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Le indicazioni e le notizie riportate in queste pagine vengono fornite al solo scopo informativo e non possono sostituire la consulenza di un medico. Ricordate che l'autodiagnosi e l'autoterapia possono essere pericolose. Solo il vostro medico di fiducia potrà esservi di aiuto.   

   1  Il medicinale, definiamolo

         (+conservazione e smaltimento)

  2 Lo stupefacente
     3  Preparazione medicinali: le norme   4 Farmaci per le persone ...sane

   5 Rapporto farmaci e pubblicità

  6 Farmacogenetica

   7 AIFA:la conosci?

  8 Le regole della ricetta medica

   9 Gli anziani e farmaci   

 10 Farmaci: prima, dopo o lontano    dai pasti?

  11 Farmaci contro il dolore

 12 Diabete: Uso della insulina

  13 Punture degli insetti

 14  Antibiotici in pomata

  15 Uso dell'argento proteinato

 16 Tachipirina: analgesico,antipiretico

    17 Moment e Voltaren incriminati  18 I lassativi    I probiotici
    19 I protettivi solari  20 Colesterolo e trigliceridi
    21 Il cancro e i farmaci intelligenti

 22 Il sale, questo incriminato

    23 Lo zucchero

 24 Integratori e distillazione molecolare

   25 Allergologia e antistaminici  27 Uso del  Roaccutan

  28 lansoprazolo:gastroprotezione

  

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 

Che cos'è un medicinale

I termini “farmaco”, “medicinale”e “prodotto medicinale” sono stati usati nel corso degli anni come sinonimi; di recente si è preferito usare il termine medicinale, impiegato anche nelle direttive comunitarie che disciplinano questo settore. Si intende per medicinale:

     1.   0gni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane;

     2.   ogni sostanza o associazione di sostanze che possa essere utilizzata sull'uomo o somministrata all'uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica.


Tutti i medicinali sono costituiti da principi attivi e da vari eccipienti. Il
principio attivo è il componente dei medicinali da cui dipende la sua azione curativa, il medicinale vero e proprio.
Gli
eccipienti sono invece componenti inattivi del medicinale, privi di ogni azione farmacologica. Hanno la funzione di proteggere il principio attivo dagli agenti esterni che potrebbero danneggiarlo (il caldo, il freddo, l’umidità o altre sostanze chimiche), di aumentare il volume per consentire la preparazione di compresse o di qualsiasi altra forma farmaceutica di dimensioni accettabili, di rendere stabili soluzioni o sospensioni evitando la sedimentazione del principio attivo sul fondo dei contenitori e di facilitare l’assorbimento del principio attivo nell’organismo, di rendere il sapore dei medicinali più gradevole, ecc. ecc.

I medicinali possono distinguersi in:

     1.      Medicinali preparati in farmacia (galenici);

     2.      Medicinali di origine industriale: ovvero medicinali per uso umano, preparati industrialmente o nella cui produzione interviene un processo industriale, che hanno una propria denominazione, che può essere un nome di fantasia non confondibile con la denominazione comune oppure una denominazione comune o scientifica accompagnata da un marchio o dal nome del titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio, cioè del responsabile della commercializzazione del medicinale.


Medicinali preparati in farmacia (galenici)
I medicinali allestiti in farmacia si possono distinguere in:

     ·   formule magistrali se preparati in base ad una prescrizione medica destinata ad un determinato paziente;

     · formule officinali se preparati in farmacia in base alle indicazioni della Farmacopea europea o della Farmacopea Ufficiale della Repubblica Italiana e destinati ad essere forniti direttamente ai pazienti serviti da tale farmacia. In relazione al tipo di sostanze presenti nella formulazione, le formule officinali - così come i medicinali di origine industriale - possono essere dispensate: senza ricetta medica, con ricetta medica ripetibile, non ripetibile, speciale.

Il farmacista che intenda allestire nella propria farmacia galenici magistrali o officinali deve attenersi a quanto previsto nelle Norme di Buona Preparazione (N.B.P.) dei medicamenti in farmacia. Infatti l’allestimento deve avvenire attraverso procedure ben definite, che escludano possibilità di errore e che assicurano il possesso dei necessari requisiti di garanzia e omogeneità.
Il prezzo delle preparazioni magistrali è calcolato secondo le norme contenute nella Tariffa Nazionale dei Medicinali (TN). Nel caso che una sostanza non sia presente nella TN il prezzo si determina raddoppiando quello di acquisto al netto dell'IVA e addizionandovi l'aliquota IVA relativa al prodotto finito (10% nel caso dei medicinali).

Medicinali di origine industriale
L’immissione in commercio di ogni medicinale di origine industriale deve essere autorizzata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) o dall’Agenzia Europea per i medicinali (EMEA).
Per ottenere una autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) il richiedente presenta una domanda alle autorità competenti (AIFA o EMEA). La domanda rivolta all’EMEA può riguardare soltanto medicinali sottoposti ad una specifica procedura di autorizzazione europea. In questo caso l’autorizzazione è valida per tutto il territorio dell’Unione Europea.
La domanda può contenere:

       ·  tutta la documentazione (dossier completo) degli studi effettuati, prima sugli animali, poi su volontari sani, infine su pazienti, che dimostrano come il medicinale sia sicuro (non pericoloso, né tossico) ed efficace nel trattare una determinata malattia

oppure

       ·  documentazione ridotta (non fornendo i risultati delle prove precliniche e delle sperimentazioni cliniche), in alcuni casi particolari (es. per generici di medicinali di riferimento autorizzati da almeno otto anni e per medicinali le cui sostanze attive sono di impiego medico ben consolidato nella Comunità europea da almeno dieci anni e presentano una riconosciuta efficacia e un livello accettabile di sicurezza).

Nel primo caso il medicinale autorizzato viene definito Medicinale di riferimento.


Si definisce
Medicinale generico un medicinale che è bioequivalente rispetto ad un medicinale di riferimento, con brevetto scaduto, autorizzato con la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica, la stessa via di somministrazione e le stesse indicazioni terapeutiche. I medicinali generici sono sottoposti agli stessi controlli e procedure di registrazione e vigilanza che l’Agenzia Italiana del Farmaco riserva a tutte le specialità in commercio.
La scadenza della copertura brevettale permette di risparmiare sul prezzo al pubblico, una percentuale non inferiore al 20%. Tale riduzione del prezzo del generico non grava sulla qualità di controllo e di produzione del medicinale ma, piuttosto sui costi di marketing che non comprendono le spese di ricerca e sviluppo.

Il termine "generico", si è dimostrato infelice in quanto percepito dal pubblico come simile, ma non uguale al medicinale di riferimento indicato per la stessa patologia. Per questa ragione i prodotti "generici" sono stati ridefiniti
Medicinali equivalenti (L. 149 del 26 luglio 2005).

 

Omeopatici:

Si definisce medicinale omeopatico:
ogni medicinale ottenuto a partire da sostanze denominate materiali di partenza per preparazioni omeopatiche utilizzate ufficialmente negli Stati membri della Comunità europea; un medicinale omeopatico può contenere più sostanze.

Un medicinale omeopatico ha la denominazione scientifica del ceppo o dei ceppi omeopatici o in mancanza di questa la denominazione scientifica del materiale o dei materiali di partenza per preparazioni omeopatiche o altra denominazione figurante in una farmacopea, accompagnata tra parentesi dalla denominazione propria della tradizione omeopatica seguita dal grado di diluizione.

I medicinali omeopatici ad alta diluizione sono riconoscibili perché riportano sulla confezione esterna la seguente dicitura: "medicinale omeopatico" seguita dalla frase “senza indicazioni terapeutiche approvate”.
Ciò significa che nessuna valutazione dell’efficacia del prodotto è stata effettuata dall’autorità competente (AIFA).

Fitoterapici:

Le proprietà terapeutiche di molte piante, funghi o licheni sono tradizionalmente note agli uomini che frequentemente le hanno utilizzate come "erbe curative". Tuttavia, le tecniche della moderna medicina hanno permesso di individuare i medicinali fitoterapici veri e propri, distinti dai prodotti di erboristeria e dalle erbe semplici.

I medicinali fitoterapici sono tutti quei medicinali il cui principio attivo è una sostanza vegetale. Questi medicinali sono stati ufficialmente approvati dall’AIFA, che ne ha verificato la loro qualità, efficacia e sicurezza, e sono venduti esclusivamente nelle farmacie, alcuni dietro presentazione di ricetta medica ed altri come medicinali senza obbligo di prescrizione o medicinali da banco.

I prodotti di erboristeria non hanno l’autorizzazione all’immissione in commercio e non possono essere definiti medicinali anche se talora hanno una qualche attività farmacologica.
L’uso dei prodotti di erboristeria, soprattutto di quelli farmacologicamente attivi, deve essere, comunque, prudente:

Conservazione Farmaci

Cosa si intende per confezione integra
La confezione può essere definita integra sole se non è danneggiata (assenza di lacerazioni, rotture, rigonfiamenti sospetti) ed aperta.
In seguito alla prima apertura la data di scadenza deve comunque essere considerata valida se le singole dosi da assumersi in tempi successivi sono confezionate ciascuna in modo indipendente e sigillato, ad esempio fiale, compresse, o capsule in blister (si preme per estrarne una alla volta dallo spazio formato tra accoppiati di plastica ed alluminio), colliri monodose, bustine, etc.

Cosa si intende per "correttamente conservato"
Un medicinale per potersi definire correttamente conservato non deve essere stato esposto a fonti di calore o a temperature elevate; non deve essere stato esposto direttamente alla luce solare e neppure ad umidità eccessiva; devono essere state rispettate eventuali condizioni di temperatura indicate (ad es. conservare in frigorifero).


Per conservare bene i medicinali:

Non lasciarli fuori dalla loro scatola (protegge dalla luce solare)

Non lasciarli in un’auto parcheggiata all’aperto (con il sole la temperatura interna può salire in modo eccessivo)

Non lasciarli in una valigia che non si sa esattamente come verrà trasportata (portarli con se in un bagaglio a mano)

Non lasciarli sul davanzale della finestra (sono colpiti dai raggi del sole)

Non lasciarli vicino ad elettrodomestici che producono calore (ad es. in cucina il forno, il frigo, etc.)

Non lasciarli in ambienti umidi (in cucina e in bagno spesso si produce vapore

Se il medicinale non è monodose, occorre fare attenzione dopo la prima apertura, eventualmente annotando la data sulla scatola o sull’etichetta. Il medicinale, attraverso le aperture ed i prelievi successivi, può prendere aria ed umidità, e può contaminarsi. L’ossigeno e l’umidità accelerano la degradazione chimica, e i microrganismi presenti nell’aria possono depositarsi sul medicinale, moltiplicarsi velocemente e sviluppare nel tempo una carica batterica notevole.
In particolare, i medicinali che si preparano estemporaneamente da liofilizzati hanno una durata molto limitata, di solito poche ore o pochi giorni, a causa della instabilità chimica (ad esempio antibiotici); i colliri in boccetta hanno una validità molto limitata dalla prima apertura (una quindicina di giorni) per evitare contaminazione e proliferazione microbiologica; le gocce nasali debbono essere rinnovate con frequenza poiché spesso il contagocce che vi si immerge è veicolo di contaminazione, etc.
Molti antibiotici (cosiddetti sciroppi) dopo la preparazione devono essere conservati nel frigorifero, e ciò è indicato solo sul foglietto illustrativo.

È importante rispettare le condizioni di temperatura indicate sulla confezione, però non bisogna neppure essere ossessionati

La temperatura è una forma di energia che si accumula nel tempo e si somma fino ad ottenere la degradazione del principio attivo. Escludendo quindi sbalzi termici e temperature eccessive che alterano immediatamente il medicinale, una piccola variazione può essere tranquillamente tollerata purché occasionale e limitata nel tempo. Questo anche in considerazione del fatto che presumibilmente un medicinale appena acquistato verrà utilizzato nel breve periodo.

Facciamo un esempio: l’albumina si conserva per 5 anni in frigorifero, oppure per tre anni a temperature inferiore a 25 gradi; l’insulina si conserva in frigorifero, ma da quando si comincia ad utilizzare una fiala può essere tenuta a temperatura ambiente per quattro settimane

Che cos’è la data di scadenza
La scadenza indica la data entro la quale è possibile utilizzare il medicinale.
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Dove si legge
La data di scadenza è indicata sulla confezione esterna (la scatoletta di cartone), ma molto spesso anche sul contenitore primario del medicinale (sull’etichetta della boccetta per gocce e sciroppi, oppure stampigliata sul fondo del tubetto di creme e pomate, o sul bordo dei blister che contengono le compresse e le capsule).
Si esprime di solito con le due cifre relative al mese, e altre due cifre o meglio quattro, relative all’anno.
L’indicazione delle sole ultime due cifre dell’anno, omettendo il secolo, ha causato qualche difficoltà di interpretazione alle soglie del duemila: 00 sta per 2000, ma se avete ancora qualche dubbio domandate al farmacista.
Se la data di scadenza non include anche il giorno, si intende che possibile utilizzare il medicinale fino alla fine del mese indicato.
Un medicinale è scaduto quando le sostanze che contiene subiscono delle trasformazioni chimiche.
Le condizioni ambientali (temperatura, luce e radiazioni solari) rappresentano una forma di energia che sommandosi nel tempo determina la trasformazione chimica del principio attivo del medicinale. Dopo la data di scadenza la quantità di principio attivo potrebbe essere diminuita di più del 10% con due conseguenze:
Il medicinale non garantisce più l’effetto terapeutico;
Per degradazione chimica si potrebbero formare sostanze tossiche

Smaltimento dei medicinali scaduti
In genere i medicinali scaduti non sono pericolosi per l’ambiente più di quanto non lo siano i detersivi che si scaricano abitualmente nel lavandini domestici. Tuttavia, in considerazione degli effetti farmacologici che potrebbero ancora avere e per le sostanze tossiche che si potrebbero formare per degradazione chimica, i medicinali scaduti devono essere avviati alla raccolta differenziale per lo smaltimento, raccogliendoli negli appositi contenitori presenti in ogni farmacia.

 

successivo  (COS'E' LO STUPEFACENTE)

 

 

 

 

 

Che cos'è uno stupefacente

Fin dai primordi della storia, ogni società ha usato farmaci capaci di provocare effetti sull’umore, sul pensiero e sui sentimenti. Perciò, sia l’uso non terapeutico di alcuni farmaci, sia il problema del loro abuso sono tanto antichi quanto la civiltà stessa.

Il termine abuso di farmaci indica l’uso, di solito per autosomministrazione, di qualsiasi farmaco in un modo che si discosta dalle norme mediche o sociali in una determinata cultura. Questo termine trasmette l’idea di disapprovazione sociale e non descrive necessariamente una qualsiasi modalità d’uso del farmaco o le sue potenziali conseguenze svantaggiose.

Il termine uso di farmaci per scopi non terapeutici abbraccia comportamenti che vanno dall’assunzione sporadica di alcool all’uso compulsivo di oppiacei e comprende comportamenti che possono essere accompagnati o non da effetti svantaggiosi. L’uso di farmaci per scopi non terapeutici può consistere nell’uso sperimentale di un farmaco in una o più occasioni, per la curiosità di conoscere i suoi effetti o per il desiderio di conformarsi alle aspettative dei gruppi di pari. Può implicare l’uso saltuario o ricreativo di modeste quantità di un farmaco per i suoi effetti piacevoli, oppure l’uso circostanziale in specifici casi, come ad esempio l’uso delle amfetamine da parte degli studenti per alleviare la fatica ed aumentare la concentrazione.

Le varie forme di uso di farmaci per scopi non terapeutici possono condurre ad un uso più intensivo per quanto concerne la frequenza di assunzione o la quantità assunta e, in alcuni casi, a forme di dipendenza o di uso compulsivo di farmaci.
Uno dei rischi insiti nell’uso di farmaci per modificare l’umore o i sentimenti è il fatto che alcuni individui finiscono con lo sviluppare una dipendenza dal farmaco: continuano ad assumerlo anche in assenza di indicazioni terapeutiche, spesso malgrado le svantaggiose conseguenze sociali e mediche, e si comportano come se fossero necessari gli effetti dei farmaci per mantenere uno stato di benessere. L’intensità di questo bisogno o dipendenza può variare da un blando desiderio ad una bramosia (craving) o compulsione ad usare il farmaco.
Il craving, in particolare, è l’intenso desiderio che spinge l’individuo a riprovare gli effetti estremamente piacevoli derivati dall’assunzione del farmaco e la ripetizione dell’esperienza diventa un fine primario dell’esistenza stessa, al pari di stimoli naturali come il cibo, l’acqua, ecc.

Quando si raggiunge un grado molto elevato di dipendenza dai farmaci (drug dependance) si parla di tossicodipendenza: il termine si riferisce all’uso del farmaco in senso quantitativo, piuttosto che qualitativo e quindi non è strettamente correlato all’abuso degli stupefacenti classici e più noti come gli oppiacei.

Tutte le sostanze d’abuso, dall’alcool all’eroina, dalla cocaina all’amfetamina, dalla fenciclidina alla nicotina, metilendiossiamfetamina (Ecstasy), ai barbiturici e alle benzodiazepine, sono in grado di produrre sensazioni piacevoli o di ridurre quelle spiacevoli, di alleviare la tensione e l’ansia, di migliorare l’interazione sociale e il tono dell’umore. Gli effetti piacevoli ottenuti immediatamente dopo l’assunzione del farmaco sono tuttavia vanificati dai danni, talvolta irreversibili, provocati nell’organismo nel corso di ripetute somministrazioni.

Ciò che è stato detto per i farmaci abusati al di fuori della normale pratica medica, vale ancor di più per quelle sostanze stupefacenti che non trovano alcuna indicazione terapeutica, come l’ecstasy, le amfetamine di sintesi o l’LSD e che sono presenti solo nel mercato illegale.

Gli stupefacenti e le sostanze psicotrope possiedono spiccata attività a livello del sistema nervoso centrale (SNC) ed hanno forti potenzialità nel determinare gli effetti descritti in precedenza (ovvero hanno elevato potere “tossicomanigeno”).
La comune attività sul SNC si traduce, comunque, in effetti farmaco-tossicologici anche molto diversi tra loro, ognuno specifico per ogni sostanza, pertanto la suddivisione nei due grandi gruppi stupefacenti e sostanze psicotrope costituisce essenzialmente una comodità didattica o normativa.

Tra gli stupefacenti si annoverano, ad esempio, la morfina, l’eroina, il metadone, la cocaina, la cannabis.
Tra le sostanze psicotrope si ricordano le amfetamine, l’ecstasy, l’LSD, la ketamina, l’acido gamma-idrossibutirrico (GHB), le benzodiazepine, i barbiturici.

Alcune di esse, nel contempo, hanno notevole attività farmacologica e pertanto sono usate in terapia costituendo i principi attivi di vari medicinali.
Ricordiamo la morfina e gli oppiacei, potenti analgesici utilizzati nella terapia del dolore, le benzodiazepine ad attività ansiolitica ed ipnotica, i barbiturici utilizzati nel campo dell’anestesia e come anticonvulsivanti.

Riferendosi alla morfina e agli oppiacei, è ormai noto che la volontà delle istituzioni ed in particolare del Ministero della salute è quella di garantire un accesso più facile a tali farmaci al fine di curare il dolore severo in quei malati che non rispondono ai comuni trattamenti antalgici effettuati con i classici antinfiammatori. È ormai noto, infatti, che la scienza medica considera il dolore come una patologia a sé stante, che deve essere curato in quanto tale, indipendentemente dalla eventuale malattia primaria che lo determina. La nuova legge facilita le norme della prescrizione medica per i medicinali analgesici, indipendentemente dalla tipologia di dolore da trattare, per i medicinali utilizzati nel trattamento di disassuefazione dagli stati di tossicodipendenza da oppiacei e di dipendenza da alcool. A tal fine è stato esteso l’uso del ricettario autocopiante e sono state semplificate le norme che il medico deve rispettare per la
prescrizione. Le benzodiazepine, ormai sono diventate medicinali di riferimento nel trattamento degli stati d’ansia, degli attacchi di panico, nelle disturbi del comportamento e del sonno. Vanno comunque usate soltanto quando il disturbo è grave, disabilitante o sottopone la persona a grave disagio.

Tutti gli stupefacenti e le sostanze psicotrope sono iscritti in due
Tabelle che vengono aggiornate ogni qualvolta si presenti la necessità di inserire una nuova sostanza o di variarne la collocazione o di provvedere ad una eventuale cancellazione.


L’attività dell’Ufficio centrale stupefacenti consiste nel regolamentare l’attività di tutte quelle organizzazioni, industrie chimico-farmaceutiche, grossisti farmaceutici, laboratori di analisi e di sperimentazione, ospedali che devono entrare in possesso degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope in quanto farmaci, in modo da consentirne la diffusione per fini terapeutici.

Il mercato lecito degli stupefacenti è, altresì, regolamentato a livello internazionale da un organo di controllo, l'International Narcotics Control Board (INCB), istituito presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, con sede a Vienna, in applicazione delle Convenzioni internazionali recepite dagli stati aderenti.

Conseguentemente ogni paese aderente e quindi anche l’Italia è tenuto a stabilire e comunicare le quantità di stupefacenti e sostanze psicotrope che ogni anno possono essere immesse sul mercato, a rendicontare tutte le importazioni ed esportazioni avvenute in ogni singolo trimestre dell’anno e a comunicare i consuntivi reali dei consumi avutisi in ogni anno.

A tal fine si rende necessario disporre di un sistema autorizzativo e di controllo specificamente dedicato e con elevato grado di accuratezza.

Ogni anno è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il decreto che comprende l’elenco delle aziende autorizzate dal Ministero della salute a fabbricare, impiegare e commercializzare stupefacenti e sostanze psicotrope.
Sembra utile specificare che, in questo contesto, con il termine “fabbricare” si intende l’estrazione dello stupefacente da una pianta o la sintesi chimica dello stesso, con il termine “impiegare” si intende la lavorazione dello stupefacente per l’ottenimento di un medicinale con una specifica forma farmaceutica atta alla somministrazione.

Il Ministero della salute emana, altresì, un decreto annuale nel quale sono indicate le quantità di sostanze stupefacenti e psicotrope che possono essere annualmente fabbricate sia per il consumo nazionale sia per l’esportazione, in conformità alle quote assegnate all’Italia dall’organo di controllo internazionale, International Narcotics Control Board (INCB) di Vienna.

