Riministoria© Antonio Montanari

PLEBE BRIGANTI RIBELLI

La Romagna nel 1796-97 e l'invasione di Napoleone Bonaparte

di Antonio Montanari

Un'opera inedita in versione integrale

Capitolo quarto: Politica e religione

 4. 1 Il Vangelo secondo Parigi

La Giunta di Difesa il 17 marzo si era rivolta a tutto il clero perché non cessasse di predicare "quelle massime di ubbidienza e subordinazione, su cui è appoggiato il Vangelo", e non gettasse "la fiaccola della discordia in mezzo ad un popolo buono per sua natura, ma che, riscaldato da falsi princìpi, potrebbe abbandonarsi in preda ai più fatali eccessi".

Il sillogismo della Giunta di Difesa è chiaro: se il popolo non fosse rimasto pacifico seguendo quel proprio istinto (che sembra pescato dagli scritti di Giangiacomo Rousseau), gli unici colpevoli sarebbero stati considerati gli ecclesiastici, ai quali si ricorda con commovente slancio la massima evangelica di non confondere Dio con Cesare. Ovviamente i signori della Giunta di Difesa sapevano che loro, per primi, avrebbero dovuto applicare e rispettare quella massima: ma questo è uno di quei piccoli particolari che nelle rivoluzioni non contano. Il "buon ordine pubblico" e la "privata tranqullità" dipendevano esclusivamente dalla correttezza del clero nell’applicare quella massima: "Allora gli uomini fraternizzeranno per intimo sentimento; agli odi personali, alle rivalità di famiglia succederanno la pace, l’armonia così delle idee come de’ cuori" [GZ]. I parroci debbono promulgare dall’altare gli editti del nuovo Governo "affinché per tal mezzo s’insinui più facilmente nei Popoli l’impegno di seguirli": non tutti i sacerdoti accettano di buon grado l’imposizione, come testimonia il sollecito a don Giulio Piastra parroco di Monte Colombo, al quale si fa presente che "dette promulgazioni" hanno per oggetto "il buon costume, ed il più salutare regolamento" della vita pubblica. [AP 511, 2.5.1797]

Il potere politico tiene per Cesare anche quello che non gli spetta: al parroco di Meleto la Municipalità di Rimini fa sapere che è "opportuno, che il Giovine Sacerdote Don Nicola Floridi […] si abiliti al Ministero di Cappellano", e che "in tutti i giorni festivi, e di concorso [della folla] assista alla Chiesa, ed al Confessionale il Sacerdote provetto Don Sebastiano Tenti di Monte Gridolfo".

Al sacerdote Giammaria Innocenti Parroco da trent'anni di Santa Maria del Mare, con quello che lui chiama uno "sporco maneggio" ed una "diabolica trama", i francesi tolgono "il più bel fiore" dei fedeli, cioè la popolazione del porto canale, 1.500 anime, "che gli rendeva il necessario sostentamento", per favorire l’"avido" prete Miche Turchi, "Capellano Curato di San Giuliano malveduto in quel sito, poi quasi discacciato per le sue ottime qualità". Contro don Innocenti, come scriverà lui stesso in tempi più tranquilli attraverso un pubblico proclama [FGSR] diretto al vescovo, hanno tramato i sostenitori riminesi del "maledetto Governo" francese, come Lodovico Belmonte e l'"Arciprete Eruditissimo" Giuseppe Vannucci, insegnante di Filosofia al Seminario, divenuto celebre per aver sostenuto nell’87 che non era "una irreligiosità spiegare fisicamente il terremoto" dell'anno prima, non essendo esso "uno speciale castigo di Dio" come da molti sostenuto. Per queste opinioni si era conquistato la fama, a detta dello stesso Lodovico Belmonte, di "Uomo Filosofo de’ nostri giorni". Il vescovo Ferretti è stato costretto a subire le insidie del potere politico ed a precettare verbalmente l'«afflitto Pastore» don Innocenti che si dipinge «di un naturale dolcissimo, umile e senza fiele, che lasciasi vincere da un picciol urto».
Il vescovo con un suo editto è costretto a diminuire il numero delle feste religiose: per la sola città, a Rimini si salva la ricorrenza della Comprotettrice Santa Colomba, che cade nell'ultimo giorno dell'anno, «non ostante fosse tra le ridotte» [AP 511, 9.5.1797]. Il potere politico mette naso anche all'interno delle cattedrali: quando la Municipalità interviene alle «sagre funzioni», il vescovo deve disporre ancora del suo trono? Rimini interpella Faenza che risponde inviando «copia del Cerimoniale convenuto» con quel vescovo, da cui si ricava la «notizia della provisionale sussistenza del suo Trono» [AP 511, 9 e 16.5.1797].
Il vescovo con un suo editto è costretto a diminuire il numero delle feste religiose: per la sola città, a Rimini si salva la ricorrenza della Comprotettrice Santa Colomba, che cade nell'ultimo giorno dell'anno, «non ostante fosse tra le ridotte» [AP 511, 9.5.1797]. Il potere politico mette naso anche all'interno delle cattedrali: quando la Municipalità interviene alle «sagre funzioni», il vescovo deve disporre ancora del suo trono? Rimini interpella Faenza che risponde inviando «copia del Cerimoniale convenuto» con quel vescovo, da cui si ricava la «notizia della provisionale sussistenza del suo Trono» [AP 511, 9 e 16.5.1797].

