La Storia di Massimo: Capitolo 97
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Massimo attraversò
la porta e si guardò indietro, ordinando ad alta voce e con fermezza ai suoi
inesistenti soldati di rimanere dentro, dove faceva caldo. La sua voce echeggiò
in una dozzina di stanze vuote e ritornò a lui, un’imitazione debole e vuota
dell’originale. Egli chiuse la porta assicurandosi che il chiavistello non si
agganciasse, poi si diresse di proposito a grandi passi verso la scuderia,
acutamente consapevole del suo isolamento in quell’avamposto deserto. Vestito
soltanto di strati di tuniche, brache e stivali, Massimo mantenne lo sguardo
diritto avanti a sé malgrado il desiderio quasi irrefrenabile di provocare i
pochi guerrieri germanici in cima al muro che circondava il recinto
dell’avamposto. Risposero alla sua determinazione dandosi l’un l’altro gomitate nelle costole ed
additando il generale prigioniero, persuasi che non avrebbe potuto andare da
nessuna parte finché essi non fossero stati pronti a fare irruzione e
catturarlo. Per loro, Massimo era come un lupo selvaggio in gabbia: pericoloso
e magnifico, tuttavia prigioniero e inoffensivo. Era completamente alla loro
mercé ed essi non ne possedevano alcuna.
All’interno della tranquilla stalla Massimo aspirò il familiare e confortevole
odore dei cavalli. Particelle di polvere fluttuavano nel sole d’inverno, che
penetrava da un’alta finestra e lanciava una calda luminosità sulle balle di paglia dorata accatastate contro le
pareti. Tre cavalli sonnolenti alzarono curiosi le loro teste quando Massimo
passò, ma egli si diresse direttamente allo stallo del suo magnifico stallone
nero che scosse la testa e nitrì in segno di saluto. Massimo si chinò sopra lo
sportello dello stallo e accarezzò affettuosamente il naso di Scarto, mentre
gli controllava sulla testa il taglio in via di guarigione. Il cavallo rispose
strofinando il muso contro il petto del generale con uguale affetto. Massimo
parlò con la gentile voce cantilenante che gli esseri umani riservano agli
animali ed ai bambini piccoli.
- Hai l’aria ben riposata, stamane, amico mio. Scommetto però che sei affamato.
Quand’è stata l’ultima volta che ti hanno dato da mangiare?
- Gli ho dato da mangiare stamattina, signore.
Massimo saltò all’indietro per la sorpresa, il piede gli s’impigliò in una
briglia non legata che lo spedì a cadere
all’indietro sul pavimento di legno. Rotolò e si rialzò in piedi in un istante,
pronto ad affrontare... un ragazzo. Il generale guardò minaccioso il giovinetto
mentre si spazzava via la paglia dalla tunica di lana.
- Che cosa ci fai qui? - Il ragazzo si fece piccolo piccolo e Massimo si rese
conto che il suo tono era più duro di quel che aveva inteso.
- Io... mi sto prendendo cura dei cavalli… signore. - Il ragazzo biondo
indossava una semplice tunica da soldato romano e cercò di mettersi
sull’attenti, ma stava tremando veramente troppo per riuscire a mantenere
quella posizione.
Massimo lanciò un’occhiata ai tre cavalli bai che condividevano la scuderia con
il suo stallone nero. Era chiaro che erano stati ben accuditi. Poggiò il gomito
sullo sportello dello stallo e sorrise con aria paterna al ragazzo, che
sembrava non avere più di dodici anni.
- Sai chi sono io? - chiese gentilmente.
Il ragazzo era confuso dall’abbigliamento semplice di Massimo, ma indovinò.
- Un ufficiale, signore?
- Sono il generale Massimo. - Gli occhi del ragazzo si spalancarono. -
L’avamposto è stato evacuato, figliolo. Perché non sei andato via con gli
altri?