 

successivo  (NORME PER LA PREPARAZIONE DEI MEDICINALI)

 

 

 

 

 

NORME PER LA BUONA PREPARAZIONE (N.B.P.) DEI MEDICAMENTI IN FARMACIA

1. Considerazioni generali
Al fine di assicurare la necessaria qualità dei medicamenti allestiti dalla Farmacia si riporta un complesso di norme che tendono ad uniformare le condizioni di preparazione di modo che siano garantite l’efficacia, la sicurezza e la qualità del medicinale approntato. Le materie prime, le modalità di allestimento della preparazione ed il confezionamento, possono rappresentare un’area di rischio potenziale con caratteristiche tecniche particolari se riferite alle attivati svolte dalla Farmacia.
L’efficacia del sistema di controllo dipende dalla capacita di integrazione delle diverse disposizioni e dalla duttilità che esse hanno in modo da potersi applicare alla Farmacia, nonché dalla revisione periodica e documentata dell’organizzazione strutturale e procedurale delle attività svolte.
Le Norme di Buona Preparazione (N.B.P.) sono da considerarsi come una guida che il Farmacista dovrebbe seguire nella preparazione dei medicamenti affinché questi posseggano la qualità prescritta.
2. Definizioni
Ai fini delle Norme di Buona Preparazione dei medicamenti sono adottate le definizioni già date nella Farmacopea nel capitolo "Norme per la Buona Fabbricazione e per il Controllo di Qualità dei medicamenti" per quanto attiene: Medicamento, Materie Prime, Prodotti semilavorati, Prodotti finiti, Fabbricazione, Lotto, Numero di lotto, Convalida, sostituendo ai termini fabbricazione, produzione, produrre e prodotto, rispettivamente preparazione, preparare e preparato.
Ai fini delle Norme di Buona Preparazione dei medicamenti sono adottate le seguenti definizioni aggiuntive.
Documentazione del lotto. Insieme delle trascrizioni disponibile in ogni momento, da cui sia possibile desumere la storia del medicamento allestito, dalle materie prime impiegate al preparato finito, e dei controlli eseguiti, per ciascun lotto di preparazione.
Preparazione individuale o magistrale. Ogni medicinale preparato estemporaneamente in Farmacia in base a una prescrizione medica destinata ad un determinato malato.
Preparazione multipla o officinale.Ogni medicinale preparato, anche in precedenza, in base alle indicazione della Farmacopea Ufficiale, e destinato ad essere fornito direttamente ai pazienti che si servono in tale Farmacia. Le preparazioni multiple o officinali sono allestite per lotti.
Registro delle materie prime.Documentazione scritta o informatica delle specifiche tecniche e di qualità delle materie prime. Registro delle preparazioni. Documentazione scritta o informatica delle preparazioni allestite. Lo stesso registro può essere utilizzato per soddisfare anche gli obblighi di cui all’art. 123, comma 1, lettera c) del Testo unico delle Leggi Sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio1934, n. 1265, e di cui all’art. 38, ultimo comma del R.D. 30 settembre 1938 n. 1706 Procedure.Istruzioni scritte che indicano le operazioni da effettuare, le precauzioni o le misure da adottare in relazione diretta o indiretta con la preparazione da allestire.
Laboratorio galenico. Locali o parti di essi adibiti alle operazioni di preparazione e di controllo.
Confezionamento. Insieme di operazioni con cui la preparazione allestita viene resa idonea alla commercializzazione. Il confezionamento si distingue in primario o secondario, di cui soltanto il primo e a diretto contatto con il medicamento. Il confezionamento contribuisce alla corretta conservazione del medicamento, alla sua certa identificazione e alla sua coerente utilizzazione.
3. Personale
La preparazione dei medicinali riflette la competenza, l’interesse e l’abilita del Farmacista addetto, che perciò deve comprendere il compito assegnatogli ed essere capace di compierlo, ma altrettanto deve essere motivato nelle sue capacita. Gli errori nella preparazione in Farmacia sono di solito dovuti all’atteggiamento personale, per cui essi vengono evitati tenendo nel dovuto conto le aspettative ed i bisogni dell’operatore.
Per questo il farmacista preparatore andrebbe incoraggiato a seguire corsi di aggiornamento e seminari specifici, e a disporre di riviste, testi e pubblicazioni tecniche che gli consentano una continua informazione post-universitaria.
Particolare attenzione va dedicata alle sostanze ausiliare ed al loro uso, ai conservanti ed agli stabilizzanti, alle interazioni dei principi attivi fra di loro e con gli altri componenti la formulazione, ai contenitori e alle relative chiusure, alle condizioni di conservazione delle materie prime e del medicinale finito.
Se il farmacista preparatore non è né il titolare né il direttore dell’esercizio, dovrebbe comunque godere di un certo grado di libertà decisionale e di indipendenza nell’organizzazione del laboratorio e non avere altri compiti, se le attivati di preparazione sono significative in quella Farmacia.
Le operazioni già convalidate, che richiedano l’uso di mezzi meccanici o semiautomatici, possono essere eseguite anche dal personale tecnico o da studenti della facoltà di Farmacia nello svolgi- mento del periodo di tirocinio, sotto la diretta responsabilità e supervisione del farmacista preparatore. In ogni caso il personale tecnico può essere assegnato solo a compiti ben individuati e limitati, a carattere ripetitivo, e deve essere debitamente istruito nelle sue mansioni di modo che ne comprenda le implicazioni e le finalità ai fini della sicurezza.
Le attribuzioni del personale tecnico riflettono le competenze richieste dalle operazioni affidate, devono essere precise e inequivocabili e, se possibile, date per iscritto ed aggiornate, se necessario.
Ciascun farmacista preparatore deve stabilire proprie regole di comportamento per il funzionamento del laboratorio, standardizzare le procedure di allestimento delle preparazioni e di spedizione delle prescrizioni mediche, ed assicurarne il rispetto.
In ogni caso il farmacista e responsabile di:

materie prime: identificazione dei componenti la formulazione e verifica dell’avvenuto controllo di qualità;

preparazione del medicinale;

assicurazione della qualità del preparato finito;

corretta etichettatura, anche in funzione della dispensazione;

appropriate condizioni di conservazione delle materie prime, dei preparati finiti e del materiale di confezionamento;

personale tecnico, che eventualmente opera nel laboratorio, e del suo addestramento;

condizioni di pulizia e di ordine del laboratorio; þ verifica degli strumenti di misura e delle apparecchiature di controllo e di preparazione, anche per quanto concerne le metodiche adottate;

documentazione delle operazioni eseguite in relazione alle disposizioni legislative e regolamentari ed alle norme di autodisciplina;

rifornimento adeguato delle materie prime e di ogni altro materiale utilizzato nella preparazione e nel confezionamento dei preparati.
Il farmacista stabilisce delle norme igieniche da rispettare durante la lavorazione e ne assicura la conoscenza; in particolare deve curare che non si mangi ne si fumi, che vengano indossati indumenti adatti e che questi siano rinnovati regolarmente, e che sia ridotta al minimo la possibilità di contaminazione del medicinale da parte dell’operatore.
4. Laboratorio galenico e attrezzature
L’area destinata alla preparazione:

non deve essere adibita ad altri scopi, come ad es. la raccolta e la vendita delle ricette, degli ordini, le analisi biologiche e microbiologiche, etc.;

anche se in comunicazione con il resto della Farmacia, durante l’attività di preparazione dovrebbe esserne evitato I’attraversamento;

dovrebbe avere pareti, soffitto e pavimento di materiale non poroso, resistente e non sgretolabile, uniformemente ricoperto e privo di parti che perdono il rivestimento, capace di sopportare acqua calda e detergenti;

deve essere illuminata a sufficienza specialmente nelle zone di lavoro, ventilata ma priva di correnti, protetta dall’infestazione da insetti e da roditori, con apposita schermatura delle aperture, e per quanto possibile dalla contaminazione particellare;

quando necessario, deve essere munita di condizionamento d’aria in modo da assicurare una temperatura ed un’umidità costanti (25-30 ’C e 50% U.R.);

le apparecchiature e gli utensili devono essere almeno quelli previsti dalla normativa vigente (tabella N. 6, F.U.). In relazione alle forme farmaceutiche che vengono allestite, al tipo di preparazione, se individuale o multipla, e più in generale alle quantità approntate:

deve avere dimensioni appropriate in modo da potervi collocare la scaffalatura necessaria, le apparecchiature, gli strumenti di controllo e di misura e ogni altra attrezzatura;

deve avere un piano di lavoro di materiale inerte ai coloranti e alle sostanze aggressive, con acqua potabile corrente, sufficientemente illuminato, con prese per la corrente elettrica e per il gas (o altro sistema di riscaldamento), munito di raccoglitore per i rifiuti e di un sistema di drenaggio dell’acqua:

deve avere un piano per gli strumenti di misura, perfettamente livellato e non soggetto a correnti d’aria.
Il personale adibito alla preparazione di medicinali deve inoltre poter disporre, anche in locali separati, di:

una scrivania ed una libreria tra l’altro per raccogliere i testi obbligatori e la documentazione delle preparazioni effettuate;

un settore protetto dalla luce e dalla polvere per conservare le materie prime, i contenitori e le chiusure per preparati finiti, e le diverse apparecchiature per l’approntamento;

uno spazio adibito alla conservazione delle etichette, anche già predisposte per i preparati officinali;

due armadi separati con chiusura a chiave, rispettivamente per le sostanze stupefacenti e per i veleni;

un frigorifero a sbrinamento automatico.
I locali e gli arredi di laboratorio devono essere mantenuti in ottimo stato e in condizioni di massima pulizia.
La disposizione degli spazi destinati alla conservazione dovrebbe ridurre al minimo la possibilità di confusione sia tra le materie prime sia, tra i preparati finiti, prevenire ogni possibile inquinamento da liquidi e solidi esterni, rendere impossibile la contaminazione crociata e provvedere alla protezione dalla luce, quando richiesta.
Le apparecchiature meccaniche, quando utilizzate, devono essere semplici nel disegno e nel funzionamento, in modo da poter essere facilmente smontate e consentire quindi una frequente pulizia.
Non devono alterare le sostanze con cui vengono a contatto ne contaminare queste con prodotti, come i lubrificanti, necessari al loro funzionamento. Devono avere dimensioni che consentano la preparazione anche di piccole quantità, devono essere trasportabili e versatili in modo da essere facilmente modificate ed adattate alle diverse esigenze.
Le apparecchiature devono essere pulite immediatamente dopo il loro uso, eventualmente lavate e risciacquate a lungo con acqua deionizzata, asciugate e, se richiesto dalla particolare preparazione, disinfettate o sterilizzate, e custodite al riparo dalla polvere e da ogni altro contaminante.
Gli strumenti di misura devono essere periodica- mente controllati, indipendentemente dagli adempimenti amministrativi.
5. Materie prime
Le materie prime acquistate devono essere registrate (registro delle materie prime) indicando la denominazione chimica e quella commerciale, la quantità fornita, il nome del fabbricante e quello del fornitore intermedio, quando e il caso, il numero di lotto, le prove di identificazione e la certificazione di qualità, il riferimento interno della Farmacia, la data di acquisto ed eventualmente il costo.
Anche nel caso in cui il fornitore sia un distributore intermedio, che di solito provvede al riconfezionamento il farmacista deve pretendere le informazioni necessarie alla sua documentazione, quali desunte dalla scheda fornita dal produttore al distributore intermedio, o dal contenitore originale dal quale e stata prelevata la quantità richiesta.
E' di norma accettabile la scheda datata e sottoscritta dal fornitore. In carenza di tale scheda il farmacista deve eseguire o fare eseguire da laboratori specializzati un controllo analitico completo.Il farmacista deve controllare l’integrità dei contenitori inviati dal fornitore.
Le materie prime devono essere conservate in contenitori inerti muniti di adatta chiusura, le cui caratteristiche sono specificate nella Farmacopea.
Tutti i contenitori devono essere coerentemente etichettati con l’indicazione della sostanza.
Una particolare attenzione deve essere posta all’acqua da utilizzarsi, anche in riferimento all’eventuale carica microbica (acqua bollita di fresco).
Le materie prime devono essere conservate in modo tale da prevenire qualsiasi contaminazione e confusione e garantire la loro conservazione.
Il Farmacista deve vigilare in modo particolare sulla rotazione delle scorte delle materie prime.
6. Operazioni di preparazione
La precisione e il risultato di una sequenza di atti e di un atteggiamento che caratterizza ciascuno di essi.
Non vi sono preparazioni che richiedano maggiore precisione di altre, e la maggior parte degli errori e dovuta alla insufficiente accuratezza delle operazioni eseguite, piuttosto che alla scarsa esperienza o alle carenti conoscenze tecnico-scientifiche dell’operatore.
Nessuna formulazione deve essere allestita quando una parte anche minima di essa non e stata ben compresa.
Deve essere posta attenzione alle caratteristiche chimico-fisiche di ciascun componente, allo scopo di stabilire la più razionale tecnica di preparazione, prevedere le possibili interazioni, valutare la stabilita e la biodisponibilità del prodotto finale. Ciascun componente la formulazione deve essere utilizzato con cautela in modo da evitare perdite e contaminazioni crociate, per cui una volta prelevata la quantità richiesta, il contenitore deve essere rimosso dal piano di lavoro.Errori nel prelievo possono essere prevenuti adottando un qualsiasi schema ripetitivo, che consenta all’operatore di controllare le operazioni compiute, sia prima che dopo aver misurato i singoli componenti.
Prima di iniziare la preparazione, il farmacista deve verificare che:

i materiali, gli utensili e le apparecchiature da utilizzare siano puliti, asciutti e sterilizzati, se previsto;

ogni oggetto necessario sia disposto in ordine sul piano di lavoro e accessibile immediatamente;

sia pronto il contenitore appropriato per il prodotto finale;

siano allontanati materie prime, apparecchiature, contenitori e documentazione riferibili ad altra preparazione o che comunque possano generare confusione.

In caso di interruzione il farmacista deve assicurare che sia data ogni indicazione affinché lui stesso o altri possano riprendere senza incertezze le operazioni di preparazione.

Il controllo generale da eseguirsi sul preparato finito comprende almeno:

l’aspetto;

le caratteristiche organolettiche (colore, odore, sapore);

le proprietà fisiche (omogeneità, consistenza, trasparenza, ridispersibilità dell’eventuale sedimento, stabilita delle emulsioni, ecc.);

la quantità o il numero di dosi-forma da dispensare;

Uniformità di peso delle forme farmaceutiche a dose unica.
I controlli analitici sul prodotto finito possono essere omessi nella preparazione su scala ridotta, se ed in quanto il farmacista assicura personalmente e continuamente la qualità e la quantità delle sostanze impiegate, la correttezza delle operazioni eseguite e la corrispondenza alle procedure stabilite.
Ai fini della conservazione, e in relazione alla natura e alle proprietà dei componenti della formulazione, particolare attenzione, deve essere dedicata alla valutazione della stabilita, che nella preparazione multipla deve tenere conto anche delle quantità allestite e della prevedibile rotazione delle scorte del prodotto finito.
7. Contenitore, etichettatura e documentazione
La scelta di un appropriato contenitore finale e critica per assicurare la qualità del medicamento.
Particolare attenzione dovrebbe essere posta alla scelta del contenitore e al sistema di chiusura per evitare perdite, contaminazione da parte degli agenti atmosferici, e variazioni di composizione dovute alla migrazione di uno o più componenti il medicinale o alla cessione dei costituenti dei contenitori e delle chiusure stesse.
Il contenitore finale deve poter essere maneggiato con facilita dal paziente, consentire il prelievo del medicinale senza difficoltà, essere proporzionato alla quantità di preparato dispensato ed avere, quando richiesto, una chiusura a prova di bambino.
L’etichettatura deve fornire il massimo delle informazioni all’utilizzatore per un corretto e sicuro impiego del medicinale, per cui anche se in forma concisa, deve riportare chiaramente ed in modo facilmente intelleggibile:

il nome, l’indirizzo, e il numero di telefono della Farmacia;

il nome del paziente e del medico prescrittore, nel caso di preparazioni magistrali;

la data di preparazione; þ il numero o qualsiasi altra indicazione che ne consenta la immediata individuazione attraverso la documentazione, e quindi l’appartenenza ad un eventuale lotto;

la composizione quali-quantitativa della preparazione, quale risulta dalla formulazione originale, integrata dalle sostanze eventualmente aggiunte per motivi tecnici e presenti nel preparato;

le indicazioni addizionali, se il medicinale e soggetto a particolare disciplina;

ove necessario, la data entro la quale il medicinale deve essere utilizzato;

ogni altra indicazione prevista dalle leggi o dai regolamenti.
All’atto della dispensazione il farmacista dovrà fornire:

dettagliate istruzioni per l’uso, comprese le particolari precauzioni nel maneggiare il preparato, la categoria terapeutica, se del caso le modalità di eliminazione dei contenitori e del contenuto non utilizzato;

le eventuali avvertenze per la conservazione.
Nell’etichettatura delle preparazioni magistrali o individuali sono precettive le indicazioni di cui all’articolo 37 del R.D. 30 settembre 1938, n. 1706.
Le operazioni di etichettatura sono di norma eseguite in un tempo immediatamente successivo al riempimento del contenitore. Ogni variazione intervenuta o apportata alla composizione quali-quantitativa del medicinale deve essere dichiarata.
Un certo livello di documentazione dovrebbe essere comunque assicurato ogni qualvolta si allestisce un medicinale in modo da avere un riferimento certo per:

le responsabilità professionali e legali del farmacista e del medico;

la storia tecnica e la qualità del medicinale preparato;

la ripetizione della preparazione.
Questa documentazione, insieme a quella riferita alle materie prime consente in ogni momento di ricostruire la qualità, l’efficacia e la sicurezza di ogni medicinale dispensato.

 

successivo    (farmaci per....sani)

 

 

 

 

 

Farmaci  per  i  sani.

 

E’ un'analisi provocatoria di come le multinazionali farmaceutiche creano e poi sfruttano, per lucro, le malattie.
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Tre decenni fa Henry, il direttore generale di una delle principali case farmaceutiche al mondo, rilasciò una sconcertante dichiarazione : il suo sogno era creare farmaci per le persone sane, così da poter vendere proprio a tutti.
Questo sogno è ora il motore trainante di una delle industrie più redditizie del mondo.

Strumentalizzando la propria influenza sulla scienza medica nel suo complesso, i grandi gruppi farmaceutici stanno vendendo il terrore e stanno promuovendo la ridefinizione delle malattie umane per poter espandere il proprio mercato. I fattori di rischio per la salute e i parametri per valutarli vengono scientemente modificati per far rientrare sempre più individui tra i malati bisognosi di farmaci.

La depressione e l’osteoporosi, la menopausa (una naturale fase della vita) e la pressione alta (una patologia a volte "gonfiata"), i disturbi legati al ciclo e le disfunzioni sessuali, e tanti altri malesseri così diffusi nel nostro tempo, sono stati oggetto a questo proposito di una vera e propria riclassificazione.
I cambiamenti d'umore della vita quotidiana si sono trasformati in disordini mentali e la timidezza in un Disturbo Sociale Ansiogeno.
Il risultato è un'enorme e incontrollata espansione del mercato dei medicinali che, oltre a generare nuovi profitti, sta creando migliaia di nuovi pazienti.

 

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Farmaci e pubblicità

di Alessio Mannucci

Il principio è ferreo: i farmaci non possono essere equiparati a semplici beni di consumo come camicie, scarpe, pneumatici, profumi e così via. Il loro acquisto non deve essere indotto .dalla pubblicità, ma va guidato dal medico, cioè da chi ha la preparazione professionale per prescrivere. in relazione al disturbo sofferto, questo o quel trattamento.

Per questo motivo nel nostro Paese, e in tutto il resto d'Europa, è vietata la pubblicità dei medicinali acquistabili dietro ricetta medica. Unica eccezione è rappresentata dalle campagne di vaccinazione promosse da imprese farmaceutiche, purché autorizzate dal ministero della Salute (per esempio, quella sui vaccini antinfluenzali e quella sul vaccino per l'epatite B). In pratica. quindi, possono essere reclamizzati al grande pubblico solo i farmaci da banco, cioè quelli acquistabili direttamente in farmacia senza ricetta medica.

Questa è la situazione attuale, che potrebbe cambiare, come indicano già alcuni segnali. A luglio del 2001, infatti. la Commissione europea ha adottato una proposta di riforma del settore farmaceutico che, tra le altre cose, rimetteva in discussione il divieto assoluto di pubblicizzare i medicinali soggetti a ricetta.

In particolare, veniva previsto il via libera alla possibilità di promuovere la vendita di farmaci per curare asma, diabete e Aids. Il progetto è stato bocciato a giugno di quest'anno. Ma è prevedibile che verranno riproposte iniziative simili. Dietro questa volontà di allargare le maglie della legge c'è ovviamente la spinta delle multinazionali del farmaco, che battono su un tasto: bisogna fornire maggiori informazioni di carattere medico al pubblico, facendo in questo modo azione di sensibilizzazione ed educazione sanitaria.

Il principio è condivisibile, ma è fondamentale stabilire da che pulpito debbano arrivare queste informazioni. Già, perché informare non vuoi dire fare pubblicità. Questa, per essere credibile, deve essere affidata a organismi indipendenti, così da garantire trasparenza e serietà.

Uno sguardo alla situazione statunitense, dove i farmaci possono essere reclamizzati al grande pubblico, dà !'idea delle distorsioni che si possono creare quando si intrecciano pubblicità e informazione.

Tra il 1997 e il 2001 la Food and Drug Administration (FDA), l'ente pubblico Usa che dovrebbe garantire la sicurezza in campo farmaceutico, ha inviato ben 94 avvisi alle case farmaceutiche per fermare pubblicità non conformi ai regolamenti federali americani. Nel 1998 più della metà degli spot televisivi riguardanti medicinali non era in regola con la legge. Nella maggior parte dei casi, i produttori enfatizzavano in maniera esagerata i benefici dei loro farmaci, minimizzandone gli effetti collaterali.

Il ritorno economico di questa pubblicità diretta al grande pubblico è notevole, come documenta il Bollettino d'Informazione sui farmaci, la rivista del Ministero della Salute: per un dollaro speso in spot televisivi arrivano nelle casse delle case farmaceutiche 1,69 dollari in vendite e 2,51 se la pubblicità appare su carta stampata. Nel 1991 le multinazionali del settore hanno destinato alla promozione sul mercato Usa 55 milioni di dollari, passati nel 2000 a ben 2,5 miliardi di dollari. Un esempio: nel 2000, per pubblicizzare il Vioxx, un farmaco antinfiammatorio, Merck & Co. ha speso oltre 160 milioni di dollari, più di quanto destinato per lo stesso scopo da due colossi del consumo di massa, come Budweiser per la birra omonima (146 milioni di dollari) o Nike per le sue calzature sportive (78 milioni di dollari). Per il Vioxx la spesa è stata ampiamente ricompensata dal guadagno: nel 2000 il prodotto ha fruttato in vendite ben 1.518 milioni di dollari.

 

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La farmacogenetica

Farmaci: a volte inefficaci in più della metà dei pazienti

Nessuno, né il servizio sanitario che paga né il paziente, desidera che si prescrivano farmaci inefficaci. La farmacogenetica è la promessa per rimuovere molta della attuale incertezza".

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di Steve Connor, Science Editor - independent.co.uk - 08 dicembre 2003
 Traduzione a cura di www.comedonchisciotte.net

Un amministratore capo della più grande compagnia farmaceutica inglese, la GlaxoSmithKline (GSK), ha ammesso che la maggior parte dei farmaci prescritti non funziona in una buona percentuale dei pazienti.

Allen Roses, vicepresidente della linea genetica della GSK ha detto che meno della metà dei pazienti ai quali sono stati prescritti alcuni dei farmaci più costosi ne hanno ottenuto un qualche beneficio. E' un segreto di Pulcinella all'interno delle industrie farmaceutiche che molti dei loro prodotti siano inefficaci, ma è la prima volta che questo viene affermato in pubblico.

Il Dr Roses, un genetista della Università Duke del North Carolina, ha parlato ad un recente incontro scientifico a Londra, portando analisi di come differenti classi di farmaci funzionano realmente nei pazienti.

I farmaci per la malattia di Alzheimer si dimostrano attivi in meno di 1/3 dei pazienti, mentre gli antitumorali lo sono solo in 1 paziente su 4. Farmaci per l'emicrania, l'osteoporosi, e le artropatie funzionano in circa la metà dei soggetti trattati. La maggior parte dei farmaci sono efficaci in meno di un paziente su due trattati: questo comportamento dipenderebbe in modo particolare dalla presenza o assenza di determinati geni capaci di interagire in qualche modo con i farmaci assunti.
"La stragrande maggioranza dei farmaci – più del 90% - funzionano solo nel 30-50% delle persone" ha affermato il Dr. Roses "Con questo non voglio dire che la maggior parte dei farmaci siano inefficaci. Voglio dire che la maggior parte dei farmaci agiscono solo nel 30-50% dei soggetti.
 Roses merita rispetto per essere stato onesto e aver detto questo fatto poco pubblicizzato, sebbene noto da anni all'industria farmaceutica.

Sorprenderà l'opinione pubblica ma non i suoi colleghi" ha detto un ricercatore industriale "E' un pioniere di una nuova cultura negli affari farmaceutici, basata sullo studio dei geni per valutare chi potrà beneficiare di un determinato farmaco".
Dr Roses ha una reputazione notevole nel campo della "farmacogenetica" – l'applicazione della genetica umana allo sviluppo dei farmaci – e i suoi commenti si possono leggere come un tentativo per spingere l'industria a realizzare un futuro in cui sia possibile somministrare farmaci ad un numero più piccolo di pazienti dotati però di specifici geni.
L'idea è di poter identificare i "responders" – cioè coloro che beneficeranno del prodotto – con un semplice ed economico test genetico, capace di individuare i non-responders che potrebbero trarre vantaggio dall'impiego di un altro farmaco.
Questo è un indirizzo contrario alla attuale cultura di mercato presente all'interno dell'industria farmaceutica, tesa a vendere il maggior numero di farmaci possibile al più grande numero di pazienti – una cultura che ha portato la GSK al rango di una tra le compagnie farmaceutiche con i maggiori profitti, il che però ha anche il significato che la maggior parte dei farmaci venduti sono stati per lo più inutili, se non addirittura pericolosi per molti pazienti.

Il Dr Roses ha dichiarato inoltre che i medici nel trattare routinariamente i pazienti applicano l'approccio "trial-and-error", cioè se un farmaco non funziona ce n'è sempre pronto un altro. "Io penso che sia nell'esperienza di ognuno constatare che . E' nell'esperienza di tutti, anche se non se ne riesce a capire il motivo,aver provato farmaci diversi per curare la propria cefalea o lombalgia: abbiamo diverse suscettibilità all'effetto di un farmaco e  questa diversa capacità di rispondere è genetica".
Nessuno, né il servizio sanitario che paga né il paziente, desidera che si prescrivano farmaci inefficaci. La farmacogenetica è la promessa per rimuovere molta della attuale incertezza".

Frequenza di risposta:
(Settore terapeutico: Percentuale di efficacia del farmaco)
· Alzheimer: 30
· Analgesici (Cox-2): 80
· Asma: 60
· Aritmie cardiache: 60
· Depressione (SSRI): 62
· Diabete: 57
· Epatite C (HCV): 47
· Incontinenza: 40
· Emicrania (acuta): 52
· Emicrania (profilassi): 50
· Oncologia: 25
· Artrite reumatoide: 50
· Schizofrenia: 60

 successivo    (AIFA)

 

 

 

 

 

     Cos'è l'AIFA

 Una nuova politica del farmaco nell'interesse primario del malato è il valore di fondo dell'AIFA

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  L'Agenzia Italiana del farmaco (AIFA) è organismo di diritto pubblico che opera sulla base degli indirizzi e della vigilanza del Ministero della Salute, in autonomia, trasparenza ed economicità, in raccordo con le Regioni, l'Istituto Superiore di sanità, gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, le Associazioni dei pazienti, i Medici e le Società Scientifiche, il mondo produttivo e distributivo.

 
Una nuova politica del farmaco nell'interesse primario del malato è il valore di fondo dell'AIFA che anche sulla base delle raccomandazioni espresse in sede UE dal Gruppo G10 Medicine:

 

 

successivo  (LA RICETTA MEDICA)

 

 

 

 

 

Per ricetta si intende l’autorizzazione, data in forma scritta al farmacista, perché questi possa consegnare uno o più medicamenti al paziente che ne necessita. La ricetta può essere redatta su un qualsiasi foglio di carta (eccezione: le ricette speciali contenenti stupefacenti I,II e III Tabella e le ricette rilasciate in regime di assistenza SSN). Non è perciò obbligatoria la carta intestata né un timbro del medico, purché sia assolutamente certa la redazione da parte di un Medico Chirurgo.

