostra considerazione l'intervento di Jeremy Rifkin, noto ispiratore dei movimenti alternativi alla mondializzazione dei processi espansivi e di rapina del liberismo capitalista. Un'occasione di riflessione per non dimenticare l'assurda e violenta morte di Carlo Giuliani e le ragioni di giustizia, equità, diritto e nonviolenza che ispirano i movimenti antagonisti alla globalizzazione dei potenti.

Tu chiamala, se vuoi, controrivoluzione culturale. La rinascita di comunità locali, i nuovi attivisti nella società civile, i diritti delle altre civiltà. Tutto quello che i Capi di Stato, a Genova, non devono ignorare. Per scongiurare ogni violenza.

IL GRIDO INASCOLTATO

di Jeremy Rifkin

Il presidente George Bush incontrerà i capi di stato delle altre principali nazioni industrializzate alla conferenza del G8 a Genova. L'ordine del giorno include argomenti importanti come lo sviluppo economico, le questioni commerciali e il debito dei paesi poveri. Tuttavia, è ugualmente interessante quanto non è contemplato dal programma ufficiale. Si prevede l'arrivo a Genova di decine di migliaia di contestatori provenienti da tutto il mondo, che affolleranno le strade con un altro ordine del giorno. Le proteste stanno diventando un elemento familiare dei forum mondiali.

Generalmente, i mezzi d'informazione si concentrano sull'esiguo numero di contestatori sempre più violenti che tentano di creare disordine, perdendo spesso di vista il messaggio più vasto di cui è portatrice la grande maggioranza dei dimostranti pacifici. Ma è un messaggio che merita attenzione. Stiamo assistendo alle prime avvisaglie di una reazione culturale sfavorevole alla globalizzazione, i cui effetti avranno probabilmente la stessa importanza e portata dei movimenti rivoluzionari per la democrazia politica e il capitalismo di mercato nati alla fine del XVIII secolo.

Ovunque, nel mondo, le culture locali si stanno risvegliando. Recentemente, in India i consumatori hanno attaccato i ristoranti della catena McDonald's per aver violato le leggi alimentari indù. La Germania è impegnata in un'animata discussione in merito a cosa rappresenti la cultura tedesca nell'era della globalizzazione. Il centrosinistra teme che qualsiasi tentativo di far rivivere una cultura tedesca dominante provochi una rinascita del sentimento fascista, ma il centrodestra si chiede per quanto tempo ancora la Germania potrà negare il proprio patrimonio culturale.

In Francia, coltivatori in rivolta hanno sradicato i raccolti geneticamente modificati della Monsanto, sostenendo che rappresentano una minaccia alla sovranità culturale francese sulla produzione alimentare. In Canada, comunità locali lottano per evitare l'insediamento del colosso del commercio al dettaglio Wal-Mart, per il timore che possa distruggere le attività commerciali vicine e sostituire la tradizionale cultura provinciale con enormi centri commerciali suburbani.

La globalizzazione sta cambiando il paesaggio culturale in altri modi fondamentali. In Europa le lingue native cedono il passo all'inglese, il linguaggio della globalizzazione, e gli osservatori prevedono che entro la fine del secolo questa lingua verrà parlata da Calais a Mosca. A Los Angeles il 70 per cento degli studenti è rappresentato da immigrati di lingua spagnola. Si prevede che, tra meno di 40 anni, gli americani saranno in maggioranza di colore.

La globalizzazione del commercio e degli affari e la crescente disparità tra abbienti e non abbienti provoca una considerevole migrazione di popolazioni dall'Est all'Ovest e dal Sud al Nord. A loro volta, le migrazioni determinano uno scontro di culture in varie nazioni, dato che i popoli combattono per riuscire a preservare la propria identità culturale in un mondo commerciale sempre più privo di confini. Una nuova generazione di attivisti culturali, proveniente da organizzazioni della società civile (CSO, Civil society organizations), porta le proprie cause all'attenzione mondiale.

Sebbene affrontino questioni globali di politica ed economia, esse sono legate alle comunità locali. L'ordine del giorno ufficiale preparato per il summit del G8 fa un accenno minimo a questo attivismo culturale emergente ed è proprio questo il nocciolo del problema.

Nell'epoca successiva alla Seconda guerra mondiale, la scena globale è stata dominata dalla presenza del commercio e dei governi. Ora un terzo giocatore comincia a esigere un ruolo. Organizzazioni che rappresentano diversi interessi culturali (ambiente, conservazione della specie, vita campestre, salute, cibo e cucina, religione, diritti dell'uomo, famiglia, temi riguardanti il mondo femminile, patrimonio etnico, arti e altri argomenti sulla qualità della vita) bussano alle porte dei forum politici ed economici mondiali, chiedendo l'accesso agli strumenti del potere e un posto al tavolo delle trattative. Esse rappresentano la nascita di una nuova «politica della società civile» e un antidoto alle forze che premono per una globalizzazione.

