Rimini 150. In poche parole
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Tra Rimini e San Marino 1943-1944 (2)


Chi minaccia San Marino
Dalla vicina Rimini
Le SS "dopo aver forzato e prelevato tre prigionieri alleati ivi internati, arrestarono alcuni cittadini notoriamente antifascisti e li trascinarono oltre confine sotto la minaccia della fucilazione", scriverà Alvaro Casali che, quella mattina del 5 ottobre 1943, riesce a sottrarsi alla cattura. Le SS andarono poi al Palazzo del Governo e "minacciarono con le armi i Capitani Reggenti ingiungendo loro di cedere il potere agli spodestati fascisti che erano accorsi in veste di salvatori del Paese", racconta ancora Casali nella sua "Memoria storica".
Le SS provenivano da Pesaro, precisa Gildo Gasperoni, aggiungendo che della presenza dei tre prigionieri inglesi "venne a conoscenza un fascista repubblichino di Verucchio". Ecco perchè si può ritenere che le SS siano state chiamate dai repubblichini riminesi che, d'altra parte, erano di casa a San Marino.
Tedeschi, repubblichini italiani e sammarinesi perlustrano San Marino, da Borgo a Città. Sono circa le 7, ricorda la vedova Casali, quando vede dalla finestra della propria abitazione, i militari tedeschi che entrano nella casa dell'avv. Teodoro Lonfernini che sarà poi arrestato.
Le SS arrivano anche nell'appartamento di Casali. Tra gli accompagnatori dei tedeschi, la moglie del medico riconosce Marino Berti, e lo rimprovera: "E tu non ti vergogni a girare con questi tipi".
Per tutta risposta, le puntano una pistola al petto e perquisiscono la casa. I repubblichini ed i tedeschi trovano soltanto un revolver a tamburo, che sequestrano.
Usciti dall'abitazione, SS e fascisti tentano di bloccare i figli di Casali, che hanno 18 e 16 anni. I due ragazzi riescono a scappare.
"Quel giorno per i sammarinesi fu di confusione, di paura", spiega la signora Casali: "Ricordo che mio marito, come tanti altri antifascisti cercati dai fascisti sammarinesi, da quelli italiani e dai tedeschi, era scappato per le campagne, e dal suo nascondiglio mi aveva mandato un messaggio di stare tranquilla".
Qualche giorno dopo, Giordano Giacomini avvisa i Casali "che nella notte sarebbe venuti i tedeschi a portare via gli uomini", racconta ancora la signora. "Allora mio marito Alvaro, Gino e Remy Giacomini con Doro Lonfernini scapparono di casa". Trovano rifugio ad Acquaviva dal suocero di Lonfernini, poi vanno a Torriana da Sandrino Tosi ed infine a Rimini, dove sono ospitati da Giovanni Grossi e da Aldo Pelliccioni.
Gli arrestati del 5 ottobre vengono portati a Montelicciano. Ricordando quel periodo, Federico Bigi parla di "premonitrici incursioni armate nel nostro territorio di tedeschi e repubblichini italiani".
Nazisti e brigatisti neri, infatti, cercavano di esportare sul Titano la guerra civile di Salò. Il fascio repubblicano di Rimini era nato il 16 settembre. Il 12, Mussolini era stato liberato; il 18, aveva annunziato la Repubblica Sociale.
Rientrava nella logica repubblichina l'attacco ad alcuni protagonisti del 28 luglio, che erano nel "Comitato per la libertà" della Repubblica.
Un'altra testimonianza di Alvaro Casali: "Dalla vicina Rimini, quasi ogni giorno gruppi di Brigatisti facevano le loro incursioni sul territorio della Repubblica, abbandonandosi a sistematiche sopraffazioni, perquisizioni domiciliari, requisizioni di generi alimentari, rapimenti di elementi rifugiati, spari di armi e continue minacce di rastrellamenti. I Tedeschi, pur non mostrando simpatia per il governo, non arrivarono mai a simili eccessi...".
Aggiunge Cristoforo Buscarini: "I fascisti sammarinesi, forti della complicità di quelli italiani e delle truppe tedesche, si abbandonarono a rilevanti atti di violenza fino al tentato omicidio".