- Qualcuno doveva accudire i cavalli, generale. Non volevo che morissero di
fame… specialmente quello là, - disse guardando il cavallo di Massimo che
scosse la testa, accogliendo festosamente tanta attenzione. - Come si chiama?
- Scarto.
Il ragazzo guardò lo stallone quasi con reverenza.
- E’ il più bel cavallo che abbia mai veduto.
Massimo annuì d’accordo, ma era incuriosito dal giovinetto.
- Dove sono i tuoi genitori?
- Morti. Sono morti molto tempo fa. Sono un soldato, adesso.
Massimo strofinò la fronte del suo stallone e l’animale annusò il petto del
generale poi afferrò la sua tunica fra i piatti denti anteriori, tirando
giocosamente. Massimo sorrise e accarezzò il collo muscoloso del cavallo.
Guardò il ragazzo che lo stava osservando intimidito.
- E tu, come ti chiami?
- Asellio, signore.
- Bene, Asellio, apprezzo che tu abbia dato da mangiare al mio cavallo. E’
molto importante per me.
- E’ intelligente.
- Molto. In battaglia sembra intuire esattamente che cosa ho bisogno che faccia
e non mi ha mai deluso. Neanch’io posso deluderlo. - Accarezzò il naso di
velluto dello stallone con la parte posteriore delle dita. - Asellio, siamo in
una situazione difficile qui e ho bisogno del tuo aiuto. - Il ragazzo scattò
sull’attenti ed annuì vigorosamente. - Metti un bel po’ di fieno e d’acqua
negli stalli dei tre cavalli bai. - Sorrise con aria rassicurante al ragazzo. -
Noi due e Scarto stiamo per andarcene da qui.
- Stiamo? - Asellio guardò incerto gli stalloni marroni. - E loro?
- Non ti preoccupare, i germanici li tratteranno bene. Non hanno cavalli belli
come questi.
Chiaramente abituato ad eseguire gli ordini, il giovinetto annuì e si mise
all’opera senz’altro dire. Mentre svolgeva il suo compito, sbirciò Massimo che
fischiava sommessamente una melodia. Il ragazzo non aveva visto mai un generale
come quello. Era più forte e più autorevole di chiunque avesse mai visto, ma
c’era benevolenza nei suoi occhi, e gentilezza nel modo in cui trattava gli
animali. Massimo mise le briglie a Scarto poi imbrigliò gli altri tre cavalli,
sellandone soltanto uno.
- Sai cavalcare, figliolo? - chiese Massimo mentre stringeva lo straccale sullo
stallone marrone.
- Sì, signore!- rispose Asellio, fiero di poter rispondere in modo affermativo.
- Bene. Cominceremo facendo esercitare i cavalli nel recinto del cortile.
Adesso, ascoltami attentamente… - Massimo continuò ad impartire pacate
istruzioni al ragazzino dagli occhi spalancati, mentre uscivano nella pallida
luce del sole invernale.
Massimo condusse Scarto in cerchio nel cortile per eliminare qualunque rigidità
dovuta allo stare a lungo fermo nella stalla fredda. Teneva le redini di un
secondo cavallo nell’altra mano. Asellio gli camminava accanto conducendo gli
altri due animali. I germanici sul tetto li guardavano attenti, ma Massimo
sapeva che le sentinelle alla fine si sarebbero annoiate diventando distratte.
Massimo sollevò Asellio sulla parte posteriore del cavallo sellato poi spostò
Scarto di fianco a quello prima di tuffarsi di traverso sull’ampio dorso del
cavallo, quindi gettò una gamba sopra lo stallone e si sollevò sulla groppa.
Scarto si irritò un poco, non avvezzo ad essere cavalcato senza sella. Sia
l’uomo che il ragazzo conducevano gli altri stalloni per le redini.