La ricetta deve obbligatoriamente contenere data, generalità e firma del medico. La data non può  essere posteriore a quella di presentazione della ricetta in farmacia. La firma, soprattutto nelle ricette contenenti stupefacenti, deve sempre essere leggibile. Se la ricetta è redatta tramite computer ovvero è redatta con calligrafia diversa in diverse parti, ciò che le conferisce valore di "prescrizione" è la firma in originale del medico. Il farmacista deve rifiutare la spedizione della ricetta se non è certo della firma del medico.
Il medico può anche indicare nella ricetta il nome del principio attivo, lasciando al farmacista la scelta della specialità medicinale corrispondente o del relativo medicinale generico. Qualora esistano in commercio specialità aventi diverso dosaggio, sia unitario che complessivo della confezione, la prescrizione deve essere completa di questi elementi ovvero della posologia e della durata della terapia, al fine di consentire al farmacista la precisa scelta del prodotto. (FARMA 7 n. 43/2001).

Il nome e cognome del paziente possono non essere presenti nelle ricette ripetibili, ma sono obbligatori nelle ricette non ripetibili, per le ricette speciali (stupefacenti) e per le ricette contenenti veleni. Possono essere sostituiti da codici alfanumerici in casi particolari.

Il domicilio del paziente deve essere obbligatoriamente indicato dal medico nelle ricette di stupefacenti di I-II e III tabella del DPR 309/90.

I laureati in Odontoiatria e Protesi Dentaria possono prescrivere soltanto medicamenti necessari all’esercizio della loro professione, in altre parole quelli indicati per la terapia delle malattie e anomalie congenite e acquisite dei denti, della bocca, della mascella e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione e alla riabilitazione odontoiatrica.

La ricetta è valida su tutto il territorio nazionale.

La ricetta in fotocopia è valida solo se riporta la firma in originale. La ricetta trasmessa via fax non è regolare (o meglio, non lo è sicuramente la ricetta non ripetibile, perché non è possibile realizzare il "ritiro" dell’originale da parte del farmacista).
Il medico, nel prescrivere una specialità medicinale o un altro medicinale prodotto industrialmente, si deve attenere alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall'Autorizzazione all'immissione in commercio rilasciata dal Ministero della Sanità. In singoli casi il medico può, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare un medicinale prodotto industrialmente per una indicazione o una via o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata, qualora il medico stesso ritenga in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione e purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale. In questi casi il medico trascrive sulla ricetta, senza riportare le generalità del paziente, un riferimento numerico o alfanumerico di collegamento a dati di archivio in proprio possesso che consenta, anche in caso di richiesta da parte dell'autorità sanitaria, di risalire all'identità del paziente trattato. Non è previsto che il medico apponga sulla ricetta alcuna dichiarazione relativa all'ottenimento del consenso del paziente. In nessun caso il ricorso a questa facoltà può costituire riconoscimento del diritto del paziente alla erogazione dei medicinali a carico del SSN, al di fuori dell'potesi disciplinata dall'art.1, comma 4, del DL 21.10.1996, n. 536 (convertito dalla L: 23.12.1996, n. 648).

L’annotazione del nome di chi ritira il farmaco e degli estremi di un documento di identificazione sono indispensabili per le ricette speciali prescriventi stupefacenti di Tabella I-II e III, nonché per le ricette contenenti veleni.
(N.B.: Secondo il D.P.R. 28.12.2000 n. 445 per documento di riconoscimento si intende ogni documento munito di fotografia del titolare e rilasciato, su supporto cartaceo, magnetico o informatico, da una pubblica amministrazione italiana o di altri Stati, che consente l'identificazione personale del titolare. Per documento di identità si intende la carta d'identità ed ogni altro documento munito di fotografia del titolare rilasciato, su supporto cartaceo, magnetico o informatico, da una pubblica amministrazione competente dello Stato italiano o di altri Stati, con la finalità prevalente di dimostrare l'identità personale del suo titolare. Sono equipollenti alla carta di identità il passaporto, la patente di guida, la patente nautica, il libretto di pensione, il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, il porto d'armi, le tessere di riconoscimento, purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente, rilasciate da una amministrazione dello Stato).

La consegna di stupefacenti o prodotti contenenti veleni deve essere effettuata a persone di età maggiore, rispettivamente, a 18 e 16 anni.

Medicinali soggetti a prescrizione medica ripetibile.
(Art. 4 DLvo 539/92)

 

La norma tecnica di riferimento è contenuta nella Tabella 4 della FU X ed., mentre le definizioni dei casi in cui è richiesta la ricetta medica ripetibile sono enunciate nell’art. 4 del DL.vo 539/92.

I medicinali soggetti all’obbligo di prescrizione medica presentano queste caratteristiche:

 

a. possono presentare un pericolo, direttamente o indirettamente, se sono usati senza controllo medico;

b. sono utilizzati spesso, e in larghissima misura, in anormali condizioni di utilizzazione, con conseguenti rischi per la salute;

c. contengono sostanze o preparazioni di sostanze di cui non sono stati ancora sufficientemente approfonditi l’attività o gli effetti secondari;

d. sono destinati a essere somministrati per via parenterale, fatte salve le eccezioni stabilite dal Ministro della Sanità.

 

La ripetibilità della prescrizione è indicata sulla confezione dalla frase "Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica".

La ripetibilità è ammessa, salvo diversa indicazione del medico prescrivente, per un periodo non superiore a tre mesi dalla data di compilazione della ricetta e comunque per non più di cinque volte.

La validità della ricetta è pertanto di tre mesi dalla data del rilascio.

L’espressione "diversa indicazione del medico prescrivente" va interpretata nel senso che il medico può indicare una ripetibilità per un numero di mesi inferiore o superiore a tre, mentre il numero delle volte potrà essere inferiore o pari a cinque ma mai superiore a tale limite.

Ad ogni vendita la ricetta il Farmacista deve timbrare la farmacia, annotare il prezzo praticato e la data della dispensazione. La ricetta va restituita al cliente. La disposizione che prevedeva che di ogni ricetta spedita dovesse essere tenuta copia per 5 anni è stata abrogata dalla Legge Finanziaria 2001 ed è stata sostituita con la seguente "I farmacisti debbono conservare per 6 mesi le ricette spedite concernenti preparazioni estemporanee". (art.87 comma 7).

Se la prescrizione contiene un numero di confezioni superiore all’unità la ricetta non è più ripetibile. La ricetta deve anche in questo caso essere restituita al cliente Tuttavia, è possibile la consegna frazionata in caso di indisponibilità dell’intera quantità di prodotto prescritto o su richiesta del cliente. In questo caso si annoterà sulla ricetta il numero delle confezioni consegnate, il prezzo e la data e si restituirà la ricetta al cliente affinché questi possa completare l’acquisto anche presso un’altra farmacia entro il termine di tre mesi in cui la ricetta mantiene la propria validità.

In genere tutti i prodotti iniettabili sono vendibili solo dietro presentazione di ricetta medica. Eccezioni importanti sono:

· acqua sterile per preparazioni iniettabili

· soluzione fisiologica sterile

· siero antiofidico

· specialità a base di naloxone e.v.

 

   successivo    (ANZIANI E FARMACI)

 

 

 

 

 

Gli anziani e i farmaci


 
 La fascia di popolazione anziana, grazie all'allungamento della vita media, diventa sempre più numerosa.
 Il termine anziani, che solitamente si riferisce a persone di età superiore a 60-65 anni, comprende in verità una popolazione molto eterogenea non solo perché distribuita lungo un arco di vita che si aggira sui 30 anni, ma anche perché composta da persone che raggiungono questa età in condizioni fisiche e mentali estremamente diverse.
 L'età cronologica è oggi un indicatore assai poco preciso dell'invecchiamento biologico. Invecchiare infatti non è più, come in passato, sinonimo di decadimento. A volte, anzi, è vero l'esatto contrario e la vecchiaia viene vissuta come una stagione felice della vita, in cui, ad esempio, l'allontanamento dal mondo del lavoro concede una nuova libertà di pensiero e di azione.
 Il modo in cui una persona invecchia dipende da diversi fattori, fra cui il corredo genetico, le abitudini di vita, il livello culturale ed economico (la povertà è indubbiamente una delle cause maggiori della cattiva salute), un adeguato sostegno familiare e sociale o, all'estremo opposto, l'isolamento.
 In questo contesto qual è il ruolo dei farmaci? A tutt'oggi, nonostante ricorrenti quanto ingiustificati entusiasmi (come ad esempio per il Gerovital nel recente passato, o per l'ormone della crescita qualche anno fa e, più recentemente per la melatonina e il Dhea), non esistono farmaci, né tanto meno integratori, in grado di ritardare l'invecchiamento. I farmaci possono, però, curare le malattie, prevenirne le complicazioni, alleviarne i sintomi. Purtroppo però a volte sono essi stessi causa di disturbi che, in una specie di circolo vizioso, diventano tanto più probabili quanto più chi ne fa uso è fragile e quanti più farmaci, di conseguenza, è costretto ad assumere.
 Nel rapporto con i farmaci è facile trovare negli anziani due atteggiamenti opposti. Vi sono quelli totalmente "farmacodipendenti", che tendono a regolare con le medicine anche le più normali attività fisiologiche del loro organismo: una pillola per normalizzare le funzioni intestinali, un flaconcino per aiutare la memoria, le gocce per dormire e, all'occasione, per calmarsi quando si è un po' agitati e così via. All'estremo opposto, ci sono quelli altrettanto strenuamente "contrari ai farmaci", che pensano che i farmaci fanno più male che bene, che dimezzano regolarmente i dosaggi o evitano del tutto di seguire le terapie prescritte, soprattutto se la malattia da curare non arreca disturbi apparenti.
 Come sempre, c'è una via di mezzo: assumere i farmaci nel modo corretto e solo quando sono veramente necessari.
 I problemi legati al trattamento farmacologico di una persona anziana sono numerosi e spesso complicano in vario modo il quadro generale. Alcuni sono strettamente legati al paziente, altri al medico, altri ancora ai farmaci stessi.
 
 Il paziente
 Si sa che spesso, con l'età, la salute peggiora: alla pressione alta si aggiunge l'artrosi, al diabete i problemi cardiaci o le difficoltà respiratorie. Gli anziani, perciò, consumano più farmaci perché hanno più disturbi e in molti casi si tratta di malattie croniche che richiedono trattamenti continuati. Aumentando il numero di farmaci assunti, aumenta anche il rischio che compaiano effetti negativi legati alla terapia.
 Con l'età può anche diventare più difficile seguire scrupolosamente la terapia e possono aumentare gli errori nell'assunzione dei medicinali. Quanti più farmaci si assumono, dunque, tanto più frequenti potranno essere gli errori che si commettono. Spesso l'anziano, o i suoi familiari, non comprendono il significato esatto della terapia e non sanno distinguere i farmaci veramente importanti da quelli che non lo sono. Per questo occorre che la terapia sia la più semplice possibile e comprenda solo i farmaci essenziali.
 La perdita della memoria, l'indebolimento della vista e la scarsa destrezza manuale possono anch'essi giocare un ruolo importante. A questo si aggiunge che, invecchiando, l'organismo cambia e questo influenza il modo in cui reagisce ai farmaci; soprattutto diminuisce la funzionalità degli organi che trasformano ed eliminano i farmaci, ossia il fegato e i reni: i farmaci quindi possono avere una azione molto più prolungata o tendere ad accumularsi nell'organismo, rendendo più probabili le reazioni di tossicità.
 
 Il medico
 I problemi elencati non sempre sono tenuti nella dovuta considerazione dai medici che prescrivono farmaci a persone anziane. Capita così che venga sottovalutata la difficoltà di un anziano a eseguire con precisione una terapia complessa. Il problema si aggrava quando la comunicazione fra medico e paziente scarseggia, quando la prescrizione viene rinnovata automaticamente senza una scrupolosa intervista sullo stato di salute attuale del paziente, quando eventuali effetti indesiderati imputabili ai farmaci (come la comparsa di stitichezza, incontinenza urinaria, confusione mentale, visione confusa) non vengono riconosciuti o vengono scambiati per segnali di ulteriore deterioramento della condizione fisica generale.
 A volte i medici sono indotti ad una prescrizione eccessiva dal bisogno di fare comunque qualcosa per il paziente anche di fronte a condizioni per le quali la medicina è priva di adeguate risposte. Quanto più il medico tenta di rispondere con un farmaco a ogni problema, tanto più la terapia si complica senza apportare vantaggi ma aumentando il rischio di errori nell'assunzione e di interazioni farmacologiche.
 
 I farmaci
 Il fatto che un farmaco sia disponibile in commercio non assicura di per sé che sia efficace, vale a dire in grado di mantenere ciò che promette. Ciò dipende anche dal fatto che le leggi sulla registrazione dei farmaci (cioè l'autorizzazione alla vendita) in Italia sono state a lungo poco rigorose. Anche se oggi la situazione è decisamente migliorata, sono ancora in circolazione molti prodotti che si sono rivelati inefficaci, per i quali tuttavia il processo di rimozione dal mercato è inevitabilmente lento e faticoso.
 E bene sapere, quindi, che non tutti i farmaci hanno la stessa importanza, anzi alcuni sono decisamente inutili mentre per altri l'efficacia non è sufficientemente dimostrata. Lo Stato, giustamente, non ritiene di doversi accollare il costo di questi farmaci che perciò sono a totale carico del cittadino.
 Un esempio tipico sono i farmaci per l'invecchiamento cerebrale e i disturbi della memoria.
 La capacità di ricordare e di conservare le informazioni e le esperienze è una delle funzioni più importanti della mente umana. Invecchiando si tende a dimenticare cose e avvenimenti recenti e a mantenere invece vivi i ricordi più lontani. Ciò è naturale ed è dovuto principalmente al fatto che col passare degli anni possono ridursi l'attenzione e la motivazione a imparare cose nuove e, con esse, la capacità di fissare i ricordi. La stessa riduzione della capacità di udire o i disturbi della vista possono provocare una diminuzione della memoria: i sensi sono essenziali per l'acquisizione di nuove informazioni. La depressione e l'ansia, conseguenti spesso al venir meno dei rapporti sociali, al pensionamento o a malattie, possono provocare perdita della memoria.
 La ricerca scientifica ha però chiarito che l'anziano e il suo cervello non presentano in questi casi né una riduzione della circolazione sanguigna né una perdita delle funzioni "metaboliche", vale a dire il consumo di zuccheri e di ossigeno. La capacità di ricordare, se esercitata, viene mantenuta anche negli anziani.
 Diversa è invece la condizione che si riscontra nel caso di malattie importanti come la demenza senile o la malattia di Alzheimer, caratterizzate dalla morte di numerose cellule cerebrali (neuroni) con grave e progressiva perdita delle funzioni cognitive (memoria, linguaggio, orientamento) e riduzione dell'autonomia nella vita quotidiana. Queste rappresentano una realtà a se stante, che riguarda una minoranza (sia pure consistente) di anziani: non sono l'inevitabile conseguenza dell'invecchiamento ma malattie vere e proprie per le quali, però, allo stato attuale delle conoscenze non esiste alcun trattamento efficace.
 Nonostante i fondati dubbi sulla loro efficacia clinica per i disturbi della memoria degli anziani, di volta in volta sono stati e sono tuttora utilizzati numerosi farmaci con diverso meccanismo d'azione, a partire dai cosiddetti vasodilatatori (per esempio, Sermion), ai nootropi (come il Nootropil), ai derivati fosforati (Nicholin), ai derivati della carnitina (tipo Nicetile) per arrivare ad altri più recenti (es. Mnesis). Nel tentativo di "fare comunque qualcosa" , il rischio che si corre però è quello di aspettarsi dai farmaci quello che non possono dare, magari rinunciando ad interventi sicuramente più efficaci come una maggiore socializzazione, un'assistenza domiciliare o un'attivita fisico/riabilitativa.
 È importante che le persone anziane, ancor più degli altri, sappiano cosa attendersi dalle medicine e imparino a usarle correttamente. Così come è importante che imparino ad ascoltare i messaggi del proprio corpo, a distinguere i malanni passeggeri da quelli più seri. Se ci si mantiene attivi nel corpo e nella mente, invecchiare può essere meno drammatico di quanto si teme.

 

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Prima, dopo o lontano dai pasti?
Interazioni tra farmaci e alimenti

Prima, dopo o lontano dai pasti? Quante volte questo interrogativo ci ha reso dubbiosi al momento di assumere un farmaco. Ogni volta che prendiamo un farmaco a stomaco pieno vi possono essere delle interferenze con il cibo ma, fortunatamente, nella maggior parte dei casi, queste non sono tali da compromettere l'efficacia della terapia o da rappresentare un pericolo. Al momento della prescrizione o della dispensazione di un medicinale il paziente dovrebbe ricevere indicazioni esaurienti sulle modalità di assunzione in relazione ai pasti, ma nella pratica corrente ciò avviene di rado. Tantomeno vengono date spiegazioni sul perché in certi casi sia importante prestare attenzione a questo aspetto, mentre in altri casi lo sia meno o non lo sia affatto. Anche il foglietto illustrativo dovrebbe riportare in modo chiaro tutte le informazioni per un'assunzione corretta del farmaco in relazione ai pasti ma spesso non è così.

Le interazioni cibo-farmaci, oltre ad essere molteplici, possono essere anche molto complesse e non è questa la sede per una trattazione esaustiva del problema. Vale la pena comunque tentare di conoscere meglio ciò che accade quando gli alimenti e i farmaci vengono a contatto diretto, evidenziando alcuni casi più significativi. Riproporre lunghi elenchi di farmaci da assumere a stomaco vuoto o pieno sarebbe inutile perché non sarebbero mai completi. E' importante invece essere a conoscenza dell'esistenza del problema per trovare la risposta ai propri dubbi nelle sedi idonee: l'ambulatorio del medico o la farmacia.

Prima di tutto, però, è necessario chiarire il significato dell'espressione "a stomaco vuoto". Con questa indicazione non si intende semplicemente prima del pasto bensì un'ora prima o due ore dopo l'assunzione del cibo.

E' ovvio che le considerazioni di seguito riportate si applicano solo alle terapie orali, quando cioè i farmaci vengono deglutiti perché solo in questi casi il loro cammino segue la stessa strada degli alimenti. Non interessano perciò le altre vie di somministrazione, neppure quella sublinguale: in questo caso infatti, il farmaco, anche se posto in bocca sotto la lingua, passa direttamente nel sangue in quanto viene assorbito attraverso la ricca vascolarizzazione della mucosa orale.

 

Il "destino" di un farmaco assunto per bocca

I farmaci assunti per bocca vengono assorbiti a livello intestinale. Le compresse o le capsule, una volta inghiottite, all'arrivo nello stomaco vengono dapprima disintegrate affinchè il farmaco in esse contenuto possa essere liberato (questa fase non serve in caso di formulazioni già liquide come le gocce, gli sciroppi o i prodotti che vanno sciolti in acqua prima dell'assunzione, es. compresse solubili, bustine). Fanno eccezione le formulazioni cosiddette gastroresistenti, che liberano il farmaco direttamente nell'intestino. Una volta libero, il farmaco deve attraversare la parete intestinale per passare attraverso i capillari sanguigni nella circolazione generale e raggiungere così le sedi dove dovrà esercitare al sua azione. Questo processo sommariamente descritto è l'assorbimento. Di solito, per svariati motivi, non tutta la dose di farmaco assunta arriva a destinazione. La sua "biodisponibilità", cioè la percentuale realmente disponibile per l'azione farmacologica, è funzione sia della quantità che della velocità con cui il farmaco raggiunge la circolazione sanguigna.

Una volta nel sangue, il farmaco viene innanzitutto convogliato al fegato dove può essere in parte trasformato prima di raggiungere le sedi di azione. Dopo di che, sempre attraverso il sangue, il farmaco ritorna al fegato per essere inattivato e infine viene eliminato attraverso i reni.

 

 Con quale liquido assumere un farmaco?

 Il tipo di liquido o di bevanda con cui si assume il farmaco ha la sua influenza. Basti pensare al caso del succo di pompelmo. In questi ultimi anni numerosi studi hanno confermato che una delle sostanze contenute nel pompelmo (la naringina, che gli conferisce il tipico gusto amaro), è in grado di modificare l'attività di certi farmaci, interferendo con le sostanze (enzimi) che il nostro organismo usa per metabolizzarli (renderli cioè inattivi). La loro concentrazione nel sangue supera così quella prevista tanto che a volte possono comparire effetti tossici. Questa interazione riguarda alcuni farmaci usati per il cuore e la pressione alta (quelli chiamati calcio-antagonisti, come la nifedipina (es. Nifedicor, Adalat), la felodipina (es. Feloday, Plendil), l'amlodipina (es. Norvasc, Monopina), l'antiistaminico terfenadina (Allerzil) che per di più ha anche pericolose interazioni con molti altri farmaci, il triazolam (es. Halcion, un farmaco sedativo che appartiene alla classe delle benzodiazepine), la ciclosporina (utilizzata principalmente nei pazienti che hanno subito un trapianto). Sarà bene quindi non utilizzare mai il succo di pompelmo per assumere i farmaci. Se si vuole mascherare il sapore sgradevole di un farmaco, il succo di arancia va bene, ricordandosi però che succhi di frutta e bevande acide in generale non vanno usati se si devono assumere alcune penicilline. Per ridurre l'irritazione gastrica si può assumere il farmaco con il latte, da evitare però se il farmaco in questione è una tetraciclina [es. doxiciclina (Bassado), minociclina (Minocin)].

Per evitare qualsiasi problema, l'acqua naturale è sempre la scelta più opportuna, meglio se a temperatura ambiente e in abbondante quantità, così da impedire che il farmaco aderisca alle pareti dell'esofago e da facilitarne nel contempo la dissoluzione e il successivo assorbimento.

In nessun caso vanno usate bevande alcooliche. Meglio evitare anche le bevande calde (thè, caffè).

 

Le possibili interazioni

La possibilità più ovvia è che farmaci e cibo interagiscano durante il transito comune nel tratto gastrointestinale.

In generale assumere un farmaco a stomaco vuoto consente una più rapida comparsa dell'effetto atteso. Il cibo infatti, giunto nello stomaco, può interferire con i farmaci in modo diverso a seconda delle sue caratteristiche. I liquidi accelerano il passaggio attraverso lo stomaco e quindi riducono l'intervallo di tempo fra l'assunzione del farmaco e la comparsa dei suoi effetti. I cibi solidi, al contrario, rallentano lo svuotamento gastrico e diminuiscono la velocità (e a volta anche la quota) di assorbimento di alcuni farmaci. Il fenomeno è più accentuato con cibi molto caldi, viscosi e ricchi di grassi. Un assorbimento rallentato non incide necessariamente sull'entità dell'effetto terapeutico. Infatti, prima o poi il farmaco verrà assorbito e quindi la quantità totale che arriverà negli organi bersaglio sarà la stessa. La velocità di assorbimento diventà però importante quando è richiesta una tempestiva attenuazione dei sintomi come ad esempio quando si assume un analgesico per un dolore acuto [es. paracetamolo (Tachipirina, Efferalgan)]. Nel caso degli antiinfiammatori non steroidei [es. ibuprofene (Moment), diclofenac (Novapirina), naproxene (Aleve)], è preferibile assumerli a stomaco pieno per ridurre la ben nota gastrolesività ma occorre sapere che questo va a scapito della rapidità d'azione. Un compromesso accettabile potrebbe essere quello di assumere la prima dose a stomaco vuoto con molta acqua e le successive a stomaco pieno.

In alcuni casi il consiglio di assumere determinati farmaci lontano dai pasti non dipende da una interazione diretta con gli alimenti ma dal fatto che questi farmaci possono essere particolarmente sensibili all'acidità gastrica. Se il transito attraverso lo stomaco è rallentato per la presenza del cibo, il farmaco potrebbe inattivarsi con riduzione della quantità di farmaco disponibile per svolgere l'azione terapeutica. Rientrano in questo caso alcuni antibiotici della famiglia delle penicilline e dei macrolidi [es. roxitromicina (es. Assoral) e rokitamicina (es. Rokital)].

Un altro motivo per cui il cibo a volte non va d'accordo con certi farmaci è la possibilità che alcune sostanze presenti negli alimenti si leghino ai farmaci impedendone l'assorbimento. E' quello che accade ad esempio con alcune tetracicline (antibiotici) che vengono intrappolate (il termine corretto sarebbe "chelate") dal calcio presente soprattutto nel latte e nei latticini (ma anche dal ferro, dall'alluminio e dal magnesio) e non sono più disponibili per essere assorbite. In questo modo la loro concentrazione nel sangue può essere ridotta di oltre il 50%. Lo stesso accade ad un altro gruppo di antibatterici detti chinoloni [es. ciprofloxacina (es. Ciproxin)], il cui assorbimento viene ostacolato dalla presenza di ferro negli alimenti (ma, attenzione, anche negli integratori minerali). Questo rischio viene scongiurato se vengono assunti lontano dai pasti.