Il patto con Rommel
Il governo sammarinese riesce ad ottenere la liberazione dei propri concittadini, arrestati il 5 ottobre 1943. L'ambasciatore tedesco a Roma il 22 ottobre viene informato dal ministero italiano degli Affari esteri su "alcuni incidenti verificatisi nel territorio della Serenissima Repubblica di San Marino mediante procedimenti arbitrari da parte di Autorità Militari Germaniche".
Il console tedesco a Venezia esprime a San Marino il rammarico dell'ambasciatore, e comunica che "sono stati impartiti ordini precisi" per far rispettare le neutralità sammarinese. "Inoltre sono stati dati ordini di rendere responsabili i colpevoli".
Questo documento, trascurato finora, è importante per due motivi. Anzitutto, perchè riconoscendo che gli incidenti erano da condannare come violazioni della neutralità di San Marino, implicitamente scaricava la responsabilità dell'accaduto sui repubblichini riminesi che avevano guidato le SS nel territorio del Titano, istigandole alla cattura di antifascisti locali che nulla avevano a che fare con la situazione italiana.
Secondo motivo. La comunicazione all'ambasciatore tedesco è del 22 ottobre. Il 25 dello stesso mese, sale a San Marino il feldmaresciallo Erwin Rommel, per quella che non fu una semplice visita da turista.
Precisa Casali: "Per allontanare altri pericoli, il Governo sammarinese credette opportuno di prendere contatti coi vicini Comandi Tedeschi e mentre le trattative si stavano avviando", ecco arrivare Rommel.
Dalla domande rivolte da Rommel a Federico Bigi, si deduce che era un'ispezione vera e propria per verificare la situazione politico-militare di San Marino, e la dotazione di armi e munizioni. Non si trattava di una gita.
Dopo le chiare risposte di Bigi ("Non esiste munizionamento" per i quattro cannoni donati dal re d'Italia nel 1907, che sparano a salve tappi di legno e polvere nera; per i pochi fucili modello '91, i caricatori sono chiusi nelle casse, e quindi è come se quelle armi fossero non usabili), Rommel propone un 'modus vivendi': i tedeschi avrebbero rispettato San Marino, se San Marino avesse garantito che nessuna azione di sabotaggio provenisse dal suo territorio. I profughi inoltre non dovevano possedere armi.
A Rommel, chiede il segretario di Stato avv. Gustavo Babboni: "E i fascisti?". Rommel dà una risposta precisa, riferita da Bigi: "I fascisti, sammarinesi o italiani, devono essere tutti disarmati anche loro". Non fu così, invece.
Il "modus vivendi", commenta Bigi, "seppure con qualche eccezione, resse fino al settembre 1944...". Sostiene invece Gildo Gasperoni: "Le promesse del grosso personaggio dell'armata tedesca non servirono tuttavia ad interrompere le scorrerie dei fascisti repubblicani".


La "pacificazione"
Prosegue Gasperoni: i repubblichini "anzi intensificarono le loro gesta provocatorie nel cercare... di incoraggiare i fascisti locali a svolgere opera di spionaggio sui fatti politici sammarinesi... Così i fascisti di Rimini, capitanati dal famigerato Paolo Tacchi, provocavano ogni giorno incidenti di rilievo con requisizioni di derrate, perquisizioni in abitazioni di famiglie che ospitavano gli sfollati (in quel tempo erano centomila) e forse più sequestri di automezzi".
La visita di Rommel ridà fiato ai fascisti locali, rammenta Giordano Bruno Reffi. Infatti, il 28 ottobre 1943 nel Consiglio di Stato (una specie di governo d'emergenza), sono inseriti su nomina della Reggenza anche cinque cittadini non appartenenti al Consiglio Grande e Generale, uscito dalle elezioni di settembre. I nomi di questi cinque, sono suggeriti da Giuliano Gozi, il Mussolini di San Marino, che pone anche se stesso nella lista.
Il provvedimento passa alla storia come il "patto di pacificazione cittadina" che, negli intenti, doveva risolvere tutti i guai di San Marino. Gli avvenimenti successivi daranno ragione a quanti erano contrari. Non si tratta soltanto di critiche postume, ma di polemiche che divisero allora il fronte antifascista sammarinese, tra coloro che accettavano il patto e chi invece rifiutava, come Gasperoni, "qualsiasi compromesso con il fascismo".
Per neutralizzare i fascisti, puntualizza Bigi, "sarebbe stato necessario che San Marino disponesse di corpi armati agguerriti ed efficienti, mentre avevamo solo i fucili da caccia".
La "pacificazione" favorì unicamente i capi del disciolto regime fascista che furono messi "al riparo di qualsiasi rischio penale per le responsabilità assunte nel Ventennio", ci dice Cristoforo Buscarini.
Il patto, si legge nel verbale dello stesso 28 ottobre 1943, era nato dalla volontà di giungere ad una tregua "nelle competizioni di parte al fine di fronteggiare, da sammarinesi, la triste situazione". Si auspicava così che non si ripetessero quei "dolorosi fatti" come l'arresto degli antifascisti il 5 ottobre, "fatti che hanno turbato la pace cittadina".
In pratica, però, si premiava la violenza fascista che s'era dimostrata un abile grimaldello per far rientrare nel governo della Repubblica, personaggi usciti di scena dopo la caduta del regime, il 28 luglio.
Questo particolare aspetto non sfuggiva ai partigiani riminesi 'sfollati' a San Marino, come Angelo Galluzzi, secondo il quale il comportamento dei cittadini della Repubblica era "decisamente, favorevole ai nazisti e ai fascisti".
Per tradurre in pratica l'accordo con Rommel e rispettare il "patto di pacificazione", il 20 dicembre 1943, come "contentino verso l'esterno" per calmare i tedeschi (dice Bigi), fu approvata una legge che comminava una condanna sino a 10 anni per chi prestasse in qualsiasi modo aiuto a prigionieri di guerra, militari disertori (gli 'sbandati') e partigiani.
Fu un cedimento ai tedeschi? Bigi sostiene di no, perchè "non si deve dimenticare che San Marino ha ospitato e salvaguardato Comitati di Liberazione al completo, numerosissimi antifascisti ed ebrei, numerosi militari alleati, un numero enorme di disertori italiani, oltre i centomila profughi".
I primi a violare il patto di pacificazione saranno i repubblichini, con il ferimento del dott. Alvaro Casali, il 6 febbraio 1944. Gli spareranno al cuore, ma non lo uccideranno. Sbagliarono mira per due soli centimetri.

