Rimini 150. In poche parole
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Tra Rimini e San Marino 1943-1944


28 luglio 1943, San Marino volta pagina
Denudati dalle SS
Alle 17 circa del 29 agosto 1944, fra Montelicciano e San Marino, a 200 metri dal confine della Repubblica, viene ucciso un russo aggregato all'esercito germanico, "mentre con una carretta unitamente ad un militare tedesco, andava in perlustrazione nelle varie case per inventariare o procurare gli alloggi alla truppa che stava ripiegando dal fronte delle Marche".
Il racconto è di Guerrino Maiani, uno degli arrestati per rappresaglia dalle truppe naziste: "In colonna, a piedi dalle Capanne, sotto una scorta siamo stati portati ai Monti di Montelicciano, sull'aia del contadino Temeroli", dov'era stato ucciso il russo.
"Siamo stati messi contro un muro. Sull'aia, distesi per terra, con i fucili puntati addosso c'era già un altro gruppo di rastrellati italiani mentre la casa di Temeroli bruciava, incendiata dalle truppe tedesche (...). I soldati erano tutti schierati con le armi in mano pronti a sparare".
Un altro rastrellato, l'anziano Erminio Podeschi, lo rimandano indietro, dicendogli: "Tu vecchio vai a casa e quando sai che ci sono i ribelli vieni a dirlo a noi al Comando di Montegrimano".
"A piedi, passando per i calanchi, siamo stati portati ai bagni di Meleto" su di un camion aperto, e "abbiamo raggiunto Montegrimano". Così Guerrino Maiani. Suo fratello Giuseppe prosegue: "Portati nei locali del Comune... ci hanno costretto a spogliarci...": per tre giorni, restano "nudi come quando nostra madre ci mise al mondo". E nudi li mandano a prendere l'acqua nella fontana pubblica, nella piazza del paese.

Il perché della clemenza
Nella notte tra il 31 agosto ed il 1° settembre, i tedeschi hanno ucciso, a furia di botte, i due partigiani torturati nel 'carcere' di Montegrimano, Renato Parlanti (22 anni) e Mario Galli (30). Erano stati "catturati armati in una zona liberata dagli inglesi", come aveva confessato a Giuseppe Maiani lo stesso Parlanti.
Maiani aggiunge un particolare: durante il ritorno a San Marino, il 4 settembre, "siamo ripassati dai bagni di Meleto e lì ci ha investito un irrespirabile fetore di cadaveri in decomposizione. Dopo il passaggio del fronte venimmo a sapere che nel fosso di quella località erano stati trovati i corpi di Parlanti e Galli ammazzati dai tedeschi".
Perchè i nazisti avevano 'graziato' il gruppo degli arrestati il 29 agosto? Il Comando germanico era consapevole "che la fucilazione di innocenti cittadini sammarinesi, in quanto sudditi di uno stato neutrale, avrebbe suscitato non poche proteste diplomatiche", sostiene Francesco Balsimelli. Del fatto, avrebbe poi approfittato inevitabilmente la propaganda alleata. Infine, conclude Balsimelli, "a Montegrimano cominciavano ad arrivare le granate alleate".
Come gli episodi finora ricostruiti (dal delitto Paolini alle retate sul Titano), anche questa vicenda mette in luce gli stretti collegamenti esistenti tra la storia di San Marino e quella italiana, nel periodo 1943-44.
Da San Marino partono spedizioni punitive in territorio italiano, guidate dal repubblichino Marino Fattori. A San Marino approdano spavalderie e bravate delle brigate nere riminesi, comandate da Paolo Tacchi.
Sono fatti in apparenza confusi ed ambigui. Ma che, come il delitto Paolini, dimostrano l'esistenza di legami di collaborazione tra fascisti ed SS, sui quali si è spesso taciuto, per dimostrare che i repubblichini erano in stato di sudditanza nei confronti dei tedeschi, considerati gli unici responsabili di tutto.
L'attentato di Serravalle a Tacchi (cap. 8), si collega ad una strategia del terrore messa in atto dai fascisti riminesi, con rappresaglie e violenze in territorio sammarinese.
Più confuse ed ambigue dei fatti stessi, appaiono poi certe ricostruzioni storiche che non hanno tenuto conto della successione degli episodi. Tra i quali passa un "sottilissimo ed invisibile filo" che si dipana pure all'interno della Repubblica di San Marino.
Per meglio comprendere il senso degli avvenimenti narrati, è necessario perciò ricostruire la vita politica sul Titano, dal luglio '43 al 20 settembre '44, giorno in cui gli alleati raggiunsero l'antica Terra della Libertà.
Furono i mesi in cui il leggendario principio della Libertà, sancito dal Santo fondatore e poi concretamente vissuto e testimoniato attraverso i secoli, corse gravi rischi di ripetute violazioni.
Fu il tempo in cui San Marino dovette di continuo fronteggiare i fascisti locali, i repubblichini italiani e quei tedeschi che avevano l'intenzione di diventare anche gli occupanti del Monte Titano.
Le pagine che seguono non sono la "solita storia" sui giorni drammatici della guerra. Esprimono piuttosto un tentativo di rileggere momenti del tutto ignorati (anche in storie 'ufficiali' di San Marino), o ricostruiti secondo ottiche preconcette e parziali, attraverso censure di testimonianze e travisamenti.
C'è infine un motivo ideale che ci accompagna, riassumibile in recenti parole del cardinale di Parigi, Jean-Marie Lustiger: "Bisogna avere il coraggio di confessare e di riconoscere le piaghe e le ferite dell'uomo malato, spogliarle dei cenci vergognosi con i quali si cerca di mascherarle. Se non si conosce il male, se non lo si riconosce, come si può guarirlo?".