Esistono per contro dei casi in cui, per svariati motivi, è meglio assumere i farmaci a stomaco pieno, ad esempio quei farmaci il cui assorbimento viene favorito dalla presenza di cibo nello stomaco [es. nitrofurantoina (Neofuradantin, un farmaco per le infezioni urinarie), griseofulvina (Grisovina, un antifungino), spironolattone (un diuretico)] o quando si desidera attenuare l'effetto irritante dei farmaci sulla mucosa gastrica (ad. esempio i già citati antiinfiammatori non steroidei o il ferro).

 

E inoltre...

Della numerosa famiglia dei cosiddetti ACE-inibitori [enalapril (es. Enapren), ramipril (es. Unipril), quinapril (es. Quinazil)] farmaci oggi molto utilizzati per abbassare la pressione e nell'insufficienza cardiaca, solo il capostipite, il captopril (Capoten), deve essere assunto a stomaco vuoto. Quando si assumono questi farmaci tuttavia non si devono condire gli alimenti con i sostituti del sale (es. Novosal) che sono a base di potassio, per il rischio che questa sostanza raggiunga nel sangue concentrazioni pericolose.

I pazienti che sono in trattamento con anticoagulanti orali devono prestare attenzione a non introdurre quantità elevate di alimenti particolarmente ricchi in vitamina K, perché questa vitamina antagonizza l'effetto del farmaco, riducendo la sua capacità di mantenere fluido il sangue. Fra questi alimenti rientrano i vegetali a foglia verde (cavoli, spinaci, lattuga, broccoli, cavolini di Bruxelles), i ceci, il fegato di maiale e di manzo.

Forse l'interazione fra cibo e farmaci più famosa è quella che riguarda i farmaci antidepressivi chiamati MAO-inibitori, per le reazioni anche gravi che ne derivano. Nel nostro paese è in commercio un solo rappresentante di questa classe di farmaci, precisamente la tranilcipromina contenuta in associazione nella specialità Parmodalin, per cui si tratta di una eventualità piuttosto remota. Chi assume questo farmaco deve evitare gli alimenti particolarmente ricchi di una sostanza chiamata tiramina: in presenza di questo antidepressivo infatti, la tiramina non viene inattivata e può rendersi responsabile di pericolosi aumenti di pressione. Fra gli alimenti da evitare rientrano i formaggi fermentati, compresi i piatti cucinati [infatti questa reazione viene anche definita "reazione da formaggio" (N.B. Quasi tutti i formaggi tranne poche eccezioni, come ad esempio la ricotta, sono fermentati)], i vini rossi (tipo Chianti o Porto), alcuni tipi di birre, le aringhe marinate, gli insaccati, il fegato di pollo e manzo, gli estratti di lievito. Anche cioccolato, caffè e fave possono rendersi responsabili di questa reazione. Le restrizioni dietetiche devono proseguire anche per tre settimane dopo la sospensione del farmaco.

 

Il problema dell'alcool

 Anche se non è un alimento nel senso stretto del termine, l'alcool è comunque un componente usuale della dieta di molte persone. L'accoppiata alcool-farmaci è imprevedibile e pericolosa. Andrebbe perciò sempre evitata. Questo suggerimento diventa un vero e proprio divieto quando si assumono farmaci che agiscono sul Sistema Nervoso Centrale (es. tranquillanti, antidepressivi, antiistaminici) in quanto l'alcool ne potenzia gli effetti sedativi. Quando si beve alcool mentre si è in trattamento con determinati farmaci come ad esempio il metronidazolo (es. Flagyl), alcuni antibatterici iniettabili (della classe delle cefalosporine) e la griseofulvina si può andare incontro ad una particolare reazione che si manifesta con arrossamento del volto e del collo, vomito, mal di testa e palpitazioni. Questa reazione è detta Antabuse-simile: prende il nome dal farmaco che, inducendo questi effetti quando si beve alcool, viene impiegato nei programmi di disassuefazione dall'alcool.

 

Quando occorre prestare particolare attenzione

• se si assumono farmaci per i quali la dose tossica è molto vicina alla dose terapeutica, ossia con "basso indice terapeutico" ; ne sono esempio gli anticoagulanti, gli antiepilettici (farmaci per l'epilessia), la digitale, il litio.

• quando si modifica drasticamente la dieta, ad esempio quando si inizia una dieta ipocalorica o si decide di passare ad una dieta vegetariana, o si introducono particolari alimenti in grande quantità;

• se si è anziani. Nei pazienti anziani infatti lo svuotamento dello stomaco può essere rallentato, l'alimentazione può essere scadente o non equilibrata. Anche una scarsa idratazione può avere conseguenze sul destino dei farmaci assunti;

• quando vino e bevande alcooliche fanno normalmente parte della dieta; sono soprattutto i farmaci che agiscono sul Sistema Nervoso Centale quelli con cui l'alcool non va proprio d'accordo.

 

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Le indicazioni che troverete tra queste pagine vengono fornite al solo scopo informativo e non possono sostituire la consulenza di un medico. Ricordate che l'autodiagnosi e l'autoterapia possono essere pericolose. E' possibile rintracciare dei centri dove con breve attesa e pagando un ticket si può essere visitati. Anche il vostro medico di famiglia potrà esservi di aiuto.

 

I farmaci contro il dolore

Il dolore quando è cronico è incompatibile con una normale vita sociale. Raggiunta la cronicità bisogna intervenire con una terapia adeguata.
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Obiettivo principale di chi soffre di dolore cronico è di riuscire a recuperare nel tempo le normali attività quotidiane.Il dolore è il più comune sintomo di una malattia.Può essere localizzato, riferito (senza cioè una chiara localizzazione) o irradiato (quando il mal di schiena si presenta con una irradiazione sciatica).


Il dolore cervicale e lombare (comunemente i dolori principali che colpiscono chi soffre di mal di schiena) è la causa più frequente di disabilità di origine muscolo scheletrica. Colpisce il 5% della popolazione italiana. Almeno una volta nella vita il 90% della popolazione ne ha sofferto. Ma la maggior parte dei pazienti che si reca dal medico lo fa anche per dolori causati da emicranie, dolore gastrico (mal di stomaco), dolori reumatici o dolori mestruali.

In base al genere di dolore, intensità, localizzazione, momento della sua comparsa, il
medico prescriverà la terapia più adatta. Può aiutarvi in questo il diario del dolore: è importante infatti sapere esattamente come, dove e quando i dolori si manifestano.
Queste informazioni sono preziose per orientare al meglio la diagnosi.

Ricordate
In caso di dolore
non ricorrete subito ai farmaci analgesici o antinfiammatori. Che assunti senza controllo possono avere effetti collaterali dannosi. Se il dolore è lieve e sono note le origini, chiedete consiglio al vostro farmacista di fiducia.

L’acido acetilsalicilico è il più utilizzato in caso di mal di testa o schiena, dolori reumatici e mestruali.
Si rivela inutile in caso di sciatica. Ha un’azione antinfiammatoria e analgesica.
Va assunto a stomaco pieno.
Controindicato: negli asmatici, in chi soffre di gastrite o ulcera, in gravidanza o durante l’allattamento, nelle persone che si sono mostrate allergiche al farmaco.

L’ibuprofen rispetto all’acido acetilsalicilico ha un’azione calmante maggiore, può essere più facilmente tollerato, ha meno effetti collaterali.
Viene utilizzato soprattutto in caso di mal di testa e dolori mestruali.
Ha le stesse controindicazioni dell’acido acetilsalicilico.

Antipiretico e analgesico, il
paracetamolo non ha efficacia antinfiammatoria.
Controindicato nei malati di fegato.
Gli effetti collaterali si manifestano con eczemi.

 

successivo   (SOMMINISTRAZIONE DELL'INSULINA)

 

 

 

 

 

Le indicazioni che troverete tra queste pagine vengono fornite al solo scopo informativo e non possono sostituire la consulenza di un medico. Ricordate che l'autodiagnosi e l'autoterapia possono essere pericolose. E' possibile rintracciare dei centri dove con breve attesa e pagando un ticket si può essere visitati. Anche il vostro medico di famiglia potrà esservi di aiuto.

Somministrazione dell'insulina   

Nei pazienti affetti da diabete mellito si deve cercare di simulare al meglio la secrezione del pancreas, iniettando dall'esterno l'insulina necessaria al fisico. La somministrazione dell'insulina avviene per via sottocutanea, tramite siringa e insuline artificiali simili a quelle umane.   

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In una persona non affetta da diabete, l'insulina prodotta dal pancreas viene distribuita durante la giornata secondo un criterio molto semplice: essa viene prodotta ogni qual volta il fisico lo richiede.

In particolare si può dire che essa viene liberata in una quantità definita "basale" (per permettere al fegato di produrre il glucosio utile alle funzioni fisiologiche: cervello, ecc.), ed in una quantità superiore in prossimità dei pasti.

Nei pazienti affetti da diabete mellito si deve cercare di simulare al meglio la secrezione del pancreas, iniettando dall'esterno l'insulina necessaria al fisico. La somministrazione dell'insulina avviene per via sottocutanea, tramite siringa e insuline artificiali simili a quelle umane.

Tipi di insulina

L'insulina rapida

Questo tipo di insuline vengono solitamente utilizzate immediatamente prima dei pasti principali, in quanto hanno la caratteristica di agire entro 15-30 minuti dal momento in cui vengono iniettate.
La loro azione può essere vista graficamente come una curva in rapida salita (entro 15-30 minuti appunto) che raggiunge l'apice entro le 3 ore successive e si esaurisce entro le 6-8 ore.

L'insulina intermedia

  Le insuline ad azione intermedia hanno invece la caratteristica di di durare molto più a lungo, iniziando la loro azione dopo circa 90 minuti dal momento dell'iniezione, raggiungendo il picco massimo dopo 4-6 ore ed esaurendosi 12-20 ore dopo.
Vengono più facilmente usate per combattere l'iperglicemia del mattino, provocata dalla liberazione di zuccheri da parte del fegato durante le prime ore del mattino. Inoltre costituisce un buono zoccolo di insulinizzazione per tutta la giornata.

L'insulina protratta

 

La loro azione è molto ritardata (inizia circa dopo 180 minuti dalla somministrazione), raggiunge l'apice circa 6 ore dopo, e si esaurisce dopo circa 24-30 ore.

Lispro

Insulina di nuovissima concezione, in Italia è stata commercializzata con il nome di Humalog® dalla Lilly, nel novembre 1997. Ha la caratteristica di avvicinarsi molto ai tempi di reazione dell'insulina prodotta dal pancreas. Infatti la sua azione inizia solo dopo 10-15 minuti dalla somministrazione.

Questo fatto, di apparente scarsa importanza, in realtà è fondamentale per il diabetico che, con la normale insulina rapida, era costretto ad aspettare dai 30 ai 45 minuti dopo l'iniezione, prima di poter iniziare il pasto. Questo portava, in particolari situazioni di necessità, a non aspettare il tempo dovuto, e quindi ad andare incontro a iperglicemie nonostante dosi normalmente sufficienti.

 

Combinazione delle insuline

 

Le insuline possono essere mescolate tra loro e successivamente iniettate. Bisogna però avere l'accortezza di iniettarle subito, in quanto col passare del tempo, le loro peculiarità possono modificarsi dopo la miscelazione.
Questo è dovuto alla loro particolare composizione chimica: p.es. l'insulina rapida, fissandosi con lo zinco dell'insulina protratta, potrebbe rallentare notevolmente il suo effetto.

 

L'insulina premiscelata

 

Esistono alcuni tipi di insulina messe in commercio già miscelate, in modo da ridurre le possibilità di errore nei dosaggi. Inoltre eliminano le possibilità di contaminazione dell'insulina, dovute all'uso dello stesso ago durante la fase di miscelazione
Tali prodotti vengono venduti in miscelazioni a percentuali fisse, che non possono essere modificate (vedi tabella).

 

Tabella delle insuline più diffuse

 

Tipo

Nome

Produttore<

Inizio effetto

Durata

Picco

 

Lispro

Humalog

Lilly

15 min

 

 

 

Rapida

Actrapid HM

Novo Nordisk

30 min

6-8 ore

2-5 ore

 

 

Humulin R

Lilly

30 min

5-7 ore

1-3 ore

 

 

Bio-Insulin R

Guidotti

30 min

5-7 ore

1-3 ore

 

Intermedia

Protaphane HM

Novo Nordisk

1-2 ore

18-20 ore

3-12 ore

 

 

Humulin I

Lilly

1-2 ore

18-20 ore

2-8 ore

 

 

Bio-Insulin I

Guidotti

1-2 ore

18-20 ore

2-8 ore

 

Protratta

Ultratard HM

Novo Nordisk

2-4 ore

26-28 ore

8-22 ore

 

 

Humulin L

Lilly

1-2 ore

18-20 ore

2-8 ore

 

Ultralenta

Humulin U

Lilly

2-4 ore

24-36 ore

8-18 ore

 

Premiscelata 10/90 umana

Actraphane HM

Novo Nordisk

 

 

 

 

 

Humulin

Lilly

 

 

 

 

 

Bio-Insulin

Guidotti

 

 

 

 

Premiscelata 20/80 umana

Actraphane HM

Novo Nordisk

 

 

 

 

 

Humulin

Lilly

 

 

 

 

 

Bio-Insulin

Guidotti

 

 

 

 

Premiscelata 30/70 umana

Actraphane HM

Novo Nordisk

 

 

 

 

 

Humulin

Lilly

 

 

 

 

 

Bio-Insulin

Guidotti

 

 

 

 

Premiscelata 40/60 umana

Actraphane HM

Novo Nordisk

 

 

 

 

 

Humulin

Lilly

 

 

 

 

 

Bio-Insulin

Guidotti

 

 

 

 

Premiscelata 50/50 umana

Actraphane HM

Novo Nordisk

 

 

 

 

 

Humulin

Lilly

 

 

 

 

Premiscelata animale

Rapitard MC

Novo Nordisk

 

 

 

 

 

Uso della siringa:

Si usano siringhe da insulina (40 UI/ml) graduate direttamente in UI. Si consiglia l'uso di siringhe usa e getta, che garantiscono un'elevata sicurezza igienica e di infrangibilità, quindi facilmente usabili in ogni condizione. Queste siringhe sono in materiale plastico, quindi molto resistenti agli urti e non pericolose per i bambini, sono chiuse in confezioni sterili non necessitando alcuna operazione di sterilizzazione, e sono abbastanza precise, permettendo anche le frazioni di unità.
Le siringhe attualmente in commercio, presentano numerosi vantaggi rispetto alle precedenti: non hanno spazio morto riducendo la possibilità di formazione di bolle d'aria, anno ago fisso e particolarmente sottile e acuminato, il pistone è perfettamente aderente alle pareti della siringa.
Le siringhe possono essere usate più di una volta, purché si usino le seguenti precauzioni:

Bisogna tener presente che l'ago della siringa, proprio perché molto sottile, si usura con l'uso. Quindi è bene sostituirlo spesso, non solo per una questione di sicurezza, ma anche perché più lo si usa e più la puntura rischia di essere dolorosa.

Non usare mai siringhe utilizzate da altri, nemmeno se amici o parenti!

I rischi di infezione sono altissimi (AIDS, Epatite, etc.).

 

Microinfusore

Sono apparecchi, di dimensioni ridotte. Sono costituiti da una pompa di precisione che, su comando di circuiti elettronici miniaturizzati, inietta sottocute 24 ore su 24 le dosi di insulina programmata. Normalmente viene portata alla cinta ed è alimentata da una piccola batteria. L'ago è costantemente inserito. Viene utilizzata prevalentemente quando il controllo metabolico non è realizzabile tramite le solite 3-4 iniezioni giornaliere, in particolare in gravidanza ed in occasione di interventi chirurgici. Normalmente viene quindi utilizzato in ambiente ospedaliero.

Iniettore

Sono apparecchi in grado di somministrare farmaci sottocute, senza l'ausilio di aghi. Producono un getto sottilissimo ad alta pressione, in grado di oltrepassare lo spessore della pelle. Normalmente sono usati per le vaccinazioni, anche se da poco si pensa di usarli anche per le iniezioni di insulina.
Il vantaggio offerto da questi apparecchi è la riduzione del dolore rispetto alle somministrazioni effettuate in modo tradizionale. Vi sono però alcuni elementi contrari all'utilizzo di tale metodo:

    Tecnica dell'iniezione

Prima di ogni iniezione, eseguire le seguenti operazioni:

   Iniezione con siringa

     Insulina di tipo unico o premiscelata:

      Miscela di due tipi di insulina:

      Iniezione con penna

Come fare l'iniezione

Prima di procedere all'iniezione, disinfettare la cute nel punto di iniezione.
L'iniezione va praticata in profondità avendo cura, se si usa una siringa, di mantenere un'inclinazione di 45° rispetto alla pelle.
Tenendo la cute tra indice e pollice, come per pizzicare, affondare l'ago fino in fondo (nel caso si usi una siringa, aspirare per controllare che l'ago non sia penetrato in un vaso sanguigno; se viene aspirato sangue, cambiare sede di iniezione). Iniettare l'insulina. Allentare la pressione sulla cute ed estrarre l'ago. Disinfettare premendo leggermente la cute per impedire eventuali fuoriuscite di insulina. Non massaggiare la zona. Nel caso vi fossero delle fuoriuscite di insulina annotarlo sul diario ma non reintegrare la dose.

 

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Le indicazioni che troverete tra queste pagine vengono fornite al solo scopo informativo e non possono sostituire la consulenza di un medico. Ricordate che l'autodiagnosi e l'autoterapia possono essere pericolose. E' possibile rintracciare dei centri dove con breve attesa e pagando un ticket si può essere visitati. Anche il vostro medico di famiglia potrà esservi di aiuto.

 

PUNTURE DI INSETTI

Molti insetti pungendo possono causare delle piccole lesioni della pelle, in questo modo sono in grado di iniettare all’uomo sostanze tossiche o trasmettere malattie. Le punture in genere provocano solo irritazione, prurito e gonfiore; la risposta individuale a questo stimolo è molto varia, quando la reazione è particolarmente forte si è costretti a fare ricorso a cure mediche. Gli insetti sono attirati dall’uso di profumi, deodoranti, lacche, abiti dai colori sgargianti. Gli insettorepellenti possono essere un valido mezzo di prevenzione. Tali sostanze non sono sempre prive di effetti collaterali, vanno quindi usate con attenzione evitando di applicarle sulla cute lesa e vicino agli occhi. Le persone soggette a disturbi respiratori dovrebbero evitare l’uso dei derivati del piretro.

 Punture di api, vespe, formiche e calabroni.

Questi insetti iniettano con un pungiglione una sostanza tossica che causa dolore, arrossamento e prurito. L’insetto se ancora presente va tolto tempestivamente, l’aculeo va estratto, la zona colpita va disinfettata con amuchina. Successivamente possono essere applicati impacchi di ghiaccio per rallentare l’assorbimento del veleno e per diminuire il dolore. Per attenuare il prurito si possono applicare creme cortisoniche. L’uso popolare di ammoniaca diluita non risulta essere decisivo per la risoluzione dell’irritazione. Le punture in gola, sulla lingua e in zone particolarmente sensibili vanno trattate in ambiente ospedaliero. Possono comparire, anche se raramente, manifestazione di natura allergica (sudorazione, orticaria, pallore, difficoltà respiratori, ipotensione e shock anafilattico); in tal caso occorre tempestivamente far ricorso alle cure di un medico o recarsi al più vicino Pronto Soccorso.

 Punture di zanzare, zecche, acari e pidocchi.

Le zanzare pungono prevalentemente al tramonto, fanno eccezione le zanzare tigre, più piccole e con caratteristiche righe sull’addome, che pungono anche di giorno. Le punture di zanzare, anche se per il momento non destano preoccupazione circa il rischio di diffusione di malaria, possono comunque causare gonfiore e bolle, tali manifestazioni possono durare alcuni giorni. Le bolle possono rompersi causando infezioni e ulcerazioni. Il trattamento e del tutto simile a quello descritto precedentemente per le api, vespe, ecc..


Le zecche se ancora presenti vanno tolte con pinzette, la rimozione può essere felicitata applicando localmente petrolio, etere, benzina o olio. E’ importante essere certi di aver tolto completamente il pungiglione. Possono essere applicate localmente pomate antistaminiche, se compare un esantema o una infezione è necessario rivolgersi ad un medico. Ultimamente si stanno verificando molti casi di malattia di Lyme. Tale malattia trasmessa dalla puntura di una zecca è caratterizzata da manifestazioni cliniche che interessano il sistema nervoso e la cute. Nella zona del morso compare un eritema di forma circolare che con il tempo va espandendosi, questa manifestazioni si accompagna con l’insorgere di febbre, mialgie, malessere generale. Negli Stati Uniti alcune punture di zecca hanno causato una paralisi con arresto respiratorio.


Gli acari depositano le uova sotto la pelle causando dermatiti e scabbia. Gli acari della scabbia scavano sottili cunicoli al nelle pieghe della pelle. Nei cunicoli le larve, deposte dalle femmine feconde, si sviluppano in forme mature dopo alcuni giorni. La pelle interessata dall’infestazione presenta papule e chiazze rossastre. La terapia consiste nell’uso topico di pomate a base di permetrina e zolfo, oralmente sono prescritti antibiotici.


Ragni e scorpioni

I ragni sono quasi tutti velenosi, ma soltanto alcune specie posseggono aculei capaci di penetrare la pelle dell’uomo. In Italia il ragno più velenoso è la tarantola che si trova in luoghi caldi e secchi (Salento); il morso della tarantola provoca reazioni locali particolarmente fastidiose e rari gravi effetti generali.

I centopiedi (scolopendra) provocano razioni locali dolorose e fastidiose.

I millepiedi non pungono ma possono secernere una sostanza irritante.

Gli scorpioni possono iniettare veleno che può irritare e provocare manifestazioni dolorose accompagnate da gonfiore, la gravità della reazione dipende dalla specie e dalla sensibilità del soggetto colpito.

La zona colpita va lavata abbondantemente, si può applicare localmente una crema cortisonica; nei casi più gravi è necessario ricorrere alle cure di un medico.


settembre 2005

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Le indicazioni che troverete tra queste pagine vengono fornite al solo scopo informativo e non possono sostituire la consulenza di un medico. Ricordate che l'autodiagnosi e l'autoterapia possono essere pericolose.  il vostro medico di famiglia potrà esservi di aiuto.

ANTIBIOTICI IN POMATA

Gli antibiotici utilizzati nelle pomate si dividono in due categorie: battericidi (uccidono i batteri), batteriostatici (ne impediscono la moltiplicazione). Tali proprietà dipendono sia dalla concentrazione del principio attivo sia dalle caratteristiche del farmaco. La terapia antibiotica locale dovrebbe essere usata solo in presenza d’infezioni cutanee o in dermatosi con sovrapposizioni batteriche. Bisogna tener presente, come per gli antibiotici per uso orale, è buona norma fare un antibiogramma per avere una terapia più mirata. L’uso di questi prodotti può provocare se usati indiscriminatamente: reazioni allergiche semplici o crociate, formazione di ceppi antibiotico resistenti.

 

Principi attivi più utilizzati:

 

Gentamicina

La Gentamicina è un antibiotico battericida, appartenente alla famiglia degli aminoglicosidi. Ha un ampio spettro d’azione ma può provocare: resistenza crociata con altri antibiotici aminosidi, formazione di ceppi resistenti, manifestazioni allergiche.

 

Clortetraciclina

La Clortetraciclina appartenete alla classe delle tetracicline, è un antibiotico batteriostatico, non risulta efficace sui Protens e Pseudomonas. Sono frequenti la formazione di ceppi resistenti agli streptococchi e agli stafilococchi. Si possono avere fenomeni di sensibilizzazione.

 

Neomicina e Bacitracina

È un’associazione di due antibiotici: la Neomicina (antibiotico aminoglicosidico), la Bacitracina (polipeptide), entrambi battericidi. L’associazione, se da una parte assicura un più ampio spetto d’azione dall’altra aumenta la possibilità di manifestazioni allergiche e l’insorgenza di ceppi resistenti. La Neomicina non deve essere usata nelle dermatiti da contatto.

 

Analisi dei prodotti

 

· Gentalyn crema, ditta Essex. Composizione, 100 g di crema contengono: Gentamicina 0,166 g. Un tubo da 30 g

· Citrizan antibiotico gel, ditta Idi. Composizione, 100 g di gel contengono: Genatmicina 0.100 g, catalesi equina 800.000 U.I.

· Aureomicina pomata, ditta Wyeth Lederl. Composizione, 100 g di pomata contengono: Clortetraciclina 3 g. Un tubo da 14,2 g

· Cicatrene crema, ditta Warner Lambert. Composizione, 100 g di crema contengono: Neomicina 330.000 U.I., Bacitracina 25.000 U.I..