Il ritorno di Balducci
Con il patto del 28 ottobre, viene richiamato in patria il dott. Ezio Balducci, a cui sono affidati i difficili compiti di Ministro plenipotenziario ed Inviato straordinario presso gli Stati belligeranti. Si trovava in esilio. Nel 1934, i fratelli Gozi, per liberarsi di lui, lo avevano accusato di "complotto contro lo Stato", e fatto condannare a venti anni di lavori pubblici.
Sul processo contro Balducci, presentiamo parte di un documento, "La Repubblica in gramaglie", dell'avv. Ferruccio Martelli che fu assieme allo stesso Balducci tra i condannati.
Il 26 marzo '34, giorno in cui fu emessa la sentenza sul famigerato "complotto", resterà "come uno dei più vergognosi degli ultimi dieci anni di storia nel nostro Paese", come un disonore per la Repubblica, scrive Martelli. "A San Marino la giustizia è morta": "solo in tristissime epoche può capitare di vedere, in un processo, svilupparsi tanto artificio, tanta impudenza, tanta malafede".
Non prove ma falsificazioni hanno guidato la giustizia, soltanto per "mettere gli avversari fuori causa". "La sentenza di questo processo rimarrà nella storia di San Marino bollata a lettere di fuoco, quale documento di perfidia ed infamia", concludeva l'avv. Martelli, da Roma, il 10 aprile 1934.

24. Gozi accusa Tacchi
Il partito fascista repubblichino di San Marino viene costituito il 4 gennaio 1944. Giuliano Gozi ne assume la segreteria, più che per stare a galla, per non rimanere il solo capro espiatorio della situazione. "Calcolo non errato", spiega Bigi, come si vedrà nel dopoguerra.
E nel dopoguerra, Gozi si giustificherà: "Lo feci per evitare incursioni ed aggressioni di fascisti italiani a San Marino", secondo quanto riporta Montemaggi.
E' un'autodifesa, ma nello stesso tempo una grave accusa verso i repubblichini riminesi di Tacchi.


Schede.