L'interrogatorio
Dalla loro cella, i prigionieri ascoltano le torture inflitte dai tedeschi a due partigiani, Renato Parlanti e Mario Galli. Poi vengono interrogati "con due pistole puntate alla tempia, un fucile al petto", precisa Giuseppe Maiani: "Volevano sapere se noi conoscevamo i ribelli" della banda Stacciarini, "e chi aveva ucciso il tedesco. L'interrogatorio veniva di tanto in tanto interrotto da botte; durò circa un'ora".
La banda prendeva nome da Antonio Stacciarini, un giovane, figlio di un "gerarca fascista bastonatore", e lui stesso ex sergente della Milizia.
Il governo di San Marino interviene subito presso le SS. Spiega Federico Bigi: "Trovai sempre un'estrema durezza nelle trattative da parte del Comando tedesco" che esigeva che almeno dieci persone fossero fucilate per rappresaglia. "Quel comandante arrivò a prospettarmi una soluzione veramente terrificante... la consegna da parte mia di dieci italiani scelti a mio piacimento fra i rifugiati di San Marino", in cambio della libertà per il gruppo arrestato il 29 agosto.
Bigi riesce ad ottenere la consegna di tutti i prigionieri senza contropartita, e li fa trasferire nel carcere della Rocca, "per ragioni di sicurezza nel timore che venissero nuovamente arrestati o prelevati". E' il 4 settembre.

