Rimini 150. In poche parole
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Tra Rimini e San Marino 1943-1944 (5)


Tra saluti romani e bombe alleate
Verso Salò
Prima che parta la missione diplomatica sammarinese che, il primo agosto, si recherà al Nord per trattare con Mussolini e con l'ambasciatore tedesco, sul Titano arrivano ufficiali della Sanità germanica. Vogliono impiantare un ospedale. Se ciò accadesse, per la Repubblica significherebbe trovarsi coinvolta in pieno nella guerra.
Dai primi di luglio, l'aviazione inglese ha ricevuto l'ordine di non bombardare la Repubblica. Ma dal 28 dello stesso mese di luglio, i tedeschi non garantiscono più la neutralità sammarinese. In caso di "necessità di carattere militare", le truppe naziste varcheranno i confini, per farvi transitare uomini e mezzi. San Marino è tra due fuochi: il pericolo alleato e le minacce tedesche. "Si navigava tra Scilla e Cariddi", disse il Reggente Balsimelli il 23 settembre, a liberazione avvenuta.
La delegazione diplomatica è composta, oltre che dallo stesso Reggente Francesco Balsimelli, da Giuliano Gozi (capo dei repubblichini sammarinesi), da Ezio Balducci (attivissimo Plenipotenziario che, dopo il bombardamento del 26 giugno, aveva iniziato a far la spola tra San Marino ed il Nord, in viaggi sempre più rischiosi), e dai professori Marino Belluzzi e Leonida Suzzi Valli.
La delegazione si reca nel pomeriggio dello stesso primo agosto, a Salò, dove ottiene un appuntamento con Mussolini per la mattina seguente; e poi va a Fasano, dove alle 19.30 è ricevuta prima dal segretario dell'ambasciata tedesca, dottor Gherard Gumpert ("buon amico della Repubblica e del dott. Balducci", scrive Balsimelli), e poi dall'ambasciatore stesso, Rudolf Rhan. La conversazione con quest'ultimo avviene in francese. Alla fine, i diplomatici vanno a dormire, ospitati nell'ex treno reale di Vittorio Emanuele III.


Saluti romani
La mattina del 2 agosto, Mussolini accoglie con saluto romano i delegati sammarinesi, "due dei quali, Balducci e Gozi, gli erano ben noti", come scrive ancora Balsimelli.
"Sarete avvolti dalle fiamme, ma non sarete incendiati", profetizza Mussolini. Il capo della Repubblica di Salò garantisce un suo intervento presso i tedeschi, perché non installino a San Marino l'ospedale 'minacciato'.
Dopo l'incontro con Mussolini, la delegazione "riceve la visita di alcuni militi ed ufficiali sammarinesi delle 'Brigate Nere' di stanza a Salò, alcuni dei quali saranno poi fucilati durante i tragici avvenimenti dell'aprile-maggio 1945", prosegue Balsimelli nella sua ricostruzione di quei contatti diplomatici. Tra quei fucilati, ci sarà Marino Fattori, ucciso il 6 maggio '45 a Buglio in Monte. Suo figlio Federico fu invece ucciso il 6 settembre 1944 in Valtellina.


"Niente ospedale"
Il 3 agosto, giungono dai tedeschi le assicurazioni attese. Niente ospedale, niente occupazione. "Passaggio di truppe attraverso determinate strade marginali solo in caso di estrema necessità".
"Purtroppo... la guerra passò nell'inerme Repubblica seminando altre stragi, altre rovine", scrive Balsimelli. Il 12 agosto, avviene l'arresto da parte delle SS dei sei sammarinesi che saranno liberati il 25 dello stesso mese: è l'episodio che abbiamo ricostruito nelle prime tre puntate de «I giorni dell'ira».
I tedeschi, in questo periodo, giocano su due fronti. Cercano di farsi consegnare i sei prigionieri, lasciati in custodia nelle carceri del Titano: e forse lo fanno per non perdere la faccia nei confronti dei camerati repubblichini. E tornano alla carica con la richiesta di installare in Repubblica un ospedale militare.


