La Storia di Massimo: Capitolo 96
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Toc, toc, toc.
Massimo si lamentò e rotolò sul fianco, l’anca e la spalla acciaccate e contuse
dal duro pavimento. Si strinse addosso il mantello tentando di allontanare il freddo,
e seppellì il viso nelle sue pellicce di lupo cercando di attutire il rumore
insopportabile.
Toc, toc, toc.
- Lucio, la smetti? - brontolò Massimo alzando la testa e scrutando verso il
letto.
- Uh, cos…? - disse Lucio con voce nasale, la mente intorpidita dal sonno. -
Smettere cosa?
Toc, toc, toc.
- Questo.
Lucio scattò ritto a sedere, i pochi capelli che aveva completamente in piedi.
- Non sono io, - disse con voce soffocata.
Massimo fu in piedi all’istante.
- Shhh. - Tese il braccio con il palmo della mano in giù, indicando a Lucio di
non muoversi. Lucio obbedì, si tirò le ginocchia al petto e le abbracciò
strette. Lentamente e di soppiatto, Massimo strisciò nella stanza buia, la
spada in mano, in ascolto. Quando raggiunse la porta, girò silenziosamente il
chiavistello poi con violenza la spalancò, pronto ad affrontare l’intruso
sconosciuto. Il vano della porta era vuoto. Allungò il collo e si guardò
intorno. Non c’era nessuno.
Toc, toc, toc.
- Massimo! - sibilò Lucio. - Viene da là. - Indicò un grande armadio di legno
decorato contro la parete di pietra più lontana nei quartieri del generale.
Con un cipiglio incuriosito, Massimo si avvicinò all’armadio e fece scorrere le
mani sulla sua parte anteriore e sui lati. Sembrava solido ed egli non avvertì
vibrazioni o movimenti. Trattenne il respiro e aprì l’anta con prudenza… la
spada sollevata a mezz’aria pronta a colpire. Dentro era vuoto.
TOC, TOC, TOC.
Massimo premette le mani contro la parte posteriore dell’armadio che sembrava
salda anch’essa, poi bussò tre volte sul legno massiccio. Ottenne la risposta
prevista.
- Lucio, accendi una lanterna, per favore. Ci vedo a mala pena. - Massimo
esplorò i bordi del pannello posteriore, premendo con le dita, e infine riuscì
a spostarlo leggermente. Quindi, miracolosamente, esso scivolò di lato con un
gemito stridente e le narici di Massimo furono assalite da un odore d’umido e
muffa.
- Finalmente, era ora! - Freyda sbucò dall’oscurità dietro l’armadio, con una
piccola lanterna che oscillava nella sua mano, e guardò i due uomini confusi.
Massimo immediatamente la spinse da parte ed esaminò la cavità spalancata,
bilanciandosi sulle punte dei piedi, la spada pronta.
Freyda l’osservò da dietro con un certo divertimento.
- Sono sola, - assicurò.
- Perché dovrei crederci? - chiese Massimo, restando in posizione di
combattimento.
- Sono qui per aiutarti, - spiegò lei.
- Perché lo faresti? - rispose sospettoso Massimo, ma l’assenza d’altri intrusi
gli permise di rilassarsi abbastanza da girare la testa e guardarla.
Lei scrollò le spalle con indifferenza.
- Penso di dovertelo.
- Non mi devi niente. Quel che devi alla tua gente, non lo potrai mai ripagare.
- Massimo infine inguainò la spada e guardò direttamente in viso la donna
catti, quindi accennò con la testa verso la nera apertura. - Dove porta?
- Si ramifica in due direzioni. Un passaggio va verso sud in mezzo ai boschi e
l’altro va a nordest.
- E tu come lo sai?
- Quello che va a nord finisce alla baracca di cui ti ho parlato.
- Ed ecco come il generale Pollieno t’incontrava.
- Sì, - rispose lei senza traccia d’imbarazzo. - Originariamente c’era solo il
passaggio verso sud, affinché i soldati potessero fuggire dall’avamposto se
necessario. Il generale fece costruire l’altro ramo per i propri scopi. - Occhi
azzurri sostennero quelli verde-blu, ma Freyda resse arditamente lo sguardo
fisso di Massimo e non evitò i suoi occhi.
- Come faccio a sapere che non ci stai guidando in un’imboscata? - chiese,
ancora molto dubbioso.
- Non puoi. Devi fidarti di me. Inoltre, non hai molte altre scelte e non hai
molto tempo… perciò la tua cavalleria dovrà rimanere qui ed arrangiarsi da
sola. - Massimo zittì Lucio con uno sguardo.
Freyda continuò nel suo modo franco.
- I capi tribù hanno intenzione di ucciderti e poi di lanciare un attacco
organizzato a circa una dozzina di comunità romane della frontiera. Ho
origliato ad una riunione fra mio padre ed altri capi tribù che sono già
arrivati.
Lucio sbiancò, il viso distorto dall’orrore.
- Quanto tempo ho? - chiese Massimo con la stessa calma con cui avrebbe
discusso del tempo.
- Forse un altro giorno, al massimo. I guerrieri stanno ancora arrivando ed i
capi vorranno tutti dire la loro su come torturarti prima d’ucciderti.