"Cambieremo il ritratto"
Quando la sera del 25 luglio 1943 alle 22.45 la Radio italiana annunciò la caduta di Mussolini, all'albergo Titano (noto covo dei fascisti sammarinesi), si svolgeva la solita partita a poker dei capi locali. Il segretario di Stato Giuliano Gozi "rimase tranquillissimo", mentre suo fratello Manlio (segretario del pfs) "fu colto da emozione".
Ricorda Federico Bigi che da Roma arrivò una telefonata del console sammarinese: Badoglio è nostro amico, non c'è nulla da temere. "La serata si chiuse con questo commento umoristico di Giuliano Gozi: 'Allora vorrà dire che a Palazzo al posto del duce metteremo il ritratto del maresciallo Badoglio'.
C'era poco da ridere, per la verità. Anche San Marino stava per cambiare aria. Ma non senza traumi. Anzi, la Repubblica dovrà vivere momenti assai dolorosi.
"L'ora della resa dei conti era giunta anche per questi parodianti buffoni, e vani risultarono gli espedienti posti in atto il giorno 26 luglio, colla pubblicazione di un manifesto della Reggenza del tempo, in cui alle suadenti e fraterne raccomandazioni di calma e disciplina, si aggiungevano minacce di applicare con rigore le leggi contro coloro che intendessero turbare l'ordine pubblico. Non mancava il pistolotto in elogio al Maresciallo Badoglio che lo si considerava un caldo amico della Repubblica. Questa ostentata premessa che mascherava una latente paura, non servì che a prolungare di poche ore la vita dell'infausto regime": è una testimonianza del dottor Alvaro Casali.
Gli antifascisti locali si riunirono subito a Rimini, il pomeriggio del 26, nell'ambulatorio dello stesso dott. Casali, un socialista che nel '40 era stato costretto ad emigrare in Francia, da dove era tornato dopo l'occupazione tedesca, aprendo due studi, uno a Borgo ed uno a Rimini.
Da quell'incontro, nasce il progetto di una manifestazione popolare che si tiene il 28 luglio al Teatro del Borgo, alla presenza di una folla strabocchevole.
La vedova del dott. Casali, Antonia Amadei, ricorda che da Borgomaggiore gli antifascisti in corteo salirono al Palazzo della Reggenza, "per chiedere le dimissioni del Governo e lo scioglimento del Consiglio fascista".
Il giorno prima, 27 luglio, era stato sciolto il partito fascista sammarinese. Nella riunione del 26 a Rimini, era nato il "Comitato per la libertà" che il 27 tiene una seconda riunione "nella quale si decise di rompere ogni indugio e di passar la sera stessa all'azione, soprattutto perchè nella stessa mattina i fascisti di San Marino avevano assunto un atteggiamento di sfida ed avevano promesso, siccome il loro vecchio sistema, bastonate e piombo ai loro oppositori", si legge in un numero unico del Comitato stesso, edito il 3 settembre, con il titolo "28 luglio".
"La notte non si dormì", prosegue il foglio: "Giovani vibranti d'entusiasmo e di fede s'irradiarono per ogni frazione della Repubblica, chiamando a raccolta il popolo alla riscossa...". All'alba del 28, "una folla, forse non mai adunata nel nostro paese", invase "le anguste vie del Borgo, raggiante di sole e di gioia".