 

 

4.2 La figura di mons. Ferretti

Alla fine di gennaio ’97 la Municipalità di Rimini ha indirizzato al vescovo un "Pro-Memoria" per chiedere di rendere meno rigida l’osservanza della Quaresima. Ma mons. Ferretti non ha fatto fa in tempo a studiare il problema ed a stilare una risposta. Il 2 febbraio, assieme al Governatore Luigi Brosi, come abbiamo già scritto, egli se ne è scappato dalla città per evitare brutti incontri. La Municipalità, desiderosa di mantenere buoni rapporti con il potere spirituale, dopo l’instaurazione del "Governo Francese" cerca di ottenere una decisione in merito dall’arcivescovo di Ravenna, attraverso Daniele Felici Cappello che faceva parte dell’Amministrazione Centrale.

Sia il "Pro-Memoria" diretto a mons. Ferretti sia la lettera per Felici Cappello contengono utili notizie economiche: con il vescovo, si parla della "penuria e mala qualità dell’olio, de’ salumi, e degli altri erbaggi dall’uso de’ quali è sentimento de’ Medici […] che possa vieppiù deteriorarsi la salute medesima" [AP 502]. Con Felici Cappello si aggiunge un accenno alle "straordinarie afflittive circostanze" (cioè l’invasione con tutto ciò che comportava sul piano dei rifornimenti per le truppe), ed alla "somma penuria specialmente dell’Oglio [sic]" [AP 502, 12.2.1797]. Prima di ritornare a Rimini la mattina del 13 aprile, mons. Ferretti ha cercato un contatto con la sua Municipalità, la quale il 7 aprile [AP 502] gli spedisce questo messaggio: "Se la nostra Città non ha avuta nessuna parte nella sua fuga, e se, come la sua lettera asserisce, il solo timore di aver disgustato i Francesi, le ha fatto adottare questa mal’augurata risoluzione, non è a noi, ma a Loro, ch’Ella deve diriggersi pel suo ritorno in Rimini Se l’aver alloggiato il Padre [Carlo] Altieri, ed il Generale Colli sono i veri, e soli motivi di disgusto, ch’Ella crede di aver recato alla Nazion Francese, non le sarà difficile placarla, e di ottenere in conseguenza e il passaporto, e la permission del ritorno. Noi non abbiamo né per l’uno, né per l’altro oggetto né mezzi, né autorità". [Il generale Colli è colui che, come si ricorderà, aveva guidato alla disfatta l’esercito papalino: con lui era fuggito a Roma il poeta Bertòla.]