Retorica e confusione
Sono momenti confusi. I protagonisti, ricostruendoli, non li hanno sezionati con mente fredda, ma spiegati con partecipazione sentimentale, per cui spesso la retorica ha impedito un discorso razionale.
E' una retorica che fu usata anche, in perfetta buona fede immaginiamo, per salvare la stessa Patria in pericolo, come accadde a Balsimelli, quando scrisse il 30 luglio 1944 a Mussolini: "Duce, il mio nome pienamente oscuro nel campo della politica, appena noto nel campo degli studi, non posso pretendere che voi lo ricordiate come quello di uno studioso che vi fece pervenire negli anni scorsi alcune pubblicazioni d'indole storica e letteraria che riscossero l'alto elogio vostro...".
Momenti confusi, si diceva. Tutto induce a pensare che i tedeschi cercassero di ricattare San Marino: o ci consegnate i prigionieri, o avrete in casa i nostri soldati. Cioè, la guerra.
Fu in quei giorni di metà agosto che Balducci, per togliere a Schutz (comandante delle SS a Forlì), "ogni velleità legale di impadronirsi dei cinque (in realtà sono sei, n.d.r.) sammarinesi, incarica l'ispettore Animali di preparare un dossier che comprovi l'esistenza di un complotto diretto contro il Governo della Repubblica", scrive Montemaggi.
Il tenente Pietro Animali, ispettore di polizia, prepara un fascicolo che Balducci non approva: "Se diamo questa roba a Schutz, quello ce li fucila tutti quanti", e fa bruciare la relazione.
Questo particolare conferma quanto imprecise fossero le linee politiche in quelle fasi della storia sammarinese, che appaiono affannose non per volontà dei singoli protagonisti, ma per le obiettive difficoltà di quella navigazione "tra Scilla e Cariddi", che impediva di stabilire una rotta decisa.


L'attacco alleato
Quando, verso la metà di agosto, i tedeschi tornano alla carica per installare l'ospedale militare, San Marino decide una nuova missione al Nord, per parlare con il feldmaresciallo Kesserling a Reggio Emilia, e con l'ambasciatore Rhan a Fasano.
La missione (Balducci, Bigi e Belluzzi), parte il 21 e torna il 25. I tedeschi rinunciano all'ospedale. Perché?
Nella notte tra 25 e 26 agosto, inizia l'attacco degli Alleati sulle rive del fiume Metauro. All'alba del 30, varcano il fiume Foglia. Per le truppe germaniche, è l'inizio della fine.
Un ospedale in una zona che stava per essere invasa dal furore delle armi, ormai non aveva più nessun significato. Chi, come Balducci, ritenne di essere stato in grado di convincere i tedeschi a rinunciare a quell'ospedale, non comprese tutta la verità che stava dietro al comportamento definito "cavalleresco" del generale Max Schrank.
Per i nazisti, s'avvicinava l'ora della resa dei conti con la battaglia di Rimini. Lo sapevano, ma non potevano certo ammetterlo.

Passano i tedeschi
Il 31 agosto, i tedeschi transitano per San Marino con autocarri carichi di munizioni e benzina: "I patti e le assicurazioni tante volte riconfermate, con l'avanzare degli Alleati, andarono perdendo di valore, data la necessità che l'esercito germanico aveva di accelerare per quanto fosse possibile, i movimenti dei reparti e dei mezzi" (Balsimelli).
I rinforzi diretti alle zone di operazione "ci rendevano involontariamente complici presso gli Alleati, di favorire la resistenza nemica", annota sempre Balsimelli.
Il primo settembre, altri autotrasporti passano per Borgo e Città. Inoltre, i tedeschi "allacciarono alla nostra rete telefonica dei cavi per comunicazioni col fronte e coi Comandi limitrofi, isolando Montegiardino e Faetano".
Poi, giunge la notizia che i tedeschi stavano per occupare Dogana e Serravalle, per "uno spostamento di fronte ordinato da Kesserling". Balducci e Belluzzi ottengono la revoca dell'ordine, rivolgendosi al Quartier generale tedesco di Santarcangelo.
Il 3 settembre, una radio trasmittente tedesca viene installata a Montegiardino. I nazisti stavano ritirandosi. "Nella notte del 4, sotto il Borgo era tutto uno sferragliare di carri armati... Il giorno 5 Montegiardino, Faetano, Chiesanuova erano quasi in stato di occupazione...". I soldati germanici sigillano il centralino telefonico, e così isolano San Marino.
Le truppe del Reich hanno portato la guerra nella Repubblica.