Consiglio del farmacista

L’uso di creme antibiotiche è una delle cause della sempre maggiore insorgenza di ceppi antibiotico resistenti. La terapia antibiotica dovrebbe essere utilizzata solo nelle manifestazioni più gravi (Piodermiti, dermatosi con sovrapposizione batterica), in tutti gli altri casi è bene ricorrere alla terapia con antisettici. Tutti i prodotti analizzati hanno costi mediamente elevati

 

Crescente resistenza agli antibiotici a causa del loro ampio utilizzo
Lo studio condotto presso l’Università di Antwerp in Belgio in collaborazione con la Leiden University Medical Center in Olanda, ha avuto come obiettivo quello di determinare l’impiego ambulatoriale degli antibiotici e l’associazione con la resistenza.
E’ stata presa in esame l’assunzione ambulatoriale di antibiotici in 26 Paesi Europei tra il 1997 e il 2002.
E’ stato calcolato il numero di dosi giornaliere definite ( DDD ) per 1000 abitanti al giorno.
La più alta percentuale si è avuta in Francia ( 32.2 DDD per 1.000 abitanti al giorno ) e quella più bassa in Olanda ( 10.0 DDD per 1.000 abitanti al giorno ).
E’ stato riscontrato un cambiamento di tendenza dai vecchi antibiotici a spettro ristretto ai nuovi antibiotici ad ampio spettro.
Sono state osservate, inoltre, sensibili fluttuazioni stagionali, con picchi elevati in inverno nei Paesi con ampio uso annuale di antibiotici.
Le più alte percentuali di resistenza agli antibiotici sono state osservate nei Paesi ad elevato utilizzo, probabilmente correlate al più elevato impiego nell’Europa del Sud e nell’Europa Orientale rispetto al Nord-Europa.
I dati ottenuti potrebbero fornire un metodo d’impiego per determinare strategie di Salute Pubblica che hanno come obiettivo quello di ridurre l’impiego di antibiotici ed i livelli di resistenza.

 

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ARGENTO PROTEINATO


Protargolo

L’argento proteinato (argentum proteinicum, protargolo, argento proteinico, ottargol) viene così definito dalla F.U. XI ed. (farmacopea ufficiale): preparazione argento proteinica che contiene non meno del 7,5% e non più dell’8,5% di argento. Caratteri: polvere di colore marrone, leggermente igroscopica, sensibile alla luce, con acqua forma una dispersione colloidale dando una colorazione marrone cupo, poco solubile in alcool, praticamente insolubile in cloroformio e in etere. Saggi proteine estranee: una soluzione acquosa 100 g/l non presenta alcun deposito prima di 10 minuti, una soluzione acquosa 20 g/l dopo aggiunta di un volume uguale di una soluzione satura di sodio cloruro R non si intorbida. Saggi argento ione: agitare 1 g della sostanza in esame con 10 ml di alcool R, filtrare ed aggiungere al filtrato 2 ml di acido cloridrico diluito R, non si produce nessuna opalescenza. Conservare in un recipiente ben chiuso, protetto dalla luce.

 

Proprietà farmacologiche

Antisettico e antibatterico molto attivo. Può sostituire nella cura della blenorragia l’argento nitrato, perché meno irritante. Era utilizzato nelle vulvovaginiti, cistiti, catarri cervicali; attualmente l’uso è limitato alle affezioni auricolari e come decongestionante nasale. L’unica controindicazione è una possibile ipersensibilità verso i componenti del preparato.

 

Preparazioni delle soluzioni con argento proteinato

Note generali: per preparare le soluzioni acquose occorre stemperare l’argento proteinato in acqua fredda oppure in glicerina, in modo da ottenere un impasto uniforme, successivamente vanno aggiunte le restanti quantità di acqua agitando di continuo. Le soluzione devono essere preparate ed adoperate a freddo, se preparate a caldo o conservate per lungo tempo assumono un carattere acido e sono irritanti. Le soluzione devono essere sempre dispensate in bottigliette di vetro scuro.

 

Argento proteinato gocce nasali F.U. XI
Gocce nasali di protargolo

Gocce nasali – 0,5 per cento – 1 per cento – 2 per cento

Gocce nasali di protargolo per bambini (0,5 per cento) e per adulti (1 per cento e 2 per cento).

Categoria terapeutica: antisettico locale.

Composizione, 100 g contengono:

 

0,5%

1%

2%

Argento proteinato

g  0,5

g  1

g  2

Acqua depurata

g 99,5

g 99

g 98

Preparazione: l’argento proteinato si scioglie nell’acqua bollita di fresco, agitando. Si filtra, se necessario.

Caratteri: liquido limpido o leggermente opalescente, di colore bruno, privo di depositi.

Conservazione: in recipiente ben chiuso, al riparo della luce.

Confezionamento: in flacone contagocce di vetro scuro o altro materiale idoneo.

Uso e posologia: 1-2 gocce per narice, più volte al giorno.

Scadenza: 15 giorni dopo la prima apertura della confezione; 30 giorni per la confezione integra.

 

Argento proteinato preparazione galenico-industriale

Categoria terapeutico: antisettico locale.

Validità: anni tre, la data di scadenza indicata si riferisce al prodotto in confezionamento integro correttamente conservato. Dopo l’apertura 15 giorni.

Composizione. 100 g contengono: argento proteinato 0,5g (0,5%), 1g (1%), 2g (2%), in veicolo acquoso.

Conservazione: in recipienti ben chiusi al riparo della luce.

Avvertenze: uso esterno, tenere fuori dalla portata dei bambini, evitare trattamenti prolungati, il preparato può macchiare gli indumenti.

Pezzo indicativo: confezione da 10 ml 0,5% € 0,91, 1% € 1,95, 2% € 2,10.

 

Consiglio del farmacista

L’argento proteinato è un ottimo antisettico per le cavità nasali; nei bambini al di sotto di un anno è consigliabile utilizzare la soluzione allo 0,5%. È prudente eliminare l’eccesso di prodotto che potrebbe uscire dalle cavità nasali per evitare possibili arrossamenti. Conservare il preparato al riparo delle luce per salvaguardarlo dall’ossidazione e dalla decomposizione. Nell’uso non superare la data di scadenza; la confezione una volta aperta ha una validità di 15 giorni. Se è possibile utilizzate un prodotto preparato di fresco. Tenere sempre fuori dalla portata dei bambini.

 

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Le indicazioni che troverete tra queste pagine vengono fornite al solo scopo informativo e non possono sostituire la consulenza di un medico. Ricordate che l'autodiagnosi e l'autoterapia possono essere pericolose.  il vostro medico di famiglia potrà esservi di aiuto.

Tachipirina, analgesico-antipiretico


Il principio attivo della Tachipirina è il Paracetamolo, noto anche come Acetaminofene.
La Tachipirina è un prodotto ad attività analgesica ed antipiretica.
Non essendo un farmaco a base di salicilati, la Tachipirina risulta ben tollerata a livello gastrico.

Principio attivo:
Paracetamolo ( mg 1000 )


Indicazioni:
Tachipirina trova impiego nel trattamento dei sintomi dolorosi in genere: cefalea, mal di denti, dolori muscolari, dolori osteo-articolari, dolori mestruali, interventi chirurgici di piccola entità. Inoltre, la Tachipirina viene impiegata nella cura degli stati febbrili in genere.

Posologia:
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- Adulti e ragazzi al di sopra dei 15 anni: 1 compressa da 1000 mg di Paracetamolo 1-2 volte al giorno. Nei casi più gravi, il dosaggio quotidiano può essere aumentato fino a 3 compresse/die. Tra una somministrazione e quella successiva è necessario che trascorrano almeno 4 ore.

- Bambini tra 6 e 15 anni: 250-500 mg di Paracetamolo ogni 4-6 ore fino ad un massimo di 4 volte al giorno ma con un intervallo di 4 ore o più tra una dose e l’altra.


Controindicazioni:
Tachipirina è controindicata in caso di ipersensibilità accertata verso il farmaco. Inoltre la Tachipirina è controindicata nei soggetti con grave insufficienza epatica, o con grave anemia emolitica.
La Tachipirina contiene Sorbitolo, quindi è sconsigliato l’utilizzo da parte dei soggetti con intolleranza ereditaria al fruttosio.
La Tachipirina è controindicata in gravidanza, ed il suo eventuale uso necessita di un controllo medico.

Effetti Indesiderati:
Sono stati segnalati casi di reazioni cutanee di vario tipo e di diversa entità: eritema multiforme, sindrome di Steven-Johnson e necrolisi epidermica.
In caso di ipersensibilità nei confronti del farmaco, si possono manifestare: rush cutaneo associato ad eritema o ad orticaria, angioedema, edema della laringe, shock anafilattico.
Altri eventi avversi riscontrati sono: trombocitopenia, leucopenia, anemia, agranulocitosi, alterazioni della funzionalità epatica ed epatiti, alterazioni a carico del rene ( insufficienza renale acuta, nefrite interstiziale, ematuria, anuria ), reazioni gastrointestinali e vertigini.

Interazioni farmacologiche:
In caso di terapia concomitante con anticoagulanti per os, è opportuno ridurre il dosaggio.
Tachipirina va usata con estrema cautela e sotto stretto controllo medico in caso di terapia concomitante con farmaci che possono determinare l’induzione delle monossigenasi epatiche o in caso di esposizione a sostanze che possono avere tale effetto ( es. Rifampicina, Cimetidina, antiepilettici come Glutetimmide, Fenobarbital, Carbamazepina ).
Altrettante precauzioni d’impiego vanno osservate in caso di assunzione del farmaco antiretrovirale Zidovudina ( AZT ) e nell’abuso di bevande alcoliche.
I farmaci che rallentano lo svuotamento gastrico ( anticolinergici ) possono rallentare l’assorbimento della Tachipirina e, di conseguenza, ridurre il suo effetto analgesico.
Tachipirina può alterare l’esito di alcuni test diagnostici, come la determinazione dell’uricemia e della glicemia.
L’antibiotico Cloranfenicolo può portare ad un incremento dell’emivita del Paracetamolo , con il rischio di aumentarne la tossicità.

Precauzioni d’impiego:
In alcuni rari casi, la Tachipirina può dare origine a reazioni allergiche. In tal caso, si consiglia di sospendere il trattamento. Il prodotto deve essere impiegato con cautela da coloro che hanno carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi, insufficienza renale o epatica, o con sindrome di Gilbert.
Prima di assumere qualsiasi altro farmaco, è consigliato controllare che non contenga lo stesso principio attivo ( Paracetamolo ), dal momento che dosi elevate dello stesso possono causare gravi reazioni avverse a carico di reni e sangue, e provocare epatopatia ad alto rischio.
Dosi elevate di Paracetamolo possono dare luogo a gravi reazioni avverse, pertanto è sconsigliato l’uso prolungato della Tachipirina e, in ogni caso, l’impiego continuato per oltre 10 giorni senza consulto medico.
Prima di assumere qualsiasi altro farmaco in concomitanza di Tachipirina è opportuno consultare il proprio medico.
In caso di dieta iposodica, va considerato che una compressa di Tachipirina ( 1000mg ) contiene circa 24mEq di sodio.
Tachipirina può essere assunta in caso di malattia celiaca.
Sovradosaggio:
In caso di assunzione accidentale di dosi molto elevate, l`intossicazione acuta si manifesta con anoressia, nausea, vomito, pallore, dolori addominali seguiti da profondo decadimento delle condizioni generali.
Generalmente, i sintomi compaiono entro le prime 24 ore dall’assunzione del farmaco.
In caso di sovradosaggio ( oltre 10 g di Paracetamolo negli adulti e 150 mg/kg di peso corporeo nei bambini), il Paracetamolo può provocare citolisi epatica con possibile evoluzione verso la necrosi massiva ed irreversibile, con conseguente insufficienza epatocellulare, acidosi metabolica ed encefalopatia, che possono portare a coma e morte.
Si osservano, inoltre, incrementi dei livelli di transaminasi epatiche, lattico-deidrogenasi e bilirubinemia, ed una riduzione dei livelli di protrombina, che possono manifestarsi entro 12-48 ore dall’ingestione. I provvedimenti da adottare consistono nello svuotamento gastrico precoce.

Dalla letteratura:
Sul Clinical Experimental Allergy è stato pubblicato uno studio che ha valutato l’associazione tra esposizione prenatale al Paracetamolo e l’aumento del rischio di asma, dispnea, atopia ed altri esiti nei bambini al 6-7° anno di età.
Questo studio ha dimostrato che l’uso di Paracetamolo in gravidanza è associato, nei bambini all’età di 6-7 anni, ad un aumento del rischio di asma, dispnea, e di elevati valori totali di IgE.

Prodotti a base di Paracetamolo:
Acetamol; Efferalgan; Tachipirina

( Xagena2006 )
Farma2006
 

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 Sotto accusa Moment e Voltaren
Estratto da “Il salvagente” n° 24 del 16-23 giugno 2005
Inviato da Marco M.

Tempi duri per chi soffre frequentemente di mal di testa, dolori reumatici o forti dolori mestruali e ricorre spessissimo agli antidolorifici. Dopo la messa al bando del Vioxx e di tutti i farmaci a base dello stesso tipo di molecole, i cosiddetti Cox2, gli studiosi hanno messo sotto accusa altre due famiglie di medicinali: quelli a base di ibuprofen, come il Moment e il Buscofen, e quelli che contengono il diclofenac, come il Voltaren. Le due sostanze, infatti, aumentano le percentuali di rischio per l’infarto.
La notizia è stata diffusa dal quotidiano britannico The Guardian, dopo che sull’autorevole rivista British Medical Journal è stata pubblicata una ricerca dell’Università di Nottingham sui rischi legati agli antidolorifici. Le autrici dello studio epidemiologico, Julia Hippisley-Cox e Carol Coupland, hanno identificato 9.218 pazienti in Inghilterra, Galles e Scozia, tra i 25 e i 100 anni, che hanno già sofferto di un primo infarto e li hanno tenuti sotto osservazione. Nelle valutazioni finali, naturalmente, sono stati considerati i fattori come l’età, le malattie cardiovascolari diagnosticate, il fumo e il consumo di altri farmaci, come l’Aspirina che riduce il rischio di un attacco di cuore. Il risultato è stato che con il consumo di ibuprofen il rischio infarto cresce del 24 per cento, mentre con l’assunzione di diclofenac aumenta addirittura del 55 per cento. Per quanti hanno curato il dolore con il rofecoxib, il principio attivo del Vioxx, il rischio infarto è salito del 32 per cento, contro il 21 per cento in più di un altro Cox2, il celecobix contenuto nel Celebrex.
In Gran Bretagna l’attenzione si è tutta concentrata sull’ibuprofen, da sempre considerato uno dei farmaci più sicuri del mercato e usatissimo come sostituto del Vioxx. Secondo le ricercatrici, ogni 1.005 persone ultra sessantacinquenni che assumono ibuprofen, uno subirà un infarto. E per capire l’impatto dei numeri, è bene considerare che solo oltremanica i pazienti che soffrono di artrite e sono quindi potenziali consumatori di antidolorifici, sono circa 9 milioni

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Lassativi
nel trattamento della stipsi cronica idiopatica



La stipsi cronica idiopatica costituisce un problema frequente nella popolazione generale, in ogni classe di età.
La definizione di stipsi differisce a seconda della diversa percezione del paziente o del medico e dipende dal diverso grado culturale1-4. In funzione della defecazione si parla di stipsi quando due o più dei seguenti sintomi siano stati presenti nei 12 mesi precedenti:

-meno di 3 evacuazioni la settimana
-sforzo alla defecazione
-feci dure
-senso di evacuazione incompleta in oltre il 25% delle occasioni;

oppure due o più dei seguenti sintomi per almeno 3 mesi consecutivi ("Criteri di Roma")
-2 o meno evacuazioni la settimana
-peso fecale inferiore a 35 g/die
-sforzo alla defecazione in oltre il 25% delle occasioni
-feci dure e caprine in oltre il 25% delle occasioni
-senso di evacuazione incompleta in oltre il 25% delle occasioni

Generalmente, si ritiene che nella maggior parte dei casi (probabilmente in oltre il 90%) non esista una causa secondaria di stipsi e che la condizione sia idiopatica5. Perlopiù, i pazienti che ne soffrono possono essere trattati in maniera empirica mediante una corretta idratazione, un esercizio fisico appropriato e supplementi di fibre alimentari: i pazienti che non rispondono a queste misure basilari, dopo adeguata esclusione di cause secondarie6-8, sono candidati ad una terapia farmacologica ricorrendo a composti che inducono l'atto della defecazione, lassativi.
Di seguito, prenderemo in considerazione i vari composti attualmente in uso.


Agenti idrofili o di massa
• Agenti osmotici
• Secretagoghi e altri composti
• Agenti lubrificanti
• Concetti razionali di terapia



Agenti idrofili o di massa


• Fibre alimentari (crusca)
• psyllium (es. Fibrolax, Planten)
• policarbofil (Modula)

Le fibre alimentari (come la crusca), quelle medicinali (come lo psyllium) ed alcuni polimeri sintetici (policarbofil, cellulosa modificata chimicamente) posseggono l'importante proprietà fisica di trattenere acqua nelle feci, in quanto non vengono digeriti e non vengono (o vengono parzialmente) metabolizzati dai batteri a livello del colon. Il conseguente aumento di volume endoluminale e l'incremento di peso delle feci stimola l'attività motoria accelerando il transito nel tratto digestivo, specialmente a livello del colon9,10. Inoltre, la consistenza fecale risulta ridotta, rendendo la defecazione più agevole11.
La capacità di trattenere acqua varia a seconda dei vari agenti; ad esempio, la capacità in vitro di trattenere acqua da parte della crusca è di 4,2 g/g di crusca, mentre quella della pectina è di 56,2 g/g di pectina. Tuttavia, la crusca risulta più efficace nell'aumentare il peso fecale, dato che la pectina viene fermentata molto più efficacemente dai batteri del colon12.
Le fibre alimentari più studiate sono quelle derivate dal grano; studi dose-risposta hanno evidenziato che l'aggiunta alla dieta di quantità progressivamente crescenti di cereali ricchi in crusca aumenta il peso fecale in maniera lineare13 per cui, in caso di stipsi, la prima, semplice misura generalmente raccomandata è l'aggiunta alla dieta di 20-40 g/die di fibre alimentari14. Effetti indesiderati di questa misura, in particolare con l'assunzione di crusca, sono rappresentati da intolleranza gastrica, meteorismo e flatulenza, per cui un discreto numero di pazienti preferisce l'assunzione di fibre "medicinali".
Queste ultime, di origine naturale (come lo psyllium) o sintetiche (come il policarbofil e la cellulosa modificata) hanno notevole capacità igroscopica; 10 g di psyllium, ad esempio, aumentano il peso fecale da 55 a 100 g/24 ore15. La tollerabilità di queste fibre appare ottima, specialmente per quel che riguarda i sintomi "gassosi" (meteorismo, flatulenza), che non risultano significativamente diversi dal placebo16. Va ricordato che l'efficacia di questi composti non è immediata, e che possono essere necessarie alcune settimane di terapia prima di poterne apprezzare gli effetti. Lo psyllium, inoltre, può essere responsabile di reazioni allergiche17.
 

Agenti osmotici


Ioni scarsamente assorbiti:
• solfato, idrossido e citrato di magnesio (es. Limonata Citromagnesiaca, Citrato espresso S. Pellegrino)
• fosfato e solfato di sodio (es. Fosfo-Soda Fleet, Phospho-Lax)

Disaccaridi scarsamente assorbiti:
• lattulosio (es. Duphalac, Epalfen, Normase)
• sorbitolo, mannitolo (es. Mannite)

Glicerina
• Polietilenglicole (PEG) (es. Pergidal, Isocolan, Selg)

Sono rappresentati da ioni o molecole osmoticamente attivi, scarsamente assorbiti a livello dell'intestino e che inducono secrezione di acqua al suo interno per mantenere l'isotonicità con il plasma. Il magnesio è uno ione che viene scarsamente assorbito nel tratto gastrointestinale, e che pertanto costituisce un componente di molti composti ad azione lassativa tra i più impiegati nel nostro paese. Le preparazioni più usate sono costituite da solfato di magnesio, idrossido di magnesio e citrato di magnesio.
Dato che necessita una quantità relativamente bassa di magnesio per saturare la capacità di trasporto attivo intestinale, una volta soddisfatta questa condizione solo il 7% circa di una dose orale dello ione viene assorbito, per cui l'escrezione fecale diviene direttamente proporzionale all'assunzione orale18. Negli adulti, le dosi di idrossido di magnesio consigliate sono di 2,5-5 g (2-4 cucchiai da tavola), dosi che in genere determinano un'evacuazione entro 6-8 ore. L'uso a lungo termine di composti contenenti magnesio può determinare ipermagnesiemia in pazienti con insufficienza renale.
Il solfato di sodio, scarsamente usato, è assorbito in quantità maggiore a livello intestinale; uno studio ha mostrato insorgenza di diarrea importante dopo la sua assunzione orale, con circa il 50% del composto riscontrato nelle urine dopo 72 ore19.
I sali di fosfato sono assorbiti a livello del tenue, per cui l'effetto lassativo si ottiene con dosi relativamente elevate; dato che le soluzioni commerciali sono ipertoniche, devono essere diluite prima dell'assunzione. In corso di insufficienza renale può verificarsi iperfosfatemia.
Il lattulosio, disaccaride sintetico non idrolizzabile a livello intestinale, viene somministrato sotto forma di sciroppo in dosi di 15-30 ml/die. Dato che i batteri del colon possono metabolizzare fino ad 80 g/die di lattulosio, un effetto diarroico si verifica solo dopo assunzione di oltre 100 g/die del composto20, per cui l'effetto catartico del lattulosio è relativamente blando. Per questo motivo, il composto viene generalmente preferito quale primo approccio alla terapia farmacologica della stipsi in età pediatrica, anche se risulta notevolmente più costoso rispetto ad altri lassativi. Va tenuto presente che la metabolizzazione a livello colico del lattulosio determina non raramente distensione intestinale, meteorismo e flatulenza, che possono divenire problematici in alcuni soggetti.
Anche il sorbitolo ed il mannitolo sono zuccheri scarsamente assorbiti a livello intestinale; uno studio ha dimostrato che lo sciroppo di sorbitolo al 70% ha la stessa efficacia clinica del lattulosio21, ma un costo decisamente minore.
La glicerina è un composto ad azione osmotica, frequentemente impiegata sotto forma di supposte e microclismi rettali, che hanno sia lo scopo di attrarre acqua nel retto che di stimolare meccanicamente quest'ultimo per indurre l'evacuazione. Dal momento che la glicerina viene in gran parte assorbita dal tenue, non può essere usata per via orale.
Le soluzioni elettrolitiche a base di poli-etilenglicole (PEG), polimero di grosse dimensioni, metabolicamente inerte e non degradabile dai batteri intestinali, riescono a sequestrare efficacemente l'acqua a livello intestinale22. Sono state inizialmente sviluppate per ottenere un adeguato lavaggio intestinale prima dell'esecuzione di manovre endoscopiche23, ed attualmente rappresentano il tipo standard di preparazione data l'ottima pulizia del colon che si riesce ad ottenere24-26. Su questa base, l'impiego del PEG è stato esteso al trattamento a breve termine della stipsi e dell'impatto fecale in età pediatrica27,28 e negli adulti29,30. Più recentemente, trials condotti in pazienti affetti da stipsi cronica hanno dimostrato l'efficacia di questa terapia e la scarsità di effetti indesiderati anche a medio termine (2-6 mesi)31,32.
 


Secretagoghi e composti agenti direttamente sulle cellule epiteliali, nervose e della muscolatura liscia
Numerosi composti svolgono azione lassativa tramite effetti differenti sull'attività motoria ed i meccanismi di regolazione intestinale, agendo inoltre sul trasporto e la motilità della mucosa.

Agenti ad azione superficiale:
dioctilsolfosuccinato (in associazione in Sorbiclis )

Derivati del difenilmetano:
fenolftaleina (ritirata dal commercio)
bisacodil (es. Alaxa, Dulcolax)
sodio picosolfato (es. Euchessina Cm, Guttalax)

Acido ricinoleico
Antrachinonici:
senna (es. Pursennid, Xprep, Tisana kelemata)
cascara (Bonlax S. Pellegrino, Sagrada Lax)
associazioni (Confetti lassativi Giuliani)

Gli agenti attivi in superficie sono essenzialmente detergenti con effetti modesti sul trasporto di ioni attraverso la mucosa. I docusati agiscono tramite un'azione di ammorbidimento delle feci; studi di perfusione hanno dimostrato che il dioctilsodiosolfosuccinato inibisce l'assorbimento di liquidi o ne stimola la secrezione nel digiuno33,34. Nonostante queste interessanti proprietà, gli studi clinici hanno mostrato la scarsa efficacia di questi composti nel trattamento profilattico della stipsi nei soggetti anziani costretti a letto35,36. Gli acidi biliari, detergenti naturali, sono stati spesso impiegati (in verità in maniera piuttosto empirica) quali componenti di preparazioni lassative. Gli studi a disposizione sono scarsi: uno studio controllato in pochi soggetti ha comunque dimostrato che 0,25 g di acido colico, assunti tre volte al giorno durante i pasti, possono aumentare il numero di evacuazioni e diminuire la consistenza fecale37.
I derivati del difenilmetano impiegati come lassativi includono la fenolftaleina, ora ritirata dal commercio, il bisacodil e il sodio picosolfato.
Il bisacodil viene idrolizzato nel tenue e nel colon, ed ha azione simile ma più potente di quella della fenolftaleina38. Il composto è uno dei pochi ad essere stato studiato in studi fisiopatologici nei soggetti sani volontari e nei pazienti con stipsi mediante test manometrici che ne hanno dimostrato l'azione e l'efficacia. Il bisacodil agisce sia dopo assunzione orale (dopo circa 6-8 ore) sia dopo somministrazione locale (15-30 minuti). Quest'ultima risposta viene abolita dopo applicazione mucosa di lidocaina, suggerendo che il farmaco stimola i plessi nervosi39. L'effetto principale del bisacodil è quello di indurre un'importante attività propulsiva (movimenti di massa) a livello del colon40; dal momento che questo effetto appare rapido e riproducibile, è stato proposto come test di integrità propulsiva residua nei pazienti con stipsi "intrattabile"41.
Il sodio picosolfato viene idrolizzato dagli enzimi batterici, per cui è attivato solo nel colon quando esiste una flora batterica sufficiente; quest'ultima lo trasforma nella parte attiva del bisacodil, responsabile dell'effetto lassativo42.
L'acido ricinoleico, attualmente obsoleto come lassativo, agisce sull'assorbimento intestinale d'acqua e sull'attività motoria43,44. Il suo uso è limitato dai crampi addominali che seguono alla sua ingestione.
Gli antrachinonici sono una famiglia di composti, basati sul nucleo triciclico dell'antracene, contenuti in diverse piante soprattutto del genere Cassia; l'aloe, la cascara ed il rabarbaro, ad esempio, producono differenti famiglie di antrachinonici, e le preparazioni disponibili sono costituite da miscele di varie sostanze. Dopo ingestione orale, gli antrachinonici raggiungono immodificati il colon, dove vengono convertiti nella forma attiva dal metabolismo batterico45,46 i metaboliti prodotti determinano secrezione netta di liquidi nel digiuno e nel colon47, oltre all'aumento dell'attività motoria, con conseguente stimolo evacuativo entro 6-8 dall'ingestione per os.
Gli effetti indesiderati degli antrachinonici includono deplezione elettrolitica, reazioni allergiche e melanosis coli48,49, ed è stato suggerito che il loro uso possa predisporre allo sviluppo di neoplasie del colon50,51 studi epidemiologici, comunque, non supportano tale ipotesi52. Anche se l'assunzione cronica di antrachinonici è stata tradizionalmente associata allo sviluppo di inerzia colica (il cosiddetto "colon catartico")53,54, un recente riesame critico della letteratura ha dimostrato come pressoché tutti i casi (sporadici) descritti in letteratura fossero riconducibili all'uso (negli anni '50-'60) di preparati contenenti podofillina (non più in commercio), e che pertanto questa condizione è attualmente scomparsa55.
 

