La Storia di Massimo: Capitolo 98
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Nei successivi
diciotto mesi, l’imperatore e il generale combatterono battaglie originate
dalla fatale decisione di Marco Aurelio d’inviare il suo stimato generale in
territorio nemico, per risolvere quella che era sembrata una disputa di
secondaria importanza in un insignificante avamposto romano. L’episodio era
stato il catalizzatore che aveva sprofondato la regione settentrionale in una
sequela di brutali battaglie per il territorio e le differenze culturali.
Massimo non aveva più fatto ritorno all’accampamento base a Bonna, dopo la sua
fuga dall’avamposto. Dopo che i guerrieri catti che lo inseguivano erano stati
completamente sconfitti, era rimasto in piedi a capo chino e con lo sguardo
abbassato, mentre veniva rimproverato pubblicamente da Marco per aver messo a
repentaglio la propria vita per salvare il suo cavallo. Quando Massimo chiese
umilmente il perdono dell’imperatore fu trascinato in un accorato abbraccio, il
viso inumidito di Marco premuto contro quello del suo generale, il fragile
corpo dell’uomo anziano scosso da tremiti, le nocche nodose sbianchite dove
stringevano il braccio e il collo dell’uomo più giovane, ed egli implorò il
perdono del suo generale, innanzitutto per averlo inviato in una missione
talmente pericolosa e mutevole. Tutti gli uomini della Felix III ricordarono di
essere stati rimproverati dai loro padri in preda all’ira generata dalla paura
e dal sollievo, dopo esser stati salvati dall’orlo del disastro. Non v’era dubbio sull’amore e il rispetto
reciproci condivisi da quei due uomini.
Massimo rimase al fronte guidando una battaglia dopo l’altra nelle fitte
foreste di pini, mentre il suo imperatore ritornava al campo base e invano
tentava di negoziare la pace con le tribù riunite di Catti, Marcomanni e Cadi.
Nel momento stesso in cui sembrava che l’ultima battaglia fosse vinta, nuovi
conflitti scaturivano altrove e il generale e le legioni del luogo convergevano
in quella zona, sostenuti dagli onnipresenti ed instancabili uomini della Felix
III.
Fu solo nell’estate del 179 che Massimo riportò una vittoria così decisiva che
i germanici si ritirarono a leccarsi le ferite e a riordinare i ranghi,
concedendo al generale una breve tregua a Bonna. Non vedeva l’ora di rivedere
Lucio ed Asellio e di scoprire che cosa ne fosse di Freyda. Era anche ansioso
di leggere le lettere della moglie, che si erano andate accumulando in sua
assenza, e sapeva che lei sarebbe stata fuori di sé dalla preoccupazione per la
mancanza di risposta. Anche i suoi uomini avevano bisogno di una pausa dagli
scontri, per quanto breve, perciò gli affaticati soldati della Felix III
rientrarono a Bonna a passo di marcia in un afoso pomeriggio di luglio, pronti
a trascorrere un periodo di profondo rilassamento.
Alcuni dei suoi uomini rimasero appartati con le loro famiglie mentre altri
scelsero di passare le notti bevendo, facendo baldoria e andando a donne. A
Massimo non importava come sceglievano di rigenerarsi, finché fossero stati
pronti a tornare all’assetto di battaglia con il minimo preavviso.
Massimo, invece, sedeva da solo nella sua tenda, la luce della lampada tenuta
smorzata, a non illuminare niente al di là del suo viso, delle mani e dello
scrittoio, ignorando persino le zanzare gementi attratte dalla fiamma e dalla
sua pelle esposta. Preferiva così quando leggeva le lettere di Olivia, perché
la tenda in ombra lo aiutava a chiudere all’esterno la Germania e ad
immaginare, per un’oretta, che era a casa in Ispania e che l’indomani avrebbe
coltivato un campo e giocato con suo figlio e abbracciato sua moglie, piuttosto
che vedere ancora e ancora dolore e morte. Voleva costruire, non distruggere.
Voleva favorire la vita, non generare la morte. Le lettere di Olivia lo
aiutavano a tenere in piedi quel sogno in Ispania ed egli assaporava ogni
parola, leggendole e rileggendole fino a che quasi le conosceva a memoria.