Un'altra spia
Si susseguono giorni drammatici, con nuovi interventi diplomatici, fino a che il 15 settembre gli Alleati informano che il loro Comando "batterà la zona di San Marino come qualunque altra zona del fronte", racconta ancora Balsimelli, dato che San Marino era stata trasformata "in un centro di rifornimenti e prestazioni".
Il console sammarinese a Roma, aveva preso contatto con gli Alleati sin dal 9 giugno (giorno in cui nella capitale italiana si era insediato il Governo Militare Alleato), per spiegare la neutralità della piccola Repubblica, da rispettare durante il conflitto e dopo la prevista liberazione del territorio italiano circostante.
Il 5 settembre, la Commissione alleata centrale veniva informata che San Marino, dopo aver "abolito il fascismo il 28 luglio 1943, si reggeva in forma prettamente democratica".
Mentre Balducci tratta con i tedeschi, i rapporti con gli alleati vengono tenuti da San Marino attraverso il tenente di vascello Giorgio Zanardi, sfollato a San Marino assieme ai fratelli Guido e Vittorio. Ma Zanardi non è soltanto un ufficiale del Regio esercito italiano, bensì anche un agente segreto dell'Intelligence inglese. E' un'altra spia che appare nelle vicende sammarinesi di quei giorni, dopo Roxane Pitt che viveva a Rimini con il nome di Albertina Crico, di cui abbiamo parlato nella precedente puntata.
Zanardi era giunto a San Marino ai primi di giugno del 1944, poco prima cioè del bombardamento che avrebbe colpito la Repubblica il 26 dello stesso mese. Come si vede dal compito ufficiale affidatogli sul Titano, di tenere i contatti con gli Alleati, Zanardi poté inserirsi tranquillamente nelle stanze dei bottoni, senza destare alcun sospetto: l'ex Reggente Balsimelli, a guerra conclusa, parlerà di lui come di un "ardimentoso ufficiale" che accettò rischiosi incarichi per "ripagare in qualche modo la generosa ospitalità ricevuta".
Zanardi lascia San Marino il 15 agosto, va a Roma, "spiega" la situazione agli Alleati, ritorna sul Titano il 18 settembre: nel frattempo, un altro tentativo di evitare che gli inglesi attacchino San Marino, viene condotto a termine dal sergente della Confinaria Virginio Reffi che s'avventura nelle Marche. Arrestato dalle SS, Reffi riesce a fuggire, passa il Foglia e ad Urbino s'incontra con l'Alto Comando inglese, a cui precisa che "sulla vetta e nei centri abitati non vi erano truppe nemiche", avendo piazzato i tedeschi qualche batteria solo ai margini del territorio.


Perché non andò ko
Gli Alleati intanto avanzano verso Rimini. A San Marino, i partigiani riminesi erano di casa. Alcuni di loro scendono dal Titano verso la città di Sigismondo, nel pomeriggio del 19 settembre, mentre si combatte la battaglia per la presa di Borgo Maggiore. Li comanda il sottotenente Guido Nozzoli che racconta: "Il nostro era il primo nucleo partigiano che l'Ottava armata incontrava sulla Linea gotica... Avvicinai un ufficiale per informarlo sul disfacimento delle difese tedesche a San Marino e sulla drammatica situazione dei civili rintanati nelle gallerie, ed ebbi la sensazione che non mi ascoltasse neppure. Mi ero ingannato".
Ad un ufficiale dell'Intelligence Service, "avvolto in una nube di profumo", Nozzoli ripete più minuziosamente il racconto. L'indomani mattina, un sottotenente confida a Nozzoli "che il Comando aveva accertato l'esattezza" delle informazioni fornite sullo schieramento tedesco e sulla ubicazione dei campi minati, "rinunciando al bombardamento di spianamento di San Marino programmato prima" dell'arrivo di quel gruppetto di partigiani.
Il Titano era salvo con le sue migliaia di rifugiati.