Questa lettera spiega che il rientro del vescovo nella sua città avvenne dopo un patteggiamento diplomatico, confermato dalla successiva missiva inviata a Ferretti dalla stessa Municipalità riminese il 18 aprile [AP 502], in risposta al suo "cortese avviso" di notifica del ritorno: "Abbiamo tutta la compiacenza che il Generale Francese vi abbia restituito alla vostra Greggia". Zanotti non conosceva tutto il retroscena, perché scriveva che Ferretti "finalmente affidato sulla parola di un Ufficiale di primo rango fece secretamente ritorno alla sua sede". Ai repubblicani d’Oltralpe dovevano essere senz’altro note, attraverso le informazione fornitegli da quelli locali, che il vescovo Ferretti anche in passato non aveva amato la loro politica ("alieno dal corrente sistema democratico", lo definisce Zanotti). L’8 settembre 1792, aveva firmato un’ordinanza per indire pubbliche orazioni, poi utilizzata come introduzione alle Preghiere da recitarsi la mattina e la sera per implorare il Divino Ajuto nelle presenti calamità dalla Francia, pubblicate in tre successive edizioni.

Mons. Ferretti, come ha scritto Romolo Comandini ["Atteggiamenti", p. 117], fu "un attore o uno spettatore angosciato" di tutti gli eventi succedutisi dal 1779, anno del suo arrivo a Rimini come vescovo, in avanti. Nel ’92 in città giunsero, secondo quanto riferisce Zanotti, una trentina di preti francesi costretti ad emigrare perché non avevano voluto accettare l’obbligo di giuramento: sono i cosiddetti "refrattari" che, aggiunge Comandini [ib., p. 131], permisero "al clero locale di essere informato con ricchezza di particolari su quanto era accaduto e stava accadendo in Francia". Per due settimane, dal 9 al 22 dicembre ’92, venne indetto da mons. Ferretti, in esecuzione degli ordini di Pio VI, un giubileo straordinario, sempre per invocare il divino aiuto nei pericoli che alla Chiesa derivavano dalla turbolenze francesi.

Finché non giunsero le truppe francesi nel ’97, a Rimini "l’opposizione alla Rivoluzione fu sempre platonica e preferì manifestarsi con anatemi dai pulpiti, ricorrenti celebrazioni di riti propiziatori, e composizioni poetiche a non finire, ovviamente maledicenti alla Francia", precisa Comandini [ib., p. 133]: "negli anni compresi fra il 1792 e il 1797 in quel di Rimini non si ha sentore della presenza fra il clero di spiriti illuminati, capaci di analizzare con occhio critico la situazione; di rendersi conto, in altri termine, della natura del male, onde avvisare i rimedi" [ib., p. 134].

Ritorniamo al ’97. Il nuovo potere si dimostra soddisfatto dello "zelo del maggior numero di que’ Parrochi i quali uniformandosi alla massime della nostra Santa Religione insinuano ai popoli sentimenti di Pazienza, di Subordinazione, e di Obbedienza alle Leggi, e alle Autorità Costituite". Tuttavia esistono altri sacerdoti, "particolarmente della Campagna" che diffondono fra il popolo "sentimenti equivoci, o sediziosi con pericolo di veder turbata quella Pace, che con tanto studio la Municipalità procurava di mantener dentro, e fuori del suo Dipartimento" [AP 503, 14.3.1797]. La Municipalità, pur avendo i "fondamenti per procedere contro di questi" se ne asteneva, per "battere fino agli estremi la via della dolcezza": "in mancanza del Vescovo", essa si era rivolta al Cittadino pro vicario generale, incaricandolo di "inculcare con tutti i mezzi a lui possibili […] a tutti i Parrochi, e Vicarj Foranei di raccomandar dall’Altare la Pace, la Tranquillità e l’Ubbidienza alle Leggi, ricordando loro che i disubbidienti" sarebbero stati "severamente puniti cime turbatori della pubblica quiete". Si cita poi l’arcivescovo ravennate che ne dava "de’ frequenti esempi con delle Pastorali che di quando va spargendo per tutto il suo Popolo".

