Compagni, Bakunin ha avuto ragione , il
comunismo centralista Marxista è fallito,di conseguenza
basta con l'attuale dirigenza
italo-europea della sinistra che cambia i nomi ,ma non il suo
essere "centralista burocratico".
Rinnoviamoci in un comunismo federalista
per una Europa dei popoli e non degli stati
“...la
necessità di distruggere l'influenza d’ogni dispotismo in
Europa, mediante l'applicazione del diritto d’ogni popolo,
grande o piccolo, debole o potente, civile o non civile, di
disporre di se stesso e di organizzare spontaneamente, dal
basso in alto, attraverso la via di una completa libertà,
al di fuori d’ogni influenza e d’ogni pretesa politica o
diplomatica, indipendentemente da ogni forma di stato,
imposta dall'alto in basso, da un’autorità qualunque, sia
collettiva, sia individuale, sia indigena, sia straniera, e
non accettando per basi e per leggi che i principi della
democrazia socialista, della giustizia e solidarietà
internazionali”.
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Michail
Bakunin |
Michail Bakunin
(30/5/1814- 1/7/1876)
Il maggior rappresentante del movimento
anarchico internazionale nell’Ottocento e, allo stesso tempo, il
primo agitatore che cercò di dare una giustificazione teorica alla
sua azione rivoluzionaria è stato Michail Bakunin, nato in Russia
(a Tver, l’odierna Kalinin) nel 1814. La sua vita si svolse
prevalentemente in Occidente (in Svizzera, in Francia ed in
Italia), alla cui cultura si era formato studiando la filosofia
tedesca particolarmente di Fichte e di Hegel. Il pensiero di
Bakunin, apparentemente privo di sistematicità, è in realtà
caratterizzato da una forte coesione intorno ad alcune tesi
fondamentali: la
liberazione totale dell’uomo attraverso l’abolizione dello stato,
il rifiuto di qualunque socialismo di stato, la valorizzazione di
quelle forze sociali che il processo d’industrializzazione tendeva
ad emarginare. L’opera principale nella quale ha
trovato espressione il suo pensiero è “Stato e anarchia”
pubblicata in russo nel 1873, alla quale si devono aggiungere le
lunghe lettere indirizzate agli amici e i numerosi opuscoli che
venne componendo per le esigenze dell’azione rivoluzionaria,
scritti in lingue (il francese o il tedesco) che non erano la sua
e pubblicati occasionalmente.Nei suoi scritti Bakunin prende
decisamente posizione contro Mazzini il cui rivoluzionarismo, alla
metà dell’Ottocento, non faceva più paura ai governanti
europei. Di Mazzini non condivide la concezione teocratica
dello stato, la “teologia politica” che pone al suo centro lo
“Stato-Chiesa”, per usare le parole dell’anarchico russo: per
Bakunin l’impegno di un vero rivoluzionario non deve proporsi la
riforma o la separazione delle due istituzioni, ma la loro
abolizione. Anche il dissenso con Marx ha
trovato ampia espressione negli scritti di Bakunin, secondo il
quale il nucleo centrale del pensiero marxiano sta nella conquista
dello stato, nella centralizzazione del potere per emancipare il
proletariato (ma anche l’accusa per il sostegno di Marx per
l’unificazione della Germania sotto la guida dei
socialdemocratici). Significativo è quanto scrisse ai compagni
italiani nel gennaio del 1872: “Marx è un
comunista autoritario e centralista. Egli vuole ciò che noi
vogliamo: il trionfo completo dell'eguaglianza economica e
sociale, però, nello stato e attraverso la potenza dello Stato,
attraverso la dittatura di un governo molto forte e per così dire
dispotico, cioè attraverso la negazione della
libertà”. Ciò che lo divide da Marx, quindi, è la
concezione decisamente pessimistica che egli ha dello stato,
fondato esclusivamente sul principio d’autorità, concepito come
oppressione dell’uomo, identificato con quelle strutture
repressive (la polizia, la magistratura, il carcere, l’esercito)
che, nell’Ottocento, la borghesia capitalistica utilizzava per
imporre il proprio dominio di classe al proletariato. Lo stato, sostenne per tutta la sua vita
Bakunin, dovunque sia presente e in qualunque forma istituzionale
operi (borghese, socialista o comunista), non è altro che
“sinonimo di costrizione, di dominazione attraverso la forza,
camuffata se possibile, ma, al bisogno, brutale e nuda”.Per attuare pienamente la sua
libertà, l’uomo non ha altra via che la lotta a fondo contro lo
stato e contro quella che, secondo Bakunin, ne è la prima
conseguenza: la proprietà privata ereditaria (mentre può essere
consentita la proprietà privata non trasmissibile
ereditariamente). Una vera rivoluzione deve porre termine
definitivamente a quello stato d’assoggettamento in cui sono
vissute fino ad oggi le masse popolari, sempre guidate dall’alto
“metafisicamente” (cioè per quanto concerne la visione della vita)
dalla religione, politicamente dal governo, psicologicamente dalle
leggi ed economicamente tramite la ricchezza e la proprietà. Lo
stato è contrario alla natura dell’uomo, che è un essere sociale e
non può fare a meno di vivere in società, ma senza alcun bisogno
di una struttura statale, che non è altro che tirannia ed
oppressione. Combattendo lo stato, Bakunin ovviamente prende
