Commenti, valutazioni, discussioni dalla/sulla/per la società del XXI° secolo

I RIFIUTI "AUTENTICI" DEL GOVERNO BERLUSCONI
di Gianfranco Amendola

1. Introduzione e sintesi storica
Il decreto legge 8 luglio 2002 n. 138 ( pubblicato sulla G. U. dello stesso giorno) il quale reca interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell economia anche nelle aree svantaggiate , contiene, in modo del tutto inopinato, una norma, l'art. 14, relativa alla interpretazione autentica della definizione di <<rifiuto>> di cui all art. 6, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 , che ricalca esattamente la definizione comunitaria.
Leggiamo, quindi, sia la definizione di <<rifiuto>> sia la sua interpretazione autentica contenuta nel decreto legge in esame:



"art. 6, comma 1, lettera a) D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 si intende per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l' obbligo di disfarsi;"

"art. 14 D.L. 8 luglio 2002 n. 138 Interpretazione autentica della definizione di "rifiuto" di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22)"


1. Le parole: "si disfi", "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi" di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, di seguito denominato: "decreto legislativo n. 22", si interpretano come segue: a) "si disfi": qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attivita' di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22; b) "abbia deciso": la volonta' di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni; c) "abbia l'obbligo di disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorita' o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22.
2. Non ricorre la decisione di disfarsi, di cui alla lettera b) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni: a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente; b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22.
"



Si tratta, come è evidente, di un nuovo tentativo del partito trasversale del non rifiuto, che, nonostante il cambio di governo e di maggioranza, oggi ripropone, esattamente con lo stesso testo e con lo stesso titolo, e addirittura con decreto legge, una proposta già fatta dalla maggioranza precedente, comunemente conosciuta come "Ronchi quater", che vale la pena, per verificarne la totale corrispondenza, di riportare per esteso nel testo approvato dalla Commissione ambiente del Senato e trasmesso alla Camera il 5 agosto 1999:

P.D.L. RONCHI QUATER

Art.1 (Norme di interpretazione autentica della definizione di rifiuto di cui all articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22)

1. Le parole "si disfi", "abbia deciso di disfarsi" o "abbia l'obbligo di disfarsi" di cui all articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 22 e succ. modif,. di seguito denominato decreto legislativo n. 22 , si interpretano come segue:
a) "si disfi": qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n.22;
b) "abbia deciso di disfarsi": la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del .decreto legislativo n.22, sostanze, materiali o beni;
c) "abbia l'obbligo di disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di
legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza o del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n.22.
2. Non ricorre la decisione di disfarsi, di cui alla lettera b) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni :
a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo; senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;
b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo, in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n.22.

E vale la pena di ricordare che il tentativo del Ronchi quater fallì perchè proprio mentre era in dirittura di arrivo, veniva pronunciata una sentenza della Corte europea di giustizia (quinta sezione, sentenza ARCO del 15 giugno 2000) che, come vedremo appresso, sconfessava apertamente qualsiasi tentativo del genere.
Resta solo da ricordare, in questa introduzione, che già prima della sentenza ARCO la Corte europea era stata costretta più volte ad intervenire sulla stessa problematica, e quasi sempre per contrastare iniziative del partito italiano del non rifiuto, il cui obiettivo è quello di sottrarre la maggior parte possibile dei rifiuti industriali recuperabili alla disciplina prevista dalla U.E. per il controllo dei rifiuti dalla culla alla tomba.
In sintesi, rinviando ad altre opere per approfondimenti, il panorama di queste sentenze (fino al 2000), per quanto attiene alla interpretazione del termine <<rifiuto>>, può essere così schematizzato:

LA CORTE DI GIUSTIZIA E LA NOZIONE DI RIFIUTO

1. Corte di Giustizia CE, 28 marzo 1990, Vessoso ed altro

- L'art. 1 della direttiva del Consiglio n. 75/442 relativa ai rifiuti . si riferisce, in generale, ad ogni sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi, senza distinguere a seconda dell' intenzione del detentore che si disfa della cosa. - La nozione di rifiuto.. non deve essere intesa nel senso che esclude le sostanze e gli oggetti
suscettibili di riutilizzazione economica. Tale nozione non presuppone che il detentore che si disfa di una sostanza o di un oggetto abbia l'intenzione di escluderne ogni riutilizzazione economica da parte di altre persone.


