Commenti, valutazioni, discussioni dalla/sulla/per la società del XXI° secolo

L'ALTERNATIVA AGROECOLOGICA PER COMBATTERE INQUINAMENTO E FAME
PRODOTTI DALL'INDUSTRIA AGROALIMENTARE
di Gianni Moriani

La selvaggia tecnologizzazione dei campi ha messo l'agricoltura in conflitto con l'ambiente. A livello mondiale, i fertilizzanti utilizzati dagli agricoltori sono 10 volte superiori a quelli impiegati nel 1950, ma la produzione di derrate e' soltanto triplicata; nello stesso periodo la spesa dei pesticidi e' aumentata di 17 volte, mentre la quota di raccolto perduta a causa dei parassiti e' rimasta sostanzialmente invariata.
Emblematico e' l'esempio di una delle regioni piu' produttive del pianeta, il Midwest USA, dove l'80% dei terreni viene coltivato soltanto a mais e soia: cio' richiede un uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi, poiche' le monocolture attirano i parassiti e sottraggono molti nutrienti al terreno.

Oltre alla diffusione dell'inquinamento, l'agricoltura del nostro tempo, e' anche responsabile del drammatico depauperamento delle risorse idriche: quasi il 10% dei cereali mondiali viene oggi prodotto prosciugando queste risorse. Drammatica e' la situazione nella Cina settentrionale, dove i contadini estraggono piu' acqua di quanta ne venga reintegrata dalle precipitazioni, con il risultato di provocare l'abbassamento di 1-1,5 metri
all'anno delle falde idriche.

Cosicche', il dissennato uso dell'acqua per l'irrigazione minaccia oltre la meta' delle mille grandi zone umide considerate vitali per la comunita' del globo.

La riprova piu' tangibile di quanto sia incompatibile l'attuale sistema di produzione alimentare e' data dal fatto che gli agricoltori costituiscono la categoria produttiva piu' povera del pianeta: degli oltre 1,2 miliardi di persone che in tutto il mondo guadagnano non piu' di un dollaro al giorno, il 75% lavora, sopravvive e muore in zone rurali. Le ridotte opportunita' di campare con l'agricoltura hanno attivato esodi di massa dalle zone rurali.

Per andare incontro agli agricoltori poveri, l'innovazione deve aumentare la stabilita' della produzione, garantendo sufficiente flessibilita' in modo da poter trovare applicazione in contesti ecologicamente diversi. Per molti aspetti si tratta di un approccio piu' sofisticato, in quanto dipende da una profonda comprensione delle interazioni ecologiche dei territori agricoli. L'uso ottimale delle risorse e delle conoscenze locali garantisce piu' efficacia ed efficienza di qualsiasi sostanza chimica, ritrovato tecnologico o applicazione delle innaturali biotecnologie. Anziche' ricorrere a strumenti utilizzati ovunque allo stesso modo, l'approccio agroecologico si inspira a principi la cui applicazione varia a seconda dei luoghi. La sua utilita', in particolare per gli agricoltori piu' poveri, e' stata confermata da uno studio condotto dall'Universita' di Essex su oltre 200 progetti agricoli di matrice agroecologica nei paesi in via di sviluppo. La ricerca ha evidenziato che in tutti gli interventi (9 milioni di aziende agricole per un totale di quasi 30 milioni di ettari) la produzione aumentava in media del 93%. Ma l'aspetto ancora piu' rilevante risiede nel fatto che la maggior parte di questi progetti riusciva ad aumentare la produzione in condizioni avverse e in aree marginali in cui qualsiasi altro intervento aveva in precedenza fallito.

Naturalmente, affinche' questo tipo di agricoltura possa prosperare, gli agricoltori dovranno controllare l'utilizzo delle risorse e prendere decisioni secondo criteri non sempre convenzionali. La mancanza di un tale orientamento e' una delle cause principali per cui molti sistemi agricoli a basso costo, ma ad alta produttivita' non hanno successo, soprattutto se si considera che il successo di qualsiasi tecnica agricola ecologica dipende
dalla conoscenza e dall'adattamento alle caratteristiche specifiche locali.

Un altro limite alla diffusione dell'agricoltura ecologica e' costituito dal limitato ruolo che le donne hanno nelle decisioni del settore agricolo. Eppure nei paesi in via di sviluppo le donne lavorano i campi, seminano, estirpano le piante infestanti, trasportano l'acqua necessaria ai campi e alla famiglia, procurano il cibo e lo cucinano. Il loro ruolo di <<custodi alimentari>> e' cresciuto ulteriormente con la massiccia emigrazione degli uomini verso la citta'. Ad esempio, in quasi il 40% dei nuclei familiari delle zone rurali dell'India, il capofamiglia e' adesso una donna. Ciononostante, i programmi di sviluppo rurale ignorano costantemente le donne, discriminandole e favorendo gli uomini nei crediti e in altri servizi.
Un altro limite allo sviluppo dell'agroecologia e' dovuto al fatto che la maggioranza dei terreni agricoli e' nelle mani di una minoranza elitaria, che spesso determina il modo in cui tali terreni vengono utilizzati. Circa 500 milioni di persone (100 milioni di famiglie) occupate nel settore agricolo (la maggior parte delle popolazioni rurali dell'Asia meridionale e sud-orientale, dell'America centrale e meridionale e dell'Africa meridionale e orientale) non godono di diritti di proprieta' sulle terre che coltivano.

Questo quadro evidenzia con forza anche tutta la contraddizione tra la retorica della riduzione della poverta' delle grandi istituzioni internazionali (Banca Mondiale in primis) e la materiale indifferenza nei confronti delle zone rurali, dove di fatto risiede la maggior parte dei poveri del mondo. E' scandaloso che gli aiuti internazionali in favore dell'agricoltura siano diminuiti di due terzi dagli anni Ottanta: nel 2000 gli investimenti della Banca Mondiale in questa direzione ammontavano a meno del 10% delle somme complessive erogate.

Negli ultimi anni un nuovo soggetto si e' affacciato sul mondo della produzione agricola: il consumatore. Il poeta-agricoltore Wendell Berry non ci ricorda che <<nutrirsi e' un evento agricolo>> Per il consumatore medio questo ha implicato l'assunzione di una nuova identita': il classico cliente distratto si e' trasformato in un soggetto dotato di senso critico verso il sistema alimentare, perche' sempre piu' curioso delle origini e della storia degli alimenti. Siamo di fronte a una maggiore sensibilita' dei consumatori che dovrebbe portarli a percepire i recenti allarmi alimentari non come incidenti isolati, ma come sintomi di un sistema agricolo malato bisognoso di essere risanato.

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