Molti dei nuovi attivisti culturali di cui si prevede l'arrivo a Genova si oppongono a quella che ritengono essere la colonizzazione della cultura da parte delle imprese globali, come la Monsanto, la Aol-Time Warner e la McDonald's. Se i leader del G8 sono uniti nel sostenere commercio e mercato globali, le CSO sono ugualmente impegnate nell'idea di conservare l'identità locale e arricchire la diversità culturale e biologica. Sono queste visioni contrastanti del futuro che hanno provocato i duri confronti avvenuti sulle strade di Seattle, Washington, Praga, Nizza, Davos, Quebec City e Göteborg nell'ultimo anno e mezzo. Nelle settimane che precedono il G8, potremmo tutti beneficiare di uno sguardo concreto alle diverse visioni ideologiche al centro dell'impasse tra commercio e governi da un lato, e il movimento della società civile dall'altro.

Forse il miglior modo per cominciare è riconoscere che la «politica della terza via» (di moda tra molti leader politici) ha un orientamento troppo materialista per includere tutti gli interessi rappresentati dal movimento della società civile. Bisogna riconsiderare la sua premessa, in base alla quale una fiorente economia globale è un requisito indispensabile per la prosperità delle società locali. Sia i teorici capitalisti sia quelli socialisti hanno tradizionalmente trovato un punto d'incontro nell'opinione che le condizioni materiali sono di primaria importanza e danno luogo a strutture, forme e valori culturali e sociali. I fautori della globalizzazione sostengono che un commercio libero e un'espansione delle relazioni commerciali sono la chiave per un futuro migliore per tutti. La pecca di questa premessa è nella presunzione errata che il commercio stimoli la cultura quando, in realtà, è più frequente che si verifichi esattamente l'opposto.

I nuovi attivisti della società civile affermano che nella storia non esiste un solo esempio che dimostri che la creazione di relazioni commerciali precede la formazione di una cultura. Commercio e governi sono istituzioni secondarie, non primarie, prodotti dalla cultura, non suoi precursori. Innanzitutto le popolazioni creano un linguaggio comune, concordando codici di comportamento e uno scopo comune (la conoscenza come capitale sociale). Soltanto in seguito a un buono sviluppo delle culture si crea una fiducia sociale sufficiente a sostenere le istituzioni commerciali e governative, perché la cultura è la fonte da cui nascono le norme di comportamento riconosciute. A loro volta, quelle norme di comportamento creano un ambiente ottimista nel quale possono svilupparsi gli affari. Quando la sfera commerciale comincia a divorare la sfera culturale, minaccia di distruggere le stesse basi sociali che danno origine alle relazioni commerciali. Sfortunatamente, oggi il settore culturale vive in una specie di limbo neocoloniale tra i settori del mercato e dei governi. È stato privato della propria identità e la sua stessa sopravvivenza dipende ora dagli altri due settori. Soltanto rendendo la cultura locale una forza politica coerente e autoconsapevole sarà nuovamente possibile ristabilirne il ruolo critico nello schema della società umana.

Può essere davvero il momento di prendere in considerazione l'idea di fondare un'organizzazione culturale mondiale (Wco), che rappresenti gli interessi di tutte le diverse culture del pianeta e abbia un'importanza pari a quella dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) negli affari internazionali.

Tuttavia, occorre fare attenzione. Un rinnovamento della cultura può facilmente provocare una nuova forma violenta di fondamentalismo. Oggi aumentano in tutto il mondo i movimenti fondamentalisti politici e religiosi. Partiti politici ultranazionalisti, gruppi separatisti, movimenti di pulizia etnica e rinascite religiose rappresentano una controreazione estrema alle ansietà e alle insicurezze causate dalla globalizzazione. I movimenti fondamentalisti sono un tentativo di chiudere i contatti con un mondo considerato corrotto e peccaminoso. La suscettibilità di questi movimenti è in contrasto con la maggior parte delle Cso, anch'esse a favore di un recupero della cultura locale, ma sensibili e rispettose nei confronti dei diritti di altre civiltà a esistere in un mondo culturalmente diverso. La massima «Pensa globalmente e agisci localmente» può anche essere un luogo comune, dopo tanti anni di abuso, ma riflette ancora il parere delle Cso.

Molti osservatori temono che un ritorno dell'interesse nelle culture locali porterà inevitabilmente a xenofobia e sentimenti ultranazionalisti. Non necessariamente dovrà essere così. Se, ovunque, le etnie arriveranno a considerare le proprie risorse culturali non come possedimenti da difendere, ma come doni destinati a uno scambio reciproco, le grandi migrazioni di popoli del XXI secolo potrebbero generare una rinascita culturale e creare le condizioni per una globalizzazione umana del commercio e degli affari.

Genova è il luogo simbolico ideale per sollevare la questione di una rinascita culturale: qui e nelle altre città stato italiane si è verificata la principale fioritura culturale dell'era moderna, più di cinque secoli fa. La capacità dei partiti e dei leader politici di identificarsi con gli interessi della società civile e della diversità culturale e di promuovere quegli stessi interessi sarà cruciale nel garantirne la rilevanza e la vitalità nel secolo futuro. È questa la lezione impartita dai contestatori pacifici, prevalentemente giovani, sulle strade di Seattle 18 mesi fa. È una lezione che, probabilmente, si ripeterà sulle strade di Genova in luglio.

Il problema è: i capi di stato che partecipano al summit si daranno il tempo necessario per ascoltare con attenzione il messaggio dei rappresentanti della società civile legittimamente radunati sotto le loro finestre? Se ciò non accadrà, è probabile che la crescente frustrazione giocherà a favore del numero sempre maggiore di estremisti inclini alla violenza, con conseguenze incalcolabili per il futuro.

Fonte:La Repubblica 29/6/2002

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