2. Corte di Giustizia CE, 28 marzo 1990, C-359/88, Zanetti

3. Corte di Giustizia CE, 10 maggio 1995, C- 422/92

Una normativa nazionale la quale adotti una definizione della nozione di rifiuto escludente le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica non compatibile con le direttive Cee .

4. Corte di Giustizia CE, 25 giugno 1997, C-304/94,Tombesi e altri.

- La nozione di <<rifiuto>> vigente in Europa non consente affatto che i residui industriali avviati a riutilizzo siano svincolati dai controlli e dagli obblighi previsti per i rifiuti; tale nozione non presuppone che il detentore che si disfa di una sostanza o di un materiale abbia l'intenzione di escludere ogni riutilizzazione economica da parte di terzi. - La nozione di <<residuo>> non può avere una rilevanza autonoma rispetto a quella di rifiuto, poichè in caso contrario, il sistema comunitario non potrebbe trovare integrale applicazione sul territorio italiano. - La nozione di rifiuti figurante all'art.1 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/ 156/CEE, . non deve essere intesa nel senso che essa esclude sostanze od oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, neanche se i materiali di cui trattasi possono costituire oggetto di un negozio giuridico, ovvero di una quotazione in listini commerciali pubblici o privati.

5. Corte di Giustizia CE, 18 dicembre 1997, C-129/96, rel. L. Sev
- La direttiva sui rifiuti si applica anche allo smaltimento e al ricupero di rifiuti ad opera dell impresa che li ha prodotti, nei luoghi di produzione. - Possono costituire rifiuti .. sostanze che fanno parte di un processo di produzione . Il mero fatto che una sostanza sia inserita, direttamente o indirettamente, in un processo di pro duzione industriale non la esclude dalla nozione di rifiuto ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE. Corte di Giustizia CE, 15 giugno 2000, proc. riuniti c-418/97 e c-419/97, Arco - A questo proposito va rilevato anzitutto che, anche se un rifiuto è stato oggetto di un'operazione di ricupero completo la quale comporti che la sostanza di cui trattasi ha acquisito le stesse proprietà caratteristiche di una materia prima, cionondimeno tale sostanza può essere considerata un rifiuto se, conformemente alla definizione di cui all'art. 1, lett. a) della direttiva, il detentore della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene. - Come è stato ricordato sopra, il metodo di trasformazione o le modalità di utilizzo di una sostanza non sono determinanti per stabilire se si tratti o no di un rifiuto. Infatti la destinazione futura di un oggetto o di una sostanza non ha incidenza sulla natura di rifiuto definita, conformemente all'art. 1, lett. a), della direttiva, con riferimento al fatto che il detentore dell'oggetto o della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene.