Voleva un altro bambino, lo desiderava tanto che ogni singolo osso del corpo
gli doleva per lo struggimento. Aveva sperato di ricevere la notizia di
un’altra gravidanza, dopo che Olivia aveva trascorso tanti mesi in Germania con
lui, ma non vi era stato alcun messaggio e nessuna gioiosa celebrazione per la
nascita di un terzo figlio. Non aveva sollevato l’argomento in nessuna delle
sue lettere perché era sicuro che Olivia fosse delusa quanto lui. Si era
domandato, quando le lettere di lei erano cessate per un po’ di tempo due anni
prima, se ella avesse avuto un aborto, ma lei gli aveva assicurato il
contrario. Massimo sapeva che Olivia era rimasta molto scossa da quanto era
accaduto in Germania e supponeva che ella tenesse per sé i dettagli angustianti
della propria vita per evitare di aggiungerli alla preoccupazione di lui,
proprio come lui faceva con lei. Ma questo lo induceva a cercare di leggere fra
le righe delle lettere di lei, tentando d’indovinare che cosa ci fosse di non
detto, anche se il tono delle sue ultime lettere era positivo e rassicurante.
Ella accludeva le immagini del loro figlio, che stava crescendo con una
velocità stupefacente. Diceva che Marco era felice e in buona salute, ma gli
mancava moltissimo il suo papà. Olivia allegava perfino qualche rudimentale
disegno che il bambino aveva fatto. Uno era di Massimo, ed egli scoppiò a
ridere forte quando si vide attraverso gli occhi di suo figlio: tutto mantello,
pelliccia, barba ed occhi, con un sorriso grande e idiota e le braccia rigonfie
di muscoli. Uno dei suoi stalloni gli stava vicino, una figura tutta stecchini
in verità, ed era molto più piccolo del suo importante papà. Dopo avere
studiato ogni minuscolo particolare delle illustrazioni, Massimo le legò in un
involto che avrebbe aggiunto alla sua collezione quando fosse tornato a
Vindobona.
L’unico lato negativo della lettura delle lettere era la costante richiesta da
parte di Olivia d’informazioni su quando sarebbe tornato casa. Egli cercava di
rimarcare che ci sarebbe voluto del tempo… forse non prima della stagione della
mietitura… anche se sapeva che sarebbe stato impossibile. Erano trascorsi quasi
due anni e mezzo da quando aveva visto la sua famiglia per l’ultima volta e
desiderava lasciare alla moglie una certa speranza che presto sarebbe stato di
nuovo con lei. Aveva nostalgia di casa... si struggeva per la moglie ed il
figlio... ed il dolore fu ancora più intenso quando andò in visita da Lucio e
dalla sua famiglia.
Lucio si era sistemato nel villaggio di Bonna con Erika ed i loro quattro
bambini. E avevano avuto una nuova aggiunta alla loro famiglia. Era Asellio,
adesso, il loro figlio più grande ed egli era rifiorito nell’atmosfera
amorevole di quella loro casetta affollata. Massimo aveva predisposto per Lucio
una promozione all’esercito regolare, conteggiando nell’anzianità tutti gli
anni trascorsi in quello ausiliario, e il risultante aumento nella paga lo
aveva aiutato a sistemare la sua famiglia con uno stile di vita semplice, ma
confortevole. Egli agiva da traduttore ufficiale per gli ufficiali
dell’esercito e per tutti i dignitari che visitavano Bonna ed avevano bisogno
dei suoi servizi. Diversamente da Massimo, non si era mai allontanato dalla sua
famiglia per più di poche settimane alla volta.
In quanto a Freyda, non aveva perso tempo ad unirsi ad un gruppo di mercanti
diretto a sud ed era probabilmente vicina a Roma ormai, sempre piena di
risorse, sempre intraprendente.
Una sera, Massimo e Quinto erano a tavola con Asellio, Lucio ed Erika, la loro
figlia più piccola sulle ginocchia della madre. I tre bambini più grandi
avevano già mangiato e stavano giocando rumorosamente lì accanto. Massimo era
completamente rilassato, e si beava delle voci felici dei bambini anche se
causavano fitte di nostalgia al suo cuore. Guardò la bambina in grembo ad
Erika. La piccola, le guance rosee e gli occhi azzurri, aveva una soffice
nuvola di riccioli biondi, chiari come burro, che le incorniciavano il visino
paffuto. Stava seduta con gli occhi spalancati e due ditina in bocca, e
osservava il suo compagno di tavolo più vicino, Quinto. La bimba aveva
allungato una manina esitante verso il legato, ma egli aveva reagito
ritraendosi un po’ dalle sue ditina appiccicose, così ora lei lo stava fissando
con emozioni incerte che le attraversavano velocemente i lineamenti dolci. Non
era sicura se essere impaurita o no da quell’uomo rigido, ma evidentemente
aveva deciso di non aver nulla da temere finché il suo sederino stava sulle
ginocchia di mamma, e i seni di mamma contro la sua schiena.