Cominciarono andando al passo, poi progredirono con un trotto, andando
tutt’intorno ai terreni compatti dell’avamposto in
grandi, ripetuti cerchi. Per i guerrieri sulle mura, Massimo sembrava
concentrato nelle sue attività, ma lui li stava osservando con attenzione,
aspettando il momento di agire. Che arrivò prima del previsto. Una voce
dall’esterno delle mura urlò ai guerrieri e tutti gli uomini guardarono giù contemporaneamente.
Con un movimento troppo uniforme e rapido per attrarre l’attenzione, Massimo si
chinò, insinuò un braccio intorno al ragazzo e lo trasbordò su Scarto,
depositando il ragazzo fra le proprie gambe. Si lasciarono scivolare dalle mani
le redini degli altri animali ed i cavalli, ben addestrati, continuarono lo
stesso a correre nello schema circolare stabilito. Massimo delicatamente guidò
con le redini Scarto e spronò lo stallone per i pochi passi fino alla porta,
che Massimo aveva lasciato socchiusa. Con un calcio del suo piede calzato dallo
stivale furono all’interno.
Massimo fece girare lo stallone e s’immerse in una frenesia d’azione. Con
l’aiuto di Asellio, trascinò, prese a calci, afferrò e tirò la pesante mobilia
che aveva accatastato vicino alla porta davanti all’entrata per barricarla
dall’interno. Incluse tutto quello che riuscì a trovare che avesse un certo
peso e che fosse mobile. Quando afferrò le briglie di Scarto udì il grido
d’allarme dall’esterno e seppe che i germanici sarebbero stati alla porta in
pochi istanti. Cercando di escludere dal proprio tono la tensione, esortò il
grosso cavallo ad attraversare la costruzione e ad entrare nei quartieri del
generale, dove lui ed Asellio sbarrarono di nuovo la porta. Il tambureggiare
sulla porta esterna risuonò attraverso la costruzione deserta come un tuono
rotolante, enfatizzando il senso di premura dei fuggitivi. Malgrado le anguste
dimensioni, Massimo era convinto di poter far attraversare la galleria al
cavallo non sellato e tirò Scarto verso l’apertura. Ma l’animale bloccò le
zampe sulla soglia della cavità buia e nessun incitamento o lusinga poté
persuaderlo ad entrare.
Concedendo al cavallo un momento per calmarsi, Massimo si gettò addosso la
corazza, lasciandola sfibbiata, poi si lanciò sopra le spalle il mantello e le
pellicce. Parlò con tono misurato al suo stallone che indietreggiando cercava
di allontanarsi dall’apertura.
- Per favore, non farmi questo adesso, Scarto. E’ l’unica via d’uscita, bello.
- Qui, generale, usa questa. - Asellio gli gettò una coperta e Massimo la buttò
sopra la testa ed il collo di Scarto inducendo il cavallo a scuotere risoluto
la testa, ma senza che riuscisse a liberarsene. Gradualmente, Massimo sentì il
corpo dell’animale rilassarsi ed egli tirò saldamente lo stallone verso
l’apertura, tenendogli la testa abbassata.
- Asellio, prendi quella lanterna ed entra nel passaggio. Io starò proprio
dietro di te. Non ti allontanare troppo da davanti a me e assicurati di tenerti
a destra. - Massimo concesse all’animale così coperto il tempo di trovare un
passo sicuro, malgrado il suono minaccioso della
porta anteriore che veniva fracassata con le asce e della mobilia che veniva
gettata da parte. Ma non appena Scarto fu completamente all’interno del
passaggio Massimo si chinò sotto la pancia del cavallo e chiuse le ante
dell’armadio, prima di spingere la parete posteriore chiudendola. Ancora una
volta strisciò sotto il cavallo e si rialzò in piedi davanti alla sua testa. Le
sue mani trovarono il naso dell’animale e gli bisbigliò tenere parole
d’incoraggiamento incitando lo stallone ad andare avanti. Con una mano
sull’umida parete di pietra della galleria e l’altra che teneva giù la testa di
Scarto affinché l’animale non urtasse il soffitto basso, Massimo si addentrò
nel passaggio, seguendo la lanterna traballante di Asellio. Scarto grugnì ed esitò quando le pareti del passaggio gli
strofinarono i fianchi, ma continuò all’incitamento di Massimo. Gli unici suoni
nella galleria erano il clip-clop degli zoccoli del cavallo, il suo sbuffare
occasionale ed i passi dei due soldati. Come Massimo aveva sperato, i germanici
erano rimasti confusi dal suo dileguamento nella camera da letto, ma sapeva che
non sarebbe passato molto prima che scoprissero il segreto dell’armadio.