2. La illegittimità costituzionale delle premesse e dell' impostazione generale del decreto legge

Come è noto, un decreto legge può essere legittimamente emanato dal governo solo in presenza dei presupposti di cui all art. 77 della Costituzione, e ciò solo nei casi straordinari di necessità d'urgenza.
Ora, nel decreto legge in esame, non vi è alcun elemento da cui desumere la presenza di un caso straordinario di necessità d urgenza per quanto concerne la interpretazione autentica del termine rifiuto. Sia chiaro, non si tratta affatto di contestare una affermazione governativa sulla urgenza, ma, molto più semplicemente, di prendere atto che in nessuna parte del decreto vi è un qualsiasi elemento da cui desumere la esistenza di questo inderogabile presupposto costituzionale per quanto concerne l'art. 14. Se, infatti, si leggono le premesse del decreto legge, si apprende che il governoè intervenuto:
Ritenuta la straordinaria necessità d' urgenza di operare interventi in materia tributaria, con particolare riferimento alle accise sui prodotti petroliferi, alle tasse automobilistiche, al potenziamento dell'attività di riscossione dei tributi, alla gestione unitaria dei giochi, ai crediti di imposta ed alle società associazioni sportive dilettantistiche; Ritenuta, altresì la straordinaria necessità ed urgenza di operare interventi per la trasformazione ed il riassetto di enti pubblici, per la razionalizzazione ed il contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell'economia anche nelle aree svantaggiate, nonchè per l'attuazione di una sentenza della Corte Costituzionale.
E pertanto già sotto questo profilo, mancando qualsiasi riferimento alla tematica dei rifiuti, il decreto legge si appalesa come costituzionalmente illegittimo per quanto concerne l'art. 14 in esame.
Ma vi è di più inaccettabile a livello istituzionale che il legislatore italiano detti norme di interpretazione autentica di una definizione contenuta nelle direttive U.E. (e recepita nel Ronchi ), quale la definizione di rifiuto. E , ciò è di immediata evidenza che solo la U.E., in tutte le sue articolazioni (prima fra tutte la Corte europea di giustizia), può dirlo. Di certo, peraltro, quella che può dire l' Italia non è autentica . Tanto più, proprio per chiarire alcuni casi dubbi, sono state attivate alcune iniziative comunitarie (innescate dall incontro di Aechen del 30 novembre 1998), nell ambito delle quali il nostro paese era ed è del tutto legittimato a proporre interpretazioni che, con ogni evidenza, devono essere studiate e recepite in ambito non nazionale ma comunitario.
Questo è del resto, quanto statuito dalla Corte europea con la già citata sentenza Arco del 2000, ove si afferma, tra l'altro che:



Corte di Giustizia CE, 15 giugno 2000, proc. riuniti c-418/97 e c-419/97, Arco L'effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva va però accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l'efficacia. 41. Va infine precisato che, in mancanza di disposizioni comunitarie, gli Stati membri sono liberi di scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi trasposte, purchè ciò non pregiudichi l'efficacia del diritto comunitario (in tal senso vedansi le sentenze 21 settembre 1983, cause riunite 205/82-215/82, Deutsche Milchkontor e a., Racc. pag. 2633, punti 17-25 e 35-39; 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punti 17-21; 8 febbraio 1996, causa C-212/94, FMC e a., Racc. pag. I-389, punti 49-51). 42. Potrebbe pregiudicare l'efficacia dell'art. 130 R del Trattato e della direttiva l'uso, da parte del legislatore nazionale, di modalità di prova come le presunzioni iuris et de iure che abbiano l'effetto di restringere l'ambito di applicazione della direttiva escludendone sostanze, materie o prodotti che rispondono alla definizione del termine rifiuti ai sensi della direttiva. 70. In mancanza di disposizioni comunitarie specifiche relative alla prova dell'esistenza di un rifiuto, spetta al giudice nazionale applicare le norme in materia del proprio ordinamento giuridico in modo da non pregiudicare la finalità l'efficacia della direttiva. A questo punto, basta leggere l' art. 14 in esame per verificare che esso così come faceva anche il Ronchi quater (che fu ritirato, come già detto, proprio dopo questa sentenza) non stabilisce affatto modalità di prova di cui tener conto per definire il <<rifiuto>> ma impone, invece, vere e proprie presunzioni iuris et de iure (cioè assolute), indicando criteri tassativi cui ancorare la definizione di <<rifiuto>>, che ne risulta, quindi, chiaramente ristretta senza margini di intervento interpretativo.



In conclusione, quindi, l' art. 14 in esame, fornendo una interpretazione autentica che compete non all Italia ma alla Unione Europea, è incompatibile con gli impegni assunti dall Italia verso la CEE con il Trattato di Roma. Il che comporta anche la violazione dell art. 10 della Costituzione. In più essendo in palese contrasto con quanto stabilito da una sentenza della Corte europea di giustizia, potrebbe essere disapplicato dai giudici e dai funzionari italiani, così come sancito più volte dalla Corte costituzionale e dal Consiglio di Stato, secondo cui le sentenze della Corte di giustizia, pur non importando la caducazione della norma interna ritenuta incompatibile, si traducono in un obbligo di attuazione della normativa comunitaria rivolto a tutti i soggetti giuridicamente tenuti all'attuazione delle leggi, ed in particolare alle autorità giurisdizionali ed amministrative.