Tutto fu tranquillo ed allegro fino a che Erika non decise di prendere
dell’altro vino dalla cantina. La donna lanciò un’occhiata alla sedia vuota del
marito, che stava ancora separando due bambini il cui gioco amichevole era
improvvisamente degenerato in una battaglia fisica, e mollò la bambina sul
grembo più vicino, quello di Quinto, prima di darsi da fare a svolgere la sua
commissione.
Sussultando all’improvviso cambiamento di posizione, la bambina sbatté le
palpebre e gli occhi le si spalancarono. Come cambiò la sua espressione, così
anche quella di Massimo cambiò… un lento sogghigno che si diffuse sul viso
mentre guardava Quinto che rigidamente afferrava la bambina sotto le braccine e
la bilanciava sull’orlo estremo delle proprie ginocchia, il più lontano
possibile dal proprio corpo. Quinto non poté vedere l’arrivo dell’esplosione,
ma Massimo sì. All’improvviso, la bimba aprì la bocca e strillò, il visino che
da cremisi si faceva via via color porpora. Completamente confuso, Quinto
scelse di far andar su e giù velocemente le ginocchia, nella speranza di
calmare la piccola, ma riuscì soltanto a farla rimbalzare così forte, da farla
sembrare in groppa ad uno stallone selvaggio che stesse sgroppando. Le sue
strilla diminuirono solo per trarre profondi respiri volti ad alimentare altra
protesta. La stessa faccia di Quinto ora aveva il colore di quella della
bambina.
- Dalla a me, - disse Massimo tendendo le mani, e Quinto non perse tempo nello
scaricare il fagotto urlante, ora rigido come lui per il cruccio.
A quel punto, sia Erika che Lucio erano tornati di corsa alla tavola.
- La prendo io, Massimo, - disse Erika mentre cercava di arrivare alla bambina.
Ma Massimo aveva già deposto la piccola spaventata nella piega del proprio
braccio, tenendola stretta contro il proprio petto, e allontanò Erika con un
cenno della mano.
- Ce la faccio, - sorrise. - Magari tutti i problemi fossero così facili da
risolvere. - Massimo indossava una semplice tunica bianca, e aveva scartato gli
stivali preferendo dei sandali, più freschi; la bambina era saldamente avvolta
nel bozzolo formato dal morbido tessuto molle e dal suo braccio nudo. - Come si
chiama? - chiese mentre la cullava dolcemente, accarezzando con la sua grande
mano i serici riccioli, coprendole quasi del tutto la testolina. Già si era
acquietata, le strilla piagnucolanti mescolate a singhiozzi.
- Isolde, - disse Lucio che osservava Massimo con aria pensosa. - Sembra che
gli piaci.
- E lei piace a me, - rispose Massimo con voce sommessa, consapevole che la sua
voce profonda stava rimbombando nel suo petto, e nell’orecchio di Isolde.
Sembrava, comunque, che la piccola trovasse confortante quella vibrazione e si
rannicchiò ancor più vicino mettendosi un pollice in bocca, finalmente
soddisfatta. Massimo curvò la spalla e spostò la piccola più vicina al suo
viso, seppellendo il naso tra i suoi capelli mentre inspirava a fondo. Erika
sorrise con aria saputa, ma Quinto rimase distaccato. - Mmm, ha un odore
meraviglioso, - sussurrò Massimo. - I bambini hanno un incredibile... odore di
bimbo.
Quinto arricciò il naso.
- No, - disse Massimo irritato. - Non quell’odore. Intendo... - cercò le
parole, - ...un odore di bambino. - Osservò Quinto che sembrava trovare
affascinante la lampada d’olio sulla tavola. - Quinto, la tua Clara non
dovrebbe avere più o meno quest’età? Dovresti tenere Isolde. E’ evidente che
hai bisogno di un po’ di pratica. - Massimo aveva inteso dare alle sue parole
un tono leggermente scherzoso, ma il viso di Quinto s’indurì.
Massimo e Lucio si scambiarono occhiate. La riunione dei tre amici d’infanzia
era stata tesa, a dir poco, malgrado il calore della semplice ospitalità di
Lucio. Per tutta la sera Massimo si era sforzato di capire il suo atteggiamento
distante e si era chiesto se Quinto, l’unico di nascita d’alto ceto, si
ritenesse il meno soddisfatto dei tre. Lucio non aveva realizzato molto nella
sua vita militare, ma l’aveva fatto per la devozione alla sua famiglia numerosa.