Agenti lubrificanti


L'olio minerale (olio di vaselina) può essere somministrato sia per os che per via rettale; questo composto non è chimicamente attivo all'interno dell'organismo, ma ne vengono sfruttate le proprietà lubrificanti (facilitazione dell'espulsione fecale) ed emulsificanti (ammorbidimento della massa fecale). Va ricordato che l'aspirazione di olio minerale può causare polmonite lipoidea, per cui l'uso è controindicato in soggetti con alterazioni deglutitive (ictus cerebri, miopatie) od alterazioni dello stato mentale. L'uso prolungato, inoltre, può causare malassorbimento vitaminico, reazioni da corpo estraneo nella mucosa intestinale e nei linfonodi loco-regionali, ed incontinenza dello sfintere anale.

 

I probiotici


  Che cosa sono?
Una volta definiti genericamente "fermenti lattici", i probiotici sono prodotti contenenti microrganismi vivi che vengono assunti con l'obiettivo di modificare la microflora intestinale, al fine di migliorare lo stato di salute dell'individuo o trattare una malattia. Essi possono includere una o più specie di batteri, più spesso Lactobacilli (es. Dicoflor, Floxin) e/o Bifidobacterium per lo più in associazione con altri batteri, componenti della normale flora intestinale (es. Lactipan Plus, Infloran) o, meno frequentemente, con lieviti come il Saccaromyces (es. Lievito Sohn, Inolact) . Integratori (es. polveri , capsule, compresse), farmaci e alimenti come yogurt, formaggi e latti fermentati, contenenti uno o più probiotici vivi, sono sempre più presenti negli scaffali di farmacie, supermercati e negozi specializzati.

  Come agiscono?
Il tratto gastrointestinale, sterile alla nascita, viene colonizzato dai batteri ingeriti durante il parto, i quali a partire da quel momento, iniziano a moltiplicarsi e formano la cosìddetta flora intestinale. Questo ecosistema è importante per il mantenimento della salute dell'uomo. Contribuisce infatti a numerose funzioni come ad esempio le funzioni digestive, la sintesi di determinate sostanze e la protezione nei confronti di batteri e virus patogeni. Le modalità con le quali i probiotici svolgono un effetto benefico non sono del tutto conosciute; le ipotesi più plausibili sono la capacità di ripristinare la normale flora intestinale, di sostituirsi ai batteri patogeni o di bloccare la loro crescita attraverso una competizione per i nutrienti, di sintetizzare sostanze ad azione antibatterica e di stimolare la risposta immunitaria. Ma perché tutto questo possa avvenire è necessario che un certo numero di microrganismi vivi possa raggiungere e colonizzare l'intestino. I probiotici perciò devono sopravvivere all'ambiente acido dello stomaco e all'effetto dei sali biliari nella prima parte dell'intestino.

  Sono utili?
I probiotici vengono sempre più utilizzati soprattutto dalle persone che soffrono di disturbi gastrointestinali di vario tipo come diarrea, colon irritabile, colite ulcerosa ecc. Negli ultimi anni, gli studi sui probiotici hanno fatto un salto di qualità rilevante, abbandonando l'empirismo del passato per intraprendere la strada del metodo scientifico. La loro efficacia è stata valutata per molte patologie ma non sempre con risultati positivi e/o concordanti. Così, ad esempio, molti probiotici hanno dimostrato di essere in grado di abbreviare di circa 1 giorno la diarrea acuta nel bambino, ma il loro ruolo nella diarrea dell'adulto rimane da stabilire. Quando assunti contemporaneamente ad una terapia antibiotica sembrano ridurre l'incidenza della diarrea indotta da antibiotici, ma sono necessari ulteriori studi. Hanno prodotto invece esiti deludenti nella prevenzione della diarrea del viaggiatore, consentendo solo una modesta riduzione degli episodi di diarrea. Nelle malattie infiammatorie intestinali come colite ulcerosa e morbo di Crohn, nelle quali si segnalano spesso squilibri nella flora intestinale, manca ancora per i probiotici la conferma della loro efficacia. I risultati di uno studio indicano che il probiotico Lactobacillus rhamnosus GG, assunto durante la gravidanza e continuato durante l'allattamento al seno o somministrato al neonato, può aiutare a prevenire l'eczema atopico nei bambini con storia familiare di atopia, ma questo dato richiede conferma . Non ci sono neppure prove convincenti del fatto che i probiotici siano di qualche utilità nel trattamento di bambini affetti da eczema atopico o nella prevenzione o nel controllo della rinite allergica o dell'asma. Infine, occorre evidenziare che il diffuso impiego di questi prodotti per risolvere problemi di stipsi non trova alcun riscontro in letteratura, anche se non possono essere esclusi miglioramenti soggettivi. Gli effetti benefici rilevati spesso sono specifici per alcuni ceppi e non possono essere estesi ad altri. Non esistono dati pubblicati sulla carica microbica che un probiotico dovrebbe contenere, né sullo schema di trattamento più appropriato. Inoltre poiché i probiotici sono classificati anche come alimenti o integratori alimentari, non solo come farmaci, non esistono norme che definiscano quale debba essere la "qualità" delle preparazioni commercialmente disponibili soprattutto per ciò che riguarda il numero di microrganismi vivi o le specie effettivamente presenti all'interno di certi prodotti, cosa che rende ancora più complicata la loro reale valutazione.

  Sono sicuri?
Si tratta di prodotti generalmente ben tollerati, anche se vi sono state alcune rare segnalazioni di infezioni gravi in seguito all'assunzione di probiotici, soprattutto in pazienti debilitati o immunocompromessi.

  Per concludere.....
Anche se, rispetto al passato, si sono acquisite molte conoscenze, prima di poter sostenere l'uso allargato dei probiotici nel trattamento dei disordini gastrointestinali devono essere ancora chiariti molti aspetti come il dosaggio ottimale nonché i possibili rischi legati al trattamento.

 

 

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I protettivi solari

ll fattore di protezione
Il fototipo
La quantità ottimale di protettivo solare
Latte, crema, gel o olio?
La resistenza all'acqua
Alcuni consigli pratici
Bambini e donne in gravidanza

I protettivi solari, come dice lo stesso nome, proteggono la pelle dalle radiazioni solari. Si possono classificare in due grandi famiglie.
 

• I cosiddetti assorbenti (filtri chimici), i più diffusi, contengono sostanze chimiche che funzionano come "filtri" dei raggi solari. Impediscono la penetrazione nella pelle delle radiazioni solari, catturandole e trasformandole per renderle innocue. Il filtro è selettivo per determinate lunghezze d'onda: la maggior parte dei protettivi solari assorbenti protegge infatti solo nei confronti degli UVB. Alcuni prodotti associano più filtri per ampliare la gamma delle radiazioni assorbite ed estendono la protezione anche agli UVA. Per poter garantire la copertura dell'intero spettro solare un prodotto a base di filtri chimici dovrebbe contenerne almeno 3 o 4 di diverso tipo ed in elevate concentrazioni.
• I protettivi che riflettono e disperdono le radiazioni sono i cosiddetti "schermi" solari (filtri fisici): nella loro composizione sono presenti sostanze minerali (es. ossido di zinco, biossido di titanio, mica) che non lasciano passare i raggi ultravioletti ma li riflettono. Riflettono però anche la luce visibile e lasciano sulla pelle un sottile strato bianco esteticamente poco gradevole. Date le loro caratteristiche sono indicati soprattutto in caso di ipersensibilità o intolleranza ai raggi solari (pelle chiara, spiccata tendenza agli eritemi e a forme neoplastiche), o per parti del corpo molto sensibili come il naso e le labbra.
I filtri sono opportunamente dispersi in un veicolo che ne assicura una distribuzione omogenea e una buona adesione alla pelle. La formulazione è poi completata con altri principi attivi che hanno la funzione di reidratare la pelle (aloe, burro di karitè, allantoina, acido ialuronico, pantenolo, ecc.) e lenire gli effetti nocivi del sole (camomilla o alfa-bisabololo, calendula, malva, acido glicirretico, ecc.).
 

 

Il fattore di protezione
L'elemento fondamentale che deve orientare nella scelta di un solare è il suo fattore di protezione (FP) cioè la sua capacità protettiva. Questo fattore, espresso da un numero che indica quante volte è possibile moltiplicare il tempo di permanenza al sole prima che la pelle si scotti. Ad esempio, un prodotto che ha un fattore di protezione 4 permette di stare al sole un tempo 4 volte più lungo di quello normalmente previsto per non scottarsi (tempo di eritema), esponendosi senza protezione nelle stesse condizioni. E' importante sapere che il fattore di protezione fornisce un'indicazione sull'azione filtrante del prodotto nei confronti delle radiazioni UVB, ma non nei confronti delle radiazioni UVA, per le quali non esiste ancora una metodica standardizzata. Esistono varie scale che definiscono il fattore di protezione: le più seguite sono quella Americana (FDA) e quella europea (DIN). Una comparazione indicativa delle scale può essere così schematizzata:
 

Fattore di protezione

USA FDA (4¸26)

Europa DIN (2¸13)

4-5

2-3

6-8

3-4

8-10

4-6

10-12

6-7

12-15

8-9

16-18

9-10

19-26

10-13

 

Data questa disparità di valori, un suggerimento pratico potrebbe essere quello di verificare, nell'ambito della stessa linea di prodotti, a che fattore di protezione corrisponde lo schermo totale, e in base a questo regolarsi sul tipo di prodotto da scegliere: se ad esempio si desidera una protezione media avendo a disposizione una gamma dove la protezione massima è 25, allora si opterà per un fattore di protezione 10-12; viceversa se il fattore massimo è 12, allora si sceglierà un solare con FP 6.

 

 

Il fototipo
Per scegliere il FP più adeguato è importante conoscere il proprio fototipo. Infatti, la quantità di melanina che si produce varia da persona a persona a seconda del tipo di pelle ed è determinata su base ereditaria. A seconda della reazione all'esposizione solare, si sono individuati 6 tipi di pelle o fototipi. Si va dai soggetti con carnagione bianco-latte, capelli rossi e lentiggini, che non si abbronzano mai per i quali il rischio di scottature è massimo (fototipo 1) a quelli dalla pelle già intensamente pigmentata (fototipo 6), a cui appartengono i soggetti di razza nera. I fototipi intermedi, quelli da noi più comuni, sono il fototipo 2, caratterizzato da pelle pallida con elevata tendenza alle scottature, il fototipo 3 con pelle normale e tendenza frequente alle scottature e i fototipi 4 e 5 che presentano una carnagione scura e rischio di scottature solari raro o eccezionale. Tanto più basso è il fototipo tanto maggiori dovranno essere le precauzioni da adottare e più alto il fattore di protezione da utilizzare. Man mano che la pelle scurisce si potrà ridurre il fattore di protezione e prolungare il tempo di esposizione.
Ad esempio, se la nostra pelle è del fototipo 3, il primo giorno potremo rimanere al sole senza protezione per soli 15 minuti. Utilizzando un protettivo solare con fattore 6, potremo allungare questo periodo ad 1 ora e mezza. Trascorso questo tempo a nulla servirà spalmarsi nuovamente il solare, pensando di poter prolungare l'esposizione: per quel giorno la pelle avrà già ricevuto il quantitativo massimo concesso di radiazioni per produrre melanina senza scottarsi e, se si desidera esporsi per più tempo, si dovrà optare in partenza per un prodotto con un fattore di protezione più elevato. Ciò non significa tuttavia che debba essere disatteso il consiglio di rinnovare spesso l'applicazione del protettivo. Questo suggerimento è valido soprattutto quando, trascorsi i primi giorni "critici", si può stare al sole più a lungo e mira ad evitare che la sudorazione, lo sfregamento con i teli da bagno, i bagni e le docce frequenti, o una disomogenea applicazione riducano l'efficacia protettiva del prodotto.

 

 

La quantità ottimale di protettivo solare da spalmare
Il fattore di protezione fornisce solo una indicazione approssimativa della reale efficacia protettiva del solare: molto dipenderà dalle condizioni d'uso, a partire dalla quantità impiegata. Quando questi prodotti vengono applicati con parsimonia la protezione può risultare persino metà di quella dichiarata, per questo la raccomandazione è di applicare una quantità media di prodotto pari all'incirca al volume di una noce (1,5 g) per il braccio, l'avambraccio e la mano. Per le altre parti del corpo utilizzare un quantitativo proporzionato alla relativa superficie.
 




 
Latte, crema, gel o olio?
Al momento della scelta di un protettivo solare occorre valutare soprattutto il tipo di pelle e la parte del corpo su cui applicare il prodotto ma anche i gusti personali hanno la loro influenza.
I latti contengono una elevata percentuale di acqua, sono facilmente spalmabili ma poco resistenti e vanno rinnovati più spesso degli altri prodotti. Le creme hanno una adesività maggiore ed essendo più difficili da spalmare generalmente si utilizzano per il viso; sono spesso untuose e per questo non sono indicate per tutti i tipi di pelle. I gel sono più adatti a chi ha la pelle grassa perché il veicolo in cui è disperso il filtro solare tende a dare una certa secchezza alla pelle. Gli oli solari, che normalmente hanno indici di protezione bassi, conferiscono lucentezza alla pelle che facilita la penetrazione delle radiazioni: non sono consigliabili nel caso di carnagioni chiare.
 




 
La resistenza all'acqua
I prodotti definiti impermeabili all'acqua (sull'etichetta identificati spesso con la parola "waterproof") mantengono la loro efficacia anche dopo 80 minuti di immersione nell'acqua, mentre i prodotti definiti resistenti all'acqua ("water-resistant") sono ancora efficaci dopo 40 minuti. Hanno tutti una migliore persistenza sulla pelle e sono indicati soprattutto se si suda molto o si fanno bagni frequenti. Purtroppo però non tutti i prodotti che si dichiarano tali lo sono, mentre altri, pur non certificandolo in etichetta, presentano nella pratica una buona resistenza all'acqua.

I possibili inconvenienti connessi con l'impiego dei protettivi solari sono rappresentati da irritazioni o reazioni allergiche che sono piuttosto rare data l'elevata tollerabilità della maggior parte dei filtri presenti in commercio.
I protettivi solari sono in grado di ridurre l'incidenza di tumori della pelle? Si ritiene che i filtri solari ad ampio spettro proteggano nei confronti di tumori cutanei, anche se attualmente non esistono dati certi e definitivi che lo confermino. Tuttavia l'utilizzo di filtri non deve spingere a rimanere al sole più a lungo e non deve esimere da utilizzare altre forme di protezione (soprattutto nelle ore più calde), come ad esempio, indossare indumenti protettivi.
 

 

 Alcuni consigli pratici
• Nei primi giorni di vacanza al mare è consigliabile non esporsi ai raggi diretti del sole, soprattutto per chi ha la pelle chiara: anche sotto l'ombrellone arrivano radiazioni ultraviolette riflesse dalla sabbia sufficienti per stimolare la produzione di melanina per cui si raccomanda di applicare comunque un protettivo solare. Le le ore migliori per esporsi al sole sono quelle del mattino (8-11) e del tardo pomeriggio (dopo le 17). Evitare le ore più calde della giornata (dalle 12 alle 15).
• Durante le giornate nuvolose, le radiazioni UVB, le più pericolose, filtrano ugualmente attraverso le nubi, senza che la persona avverta la sensazione di calore sulla cute, per cui anche in questo caso è raccomandabile l'utilizzo di un prodotto solare.
• È preferibile esporsi al sole stando in movimento, in modo che le radiazioni solari si distribuiscano omogeneamente su tutto il corpo. L'abbronzatura superficiale dei primi giorni è dovuta alla riserva di melanina già disponibile ed è destinata a sparire rapidamente. Solo dopo dieci giorni circa si inizia a formare una abbronzatura duratura. Non è vero che più si sta al sole e più ci si abbronza: la produzione di melanina ha un limite legato alla produzione fisiologica di ogni persona.
• Un protettivo solare consente di prolungare il tempo di esposizione, ma anche rinnovando spesso l'applicazione, non si può stare al sole quanto si vuole. L'applicazione del protettivo solare va comunque ripetuta almeno ogni due ore, soprattutto in caso di esposizioni prolungate, abbondante sudorazione e dopo lunga permanenza in acqua.
• Vanno preferiti i prodotti "resistenti all'acqua".
• E' consigliabile non esporre il flacone al sole perché il prodotto potrebbe alterarsi; inoltre i filtri solari perdono col tempo le loro proprietà protettive ed è consigliabile rinnovarli di anno in anno per avere la migliore garanzia di protezione.
• Il protettivo va applicato almeno mezz'ora prima di esporsi al sole per consentire ai principi attivi di passare attraverso lo strato superficiale della pelle. Cospargere il corpo senza lesinare sulla quantità, utilizzando fattori di protezione elevati nei punti più delicati: naso, labbra, lobi e bordo delle orecchie, collo, incavo del ginocchio, dorso dei piedi . Ricordarsi sempre di agitare bene il flacone prima dell'uso, per permettere alle due fasi dell'emulsione di mescolarsi intimamente.
• Dopo un bel bagno è gradevole asciugarsi al sole; tuttavia, l'effetto-lente delle goccioline di acqua sul corpo può favorire le scottature. Meglio quindi asciugarsi ed eventualmente ripetere l'applicazione del protettivo solare.
• Quando si sta al sole non utilizzare profumi o prodotti per il trucco: potrebbero lasciare macchie antiestetiche sulla pelle o scatenare reazioni allergiche dovute alla fotosensibilizzazione (una scottatura solare molto intensa anche per brevi esposizioni).
• Chi assume determinati farmaci (certi antiinfiammatori, gli antidiabetici orali , antibiotici come le tetracicline, i contraccettivi orali, alcuni farmaci per la pressione alta, per i disturbi del ritmo del cuore, ecc) deve prestare particolare attenzione nell'esporsi al sole. Il più delle volte non è possibile sospendere il farmaco responsabile delle reazioni fototossiche, per cui l'esposizione al sole va evitata o fatta con cautela, utilizzando sempre adeguati protettivi solari, preferibilmente quelli capaci di offrire la protezione massima verso gli UVA (l'ideale sarebbero i prodotti schermanti). Informando il farmacista delle eventuali terapie in corso si potrà avere un consiglio a proposito.
• Alcune malattie (quali la vitiligine e il lupus eritematoso) possono peggiorare con l'esposizione al sole: in questi casi il medico o lo specialista consiglieranno provvedimenti da adottare.
• Evitare l'uso del bergamotto che, pur stimolando la produzione di melanina, possiede una spiccata azione fototossica.Il betacarotene assunto come integratore alimentare può conferire un piacevole colore dorato, ma non conferisce alcuna protezione nei confronti delle radiazioni ultraviolette.
 




Bambini e donne in gravidanza
In età pediatrica e in gravidanza valgono, ancor più accentuate, le precauzioni e le raccomandazioni valide per gli adulti. I bambini, in modo particolare, vanno protetti nei confronti delle scottature solari in quanto, le ustioni solari durante l'infanzia sono state associate ad un aumentato rischio di tumori cutanei in età adulta. Fino a sei mesi i bambini vanno sempre tenuti all'ombra: la loro pelle infatti non è ancora fornita di meccanismi di difesa naturali (strato corneo e melanina); successivamente non devono stare al sole nelle ore più calde, vanno protetti con fattori di protezione elevati (almeno 15), rinnovando spesso l'applicazione. Durante i primi giorni devono indossare una maglietta, il cappello e possibilmente occhialini scuri, non vanno lasciati giocare troppo a lungo sotto il sole e devono bere spesso. I bambini che hanno la pelle particolarmente chiara, lentiggini o angiomi devono usare protezioni elevate. E' importante sapere che l'uso regolare di schermi solari anche in età pediatrica non influisce sul metabolismo della vitamina D, fondamentale per il tessuto osseo in formazione.
Nelle donne in gravidanza il sole può portare a un peggioramento delle macchie scure (cloasma gravidico) che spesso compaiono naturalmente soprattutto sul volto (zigomi, labbro superiore, fronte), fino a renderle indelebili. Il calore può inoltre provocare una dilatazione dei capillari sanguigni, aumentare il prurito "gravidico" e abbassare la pressione del sangue. Tuttavia nulla vieta, durante questo periodo, di concedersi lunghi bagni e salutari nuotate: l'importante è ricordarsi che le radiazioni solari penetrano anche nell'acqua aumentando il rischio di scottature.

 

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Le indicazioni che troverete tra queste pagine vengono fornite al solo scopo informativo e non possono sostituire la consulenza di un medico. Ricordate che l'autodiagnosi e l'autoterapia possono essere pericolose.  Il  vostro medico di famiglia potrà esservi di aiuto.

 

COLESTEROLO E TRIGLICERIDI

Il colesterolo, i trigliceridi insieme ai fosfolipidi sono i grassi contenuti nel nostro organismo. I fosfolipidi sono i principali componenti delle membrane cellulari e delle guaine dei nervi. I trigliceridi rappresentano la più grande riserva dei nostri lipidi e rappresentano quasi il 90% dei grassi ingeriti. Il colesterolo è componente essenziale delle membrane cellulari e della bile.

Origine dei grassi circolanti

La parte più importante dei grassi circolanti è prodotta dall’organismo stesso, mentre un’altra parte viene introdotta con la dieta. L’assorbimento dei lipidi alimentari avviene a livello dell’intestino tenue, per opera di alcuni sistemi enzimatici dopo un’emulsione con i sali biliari. La sintesi interna dei lipidi avviene principalmente nel fegato. I trigliceridi vengono prodotti a partire dai glucidi (zuccheri), mentre il colesterolo viene sintetizzato dall’acetil-Co.A.

 

Trasporto dei lipidi nel sangue (VLDL,LDL e HDL)

Il colesterolo e i trigliceridi sono trasportati dal sangue sotto forma di lipoproteine. Le VLDL trasportano i trigliceridi mentre le LDL il colesterolo. Il colesterolo VLDL o LDL viene definito il colesterolo "cattivo", mentre il colesterolo HDL viene chiamato colesterolo "buono", perché svolge un’importante funzione protettiva delle arterie.

 

Arteriosclerosi e Colesterolo

La quantità di colesterolo "cattivo" presente nel sangue non dovrebbe superare i 200 mg per 100 ml. L’elevato livello di colesterolo è motivo di grande preoccupazione clinica, perché l’accumulo di questo lipide nelle arterie ne provoca il progressivo ispessimento, facendone perdere elasticità e tono. A livello cardiaco aumentano notevolmente i rischi di infarto e agina. Nel sistema nervoso centrale si possono avere ictus. Circa la metà dei decessi nei paesi occidentali sono riconducibili a tali cause.

 

Strategie terapeutiche: dieta, stile di vita, terapia farmacologia.

Dieta:

La prima cosa da fare, nel trattamento dei livelli elevati di colesterolo, è di seguire una dieta che ne diminuisca il più possibile il livello nel sangue. La dieta dovrà essere povera di grassi animali e relativamente ricca di acidi grassi polinsaturi, perché essi tendono a diminuire i livelli di colesterolo.

Schema dietetico:

Alimenti permessi:

Oli vegetali (mais, arachidi e oliva).

Pane, pasta e riso, possibilmente integrali.

Frutta.

Pesce di mare (non di allevamento), carni bianche (pollo, tacchino, coniglio).

Ricotta, yogurt, latte scremato.

Alimenti vietati:

Grassi animali (burro, strutto, pancetta).

Panna.

Uova, soprattutto il tuorlo.

Dolci, biscotti.

Carne di maiale, salumi e insaccati, cervello, frattaglie.

Formaggi, latte intero e derivati.