Se Freyda stesse sperando di innervosire Massimo non ottenne l’effetto
desiderato. Egli le gironzolò attorno, incrociò le braccia sul petto e tenne
alta la testa mentre la studiava.
- Perché mi stai dicendo tutto questo? Che cosa vuoi in cambio, esattamente?
Ella sollevò il mento, leggermente offesa che egli mettesse in discussione la
sua motivazione, poi contraddisse il proprio ontegno ferito con le parole.
- Vengo con voi. Voglio andare a Roma.
- Io non sto andando a Roma.
- Allora puoi portarmi in territorio romano. Mi arrangerò da sola, una volta
là. Sono molto intraprendente e indipendente.
Massimo non riuscì a reprimere un sorriso ironico.
- L’avevo notato. - Apprezzava la schiettezza della giovane che gli stava
dinanzi, i capelli color miele intrecciati in una singola lunga treccia sulla
schiena, fili multipli di perline color dell’argilla intorno al collo e
indumenti da uomo sul corpo. Indossava strati di tuniche e brache di lana
marrone, fissati con lacci di cuoio. Massimo lanciò di nuovo un’occhiata nel
passaggio tenebroso. - D’accordo, immagino che non abbiamo scelta, ma ti
avverto, Freyda… se questa è una trappola, taglierò quella tua gola graziosa
prima che la tua gente mi prenda.
Il passaggio era molto stretto ed in alcuni punti conteneva a mala pena la larghezza
delle ampie spalle di Massimo, mentre seguiva Freyda attraverso la fredda
galleria umida. Variava anche in modo esagerato in altezza ed il generale più
di una volta sbatté la testa contro il basso soffitto di roccia, inducendolo ad
infilare una serie d’imprecazioni. Lucio stava dietro di lui attaccandosi al
suo mantello a mo’ di guida, perché Massimo bloccava tutta la luce proveniente
dalla lanterna in mano a Freyda. Il pavimento gelato della galleria celava
chiazze di ghiaccio scuro e per tre volte Lucio scivolò e cadde pesantemente,
buttando quasi a terra anche Massimo. Era evidente che Freyda aveva molta
familiarità con quell’ambiente, perché procedeva baldanzosa senza esitazioni,
spronando gli uomini ad affrettarsi.
Dopo quel che sembrò un’eternità, infine raggiunsero una porta di legno
massiccio. Massimo superò Freyda e poggiò la spalla sul legno, che gemette in
segno di protesta mentre si apriva lentamente. Quando Massimo sentì la gelida
aria aperta sfiorargli il viso, afferrò il braccio della giovane e la tirò
davanti a sé facendola barcollare, la spada contro la sua gola, quindi si
spinse attraverso i cespugli che mimetizzavano l’apertura. L’unico suono nella
foresta piena d’ombre era il loro stesso respiro ansimante. La leggera neve che
stava cadendo non rivelava orme mentre scintillava sotto la luce della loro
lampada.
- Vedi, - disse Freyda in tono petulante. - Te l’avevo detto che potevi fidarti
di me. - Ella liberò con uno strattone il braccio dalla sua stretta e se lo
strofinò dove le dita di lui l’avevano afferrata.
Massimo rimase teso e prudente.
- Dove siamo?
Freyda fece un cenno con la testa.
- L’avamposto è da quella parte, appena oltre gli alberi.
- Dov’è la strada, da qui? - chiese Massimo, cercando di ritrovare l’orientamento.
- Da quella parte, - ella indicò verso l’oscurità. - Non lontano.
- Va bene. Voi due andate verso la strada. Non aspettatemi.
Lucio era sconcertato.
- Dove stai andando?
- Non me ne vado senza il mio cavallo.
Gli occhi dell’uomo più piccolo si spalancarono nell’incredulità più assoluta.
- Sei completamente pazzo? Marco Aurelio ha nominato generale un balordo?
- Sarebbe abbastanza stupido, generale, - aggiunse senza mezzi termini Freyda.
- Vattene finché puoi.
Lucio e Freyda erano in piedi spalla contro spalla, dando origine a
un’opposizione unita al proposito irragionevole del generale.
- Devo… - cominciò Massimo, ma fu interrotto bruscamente da Lucio.
- Riesco già ad udire il tuo epitaffio. ‘Morto cercando di salvare il suo
cavallo.’
Massimo non era dell’umore di sopportare altre sfide alle sue decisioni.
- Quando incontrerete dei soldati romani diretti da questa parte dite loro dove
mi trovo. Adesso andatevene. - Il suo tono non sollecitava altri commenti.
Freyda afferrò il braccio di Lucio e, con gran riluttanza, i due si diressero
verso la strada, del tutto convinti che Massimo sarebbe morto entro poche ore…
e tutto a causa d’un cavallo. Lucio si guardò indietro e scoprì Massimo che li
guardava intensamente.
- Forza e onore, - disse il generale pacatamente.
Lucio si limitò ad annuire e continuò per la sua strada, spingendo da parte i
crepitanti rami coperti di neve. La volta successiva in cui si guardò indietro,
Massimo era scomparso.
Diario di
Giulia: Conseguenze e secondo diniego di Massimo
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