Contemporaneamente, al "Cittadino Abate Bonadrata di Scolca" si scrive: "Non si voleva meno della stima, che la Municipalità professa al Cittadino Bonadrata Abate di Scolca per trattenerla dal procedere a vista contro alcuni de’ suoi Religiosi forastieri, i quali dimentichi del loro dovere osano spargere nel Popolo della campagna massime sediziose, e contrarie al nuovo ordine stabilito. Spera però la Municipalità, che questo semplice avviso amichevole sarà piucché sufficiente a far sì, che il Cittadino Abate usi tutte le possibili diligenze, perché i suoi Religiosi si conduchino con quella prudenza, e saviezza, che il loro carattere, e le attuali circostanze richiedono, per non farsi essa responsabile di quel turbamento, che potesse recare alla pubblica tranquillità il contegno irregolare, e imprudente de’ medesimi" [AP 503].

Su dichiarata sollecitazione del Governo, mons. Ferretti il 16 maggio pubblica un proclama "al suo clero della città, e diocesi": "La Messe del Signore a Noi affidata, Fratelli carissimi, viene a restar priva di alcuni Operaj, che ne vanno lontani. […] Noi pertanto di esortiamo […] ad eccitare in voi stessi un vero spirito apostolico, e a porvi in una doppia attività nel procurare il culto di Dio, e la santificazione dei Popoli. […] Iddio Signore infiammi di santo zelo il cuor vostro, e v’infonda coraggio, e grazia, onde adoperare nel vostro ministero secondo la divina sua volontà" [FGSR].

 

 

 

4.3. "È piaciuto al potentissimo Iddio…"

In ossequio alle ordinanze del nuovo potere, i nostri vescovi debbono inneggiare alle libertà costituzionali. Mons. Ferretti firma il 20 dicembre 1797 [FGSR] una lettera pastorale (diffusa a stampa) che riproduciamo in parte: "Io non vorrei, Figli carissimi, che i nomi di Libertà e di Eguaglianza, i quali sì spesso van risuonando alle vostre orecchie, v’ingerissero delle sinistre impressioni, per le quali poi angustiati, ed oppresi, veniste a perdere quella pace tranquilla, che abita al presente ne’ vostri cuori". Per conservare tale pace il vescovo ha ritenuto suo "preciso dovere" di scrivere al suo popolo, ricordando anzitutto "essere Iddio l’arbitro assoluto delle umane vicende, le quali stanno tutte in mano del suo consiglio, e ch’egli è quello, che cambia a suo talento i tempi e le età, e trasferisce i Regni e gl’Imperi, come a Lui piace, senza che possa veruno opporsi alla sua volontà".

"Ora è piaciuto appunto a questo Potentissimo Iddio di trasferci in un momento da un monarchico ad un repubblicano governo": tutto qui, sembra dire mons. Ferretti, impossibilitato a spiegare meglio il suo concetto. "Chiniamo umilmente il capo e adoriamo riverenti la sua Provvidenza sempre ammirabile, e sempre giusta. Anzi con ilarità di spirito", aggiunge, "abbracciamo quel che Dio ha disposto". Non si deve pensare che la religione dipenda da alcun potere politico. Quindi ogni mutamento che esso subisca, non influirà per nulla sulla vita della fede. C’è poi la garanzia che anche il nuovo governo "democratico" manterrà inviolabile l’esercizio del culto. Per questo al popolo non debbono risultare "disaggredevoli" i nomi di libertà e di uguaglianza: "Intendeteli saviamente, e meriteranno la vostra compiacenza. Voi siete liberi, perché in vostro potere sta l’operare tutto quello che non si oppone alle leggi divine, e umane". Tra tutti i cittadini vi è "eguaglianza", perché "la Legge non guarda i vani titoli, ma riconosce e distingue la sola Virtù".