Campane a festa
Il comizio di Borgo fu presieduto da Francesco Balsimelli che poi guidò il corteo assieme all'avv. Teodoro Lonfernini e ad Alvaro Casali.
"Si svolsero lunghe trattative dei dimostranti con i Capitani Reggenti che infine decretarono lo scioglimento del governo. A mezzogiorno fu costituito un governo provvisorio di venti membri, che nel pomeriggio fu poi allargato a trenta. Tra i quali mi ritrovai anch'io, ventitrenne", spiega Federico Bigi, noto esponente democristiano.
Suonarono a festa tutte le campane. Alla testa del corteo c'erano le bande musicali, racconta una cronaca del tempo, dove si legge anche che i fascisti sammarinesi si erano illusi di tenere il potere pure dopo il crollo di Mussolini.
Chi erano gli uomini del fascio sul Titano? "Praticamente... un unico personaggio con i suoi famigliari riassumeva tutti i poteri effettivi. Si tratta di Giuliano Gozi, al quale non si perdona d'esser stato accentratore assolutista, despota, segretario al Ministero degli Interni; egli assunse anche quello degli Esteri, vale a dire l'intero Gabinetto sammarinese che si compone appunto di due soli Ministri", prosegue quella cronaca.
Come un dittatore, "S.E. Gozi nominò vice cancelliere un suo cugino, Enrichetto Gozi, e Segretario del partito fascista sammarinese il fratello Manlio".
Il primo agosto, il "Comitato per la libertà" creato dall'assemblea del 28 luglio, esulta: "... E' caduta la tirannia che per oltre un ventennio ha deviato la Repubblica dal suo millenario cammino". I cittadini sono invitati "a mantenere quell'attitudine di calma che è lo spettacolo più grande che possa dare un popolo offeso nelle proprie prerogative ma sicuro del proprio diritto".
Il 10 agosto, lo stesso Comitato cancella tutti i provvedimenti presi dal governo sammarinese tra il primo aprile 1923 ed il 27 luglio 1943; ne destituisce i vecchi componenti; nomina un Sindacato straordinario "che indaghi sulle responsabilità politiche e amministrative di tutti gli esponenti del governo e del partito fascista ed applichi le eventuali sanzioni a norma di legge"; ed invita la repubblica a girare pagina: non più arbitrii, abusi, privilegi, immunità, connivenze "create da un regime dispotico e incontrollato".
Il 5 settembre, vengono convocati i Comizi elettorali a lista unica per i sessanta componenti del Consiglio Grande e Generale che, nella prima seduta del 16 settembre ascoltano il discorso dell'anziano leader socialista Gino Giacomini che il fascismo aveva mandato esule a Roma: "Noi non abbiamo nè vendette da compiere nè collere da sfogare. Esse sarebbero una meschinità e una degradazione indegna di noi e della nostra Terra".
Ci si affidava ad una "giustizia alta e serena" che accertasse "le responsabilità del malgoverno, che ha trascinato il Paese a tante funeste contingenze".
Sembrava che il peggio fosse passato per sempre. Invece doveva ancora venire. Il 5 ottobre 1943, un reparto di SS con tre autoblinde entra in territorio sammarinese, guidato dai fascisti del luogo, per arrestare gli esponenti più rappresentativi del "Comitato per la libertà" e per "abbattere il Governo Democratico sorto dalla caduta del fascismo", come narrerà Alvaro Casali in una sua "Memoria storica".
Le SS erano state chiamate dai repubblichini riminesi.

SCHEDE
1. Dal 1923 al 1943

Il fascismo a San Marino. "Dal 1923 al 1943 rimane al potere un governo che sarebbe forse errato definire governo fascista in senso stretto ma che meglio può essere denominato governo di fascisti, in quanto, a differenza di ciò che si verificò in Italia, a San Marino il fascismo non si inserì nella costituzione e nella legislazione, che non subirono modificazioni sostanziali".
Così Federico Bigi nel suo "Pagine sammarinesi", Garattoni, Rimini, 1963, pag. 20.
"Il fenomeno fascista sammarinese, in talune sue manifestazioni", precisa Bigi alla nota n. 3 della stessa pagina, "appare come lo strumento di rivincita del ceto aristocratico che uscì sconfitto dall'Arengo del 1906".