3. In particolare il primo comma dell'art. 14

In sostanza, il primo comma dell'art. 14 àncora la nozione di <<rifiuto>> al <<disfarsi>>. Il che è certamente corretto e pienamente rispondente a quanto più è evidenziato dalla Corte europea. Non è corretto, tuttavia, limitare tassativamente, così come fa il primo comma dell'art. 14, l'ambito del verbo -e, quindi, l'ampiezza del <<rifiuto>>- alle sole operazioni di smaltimento e di recupero elencate nei due allegati comunitari recepiti da D. Lgs. n. 22/1997 come allegato B e C.
Il problema, infatti, si era già posto sin dal 1997 in sede comunitaria, quando l'avvocato generale Jacobs, nelle sue conclusioni per la sentenza Tombesi (già citata), evidenziava; Il necessario punto di partenza costituito dalla definizione data al termine <<rifiuto>>.. Ritengo che si possa trarre poco profitto dall'esame del significato normale del termine disfarsi . Risulta chiaramente dalle disposizioni della direttiva, che il termine <<rifiuto>> e il regime della direttiva comprendono tanto le sostanze o gli oggetti che sono eliminati quanto quelli che sono recuperati. Pertanto, il termine <<disfarsi>> impiegato nella definizione del rifiuto .. presenta un significato speciale, che comprende tanto lo smaltimento dei rifiuti quanto il loro ricupero. La portata del termine rifiuto dipende quindi da ciò che si intenda per <<operazione di smaltimento>> e per <<operazione di ricupero>>.
Sfortunatamente, tuttavia - ma ciò è forse inevitabile - tali termini non sono stati definiti esaurientemente. L'allegato IIA elenca le operazioni di smaltimento <<così come esse sono effettuate in pratica; del pari, l'allegato IIB mira meramente a vedere ricapitolate le operazioni di ricupero così come esse, sono effettuate in pratica . Tale espressione fa pensare che gli elenchi sono redatti in via meramente esemplificativa e si basano sull' esperienza acquisita.
Si può tuttavia dedurre dalla stessa espressione <<operazione di ricupero>> e dall'elenco dell'allegato IIB che il <<ricupero>> implica un procedimento con il quale i beni sono riportati al loro stato precedente, o trasformati in un stato che li rende utilizzabili, o con il quale talune componenti utilizzabili sono estratte o prodotte. Ne consegue che, come rilevano i governi italiano, olandese e britannico, sostanze o oggetti che sono trasferiti a un'altra persona e continuano ad essere usati nella loro forma esistente non sono recuperati. Così un autoveicolo usato venduto a un terzo che continuerà ad usarlo come tale non costituisce un rifiuto.
La difficoltà dell'interpretazione e dell'applicazione della direttiva consiste pertanto nel fatto che la nozione <<operazione di ricupero>>, sulla quale in parte si basa la definizione dei rifiuti, non è definita in modo completo nella direttiva e può essere intrinsecamente difficile da utilizzare in alcuni casi. Inoltre, vi è un elemento di circolo vizioso: la questione se vi sia <<ricupero>> dipende dalla questione se vi siano <<rifiuti>>, questione che, a sua volta, dipende dalla questione se vi sia <<ricupero>>.
Credo che, per superare tale difficoltà non si debba tentare di formulare una definizione completa, ma che occorra procedere caso per caso, in altri termini stabilire se il detentore di un oggetto o di una sostanza li sottoponga o abbia l'intenzione di sottoporli a una delle operazioni elencate nell'allegato IIB o a un'operazione analoga".
Peraltro, la stessa Corte europea in più occasioni ha confermato che la esecuzione di una operazione di smaltimento o di recupero elencata negli allegati alla direttiva non può essere considerata affatto quale un criterio tassativo circa il disfarsi e, quindi, circa la qualifica di <<rifiuto>>, così come fa il primo comma dell'art. 14 in esame. Basta leggere, in proposito, da ultimo, una sintesi di una recentissima sentenza:

Corte di Giustizia CE, Sesta Sezione 18 aprile 2002, proc. C-9/00, Palin Granit Oy

22. L'art. 1, lett. a), comma 1, della direttiva 75/442 definisce rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi . L'allegato I della direttiva ed il CER specificano ed illustrano tale definizione, proponendo elenchi di sostanze ed oggetti che possono essere qualificati come rifiuti. Tali elenchi hanno tuttavia solo carattere indicativo e la qualificazione di rifiuti dipende soprattutto, come giustamente sottolinea la Commissione, dal comportamento del detentore, a seconda che egli voglia disfarsi o meno delle sostanze in oggetto. Di conseguenza l'ambito di applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine disfarsi (sentenza 18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I-7411, punto 26).

23. Il verbo disfarsi deve essere interpretato alla luce della finalità della direttiva 75/442 che, ai sensi del terzo 'considerando', ?a tutela della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e del deposito dei rifiuti, ma anche alla luce dell'art. 174, n. 2, CE, secondo il quale la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata in particolare sui principi della precauzione e dell'azione preventiva. Ne consegue che la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo (v. sentenza 15 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e C-419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag. I-4475, punti da 36 a 40).

24. Nello caso specifico, la questione di stabilire se una determinata sostanza sia un rifiuto deve essere risolta alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva 75/442 ed in modo da non pregiudicarne l'efficacia (sentenza ARCO Chemie Nederland e a., cit., punti 73, 88 e 97).

25. La direttiva 75/442 non propone alcun criterio per individuare la volontà del detentore di disfarsi di una sostanza o di un determinato oggetto. Tuttavia la Corte, più volte interrogata sulla qualificazione di rifiuto da attribuire o meno a diverse sostanze, ha fornito alcune indicazioni che possono permettere di individuare la volontà del detentore. E' alla luce di tali elementi, tenendo anche presenti le finalit?ella direttiva 75/442, che bisogna analizzare la qualificazione dei detriti e valutare se essi appartengano alla categoria dei residui provenienti dall'estrazione delle materie prime, di cui al punto Q 11 dell'allegato I della direttiva 75/442.

26. La Commissione considera le operazioni di smaltimento e recupero di una sostanza o di un oggetto alla stregua di manifestazioni della volontà di disfarsene ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. In effetti, a suo parere, gli artt. 4, 8, 9, 10 e 12 della direttiva 75/442 qualificherebbero tali operazioni come modalità di trattamento dei rifiuti. Tra tali operazioni figurano il deposito sul o nel suolo, come la messa in discarica (punto D 1 dell'allegato II A) e il deposito preliminare ad un'altra operazione di smaltimento (punto D 15 dell'allegato II A), il deposito preliminare ad un'operazione di recupero (punto R 13 dell'allegato II B). I detriti, ammassati nel luogo di estrazione o nel luogo di deposito, sarebbero pertanto oggetto di un'operazione di smaltimento o di recupero.

27. Tuttavia la distinzione tra operazioni di smaltimento o recupero di rifiuti e il trattamento di altri prodotti spesso difficile da cogliere. Così la Corte ha già statuito che dalla circostanza che su una sostanza venga eseguita un'operazione menzionata nell'allegato II B della direttiva 75/442 non discende che l'operazione consista nel disfarsene e che quindi tale sostanza vada considerata rifiuto (sentenza ARCO Chemie Nederland e a., cit., punto 82). L'esecuzione di un'operazione menzionata nell'allegato II A o nell'allegato II B della direttiva 75/442 non permette dunque, di per sé di qualificare una sostanza come rifiuto.