"V’è in questa Libertà, ed Eguaglianza un Apice che non sia conforme al Vangelo? Pensate forse che la Libertà, e l’Eguaglianza del presente Democratico Governo v’abbia recato quasi un Salvacondotto, per darvi in preda impunemente ai vizj ed al libertinaggio? Un vangeggiar di tal fatta sarebbe indegno non solo di un Cattolico, ma anche d’ogni Essere ragionevole". Il governo vuole "Cittadini utili alla Repubblica". Il risultato si può raggiungere rispettando la "vera Virtù che conserva il pubblico bene", e ci rende tutti amici e fratelli. "Portate pur fissi altamente nell’animo tai sentimenti", scrive il vescovo, "e riuscirete non meno buoni Cattolici, che Cittadini benemeriti della Repubblica". Ricordando che il nostro Dio "è il Dio della Pace, non delle discordie", Ferretti conclude: "Tenete queste discordie lontane da voi e dalle vostre famiglie, e sottomettetevi di buon grado al Governo della Cisalpina Repubblica, riconosciuto ancor formalmente dal vostro antico sovrano. Così comanda Iddio, così v’ingiunge la Religione".

Dunque, obbedienza assoluta ai nuovi padroni. Mons. Ferretti sapeva che chi non sottostava ai loro ordini, se la passava male. Il 17 ottobre il vescovo di Sarsina mons. Nicola Casali è stato mandato al confino in Forte Urbano, per comportamento antirepubblicano. Qualche mese prima era stato dichiarato "fuggitivo" dal Commissario di Polizia del Dipartimento del Rubicone, Cittadino Moreschi, al quale era stato detto che mons. Casali era giunto a Rimini: in verità si era trasferito a Ravenna, come la nostra Municipalità comunicò allo stesso Commissario [AS 24, 20 e 25.3.1797].

Il Cittadino Moreschi il 6 aprile [AS 24] aveva fatto osservare alla Municiplità riminese "che il Cittadino Vescovo [Ferretti] tiene ancora davanti al suo Palazzo una Marmorea Palizzata guarnita da doppie catene, che chiudono l’ingresso, quando tutti gli altri Cittadini ànno già demolito questi obbrobriosi privilegi, che il cessato Governo accordava à suoi nobili schiavi. Il Vescovo è un Cittadino come tutti gli altri, né Voi dovete soffrire più a lungo, ch’Egli tenga questi distintivi ingiuriosi, ed ingrati alla vista dei buoni Repubblicani". Un altro argomento è trattato nella stessa lettera del 6 aprile: "Io avrei anche amato", aggiunge Moreschi, "che fossero state sospese le Processioni delle quarantore, e delle visite ai Sepolcri, ma chi lo poteva eseguire, non si è curato di farlo. Ora non è più tempo; ma sarà bene di abbandonare gli antichi pregiudizi, e bandire l’ostentazione Religiosa. Le sole Chiese son fatte per il Culto, e non le Piazze, e le Strade. Ivi è il centro dell’orazione; quando mostrata in pubblico corre rischio d’essere profanata, e derisa. Il Tempio è la sola Casa di Dio, ed in conseguenza il solo Luogo, ove il Popolo deve prestare il proprio culto alla Religione".

Il giorno successivo [AS 24], lo stesso Commissario scrive alla Municiplità riminese: "Perché il Cittadino Vescovo non abbia a dolersi dell’atterramento de’ suoi Fittoni, e Catene, io v’invito a far immediatemnte levare lo stemma della Comune cinto di Reale Corona, che sta pubblicamente appeso alla Torre dell’Orologio sulla Piazza di S. Antonio, e a far levare ancora l’altro che esiste sul Muro del Convento di S. Chiara in contrada del Mal passo. Vi compiacerete altresì di far cancellare dalla pubblica Fontana le insegne di Pastorali, e Triregni di cui trovasi ornata, facendovi demolire l'iscrizioni dei Papi, che più non dobbiamo ricordare. Il Cittadino Vescovo non avrà egli motivo di lamentarsi, e di tacciar per ingiusti i nostri ordini".
Il Comitato Municipale di Polizia ha scritto a Moreschi che il vescovo Ferretti si ostina a farsi chiamare "reverendissimo". Moreschi difende Ferretti: "Le ragioni, ch'Egli introduce per sostenrerlo sono troppo persuadenti. Non così per l'Illustrissimo, che dice di aver lasciato sin dal nascere della Repubblica. Questa distinzione è troppo ragionevole, e convincente. L'Illustrissimo, che dice di aver lasciato sin dal nascere della Repubblica. Questa distinzione è troppo ragionevole, e convincente. L’Illustrissimo è un nome abolito dalle Leggi della Democrazia, né conviene ad alcuno; ma il Reverendissimo è il titolo proprio d’un Vescovo, che non significa distinzione di Casato, ma unicamente la sua dignità puramente spirituale come Capo della Diocesi, e Superiore a tutti i Ministri del Culto Cattolico".