Massimo, naturalmente, si era realizzato sia nella vita militare che nella
famiglia adorata. Quinto non aveva raggiunto la posizione desiderata presso
l’esercito né aveva avuto una famiglia, la giovane moglie essendo morta e la
figlioletta che non aveva mai visto lontana a Roma. Quinto stava soffrendo un
acuto malcontento in tutti gli aspetti della propria vita, dedusse Massimo. E
Massimo non sapeva che cosa fare al proposito, e neppure se poteva fare
qualcosa.
Quinto guardò Massimo e la bambina la cui testolina ora era piegata nel sonno.
Per tutta la sera Asellio aveva osservato in silenzio Massimo quasi con
venerazione. Lucio chinandosi aveva avvicinato la testa a quella del generale
un gran numero di volte per scambiare parole confidenziali. Erika si era
affaccendata molto per la comodità di Massimo, il suo cibo e le sue bevande,
come se il suo piacere fosse la cosa più importante della sua vita. Ed ora
Massimo aveva affascinato una bimba urlante, una bambina che era stata contenta
finché lui, Quinto, non l’aveva tenuta. Si alzò in piedi bruscamente.
- Sono stanco. Se mi volete scusare, torno all’accampamento.
Massimo si alzò a metà, stringendo Isolde al petto.
- Quinto… rimani. La notte è ancora giovane.
- Rimani, - fece eco Lucio. - Per favore. Abbiamo molte cose da raccontarci.
Ma Quinto aveva già preso la via della porta.
- Sono stanco, come ho detto. - Riuscì a fare un sorriso privo di vivacità. -
Lucio... Sono sicuro che ti vedrò ancora prima di partire. Mia signora, -
s’inchinò leggermente ad Erika, - molte grazie per avermi accolto nella tua
casa. - Dopo di che uscì in fretta, sottraendosi ad ulteriori inviti.
- Oh, caro, - disse Erika sprofondando
indietro nella sedia. Si volse verso Massimo. - Lo abbiamo offeso in qualche
modo?
Massimo si risistemò Isolde in braccio tornando a sedersi.
- No, - la rassicurò con un sorriso gentile. - Lucio ed io abbiamo cercato per
anni di capire, senza successo, a che cosa vuole arrivare Quinto. Non so di
nessuno che realmente lo capisca.
Lucio versò a Massimo un altro calice di vino e Erika accese qualche lanterna
in più mentre nel piccolo cortile la grigia luce della sera diveniva più scura.
Poi si allontanò facendo sciò ai bambini più piccoli per mandarli a letto.
Asellio rimase a tavola con i due uomini, ancora in silenzio, ancora
sopraffatto dall’uomo accanto a lui. Il ragazzo era sorpreso da quanto
sembrasse più giovane il generale, seduto lì in abiti civili alla tenue luce
della sera, con una bambina in braccio. Sembrava giovane e forte e bello e
rilassato e… avvicinabile. Non indulgente, concluse Asellio… mai indulgente. Ma
decisamente avvicinabile.
Mentre Massimo si portava il calice alle labbra Lucio disse:
- Il benessere emotivo di Quinto non è tua responsabilità, Massimo. Non era mai
felice e probabilmente non lo sarà mai. Aspirerà sempre a qualcosa appena al di
là della sua portata.
- Non mi ritengo responsabile del suo benessere emotivo.
- Sì invece.
- Be’, se lo faccio allora è perché ricopre una posizione importante
all’interno della mia legione e prende decisioni di vita o di morte quando io
non posso esserci. Un uomo insoddisfatto della propria vita non userà il
giudizio migliore in situazioni difficili.
- Allora è un uomo pericoloso, se ha tutto quel potere.
- Lucio, non è così semplice.
- Dimmi questo, Massimo. Se sapessi che morirai domani ed avessi l’opportunità
di scegliere il tuo successore... sarebbe lui?
Massimo distolse lo sguardo dal suo amico, mentre i suoi pensieri tornavano ad
un periodo in cui non si fidava affatto di Quinto.
- No, - disse con semplicità.
- Non è esattamente quello che dovrebbe accadere? Quinto ti dovrebbe
succedere?
- Dovrebbe prendere temporaneamente il mio posto fino a che il mio successore
fosse nominato dall’imperatore. Marco Aurelio è giudice intelligente dei
caratteri, Lucio. Prenderebbe la giusta decisione.
- Fu Marco Aurelio a nominarti generale, signore? - Asellio aveva infine deciso
di unirsi alla conversazione.