posizione anche contro la chiesa e la religione in tutte le loro
manifestazioni, considerandole oppressive ed autoritarie allo
stesso modo, se non in misura peggiore. La società futura a cui
l’uomo approderà è descritta da Bakunin in termini ottimistici,
che mostrano chiaramente quale influenza egli abbia subito da
parte degli utopisti a lui precedenti di qualche decennio. In
questo senso giunse a proporre una modificazione delle risoluzioni
del Congresso Internazionale dei Lavoratori di Ginevra, del 1866
sostenendo, “la necessità di distruggere
l'influenza d’ogni dispotismo in Europa, mediante l'applicazione
del diritto d’ogni popolo, grande o piccolo, debole o potente,
civile o non civile, di disporre di se stesso e di organizzare
spontaneamente, dal basso in alto, attraverso la via di una
completa libertà, al di fuori d’ogni influenza e d’ogni pretesa
politica o diplomatica, indipendentemente da ogni forma di stato,
imposta dall'alto in basso, da un’autorità qualunque, sia
collettiva, sia individuale, sia indigena, sia straniera, e non
accettando per basi e per leggi che i principi della democrazia
socialista, della giustizia e solidarietà internazionali”. Bakunin
non ha sentito l’esigenza, presente invece in Marx, di
approfondire i concetti di classe e di capitalismo come produttore
o condizionatore della condizione d’oppressione e sfruttamento in
cui l’uomo vive. Infatti per lui è lo stato la causa
principale d'ogni forma di oppressione e di tirannia, per cui il
capitalismo non è altro che lo strumento di cui questo ente
superiore, burocratizzato e gerarchizzato, si serve per attuare i
suoi disegni. Sono queste le
considerazioni che portano Bakunin a guardare più che alla classe
operaia, nel senso marxiano del termine, alle masse popolari:
invece di agire sul proletariato, che si serve della lotta di
classe, egli propone di trasformare lo stato usando la violenza
del sottoproletariato e quindi di rinviare ad un momento
successivo l’attuazione di quei mutamenti sociali da cui scaturirà
la società anarchico-egualitaria.
Al centralismo
soffocante e burocratico, nato con l’assolutismo e affermatosi
ovunque con la rivoluzione francese, Bakunin
contrappone il comune popolare, dove il cittadino ha la
possibilità di manifestare il proprio patriottismo,
identificandosi col libero sviluppo della collettività di cui fa
parte. A loro volta i comuni si riuniscono in una libera
federazione su scala regionale e in seguito le regioni si uniranno
in una federazione ancora più ampia, che, al limite, potrà
estendersi a tutta l’umanità.
Per queste idee federalistiche Bakunin è influenzato dal pensiero
di Proudhon, con il quale condivide la convinzione che per questa
via l’umanità possa garantirsi non solo il progresso, l’armonia e
la solidarietà, ma anche la pace. Le tesi libertarie di Bakunin
comportano un’ulteriore conseguenza: il rifiuto
dell’organizzazione politica dei lavoratori, pur nel
riconoscimento della necessità di muoversi entro il movimento
operaio. Per questo Bakunin propone di lasciare all’azione
spontanea dei lavoratori la possibilità di agire in senso
rivoluzionario, usufruendo della violenza e dello sciopero
politico e facendo leva sugli strati più miseri della
popolazione. La guida delle masse popolari deve essere
assunta da una ristretta minoranza di rivoluzionari, interamente
dediti alla causa anarchica e impegnati totalmente nella lotta per
abbattere l’attuale ordinamento politico. In questo modo
Bakunin anticipava la tesi bolscevica, sostenuta da Lenin, che
rese possibile il successo della rivoluzione in Russia
nell’ottobre del 1917. Bakunin aveva molta fiducia nei contadini,
che sono portati naturalmente al federalismo e
all’antiautoritarismo. Per questo raccolse proseliti, più che in
mezzo al proletariato operaio, in mezzo al sottoproletariato delle
campagne, composto da braccianti e da lavoratori precari e
stagionali, cui affidava, specie in paesi arretrati economicamente
e socialmente come la Spagna e l’Italia, il compito di guida
rivoluzionaria. Gli
obiettivi a cui la rivoluzione deve tendere sono riassumibili, per
Bakunin, nell’emancipazione universale, che consisterà nella
liberazione dal bisogno, nell’eguaglianza economico-sociale di
tutti gli uomini e nella libertà politica. Quest’ultima però
non deve essere confusa con la libertà politica borghese, che in
realtà per il proletariato è schiavitù ed oppressione, ma deve
essere identificata con “la grande libertà umana che, distruggendo
tutte le catene dogmatiche, metafisiche, politiche e giuridiche,
da cui tutto il mondo è oggi oppresso, restituirà a tutti,
collettività quanto individui, la piena autonomia dei loro
movimenti e del loro sviluppo, liberati per sempre da tutti gli
ispettori, direttori e tutori”. L’anarchismo bakuniniano si
affermò nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, in
particolare in Italia e in Spagna, e costituì la principale
corrente di pensiero che disputò al marxismo la guida del
movimento operaio nella seconda metà del secolo scorso.
(Testo preso da vari siti di internet)
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