 

Stile di vita:

Tenere nei limiti fattori aggravanti quali: diabete, ipertiroidismo, consumo alcolici. Per ridurre i fattori di rischio si deve tenere sotto controllo: l’ipertensione, la glicemia, si deve smettere di fumare e fare una regolare attività fisica.

 

Terapia farmacologia:

Molti studi clinici indicano che l’adozione di adeguati interventi terapeutici, consentono di prevenire o diminuire le complicazioni dovute ad un elevato livello di colesterolo. Alcuni studi epidemiologici indicano, che elevati livelli di colesterolo totale o LDL rappresentano un elevato fattore di rischio nei fenomeni arteriosclerotici. Uno studio in doppio cieco, ha fornito prove convincenti che una diminuzione di colesterolo LDL può ridurre il rischio coronario. D’altro canto è famoso il caso "Finlandia", dove grazie a un radicale cambiamento di vita e di abitudini si è riusciti ad abbassare il livello di colesterolo medio della popolazione da 340 mgx100 ml a 240. In Finlandia, senza l’uso di alcun farmaco di sintesi o naturale, ma solo diminuendo la quantità di grassi animali introdotti con l’alimentazione, e con una importante campagna antifumo, le morti per malattie cardiovascolari sono diminuite del 70%. L’incidenza del tumore del polmone è sceso ai minimi storici.
Allora che fare?
Le attuali conoscenze non ci permettono di affermare, che una prevenzione primaria in assenza di malattie conclamate a base di farmaci, risponda ad un criterio di economicità sia in termini monetari sia di effetti collaterali. Numerosi farmacologi, tra cui Silvio Garattini, affermano che converrebbe trattare solo persone che possano dimostrare che il loro elevato livello di colesterolo sia di origine genetica, con la presenza contemporanea di ipertensione, problemi cardiaci, tabagismo. Si può affermare con una certa sicurezza, che la terapia farmacologia deve essere presa in considerazione dal medico, quando la persona da curare non risponda adeguatamente ad un regime dietetico.

 

Farmaci di sintesi e Colesterolo.

I farmaci di sintesi che attualmente si utilizzano in misura maggiore sono i derivati delle statine. Essi inibiscono la sintesi del colesterolo nel fegato bloccano la sintesi delle VLDL (lipoproteine deputate al trasporto dei lipidi nel sangue). Gli effetti collaterali di questi farmaci, potenzialmente molto utili, sono purtroppo numerosi ed evidenti. Possono causare nausea, diarrea, disturbi epatici e soprattutto miosite (crampi, debolezza muscolare), con esiti avvolte irreversibili. Non dimentichiamoci il caso Bayer, grande multinazionale del farmaco, accusata di aver sottaciuto gli effetti collaterali della cerivastatina, con conseguente ritiro dal commercio dei seguenti prodotti: Lipobay, Stativa, Cervasta. L’uso delle statine deve essere quindi attentamente valutato dal medico.

 

Medicine "naturali" e Colesterolo: Soia, Carciofo, Garcinia, Aglio, Olio di pesce.

Contemporaneamente ad un regime dietetico adeguato, ad un’appropriata attività fisica si può pensare di utilizzare sostanze farmacologicamente attive ma di origine naturale.

 

Soia

Numerosi e seri studi scientifici, americani e italiani, hanno ormai affermato con certezza l’efficacia della soia e dei suoi derivati (isovlavoni di soia), nell’abbassare il livello di colesterolo, nel diminuire i disturbi della menopausa e nella prevenzione del tumore al seno. In Giappone dove si consumano circa 55 grammi di soia al giorno, si verificano la metà di attacchi cardiaci mortali rispetto agli americani che ne consumano mediamente 5 grammi. A ciò bisogna associare anche il ridotto consumo per gli orientali della carne bovina a favore del pesce. La soia oltre ad abbassare il colesterolo totale aumenta addirittura l’HDL (colesterolo "buono"). La soia svolge un’azione protettiva dei vasi sanguigni, ed agisce come estrogeno naturale, contrastando cosi anche l’arteriosclerosi. Le virtù di questa pianta, sono però state vanificate da tutte quelle ditte che illecitamente hanno messo in commercio prodotti contenenti soia OGM. La procura di Torino ha aperto un’inchiesta su segnalazione del quotidiano "Repubblica", con conseguente sequestro e accantonamento di numerosi prodotti.

 Carciofo

È una pianta che ha sempre dimostrato proprietà coleretiche , diuretiche e ipolipemizzanti. Si è dimostrato che il carciofo ha un effetto di inibizione della sintesi del colesterolo, inoltre aumenta il livello ematico delle HDL (colesterolo "buono"). Un recente studio clinico, in doppio cieco, ha permesso di dimostrare che i soggetti che assumevano 1.8 grammi di estratto secco di carciofo, hanno avuto un calo del colesterolo totale del 18,5%, contro l’8,6% di quelli del gruppo placebo. Il carciofo è normalmente ben tollerato, mentre per il suo sapore se ne sconsiglia l'uso in gravidanza. Potrebbe essere uno dei trattamenti di prima scelta nei pazienti affetti di ipercolesterolemia.


Garcinia Cambogia

Un recente studio sulla garcinia Cambogia, eseguito alla St. Lukeis Roosevolt Hospital di New York, eseguito su 42 persone con età compresa tra 18 e 65 anni, ha dimostrato che non ci sono state differenze significative in termini di perdita di peso e massa corporea, tra il gruppo trattato e il gruppo placebo. In conclusione tale studio afferma, che il ruolo preciso della garcinia cambogia deve essere ancora chiarito. Gli studi hanno mostrato, che questa pianta è in grado di abbassare indirettamente i grassi prodotti dall’organismo. Tuttavia è ancora azzardato affermare (come purtroppo fanno entusiasticamente molte aziende), che la garcinia cambogia possa essere un miracoloso "brucia grassi". Sembra più veritiero ed interessante l’impiego di questa pianta come regolatore dell’appetito.

Aglio

Questo alimento, che tradizionalmente si pensava avesse solo proprietà ipotensive e antimicrobiche, sta dimostrando di avere anche qualità ipocolesterolemizzanti. Inibisce la sintesi endogena dei grassi. Dai vari studi effettuati sembra che questa ultima proprietà si manifesti solo se utilizzato a forti dosi, e con preparati contenenti il principio attivo (allina) ad una concentrazione compresa tra il 5 e il 10%.

Olio di pesce, Omega 3, Omega 6, EPA, DHA

I due acidi grassi polinsaturi che non possono essere sintetizzati nel nostro organismo sono: l’acido Omega 3 e Omega 6. Essi sono necessari nella formazione delle membrane cellulari, nella sintesi dell’emoglobina e delle prostaglandine. L’Omega 6 (acido linoleico) è contenuto nei semi di Lino, nella Borrago officinalis e nell’Oethera biennis (Primula notturna). L’Omega 3, ottenuto da varie specie di pesce azzurro, è ricco di EPA (acido Eicosapentaenoico) e di DHA (acido docasaesaenoico). Gli acidi grassi polinsaturi sono indicati per:

Evitare l’accumulo di trigliceridi e colesterolo sulle arterie.

Fluidificare il sangue, diminuendo cosi i rischi di malattie cardiache.

Aumentare le difese immunitarie.

Azione antinfiammatoria.

Un famoso studio Italiano, "Gissi-prevenzione", ha dimostrato che assumendo da 1 a 3 grammi di acidi Omega 3 al giorno, e modificando contemporaneamente in modo opportuno l’alimentazione, si sono ridotte in modo considerevole le morti per arresto cardiaco. È stato possibile rilevare che è diminuita del 20% la mortalità totale e del 45% la mortalità improvvisa cardiaca. Ciò ha spinto la Commissione unica del farmaco a indicare questi preparati nella prevenzione secondaria sul paziente con pregresso infarto del miocardio.

Integratori di acidi grassi polinsaturi "naturali"(origine sia vegetale sia animale)

 

MAXEPA, ditta Novartis, integratore dietetico di acidi grassi polinsaturi EPA e DHA con aggiunta di Vitamina E naturale. Contenuto di una capsula: 450 mg di acidi grassi polinsaturi totali (170 mg EPA e 110 mg DHA). Una confezione contiene 42 capsule, TRIOMAR, ditta PharmaGic, integratore dietetico di acidi grassi polinsaturi Omega 3, con Vitamina E naturale. Contenuto di una capsula: 600 mg di acidi grassi polinsaturi totali (290 mg EPA e 105 mg DHA). Una confezione contiene 30 capsule,

COLEST-OIL, ditta Aboca, integratore dietetico contenenti olio di pesce (EPA e DHA), estratti di Guggul, Aglio, Olio essenziale di Rosmarino. Una capsula contiene: 338 mg di acidi grassi polinsaturi (50 mg EPA, 123 mg DHA). Una confezione contiene 150 capsule,

TRIGLIC-OIL, ditta Aboca, integratore dietetico contenente olio di pesce (EPA e DHA), estratti di Crisantenello, Curcuma, Rosmarino, Limone. Una capsula contiene: 358 mg di acidi grassi polinsaturi (63 mg EPA e 160 mg DHA). Una confezione contiene 150 capsule,

 

Farmaci contenenti acidi grassi polinsaturi.

SEACOR 1000, ditta SPA.

ESKIM 1000, ditta SIGMA-TAU

ESAPENT 1000, ditta Pharmagic.

 

Questi tre prodotti hanno identiche caratteristiche chimico fisiche, e medesimo prezzo. Ogni capsula contiene: esteri etilici di acidi grassi polinsaturi 1000 mg, con un contenuto in EPA e DHA non inferiore all’85% ed in rapporto tra loro di 0,9-1,5. Eccipienti D,L alfa tocoferolo. Una confezione contiene 20 capsule, prezzo  

Consiglio del farmacista.

Sembra ormai chiaro che tenere nella norma il tasso di colesterolo nel sangue è importantissimo per la salute. Per contrastare l’accumulo di colesterolo non si deve ricorrere subito ai farmaci. La prima cosa da fare è modificare il proprio stile di vita, seguendo un’appropriata alimentazione e svolgendo un’adeguata attività fisica. Si possono senz’altro associare a queste semplice regole l’uso di integratori alimentari a base di Carciofo, Soia,  Acidi grassi polinsaturi. La soia, importantissimo ed economico alimento, è per il momento sotto accusa per la presenza di OGM. Spero che qualche ditta immetta in commercio estratti di soia, dichiarando a grandi lettere "ASSENZA DI OGM". Il mercato offre come al solito, una gran varietà di prodotti a prezzi sensibilmente diversi. La corretta lettura di Salvelocs  può senz’altro indirizzare l’attento consumatore verso l’acquisto dei prodotti che a parità di caratteristiche abbiano un prezzo più favorevole.

    settembre 2002


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Le indicazioni che troverete tra queste pagine vengono fornite al solo scopo informativo e non possono sostituire la consulenza di un medico. Ricordate che l'autodiagnosi e l'autoterapia possono essere pericolose.il vostro medico di famiglia potrà esservi di aiuto.

 

Cancro: aspettative e realtà


Le nuove molecole non sono pallottole magiche, come spesso vengono chiamate. Bensì armi più mirate. Di cui si vanno scoprendo le vere possibilità. E i limiti



Li chiamano farmaci "intelligenti". Quando se ne cominciò a parlare, qualche anno fa, fecero sperare nell'inizio di una nuova era per la terapia dei tumori. Promettevano qualcosa di straordinario: erano in grado di colpire un bersaglio preciso sulle cellule tumorali e di bloccarne lo sviluppo, lasciando stare quelle sane, cosa che non accade con la chemioterapia tradizionale. All'arsenale di queste molecole intelligenti appartengono Glivec, Herceptin, Tarceva, Iressa, Avastin, Erbitux. E altri ancora. Anticorpi molecolari e piccole molecole che riconoscono e inibiscono recettori e segnali specifici sulle cellule neoplastiche con un ruolo chiave nella crescita tumorale. Intervengono insomma sulle perverse ma anche eleganti strategie messe in atto dagli oncogeni per boicottare i sistemi di controllo della cellula.

"Non pallottole magiche contro il cancro, come le chiamano gli americani, ma certo pallottole più mirate di cui oggi si conoscono meglio limiti e possibilità" dice Francesco Colotta, direttore scientifico di Nerviano Medical Sciences e organizzatore di un meeting internazionale sulle terapie mirate nel cancro, "fra mito e realtà", a Milano dal 4 al 5 settembre. Lo sviluppo di questa nuova classe di farmaci, i primi passi degli anticorpi monoclonali risalgono agli anni 80, è stato possibile grazie ai progressi della ricerca immunologica e genetica. "Non sono più la morfologia e neanche le caratteristiche istologiche a dirci di quale tumore si tratta" spiega Marco Pierotti, oncologo e direttore scientifico all'Istituto dei tumori di Milano. "Ma la sua biologia. Ogni tumore ha una storia molecolare a sé. Ci possono essere similitudini, lesioni genetiche analoghe tra un tumore e l'altro, ma il make-up genetico alterato varia a seconda del paziente". Solo in un 5-8 per cento dei casi le alterazioni genetiche alla base del cancro sono ereditarie, negli altri casi i danni genetici che modificano l'ingranaggio della cellula e la fanno "impazzire" sono legati ad ambiente e stile di vita: radiazioni ultraviolette, fumo, inquinamento.

Almeno un centinaio le proteine bersaglio delle cellule tumorali di cui si conosce finora il danno a livello genico. "La classificazione molecolare dei tumori ha modificato il paradigma di un tempo, ossia della terapia organo-specifica. Molti dei farmaci tumorali oggi in sperimentazione, forse un 30 per cento, sono anticorpi monoclonali" dice Silvia Marsoni, che dirige il Sendo, agenzia non profit per lo sviluppo di nuovi farmaci antitumorali in Italia. "L'idea di avere finalmente imboccato il filone di ricerca per cure risolutive del cancro ha spinto le grosse industrie farmaceutiche a puntare su queste terapie mirate, dagli inibitori di enzimi agli antagonisti dei recettori di fattori di crescita, e acquisire celermente la competenza tecnologica per produrli". Le promesse erano e sono allettanti. Tumori che sino a pochi anni fa erano orfani di farmaci, come la leucemia mieloide cronica, non lo sono più. Tuttavia la realtà si rivela molto più complessa del previsto. Se l'anomalia molecolare "chiave" che la determina è una sola e il bersaglio è unico, correggerla è più semplice. Il Glivec, un inibitore dell'enzima tirosina-chinasi e capostipite dei farmaci intelligenti, ha dato ottimi risultati nella leucemia mieloide cronica proprio perché il danno molecolare è unico. È causato da un pezzetto di gene che contiene le istruzioni per la proteina, la Bcr-abl, una sorta di interruttore "acceso" responsabile della moltiplicazione dei globuli bianchi cui il Glivec, o imatinib, si aggancia e annulla. Il segnale è spento.

Ma se le mutazioni nelle cellule tumorali sono più di una, come nella maggior parte dei tumori salvo rare eccezioni, le cose si complicano. "All'interno della medesima neoplasia possono coesistere diversi meccanismi molecolari alterati e quindi guasti diversi" spiega Pierotti. Il target ha un ruolo primario, quale colpire se sono tanti? E che fare quando sulle mutazioni note se ne instaurano altre? "Basta che muti un solo aminoacido nella catena di una proteina e il punto di aggancio sulla cellula non funziona più. Addio terapia personalizzata" aggiunge Marsoni. La buona notizia è che all'interno della stessa definizione molecolare funzionale ci possono essere più tumori e quindi un farmaco ne può curare più di uno: è successo così che il Glivec abbia dato risultati anche in un raro sarcoma intestinale, il Gist. E che l'Herceptin, un anticorpo monoclonale che disattiva il recettore sulla membrana cellulare, l'Her-2, nei tumori mammari lo fa anche in quelli al polmone.

L'Her-2 è un recettore sensibile ai fattori di crescita necessari alla vita di tutte le cellule epiteliali, ma se alterato si comporta come un oncogene: succede nel 20 per cento dei tumori al seno e nel 5 per cento di quelli polmonari. La combinazione di Herceptin con chemio è efficace nei tumori al seno, ma non al polmone. Perché? Alterato è un altro recettore della stessa famiglia, l'Her-1 (o Egfr) sovraespresso nel 70 per cento dei tumori polmonari e in molti altri tumori solidi. Due piccole molecole, gefitinib (Iressa) ed erlotinib (Tarceva) sono in grado potenzialmente di bloccarlo. Ma le speranze di cura sembrano ridimensionate da risposte nell'ordine del 10-20 per cento. "Non si ripeteva né il successo del Glivec né dell'Herceptin. Ora si è capito che questi farmaci funzionano bene solo se c'è una mutazione specifica del recettore Egfr, purtroppo presente solo in un decimo dei pazienti con cancro al polmone" spiega Colotta.
La lezione che ha ricavato la comunità scientifica? "Per utilizzare al meglio questi farmaci occorre prima capire il target e come esso e il farmaco interagiscono, e fare una selezione attenta dei malati, portatori di quel danno genetico specifico" riflette Pierotti. "E per fare studi sempre più ampi occorre monitorare nel territorio i tumori a seconda del profilo genetico, come farà la rete informatizzata lombarda, la Rol, coordinata dal nostro istituto".

La cattiva notizia? Inevitabili anche con i farmaci intelligenti le resistenze, come nella chemio. "La cellula tumorale è molto instabile geneticamente e modifica in modo casuale il suo dna, magari quello per cui il farmaco è stato studiato. E il bersaglio non è più riconosciuto" spiega Colotta. Molecole innovative, in grado di individuare le mutazioni, come il nilotinib, sembrano aggirare l'ostacolo e superare la resistenza verso l'imatinib. "Ma potrebbe succedere la stessa cosa anche alla seconda generazione del Glivec" precisa Colotta. Nuovi inibitori sono allo studio. "Invece di interferire con le chinasi che regolano il ciclo cellulare, intervengono su altri processi nella cellula tumorale, favorendone l'autodistruzione, l'apoptosi, o agendo sul microambiente che la circonda" dice Alberto Mantovani, direttore scientifico all'Humanitas e co-organizzatore dei meeting. Oppure in futuro si ricorrerà a miscele di farmaci selettivi, ciascuno per un bersaglio specifico. Resta il problema dei costi elevati delle nuove molecole. "Ridimensionare i prezzi sarà inevitabile, man mano che anche grazie a loro il tumore diventerà una malattia cronicizzata. Le industrie farmaceutiche dovranno adeguarsi" dice Silvano Spinelli, amministratore delegato dell'Ethical oncology science. L'alibi dei costi per lo sviluppo di una molecola, 500 milioni di dollari, non varrebbe più se si amplia il bacino di utilizzo? La vera promessa è questa.
 

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Il Sale
Sodio Cloruro
(Natrii Chloridum, Natrium Chloratum, Natrium Chloruretum Purum)

 

Caratteristiche Chimiche

Polvere cristallina bianca, inodora, con sapore caratteristico, molto solubile in acqua e praticamente insolubile in metanolo. NaCl p.m. 58,46. Si conserva in vasi di vetro o porcellana. Non è igroscopico, può diventare deliquescente se contiene cloruro di magnesio ed è esposto all'aria.

 

Il Sale? Meglio poco

(da “Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana”, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali,  Istituto Nazionale di ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, )

Di quanto sale abbiamo bisogno

Sia il sapore che le proprietà biologiche del sale comune (cloruro di sodio) sono legate principalmente al sodio; ogni grammo di sale contiene circa 0,4 g di sodio. In condizioni normali il nostro organismo elimina giornalmente da 0,1 a 0,6 g di sodio. Questa quantità va reintegrata con la dieta.

Tuttavia, non è necessaria l’aggiunta di sale ai cibi, in quanto già il sodio contenuto in natura negli alimenti è sufficiente a coprire le necessità dell’organismo. Solo in condizioni di sudorazione estrema e prolungata i fabbisogni di sodio possono aumentare. Ogni giorno l’adulto italiano ingerisce in media circa 10 g di sale (cioè 4 g di sodio), quindi molto più (quasi dieci volte) di quello fisiologicamente necessario.

Perché ridurre il consumo di sale

Un consumo eccessivo di sale può favorire l’instaurarsi dell’ipertensione arteriosa, soprattutto nelle persone predisposte. Elevati apporti di sodio aumentano il rischio per alcune malattie del cuore, dei vasi sanguigni e dei reni, sia attraverso l’aumento della pressione arteriosa che indipendentemente da questo meccanismo. Un elevato consumo di sodio è inoltre associato ad un rischio più elevato di tumori dello stomaco, a maggiori perdite urinarie di calcio e quindi, probabilmente, ad un maggiore rischio di osteoporosi. Di conseguenza, ridurre gli apporti di sale può essere un’importante misura sia preventiva che curativa per molte persone.

Studi recenti hanno confermato che un consumo medio di sale al di sotto di 6 g al giorno, corrispondente ad una assunzione di circa 2,4 g di sodio, rappresenta un buon compromesso tra il soddisfacimento del gusto e la prevenzione dei rischi legati al sodio.

Le principali fonti di sodio

Le fonti di sodio nell’alimentazione sono di varia natura:

• il sodio contenuto allo stato naturale negli alimenti (acqua, frutta, verdura, carne, ecc.)

• il sodio contenuto nel sale aggiunto nella cucina casalinga o a tavola

• il sodio contenuto nei prodotti trasformati (artigianali e industriali) nonché nei consumi fuori casa.

APPORTO DI SODIO (%)

Tra i prodotti trasformati, la principale fonte di sale nella nostra alimentazione abituale è rappresentata dal pane e dai prodotti da forno (biscotti, crackers, grissini, ma anche merendine, cornetti e cereali da prima colazione). Si tratta di alimenti che comunemente non vengono considerati come possibili apportatori di sale, ma che invece ne contengono più di quanto pensiamo (vedi tabella 1).

Infatti i derivati dei cereali sono una fonte importante di sale, perché li consumiamo tutti i giorni e in quantità più elevate rispetto, per esempio, agli insaccati, ai formaggi, alle conserve di pesce o alle patatine fritte, che in assoluto contengono maggiori quantità di sale ma sono consumati in quantità minori (tabella 2).

Anche alcuni condimenti utilizzati in sostituzione o in aggiunta al sale sono ricchi di sodio (tabella 3).

È il caso, per esempio, del dado da brodo (anche sotto forma di granulato), del ketchup e della salsa di soia. È quindi auspicabile moderare l’uso di questi condimenti.

Ridurre la quantità di sale non è difficile Ridurre la quantità di sale che si consuma giornalmente non è difficile, soprattutto se la riduzione avviene gradualmente. Infatti il nostro palato si adatta facilmente, ed è quindi possibile rieducarlo a cibi meno salati. Entro pochi mesi, o addirittura settimane, questi stessi cibi appariranno saporiti al punto giusto, mentre sembreranno troppo salati quelli conditi nel modo precedente. Le spezie e le erbe aromatiche possono sostituire il sale o almeno permettere di utilizzarne una quantità decisamente minore, conferendo uno specifico aroma al cibo e migliorandone le qualità organolettiche.

Il succo di limone e l’aceto permettono di dimezzare l’aggiunta di sale e di ottenere cibi ugualmente saporiti, agendo come esaltatori di sapidità.

I vari tipi di sale: quale scegliere

Come detto, il sale alimentare è costituito da cloruro di sodio, il quale può essere ricavato dall’acqua di mare (sale marino) oppure estratto dalle miniere derivanti dalla lenta evaporazione di antichi bacini marini (salgemma). Dal sale “grezzo”, dopo un procedimento di raffinazione che elimina la maggior parte degli altri sali presenti, si ottiene il “sale raffinato” (“grosso” e “fino”) contenente solo cloruro di sodio.

È disponibile in commercio sale iodato (sia “fino” che “grosso”), che non va confuso con il “sale marino” o il “sale integrale”. Il sale iodato è semplicemente sale comune al quale è stato aggiunto iodio sotto forma di ioduro e/o iodato di potassio. Non è un prodotto dietetico destinato a particolari categorie di individui, ma un alimento che dovrebbe diventare di uso corrente. Sia l’Organizzazione Mondiale per la Sanità che il Ministero della Salute italiano ne consigliano l’uso a tutta la popolazione, al fine di prevenire o correggere quella carenza di iodio che anche in Italia è piuttosto diffusa. Il sale iodato ha lo stesso sapore e le stesse caratteristiche del sale comune, e può essere utilizzato, anzi va utilizzato, a tutte le età e in tutte le condizioni fisiologiche in sostituzione del sale normale, ma con la stessa moderazione raccomandata per il sale non iodato.

Un altro sale disponibile in commercio è il cosiddetto sale dietetico, il quale contiene meno sodio, in quanto parte del cloruro di sodio è sostituito da cloruro di potassio. Può talvolta essere consigliato dal medico ai soggetti ipertesi che hanno difficoltà a limitare i propri consumi di sale comune.

Come comportarsi:

• Riduci progressivamente l’uso di sale sia a tavola che in cucina.

• Preferisci al sale comune il sale arricchito con iodio (sale iodato).

• Non aggiungere sale nelle pappe dei bambini, almeno per tutto il primo anno di vita.

• Limita l’uso di condimenti alternativi contenenti sodio (dado da brodo, ketchup, salsa di soia, senape, ecc.)

• Insaporisci i cibi con erbe aromatiche (come aglio, cipolla, basilico, prezzemolo, rosmarino, salvia, menta, origano, maggiorana, sedano, porro, timo, semi di finocchio) e spezie (come pepe, peperoncino, noce moscata, zafferano, curry).