Massimo girò la testa e sorrise al ragazzo; gli angoli esterni dei suoi occhi
s’inclinarono in giù e s’incresparono, come sempre quando sorrideva.
- Sì.
- Allora ciò dimostra quello che dici sul fatto che l’imperatore ha un buon
giudizio. - Asellio sorrise timidamente.
Massimo arruffò i capelli del ragazzo poi scherzosamente lo spinse indietro
nella seggiola.
- Sì, non è vero?
Asellio si limitò a ridacchiare.
Ma Lucio non si accontentava così facilmente.
- E se accadesse qualcosa a te ed all’imperatore nello stesso tempo? Potreste
essere uccisi entrambi nella stessa battaglia.
- E se. E se, - Massimo prese in giro Lucio. - E se le montagne si fondessero?
E se nevicasse nel mezzo di luglio? E se l’acqua nel Danubio si trasformasse in
vino?
Lucio arricciò il naso davanti al rifiuto dell’amico di prendere sul serio le
sue preoccupazioni.
Massimo cercò di rabbonire Lucio.
- Ho messo alla prova Quinto lasciandolo per lunghi periodi di tempo al comando
della legione, quando dovevo stare via. Si è comportato in modo
ammirevole.
- Sapeva pure che eri ancora tu il capo, anche se non c’eri. Sapeva che doveva
risponderne a te se avesse fatto qualcosa di incredibilmente stupido. - Lucio
sedeva scomposto, allungò le gambe e incrociò le caviglie. Guardò di sbieco
Massimo. - Mi stai dicendo che ti fidi completamente di lui?
- No, ma ci sono pochi uomini di cui mi fido completamente.
- Io sono uno di loro?
- Sì... diversamente non avremmo avuto questa conversazione. - Massimo si girò
verso Asellio. - Capisci che qualsiasi cosa stiamo dicendo non deve uscire da questa
stanza, figliolo?
- Sissignore, - Asellio annuì vigorosamente, ansioso di compiacere quell’uomo
più di qualunque altra cosa.
Erika ritornò e si avvicinò a Massimo per prendergli la bambina dalle braccia.
- E’ passata da un pezzo l’ora di andare a letto, Massimo.
- Sta dormendo, - protestò lui, detestando cedere la dolce, calda bambina.
Erika si limitò ad alzare un sopracciglio, con le mani sui fianchi ampi.
Massimo baciò con dolcezza i riccioli di Isolde poi la sollevò nelle sue grandi
mani e la consegnò alla madre, mentre un lungo filo argentato di bava dalla
bocca della bambina gli si attaccava alla mano. Massimo semplicemente se la
ripulì sulla tunica, lo sguardo ancora sulla bimba mentre veniva portata via.
- Hai bisogno di andare a casa.
- Mmm? - chiese Massimo, distratto.
- Hai bisogno di andare a casa. - ripeté Lucio, - ... vedere tua moglie e tuo
figlio. E avere altri bambini. Quanto tempo è passato?
- Due anni e mezzo... trenta mesi... centotrenta settimane... moltissimo tempo,
non importa come ne tieni il conto.
- Sai anche quanti giorni ed ore? - sorrise Lucio.
- Sì. - Non c’era umorismo nella risposta di Massimo. Le ore erano
indelebilmente impresse nella mente di Massimo come se fossero state incise
nella pietra.
- E’ troppo tempo, Massimo.
La voce di Erika giunse loro dalla camera da letto, dolce ma ferma.
- Asellio, è ora di andare a letto.
Il ragazzo fece una smorfia, ma augurò la buonanotte e gli fu assicurato che
avrebbe rivisto presto Massimo.
Quando la porta si chiuse dietro il ragazzo Massimo si chinò in avanti e disse
sottovoce:
- Una volta che questa guerra sarà finita, credo che finalmente avremo
stabilità nel nord. Chiederò all’imperatore di congedarmi affinché io possa
tornare a casa… per sempre. Voglio ritirarmi dall’esercito. Ne ho abbastanza di
massacri, mi basteranno per l’eternità.
Lucio posò la mano sopra quella molto più grande di Massimo sul bracciolo della
sua sedia.
- Te lo meriti. Nessun soldato ha mai dato all’esercito più di te. Sono sicuro
che ti lascerà andare.
Massimo annuì, ma distolse lo sguardo, concentrandolo sulla parete, poi le
pietre grigie si fecero indistinte, sfocate. L’imperatore gli avrebbe permesso
di congedarsi? Roma avrebbe mai allentato la sua presa su di lui?
Diario
di Giulia: Conversazione con l’imperatore, Parte II: l’anello degli Antonini
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