2. La banda Stacciarini

Aprile '44. A Montegrimano si forma il primo gruppo di partigiani. Fra i più attivi ci sono Elio Fabbri e Duilio Paolini. Il nucleo si limita a rimediare qualche arma. Il comando viene affidato ad Antonio Stacciarini, originario di Montemaggio, ex sergente della Milizia e figlio di un manganellatore fascista. Di lui, però, non ci si fida pienamente, per i precedenti personali e paterni: Paolini dà credito alla sua buona fede, ma lo fa seguire attentamente da Francesco (Popo) Penserini. A Paolini è dato l'incarico di Commissario politico. Il gruppo compie qualche sparatoria a scopo intimidatorio, senza mai arrivare ad azioni di qualche rilievo.
A giugno, il nucleo partigiano di Montegrimano deve congiungersi con il distaccamento "Montefeltro" della quinta brigata Garibaldi "Pesaro". Nella trasferta verso l'interno, incontra i fascisti, e si sbanda: ognuno vaga fra monti e fossi fino alla Liberazione.
Nei primi mesi del '44, era giunto nella zona un gruppo di dodici perseguitati mantovani, fuggiti di casa. In luglio, i tedeschi li arrestano: di quelle persone, si perderà ogni traccia: "Chi li ha traditi?... Mistero; non è il primo, né sarà l'ultimo".
Il 10 luglio, a Montegrimano e a Meleto, su segnalazione dei fascisti, i tedeschi rastrellano una dozzina di persone, deportandole in Germania: "non direttamente partigiani, sono antifascisti". Il 12 luglio c'è l'episodio di Duilio Paolini: i fascisti lo torturano, lui forse muore subito. Il suo corpo non sarà mai ritrovato. Anche lui è vittima di una spiata dei repubblichini.
In quei momenti, "qualche fascista-di Montegrimano e di San Marino" prendeva nota di quanto accadeva.
(Da "Per non dimenticare", di Sandro Severi).
Le SS ammisero che nei rapporti dei propri informatori, c'erano anche delle "deformazioni". Quelle deformazioni volute dalle spie italiane, costarono la vita a qualche persona. Come nel caso del sarto di Montelicciano, Duilio Paolini, il cui ruolo era del tutto marginale.

Bibliografia essenziale.
Sono tratte dal più volte citato volume di B. Ghigi su "San Marino 1943-1944", le testimonianze di Guerrino e Giuseppe Maiani (p. 159) e F. Bigi (84). La "Memoria storica" di A. Casali è nello stesso Ghigi (p. 220). Cfr. poi A. Casali, "Lungo cammino di un popolo sulla strada della libertà", Bramante ed., Urbino, 1970 (p. 131).
Il giornale "28 luglio" è in Ghigi. Così pure la cronaca giornalistica, ivi riprodotta senza altre indicazioni. Il discorso di Giacomini è nel cit. Montemaggi, "San Marino nella bufera", p. 84.
Di S. Bertoldi, cfr. "Salò", Bur, 1978, p. 14.
Dobbiamo all'Anpi di Pesaro le notizie biografiche su Mario Galli (nato a S. Angelo in Vado il 30.3.1914) e Renato Parlanti (Carpegna, 21.2.22), e la precisazione sugli arrestati del 29 agosto.
Su quest'ultimo episodio, nella terza puntata abbiamo scritto che gli arrestati erano dieci secondo Balsimelli, dodici secondo Bigi e quindici secondo Guerrino Maiani. Ma nell'elenco di Maiani (nel cit. Ghigi), c'è un errore di stampa, per cui con l'aggiunta di una virgola, si sale a 16 persone. Guerrino Maiani, in una dichiarazione inviata all'Anpi di Pesaro il 20.6.1982, parla di 18 persone (tra cui sei italiani). Tra loro, una donna, Maria Giorgi che ricorda però pure una seconda ragazza italiana arrestata con lei, per cui si arriverebbe ad un totale di 19 persone (di cui sette italiani). Il nome di questa seconda ragazza non è nell'elenco ricordato. Dove invece sono inseriti Mario Galli e Renato Parlanti che non furono arrestati a Montegrimano il 29 agosto, ma mentre erano di pattuglia con gli inglesi nelle campagne di S. Angelo in Vado, per un'imboscata tedesca "che aveva tutto il sapore di una soffiata abbastanza precisa", scrive Sandro Severi in "Per non dimenticare", opuscolo edito dal Comune di Montegrimano nel settembre 1982.
L'intervista al card. Lustiger è nella "Stampa" del 5.9.1989.

[Questo testo è apparso sul settimanale «il Ponte» di Rimini, nel n. 8 del 4.3.1990, quarto articolo della serie “I giorni dell’ira”]



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Antonio Montanari

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