Il 6 ottobre [FGSR] i parroci erano stati obbligati a promulgare le "provvide misure del Governo" per l’arruolamento popolare. Il 24 novembre era apparso il "proclama" sulla elezioni dei parroci da parte dei cittadini. Il 16 dicembre il Direttorio Esecutivo dell’Emilia da Cesena informato le autorità costituite che è proibito loro di "intervenire alle Feste Religiose in abito di Funzionari Pubblici". Nello stesso tempo si garantisce "una perfetta tolleranza di tutte le religioni". Il governo vigilava attentamente su "alcuni Preti male intenzionati, e perfidi, associatisi ai nemici dell’umanità", che cercavano "con false nuove di allarmare, ed ingannare la buona fede del Popolo, di corrompere l’opinione pubblica, e d’intorbidare la pace, e il buon ordine". A costoro ci si rivolge: "Oh! Voi, che vi chiamate Ministri di un Dio di Pace, ponete fine una volta alle vostre cabale, ed ai vostri raggiri. Rientrate ne’ doveri, che la natura , l’umanità, e la Religione vi preservano" [ZS, 1.6.1797]. Ai religiosi era stato proibito di fare questue in campagna, eccettuando i "Religiosi Mendicanti non possidenti, ben inteso però che siano dell’Emilia" [ZS, 24.6.1797]. L’8 febbraio il vescovo di Forlì, deprecando l’uccisione di alcuni soldati francesi, aveva predicato "sommissione, e ubbidienza agli ordini della Potenza che comanda". Il 25 dicembre il vescovo di Imola, cardinale Barnaba Gregorio Chiaramonti scrive nella sua celebre lettera pastorale: "La forma di Governo Democratico addottata fra di Noi" non "ripugna al Vangelo". Napoleone, anziché serbargli gratitudine, nel 1809 farà arrestare Chiaramonti, divenuto nel frattempo papa con il nome di Pio VII, quale successore di quel Pio Vi morto nel 1799 in prigionia nella Francia, madre della "Libertà" rivoluzionaria.

 

 

4.4. In nome della Beata Vergine

Alla voce "Guerra" del suo Dizionario filosofico, Voltaire scrive che "la religione naturale ha mille volte proibito ai cittadini di commettere delitti", mentre la "religione artificiale incoraggia invece tutte quelle crudeltà che si commettono per volontà comune: congiure, sedizioni, brigantaggi, imboscate, colpi di mano sulle città, saccheggi, assasinii". Il brano di Voltaire, al si là della distinzione tra una felice "religione naturale" ed una terribile "religione artificiale", c’interessa semplicemente per un’affermazione realistica su cui non possono esistere dubbi, che viene subito dopo, nella quale egli osserva: "Ciascuno marcia allegramente verso il delitto sotto lo stendardo del suo santo".