E va aggiunto, infine, che paradossalmente, se si accettasse la interpretazione autentica del primo comma, non potrebbero essere punite le condotte di abbandono bruto di rifiuti, dato che questo comportamento non è contemplato tra le operazioni di smaltimento di cui all allegato B.

4. In particolare, il secondo comma dell'art. 14

Secondo il secondo comma dell'art. 14 non sono rifiuti quelle sostanze o quei materiali residuali riutizzabili (e riutilizzati) nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all ambiente. Con questa formulazione, non si tratta di una affermazione accettabile. Infatti, la Corte europea di giustizia costante nel richiedere, come si è visto, che si adotti una definizione ampia di rifiuto, escludendone solo quei residui di produzione che siano direttamente riutilizzati nell ambito dello stesso ciclo che li ha prodotti, e, quindi, senza neppure venire ad esistenza esterna. Nella citata, recentissima sentenza PALIN GRANIT OY, si legge, infatti testualmente (n. 36) che tenuto conto dell'obbligo, ricordato al punto 23 della presente sentenza, di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere tale argomentazione, relativa ai sottoprodotti, alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione; e si evidenzia anche che l'assenza di pericolosità nella sostanza in questione non è un criterio decisivo per valutare la volontà del relativo detentore al suo riguardo (punto 50), cos?ome fa, invece, il legislatore italiano.
A questo punto, appare evidente la inaccettabilità anche della lettera b) di questo secondo comma, in quanto, in palese contrasto con la Corte di giustizia (punto 36 sopra riportato), esclude dal novero dei rifiuti anche le sostanze ed i materiali residuali che abbiano subito un trattamento preventivo , e cioè una trasformazione preliminare. Contrasto ancor più stridente se si considera che la Corte, nella stessa sentenza, evidenzia addirittura (n. 46) che anche qualora una sostanza venga sottoposta ad una operazione di completo recupero ed acquisisca in tal modo le medesime proprietà caratteristiche di una materia prima, essa può comunque essere considerata un rifiuto se, in conformità alla definizione di cui all'art. 1, lett a), della direttiva 75/442, il suo detentore se ne disfa o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene.

5. Conclusioni
Sotto il profilo sostanziale, si deve concludere, peraltro, che l'art. 14 nel suo complesso restringe fortemente, in contrasto con la normativa europea e con la giurisprudenza della Corte europea di giustizia, la nozione di rifiuto, ancorandola direttamente e tassativamente alle sole operazioni di smaltimento e di recupero elencate (indicativamente) negli allegati comunitari, ed escludendone invece, altrettanto tassativamente, tutti i casi di riutilizzo, anche dopo operazioni di trasformazione preliminare; per cui si apre la strada a tutte le possibili invenzioni di riutilizzo da parte delle industrie italiane che vogliono sottrarsi ai controlli dalla culla alla tomba che ci impone l Unione europea. Quelle stesse industrie, cioè quelle che, quando nel 1993 l Italia inventò l'esclusione dai rifiuti per i materiali quotati in borsa , fecero immediatamente quotare in borsa i loro rifiuti più pericolosi, quali le ceneri ed il caprolattame, desistendo solo dopo la decisa condanna della Corte europea di giustizia del 1997 (sentenza Tombesi, cit.).
Insomma, si tratta di un oggettivo incentivo per l'ecomafia in un paese dove già oggi nonè dato sapere come vengono effettivamente smaltiti buona parte dei rifiuti industriali.

Magistrato

Interventi 10: La rete natura 2000 nel VenetoTerritorio veneto - Indicetorna suInterventi 12: Riequilibrio e non dighe

Territorio veneto - Home page Territorio veneto - Indice Territorio veneto - Fonti scientifiche Territorio veneto - Istituzioni Territorio veneto - Media & ipermedia Territorio veneto - Eventi Territorio veneto - Biblioteche banche dati Territorio veneto - Comunita' virtuale Territorio veneto - Approdi Territorio veneto - Strumenti e ricerche Territorio veneto - Mail box
Questo piccolo sito e' stato visitato daterritorio veneto - visitatori utenti dal 1 gennaio 2001