Schede
Il «Viaggio periglioso» del Reggente
Francesco Balsimelli così ricostruì il suo «Viaggio periglioso del Reggente in missione» svoltosi nell'agosto 1944: a pochi chilometri da Argenta, i diplomatici sammarinesi «raggiungono un'interminabile colonna someggiata di tedeschi diretta di rinforzo al fronte. Nella speranza che la colonna finisca, procedono per qualche chilometro, ma solo brevi soluzioni di continuità la interrompono. Ad un tratto, rombo di apparecchi in perlustrazione».
E' un grido di allarme: «Achtung! Achtung!». Per prudenza, la delegazione sammarinese si ferma: «Gli apparecchi si avvicinano e lanciano bengala che rischiarano sinistramente a giorno la strada e la campagna».
L'autista Pietro Liverini e Giuliano Gozi «si accucciano nella fossetta», mentre il Reggente Balsimelli «ignaro di giberna e di gavetta, sordo al richiamo dei compagni, pensava che si potesse fare di meglio che seppellirsi in un tombino stradale: scorge dal ciglio il campo sottostante; è un salto di appena un metro; miglior partito gli sembra darsi alla campagna e raggiungere un cascinale a meno di cento metri e… si trova sospeso in un pentagramma di filo spinato. Si sente le gambe lacerate e gli abiti impigliati negli aculei dei fili».
Dal cielo scendono altri bengala. Volano altri colpi di mitraglia. «Il momento è critico; ma il Reggente impaniato in quei fili, che annaspava per districarsi come una mosca incappata nella ragnatela, ha del grottesco. Il buon Liverini vorrebbe trattenere le risa per riverenza, si avvicina a carponi al Reggente e lo aiuta cercando di lasciare meno brandelli possibile di stoffa e di pelle a quei fili».
La missione sammarinese trova rifugio, poco dopo in quel cascinale disabitato che Balsimelli aveva intravisto. Decidono di passare lì la notte. «Ma il freddo umido, i rombi dei bombardamenti lontani, i bagliori come di lampi temporaleschi, il crepitìo intermittente della mitraglia, lo scalpiccio degli zoccoli e degli scarponi sulla strada vicina, ritardano il sonno e vincono la stanchezza. Per un pò conversano al buio, facendo dell'umorismo sul letto e sulla stanza in confronto col comodo e confortevole treno 'reale' in cui aveva passato due notti il Capo di uno Stato 'repubblicano'».
(L'articolo di Balsimelli, apparso sul «Resto del Carlino» del 19. 8. 1954, è in A. Montemaggi, «San Marino nella bufera», cit., p. 116).


Giovanni Franciosi
Il prof. Giovanni Franciosi (1894-1981), allievo di Righi all'Università di Bologna, fu insegnante di matematica e fisica, molto apprezzato ed amato dai suoi studenti che gareggiavano per essere inseriti al suo corso liceale al "Serpieri".
Alla sua morte, Carlo Alberto Balducci così ne scrisse sul "Ponte" (31. 5. 1981): "Era un illuminista… Quella chiarezza… dal piano scientifico si riverberava su quello morale e si traduceva in rigore di vita, che non escludeva però la comprensione: ne scaturiva quel suo rassicurante equilibrio…".
Nel Ventennio, anche Franciosi fu costretto alle adunate del fascismo, in divisa, in piazza Cavour. Nel '27, apostrofato in maniera arrogante dal seniore Lancia, si era poi rifiutato di partecipare ad ulteriori manifestazioni. Ed ebbe, ovviamente, delle grande. In suo aiuto venne il segretario agli Interni di San Marino, Giuliano Gozi, colui che Franciosi si trovò a giudicare, dopo la fine della guerra.
Conclusosi il processo al Consiglio dei XII, l'altro Gozi, Manlio, chiese l'intervento di Franciosi nei confronti suoi e del fratello Giuliano: "La nostra vita in carcere è insopportabile", gli scrive dal penitenziario di Urbino nel marzo '46, chiedendogli aiuto: "Comprendo che molte saranno le difficoltà, ché ben conosco la irriducibilità di chi molto se non tutto può".
In un'altra lettera a Franciosi, scriveva lo stesso Manlio Gozi: "Nei momenti di disgrazia, quando si è caduti e tutti che prima ti riverivano ti sfuggono per il timore di compromettersi, il ritrovare un vecchio amico che, avendo saputo sorvolare su qualche screzio che può avere questa vecchia amicizia per un pò raffreddato, si batta a difesa della giustizia sfidando ire e impopolarità, non è cosa che càpita sovente e si verifica soltanto in chi la sua vita uniforma a princìpi di rettitudine e onestà".
Giovanni Franciosi era nipote di Pietro (1864-1935) che "storico, filosofo pubblicista e giornalista, fu la mente del socialismo sammarinese che egli non vide mai disgiunto dai concetti di democrazia e libertà", come scrive F. Bigi in "Pagine sammarinesi" (Garattoni, Rimini, 1963, p. 162).

[Questo testo è apparso sul settimanale «il Ponte» di Rimini, nel n. 18 del 13.5.1990, ottavo articolo della serie “I giorni dell’ira”.
Ai precedenti articoli della serie:
1. 28 luglio 1943, San Marino volta pagina
2. Chi minaccia San Marino
3. Attentato a Casali ed arresto di Babbi
4. La prof. che faceva la spia]]



Indice Rimini 150

Antonio Montanari

"Riministoria" è un sito amatoriale, non un prodotto editoriale. Tutto il materiale in esso contenuto, compreso "il Rimino", è da intendersi quale "copia pro manuscripto". Quindi esso non rientra nella legge 07.03.2001, n. 62, "Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 05.08.1981, n. 416", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 67, 21.03.2001. © Antonio Montanari. [1469, 05.05.2011, 17:50. Agg. 05.05.2011, 17:50]. Mail