1. Il Consiglio di Stato
Il Consiglio Grande e Generale uscito dalle elezioni del 5 settembre 1943, decide il 28 ottobre dello stesso anno di delegare temporaneamente i propri poteri ad un Consiglio di Stato formato da venti persone. Gli intenti sono quelli di una generale riconciliazione.
La deliberazione viene presa a causa "della gravità della situazione in cui si trova il Paese e dei pericoli che lo sovrastano".
Fanno parte del Consiglio di Stato, i Capitani Reggenti pro tempore, l'Inviato Straordinario Ezio Balducci, i due Segretari di Stato agli Affari interni e a quelli esteri, dieci consiglieri e cinque membri nominati dalla Reggenza tra cittadini non appartenenti al Consiglio.
Secondo Clara Boscaglia, da un cui brano citiamo, "in questo modo con saggia intuizione il Consiglio di Stato divenne maggiormente l'espressione delle tendenze democratiche emerse vittoriose nella consultazione del 5 settembre 1943 ma potè anche giovarsi, attraverso le nomine reggenziali, dell'apporto di appartenenti al disciolto Partito Fascista, apporto ritenuto indispensabile in quelle circostanze che vedevano San Marino circondata dalla Repubblica Sociale Italiana e stretta da vicino dai Comandi delle forze di occupazione del III Reich".
(Da un testo di C. Boscaglia apparso nell'annuario XIII, anno scolastico 1977-78, delle Scuole medie sammarinesi, pp. 56-63).


2. Rommel
Il 25 ottobre 1943, Erwin Rommel è a San Marino. E' un personaggio già famoso, in quei giorni.
Nato nel 1891, combattente nella prima guerra mondiale, dopo aver aderito al nazismo, compie una fortunata carriera militare grazie alle sue originali teorie sull'impiego dei carri armati.
Nella seconda guerra mondiale, combatte in Polonia e in Francia, poi (1941) viene posto a capo dell'Afrika Korps in Libia. Qui rivelò grandi doti di strategia, conquistando Tobruk e spingendosi fino ad El-Alamein. Quest'ultima impresa gli valse il titolo di feldmaresciallo.
Ma la lunga avanzata, determinando un allontanamento dalle basi, consentì la controffensiva del maresciallo inglese Montgomery, che lo costrinse a una sia pur abile ritirata in Tunisia (1942).
Rimpatriato, combattè in Italia ed in Normandia, dove rimase gravemente ferito. Sospettato (pur essendo ancora degente), di partecipazione all'attentato del 20 luglio 1944 contro Hitler, si uccise per evitare il processo.
(Dal "Dizionario dei personaggi storici", Zanichelli, 1971).
Il generale Eisenhower su Rommel dette "un giudizio poco benevolo, affermando che scappò velocemente dalla Tunisia per mettere in salvo la pelle".
Secondo Domenico Bartoli, noto giornalista scomparso di recente, Rommel fu "uno dei grandi generali, aveva capito l'essenza della guerra moderna, pagando di persona e utilizzando fino alle estreme conseguenze le armi di cui disponeva".
Per il colonnello delle SS Eugenio Dollmann, "Rommel era un uomo molto duro... Non era uno stratega e la sua gloria l'hanno creata i tedeschi". Inoltre, non capiva nulla della mentalità italiana: "Per lui l'Italia era un libro sigillato".
(Da Enzo Biagi, "1943 e dintorni", Mondadori, 1983).
Quando si reca a San Marino, "Rommel non andava d'accordo col collega, feldmaresciallo Albert Kesserling... Il disaccordo era in fase acuta. Rommel voleva abbandonare l'Italia peninsulare e impostare le difese del Terzo Reich proprio sulla 'Linea degli Appennini' - con San Marino come punto cruciale della sua linea difensiva. Kesserling voleva invece difendersi lungo tutta la penisola, logorando i nemici anglo-americani metro per metro...". (A. Montemaggi, "San Marino nella bufera", cit., p. 21).
Ecco perchè quella di Rommel a San Marino non è una pura "visita di cortesia", ma piuttosto un'ispezione militare.
Quel giorno sul Titano, Rommel dopo il colloquio con gli esponenti della Repubblica, visitò il Palazzo del Governo. Ricorda F. Bigi: "All'atto della firma Rommel mi passò, per meglio firmare, il suo bastone di Feldmaresciallo, che io impugnai per tutto il tempo del giro nella Sala del Consiglio Grande e Generale e del Consiglio dei XII. Sarebbe stato simpatico il ricordo fotografico della giornata: una Capitano di San Marino con in mano il bastone di un Feldmaresciallo tedesco! Purtroppo a quei tempi non ci si preoccupava di documentarsi". (Dal cit. volume di B. Ghigi, "San Marino 1943-44", p. 82).

[Questo testo è apparso sul settimanale «il Ponte» di Rimini, nel n. 10 del 18.3.1990, quinto articolo della serie “I giorni dell’ira”.
Al precedente articolo della serie:
28 luglio 1943, San Marino volta pagina]



Indice Rimini 150

Antonio Montanari

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