• Esalta il sapore dei cibi usando succo di limone e aceto.

• Scegli, quando sono disponibili, le linee di prodotti a basso contenuto di sale (pane senza sale, tonno in scatola a basso contenuto di sale, ecc.).

• Consuma solo saltuariamente alimenti trasformati ricchi di sale (snacks salati, patatine in sacchetto, olive da tavola, alcuni salumi e formaggi).

• Nell’attività sportiva moderata reintegra con la semplice acqua i liquidi perduti attraverso la sudorazione.


 


TABELLA 1 - LE FONTI "NASCOSTE" DI SALE
 

Alimenti

peso dell'unità di misura g

contenuto per unità di misura

sodio
g

sale
g

Pane

50
(1 fetta media)

 0,15

 0,4

Pane sciapo

50
(1 fetta media)

 tracce*

  tracce

Biscotti dolci

 20
(2-4 biscotti)

 0,04

 0,1

Cornetto semplice

40
(1 unità)

 0,16*

 0,4

Merendina tipo pan di spagna

 35
(1 unità)

 0,12*

 0,3

Cereali da prima colazione

30
(4 cucchiai da tavola)

 0,33*

 0,8

 


TABELLA 2 - ALIMENTI CONSERVATI E TRASFORMATI RICCHI  DI SALE
 

Alimenti

peso dell'unità di misura g

peso dell'unità di misura g

sodio
g

sale
g

Olive da tavola conservate

35
(5 olive)

 0,46*

1,1

Verdure sott’aceto

 60
(3 cucchiai da tavola)

0,48*

  1.2

Prosciutto crudo (dolce)

50
(3-4 fette medie)

1,29

 3,2

Prosciutto cotto

 50
(3-4 fette medie)

0,36

0,9

Salame Milano

 50
(8-10 fette medie)

0,75

1,9

Mozzarella di mucca

 100
(porzione)

0,20

  0,5

Provolone

50
(porzione)

 0,34

 0,9

Formaggino

 22
(1 unità)

0,22*

 0,6

Parmigiano grattuggiato

 10
(1 cucchiaio da tavola)

0,06

  0,2

Tonno sott’olio (sgocciolato)

52
(1 scatoletta)

 0,16

 0,4

Tonno sott’olio a bassa percentuale di sale (sgocciolato)

52
(1 scatoletta)

 0.05*

 0.1

Patatine in sacchetto

 25
(una confezione individuale)

 0,27

 0,7

Patatine in sacchetto a tenore ridotto di sale

25
(una confezione individuale)

  0,09*

 0,2

 


TABELLA 3 -  SALE  E ALIMENTI alternativi
 

Alimenti

peso dell'unità di misura g

peso dell'unità di misura g

sodio
g

sale
g

Sale

6
(un cucchiaino)

2,40

6,0

Salsa di soia

6
(un cucchiaio da tavola)

0,34

 0,9

Dado per brodo (vegetale/carne)

3
 (un quarto di dado)

0,50*

1,2

Maionese

14
(un cucchiaio da tavola)

 0,07*

 0,2

Ketchup

14
(un cucchiaio da tavola)

 0,16

 0,4

Senape

 14
(un cucchiaio da tavola)

0,41*

 1,0

N.B.: I valori di sodio riportati nelle tabelle 1, 2 e 3 sono tratti dalle Tabelle di Composizione degli Alimenti (INRAN• Aggiornamento 2000). Quelli contrassegnati con * derivano da informazioni ricavate dalle etichette nutrizionali. Per facilitare la lettura viene riportato l’equivalente in sale ottenuto moltiplicando il contenuto di sodio per 2,5

gennaio 2006

 

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Zucchero o dolcificante?


Lo zucchero, o saccarosio, è una sostanza priva di valore nutrizionale ma dal notevole apporto calorico (4 kcal/g). Un suo consumo eccessivo può contribuire all'insorgenza di alcuni quadri patologici come l'obesità e il diabete mellito. Lo zucchero inoltre è la causa principale della carie denraria.
Zucchero di barbabietola e zucchero di canna sono entrambi costituiti da saccarosio quasi al 100% e forniscono la stessa quota calorica. Lo zucchero di canna, a differenza dello zucchero di barbabietola, presenta un caratteristico color miele e sapore aromatico, in quanto non viene raffinato ma lasciato grezzo.
Negli ultimi tempi la ricerca ha portato alla sintesi di numerosi dolcificanti che possono essere utilizzati in alternativa allo zucchero da quelle persone che, per qualsiasi motivo, non lo possono consumere.
Il dolcificante ottimale dovrebbe possedere determinate caratteristiche:

Edulcoranti naturali e sintetici
I dolcificanti possono essere suddivisi in:

In linea generale, gli edulcoranti naturali hanno potere dolcificante sovrapponibile a quello del saccarosio, con potere calorico uguale o di poco inferiore a questo: sono perciò detti "dolcificanti calorici o di massa" (bulk sweeteners). Anche questi dolcificanti (ad eccezione dello xilitolo) favoriscono la carie dentaria, anche se in misura inferiore rispetto allo zucchero.
Gli edulcoranti sintetici o semi-sintetici hanno potere dolcificante molto maggiore di quello del saccarosio e, essendo impiegati in quantità molto basse, il loro apporto energetico è pressoché nullo (high intensity sweeteners).


La DGA (dose giornaliera accettabile)
La DGA (mg di sostanza/kg di peso corporeo/die) corrisponde alla quantità massima di dolcificante che può essere assunta con sicurezza nelle 24 ore ed è stabilitaa in base a criteri restrittivi, essendo di gran lunga inferiore rispetto al massimo dosaggio privo di effetti tossici nell'uono. Nel calcolare la quantità di dolcificante che si assume nel corso della giornata occorre tener presente tutte le fonti di quel tipo di edulcorante (ad esempio anche di quello contenuto nei cosiddetti prodotti light).

Il fruttosio
Il fruttosio (o levulosio) è un monosaccaride contenuto normalmente nella frutta. Presenta basso potere cariogeno, fornisce 4 kcal /g, e il suo potere edulcorante, circa 1,5 volte superiore a quello del saccarosio, consente un risparmio calorico minimo. Sebbene il fruttosio per il suo metabolismo sia indipendente dall'insulina, quando si supera la quantità di 40 g/die anche questo zucchero viene trasformato in glucosio. Per questo motivo le persone diabetiche non devono oltrepassare questo limite massimo di assunzione giornaliera.; in questo calcolo va considerata anche la quota, spesso cospicua, presente negli alimenti specifici per diabetici.
In quantità elevate il fruttosio può causare diarrea, dolori addominali e flatulenza. Trattandosi di una sostanza naturale, il fruttosio è del tutto innocuo (motivo per cui non ne è stata stabilita la DGA), ma deve essere usato con precauzione nelle persone con alterata funzione renale e gravi disturbi al fegato.

I polialcoli
Fanno parte dei polialcoli sia i monosaccaridi (mannitolo, sorbitolo e xilitolo) che i disaccaridi (maltitolo, lattitolo). Hanno un potere dolcificante uguale o di poco superiore al saccarosio, ma in genere non sono cariogeni e sono pertanto utilizzati in prodotti quali caramelle o chewing-gum "senza zucchero". Il metabolismo dei polialcoli è indipendente dall'insulina; sono quindi indicati nei pazienti diabetici. L'assunzione di queste sostanze può indurre un effetto lassativo, riconducibile ad un effetto di tipo osmotico a livello intestinale.
Fra i polialcoli, i più utilizzati nell'industria alimentare sono: mannitolo, sorbitolo e xilitolo.
Il mannitolo, a causa dello scarso potere edulcorante, è utilizzato per lo più per i suoi effetti lassativi. E' poco assorbito e l'effetto lassativo si manifesta con dosi di 10-20 g. La DGA è 50 mg/kg/die.
Il sorbitolo ha un potere edulcorante inferiore al saccarosio e generalmente non viene utilizzato da solo, ma in associazione alla saccarina per mascherarne il retrogusto metallico. Essendo scarsamente assorbito dal tratto digerente, risulta ipocalorico pur avendo le stesse calorie per grammo del saccarosio. Come il mannitolo possiede una bassa cariogenicità e presenta effetti lassativi (alla dose di 50g/die). Non è stata fissata la DGA; tuttavia per il suo effetto lassativo, va utilizzato con moderazione.
Lo xilitolo ha potere edulcorante pari a quello del saccarosio. Viene generalmente impiegato nella formulazione di prodotti per l'igiene e la salute dei denti, grazie alla completa acariogenicità.


L'aspartame
L'aspartameè l'edulcorante attualmente più noto ed utilizzato, per il suo elevato potere dolcificante (circa 200 volte superiore a quello del saccarosio) e per l'assenza di retrogusto amaro. L'aspartame è formato da due aminoacidi, l'acido L-aspartico e la L-fenilalanina, ed è presente naturalmente in molti cibi. Non è cariogeno e non influenza la glicemia (è quindi indicato nelle persone diabetiche). Il potere calorico dell'aspartame è pari a quello del saccarosio (4 kcal/g), ma, di fatto, essendo consumato in quantità bassissime per l'elevato potere dolcificante, non incide sulla quota calorica ingerita. A temperature elevate tuttavia si altera e perde il potere edulcorante; non può quindi essere impiegato in cibi che richiedono la cottura.
Per la presenza di L-fenilalanina, l'aspartame è controindicato nelle persone affette da fenilchetonuria. La DGA dell'aspartame è piuttosto elevata (40 mg/kg peso corporeo/die) il che lo rende un dolcificante sicuro sotto il profilo della tossicità.

La saccarina
La saccarina ha un elevatissimo potere edulcorante (circa 500 volte superiore al saccarosio), non viene metabolizzata dall'organismo e quindi non fornisce calorie. Essendo stabile al calore, può essere utilizzata nei cibi che vengono sottoposti a cottura. Possiede tuttavia un retrogusto metallico e amaro poco gradevole; per ovviare a questo inconveniente, nei prodotti commerciali viene spesso associata ad altri dolcificanti. La DGA della saccarina è 2,5 mg/kg/die. Negli anni '70 studi negli animali avevano fatto sorgere il dubbio che la saccarina fosse cancerogena, ma a tutt'oggi nessuno studio nell'uomo ha confermato questa ipotesi.

L'acesulfame
L'acesulfame potassico dolcifica circa 200 volte più dello zucchero e non possiede retrogusto amaro. Inoltre è stabile in soluzioni acide e ad elevate temperature; può essere quindi utilizzato in cibi che vanno cotti. Non essendo metabolizzato dall'organismo non fornisce calorie; è inoltre acariogeno. La DGA è di 9 mg/kg/die e, nell'ambito delle dosi raccomandate, è considerato sicuro dal punto di vista tossicologico.

I ciclamati
Si utilizzano il ciclamato di sodio e il ciclamato di calcio), fra loro equivalenti. Queste sostanze sono dalle 25 alle 50 volte più dolci dello zucchero, sono stabili al calore e sono acariogene.
I ciclamati sono generalmente impiegati in associazione ad altri edulcoranti in particolare nei prodotti "light". Il ciclamato di sodio è da evitare se si sta seguendo una dieta a basso tenore di sodio e durante l'assunzione di antibiotici come la lincomicina (es. Lincocin), perché ne riduce l'assorbimento. La DGA è di 11 mg/kg/die. Il permanere di incertezze sulla sicurezza di questa sostanza ha fatto sì che alcuni paesi, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, adottando un principio di massima precauzione, ne abbiano vietato l'uso.

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     Allergologia   Tante soluzioni per la cura

Sono 40 milioni le persone che negli Stati Uniti soffrono di rinite allergica e non è che le cose in Italia vadano molto meglio, visto che secondo le ultime statistiche a soffrirne sarebbero quasi 9 milioni di persone. I sintomi sono noti: dagli starnuti al naso colante fino alla congestione nasale ma ancora peggio sono poi gli effetti sul sonno e, di conseguenza, sulla diminuita produttività, vista la sonnolenza diurna. La qualità della vita ne risente, così, profondamente. Tra tutti i sintomi quello che probabilmente incide di più e il più difficile da controllare è la congestione nasale. Il naso si chiude, in sostanza, e l’aria fatica a passare. Ma come affrontare dal punto di vista terapeutico questa situazione? Storicamente sono gli antistaminici a farla da padroni. Ma da soli non bastano e spesso, in particolare per i sintomi della congestione nasale, vengono abbinati ad altri farmaci: steroidi intranasali, vasocostrittori simpaticomimetici e antileucotrienici. Il cardine della terapia farmacologica della rinite allergica restano, comunque, gli inibitori del recettore H1 per l’istamina (anti-H1). Con un limite, però, ben noto a tutti gli allergici: l’aumento della sonnolenza e altri effetti collaterali a carico del sistema nervoso centrale. Ma la situazione sta migliorando sotto questo profilo e gli anti-H1 di seconda generazione presentano scarsa penetrazione cerebrale, con minimi effetti sedativi (cetirizina, desloratadina).

Antistaminici ma non solo
Questi antistaminici più recenti, come tutte le molecole di questa classe, bloccano i recettori H1 istaminici a livello della cute e delle vie respiratorie, così da inibire o ridurre l’insorgenza di starnuti, rinorrea, prurito e sintomi oculari associati a questa condizione patologica. Ma il vero vantaggio nell’utilizzo di questi farmaci sta nella scarsa penetrazione della barriera emato-encefalica, quindi niente sonnolenza, e nel rapido controllo dei sintomi allergici già con la prima dose. Alcuni, come la desloratadina, esercitano anche effetti antinfiammatori su vari mediatori chimici. In pratica oltre al controllo dei sintomi allergici respiratori, si ha il trattamento profilattico e terapeutico della componente infiammatoria sottostante. Ma, come premesso, gli antistaminici da soli non bastano e quanto alle molecole di supporto un recente studio comparso sugli Archives of Otolaryngology Head & Neck Surgery ne ha messe a confronto due tra le più utilizzate. Si tratta del decongestionante da banco pseudoefedrina e del medicinale con obbligo di prescrizione montelukast. I risultati? Nessuno, o meglio tutti e due i farmaci sono egualmente efficaci per dare sollievo dai sintomi delle allergie stagionali e per migliorare la qualità di vita di chi ne soffre.
L’indagine ha preso in esame un gruppo di 58 adulti con rinite allergica da ambrosia, documentata da precedenti test cutanei. I partecipanti allo studio hanno descritto i loro sintomi e la loro qualità di vita all'inizio e alla fine dell'indagine, durante la quale 30 pazienti hanno assunto montelukast e 28 pseudoefedrina tutte le mattine per due settimane. E’ risultato che entrambi i farmaci sono in grado di ridurre disturbi come congestione, naso che “cola”, continui starnuti, e di migliorare in questo modo la qualità di vita di chi li utilizza, senza effetti collaterali. E persino la pseudoefedrina, che in altri studi aveva provocato insonnia, ansia, palpitazioni e secchezza delle fauci, ha mostrato un'alta tollerabilità, probabilmente per la sua somministrazione mattutina. Le soluzioni non mancano, perciò, si tratta di scegliere la strategia più adatta al singolo paziente. Anche perché secondo uno studio multicentrico condotto nel nostro paese, si è visto che la diagnosi e la cura delle riniti costano mediamente 285 euro al mese per paziente. E la terapia farmacologica incide solo per il 9%. Una buona gestione dei medicinali rappresenta, evidentemente, la base per ottimizzare le risorse e migliorare la qualità di vita del malato.

Marco Malagutti


Fonte
Mucha SM et al. Comparison of Montelukast and Pseudoephedrine in the Treatment of Allergic Rhinitis.
Arch Otolaryngol Head Neck Surg. 2006;132:164-172

 

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La distillazione molecolare

 

Ultimamente si fa un gran parlare d’integratori a base d’Omega 3 estratti con il processo di "distillazione molecolare", detto anche "short-path" (distillatori a breve tragitto). Gran parte delle sostanze organiche possono subire alterazioni se trattate ad alte temperature per lungo tempo. La distillazione è uno dei processi cui più frequentemente sono sottoposte tali sostanze per aumentarne la purezza. Questa innovativa tecnica di distillazione fa sì che:

· Si operi a temperature particolarmente basse

· Diminuiscano i tempi di contatto con le superficie calde del distillatore

I distillatori per avere tali caratteristiche devono:

· Operare a bassissima pressione

· Migliorare il flusso dei vapori

· Ottimizzare lo scambio termico all’interno del distillatore

Le pressioni che si raggiungono dentro questi distillatori sono dell’ordine di 3-10 mbar, quindi notevolmente inferiori a quello dei distillatori tradizionali (50 mbar).

È chiaro che estrarre gli Omega 3 con queste tecniche non può che portare ad una maggiore qualità dei principi attivi.

Molti integratori pubblicizzano questo processo come l’unico in grado di garantire l’assoluta assenza di: metalli pesanti, mercurio e pesticidi. L’unico problema è che questi integratori costano moltissimo.

 

 

successivo   (IL ROACCUTAN)

 

 

 

 

Le indicazioni che troverete tra queste pagine vengono fornite al solo scopo informativo e non possono sostituire la consulenza di un medico. Ricordate che l'autodiagnosi e l'autoterapia possono essere pericolose.il vostro medico di famiglia potrà esservi di aiuto.

 

Corretto impiego dell’Isotretinoina Roaccutan

L’Isotetionina ( Roaccutan ) è un composto retinoide derivato dalla vitamina A, indicato per il trattamento di alcune gravi forme di acne ( ad esempio, acne nodulare o conglobata ovvero acne con rischio di cicatrici permanenti ) refrattarie a cicli adeguati di terapia standard con antibatterici sistemici e di terapia topica.

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Questo farmaco è altamente teratogeno e la sua assunzione in gravidanza, anche se limitata a pochi giorni, può determinare l’insorgenza di anomalie congenite.
Per questo, già nel 2003, a livello europeo è stato previsto che la prescrizione di Isotretinoina alle donne in età fertile deve avvenire nell’ambito di un programma di prevenzione della gravidanza che sottopone le pazienti a rigide misure di controllo atte a prevenire una gravidanza.

L’obbligo di attuare il programma di prevenzione, dopo averne concordato i dettagli con le autorità nazionali, compete alle aziende titolari dei farmaci che sono, inoltre, tenute a registrare e monitorare eventuali casi di gravidanza e/o di sospetta esposizione embrio-fetale, a presentare rapporti periodici con le scadenzepreviste per le nuove autorizzazioni e a non fornire campioni gratuiti del prodotto medicinale.

In Italia sono autorizzate all’immissione in commercio quattro specialità contenenti Isotretinoina per le quali sono stati presentati dei programmi differenziati di prevenzione della gravidanza.

La necessità di uniformare i programmi, con particolare riferimento alle modalità di prescrizione e di controllo della dispensazione, hanno indotto l’AIFA ( Agenzia Italiana del farmaco ) ad elaborare un provvedimento di carattere generale con disposizioni per medici, farmacisti e aziende farmaceutiche in aggiunta ai singoli provvedimenti relativi ad ogni specialità medicinale.

Il provvedimento consente l’uso sistemico dell’Isotretinoina esclusivamente nell’ambito del “Programma di prevenzione del rischio teratogeno
‿ approvato dall’AIFA e concernente l’insieme delle procedure finalizzate ad evitare gli effetti teratogeni della Isotretinoina attraverso modalità di prescrizione, dispensazione, distribuzione del farmaco associate ad una dettagliata informazione alle pazienti candidate al trattamento con tale farmaco.


Scheda: dieci regole per la prescrizione di medicinali contenenti Isotretinoina

Prima di prescrivere un trattamento con Isotretinoina orale ad una paziente in età fertile, il medico deve assicurarsi che vengono soddisfatti tutti i criteri di seguito riportati:

1) Correttezza dell’indicazione d’uso ( forme gravi di acne, quali acne nodulo cistica o conglobata o acne a rischio di formazione di cicatrici permanenti, resistenti ad adeguati cicli di terapia standard con antibatterici ad uso sistemico e a trattamento topico ).

2) Assenza delle seguenti controindicazioni:

- Gravidanza o allattamento al seno
- Donne in età fertile, salvo che non siano soddisfatte tutte le condizioni previste dal Programma di prevenzione della gravidanza
- Insufficienza epatica
- Iperlipidemia
- Ipervitaminosi A
- Ipersensibilità all’Isotretinoina o ad uno dei suoi eccipienti
- Trattamento concomitante con Tetracicline

3) La paziente è stata informata e ha compreso il rischio teratogeno correlato al trattamento con Isotretinoina.

4) La paziente ha compreso la necessità di effettuare visite di controllo ad intervalli di 28 giorni ( per la limitazione relativa alla quantità di farmaco prescrivibile, che può coprire una terapia di massimo 30 giorni, e per l’effettuazione di un test di gravidanza ).

5) La paziente ha compreso ed ha accettato la necessità di una contraccezione efficace, senza interruzione, almeno 1 mese prima dell’inizio del trattamento, per tutta la durata del trattamento e per almeno 1 mese dopo la fine del trattamento, anche nel caso in cui non sia sessualmente attiva.
Deve essere utilizzato almeno un metodo efficace di contraccezione ( di prima scelta ), ma preferibilmente due metodi complementari, incluso un metodo di barriera ( di seconda scelta ) per ridurre il rischio di un possibile fallimento della copertura contraccettiva.
Pertanto, la paziente va informata in merito alla contraccezione prima di iniziare il trattamento.
Durante il trattamento, in occasione della visita di controllo da effettuarsi ogni 28 giorni, si deve continuare a fornire consulenza a riguardo, e a verificare il corretto utilizzo dei metodi anticoncezionali.

6) La paziente con amenorrea deve comunque seguire tutte le indicazioni relative ad una contraccezione efficace.

7) La paziente è in grado di osservare le misure contraccettive scelte.

8) La paziente è stata informata e ha compreso le potenziali conseguenze di una gravidanza ed è al corrente del fatto che, se nonostante le precauzioni prese si dovesse verificare una gravidanza in corso di trattamento, la terapia deve essere immediatamente interrotta, e la paziente deve discutere con un esperto in teratogenicità l’opportunità di continuare la gravidanza.
Lo stesso vale se la gravidanza si dovesse verificare nel mese successivo all’interruzione del trattamento.

9) La paziente ha compreso la necessità ed ha accettato di sottoporsi a test di gravidanza prima, durante e 5 settimane dopo la fine del trattamento.
Un test negativo di gravidanza, con una sensibilità minima di 25 mlU/ml, da effettuarsi sotto controllo medico nel corso dei primi tre giorni del ciclo mestruale, è il pre-requisito per iniziare il trattamento con Isotretinoina.

10) La paziente, dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie, a voce e per iscritto dichiara di aver compreso i rischi e le precauzioni alle quali attenersi in corso di terapia con Isotretinoina firmando il Modulo di informazione e Consenso informativo . ( Xagena2006 )

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Gastroprotezione: Lansoprazolo

Lansoprazolo ( Lansox, Zoton ) è un inibitore della pompa protonica in grado di inibire l’acidità gastrica bloccando il sistema enzimatico idrogeno-potassio adenosintrifosfatasi ( pompa protonica ) delle cellule parietali gastriche.

Il Lansoprazolo trova indicazione nel trattamento a breve termine dell’ulcera gastrica e duodenale. Un breve ciclo con un inibitore della pompa protonica è il trattamento di scelta nella malattia del reflusso gastroesofageo con sintomi gravi.
Gli inibitori della pompa protonica sono anche impiegati nella prevenzione e nel trattamento delle ulcere associate ai FANS ( farmaci antinfiammatori non-steroidei ).
Il Lansoprazolo è efficace nel trattamento della sindrome di Zollinger-Ellison.

Nell’ulcera gastrica benigna, il Lansoprazolo è utilizzato al dosaggio di 30mg/die al mattino per 8 settimane.
Nell’ulcera duodenale il Lansoprazolo trova impiego al dosaggio di 30mg/die al mattino per 4 settimane, con 15mg/die di mantenimento.
Nell’ulcera duodenale o gastrica associata all’impiego di FANS, il Lansoprazolo dovrebbe essere somministrato al dosaggio di 15-30mg una volta al giorno per 4 settimane, seguite da altre 4 settimane in caso di guarigione incompleta; profilassi, 15-30mg/die.
Nella sindrome di Zollinger-Ellison, il Lansoprazolo va somministrato inizialmente al dosaggio di 60mg una volta al giorno, che può essere modificato in base alla risposta.
Dosaggi da 120mg o superiori devono essere somministrati in due dosi frazionate.
Nella malattia da reflusso gastroesofageo, il dosaggio del Lansoprazolo è di 30mg/die al mattino per 4 settimane, seguite da altre 4 settimane in caso di guarigione incompleta; mantenimento, 15-30mg/die.

Il Lansoprazolo deve essere impiegato con cautela nei pazienti con insufficienza epatica ed in gravidanza ed allattamento.

Gli effetti indesiderati più comuni degli inibitori della pompa protonica, ed anche del Lansoprazolo, comprendono: disturbi gastrointestinali ( diarrea, nausea e vomito, stitichezza, meteorismo, dolore addominale ) e cefalea.
Possono presentarsi reazioni da ipersensibilità ( rash, orticaria, angioedema, broncospasmo.

Raramente si sono presentati casi di anafilassi, prurito, vertigine, edemi periferici, dolore muscolare ed articolare, malessere, visione offuscata, depressione e secchezza delle fauci.
Poiché gli inibitori della pompa protonica riducono l’acidità gastrica , possono aumentare il rischio di infezioni gastrointestinali. ( Xagena2005 )