Gli eventi del ’97 richiamano questa pagina: pure in quel momento i valori ed i simboli religiosi vennero strumentalizzati. Un documento della Municipalità cesenate alla Giunta di Difesa [Atlante, pp. 127-128] ci racconta che alcuni masnadieri prendevano "possesso de’ paesi conquistati, in nome del Papa", mentre altri che non volevano "sentir parlare né di papa, né di repubblica", sembravano "avere in mira di erigersi in sovranità indipendente". "Tutti però gl’individui delle due bande", prosegue quel testo, "professano la più alta divozione alla Beata Vergine, di cui portano l’immagine nel cappello, e in nome della quale assassinano piamente quelli che credono di contrario partito". Queste opposte bande continueranno a confrontarsi fino al ’99. Il 4 luglio di quell’anno mons Ferretti comunicherà questa lettera al clero ed ai fedeli: "È piaciuto finalmente al Clementissimo IDDIO donatore d’ogni bene estendere anche sopra di Noi la sua Misericordia. Essendosi le Armi imperiali impossessate di questa nostra Città, e Diocesi, siamo ora posti sotto il glorioso Governo della Cesarea Regia Apostolica Maestà dell’Immortale FRANCESCO SECONDO Imperatore de’ Romani, e Protettore invitto della nostra Cattolica Religione".

 

Avvertenza al lettore

 

Questo nostro scritto realizza soltanto in parte il progetto iniziale da cui esso è nato, e che avrebbe voluto ‘coprire’ tutto il cosiddetto trienni rivoluzionario, dal 1796 al ’99. L’abbondanza dei documenti ed un’inattesa complessità di collegamento tra una serie molteplice di temi ai quali essi si collegavano, ci ha suggerito di limitare nello spazio l’estensione del discorso, per tentare un più preciso approfondimento dell’argomento prescelto.

Ecco perché la nostra storia s’interrompe alla primavera del ’97, con una veloce puntata alla fine di quell’anno, nella quarta parte, a proposito del vescovo di Rimini mons. Ferretti e delle omelie ‘democratiche’ imposte dai francesi. Il periodo preso in esame è, però, qualcosa di autonomo rispetto a tutto il trienno. I momenti successivi, per unanime giudizio storiografico, hanno altre caratteristiche che si potranno eventualmente esaminare in un successivo lavoro.

Ci interessava non tanto affrontare i "massimo sistemi" del periodo qui trattato, quanto raccontare gli eventi attraverso i documenti originali ed in gran parte inediti: anche chi vorrà discutere sui grandi principi, anziché sui piccoli fatti, potrà forse trovare qualche notizia utile. La complessità dei temi, di cui si è detto, è verificabile attraverso le teorie che sono state formulate per interpretare quegli stessi eventi. Ognuno cerca di usarli per tirar l’acqua al proprio mulino. A noi interessava esporre una cronaca che poi è subito diventata storia. L’ultima parte, relativa ai rapporti fra il potere politico e quello religioso, è costituita soltanto da una serie di veloci spunti: il problema è uno dei più controversi, non sempre le fonti sono esplorate spassionatamente, e troppo spesso si inventa quello che non c’è per dimostrare la propria tesi, ricorrendo magari ad esempi di lontani paesi europei.

L’accenno finale alle opposte fazione che, per poter fare i propri comodi, ricorrevano alla stessa immagine religiosa della Madonna come distintivo ‘politico’, può confermarci nell’idea di come ogni realtà sia sommamente ambigua; e come, di conseguenza, sia molto complesso e difficile tentare di raccontarla. Anche il problema religioso meriterebbe ulteriori approfondimenti, per esempio, allo scopo di analizzare più a fondo i legami tra fede, cultura e politica, seguendo l’esempio che incontriamo negli studi, fondamentali, di Romolo Comandini, alla cui memoria vogliamo dedicare queste nostre pagine.

Rimini, 25 maggio 1999

(Versione informatica generale, 22 febbraio 2000. Revisione infomatica della pagina, 31.12.2013.)

Vai 

Cap. 1. L’invasione del 1796

Cap. 2. L’occupazione del 1797

Cap. 3. I "sollevati montanari"

Per le sigle e la nota bibliografica

All'indice * Per il Rimino * Posta

Questo è l'unico sito con pagine aggiornate sull'Accademia dei Filopatridi e sul Centro studi intestato a Giovanni Cristofano Amaduzzi di Savignano sul Rubicone: Storia dell'Accademia dei Filopatridi, notizie sull'Accademia. Centro amaduzziano.

© riministoria - il rimino - antonio montanari - rimini - 31.12.2013