Massimo stimò che erano circa a metà strada, quando Asellio gridò allorché i
suoi piedi trovarono inaspettatamente il ghiaccio, che lo fece cadere
pesantemente, e la lanterna si schiantò a terra frantumandosi, facendoli
piombare nell’oscurità totale. Massimo cercò alla cieca il ragazzo e lo tirò in
piedi per la tunica.
- Va tutto bene, figliolo. Semplicemente, tieni la mano sulla parete e va un
po’ più lento.
- Mi dispiace, generale, - disse Asellio con le lacrime nella voce.
Massimo gli diede un colpetto sulla spalla in segno d’una rassicurazione che
non provava.
- Va tutto bene, soldato. La mancanza di luce significa che neanche i germanici
riusciranno a vederci. Tieni la destra ed alza i piedi in modo da non
inciampare sul terreno irregolare. E continua a parlarmi sottovoce, così so
dove sei. - Massimo tirò via dalla testa del cavallo l’ormai inutile coperta e
Scarto agitò la folta criniera.
- Ho paura…
- Ecco qui, sto tenendo un’estremità della coperta e tu puoi… - Le parole di
Massimo furono bruscamente troncate da un fragore di legno che andava in pezzi
che rimbombò per tutto il passaggio. I germanici li avevano trovati. - Presto!
Presto! - sibilò ad Asellio. - Tieniti a destra e non fermarti fino a che non
trovi la porta.
Echeggiarono grida nella galleria ed i due fuggitivi sbandarono tra
frastagliate pareti di pietra e scivolarono sul terreno sdrucciolevole nella
fretta di scappare, i cuori martellanti che riducevano
la loro respirazione. Scarto lanciò acuti nitriti quando la pietra gli
scorticò i fianchi più volte. Massimo non aveva idea di quanti uomini ci
fossero ora nel passaggio. Tutto ciò che potevano fare era cercare di battere
sul tempo i loro inseguitori.
Una luce inondò il tratto dietro di loro
portando le loro stesse bizzarre ombre ondeggianti a superarli. Massimo era
riluttante ad estrarre la spada per timore di ferire involontariamente il
ragazzo davanti a lui, ma sapeva che presto non avrebbe avuto altra scelta. I
guerrieri catti gridarono, le loro parole gutturali non familiari ma
l’implicazione chiara… era stato ordinato loro di fermarsi.
- Non fermarti, - ansimò Massimo. - Dovremmo esserci, quasi. - Non aveva finito
di pronunciare quelle parole che Asellio andò a sbattere contro la porta di
legno massiccio e rimbalzò indietro tra le braccia di Massimo, stordito.
Ma, aiutati dalla luce, i guerrieri li avevano raggiunti.
- Indietro! - urlò Massimo a Scarto mentre si sollevava sul dorso dell’animale.
Il cavallo riconobbe il portamento da battaglia del suo padrone e rapidamente
lo assecondò, bloccando un guerriero contro la parete. Il respiro dell’uomo
sibilò dai suoi polmoni schiacciati e Massimo tenne fermo il cavallo fino a che
il guerriero non smise di respirare. Un compagno, tuttavia, fu abbastanza
insensato da provare a guizzare sopra il dorso del cavallo per prendere
Massimo. Scarto non aveva intenzione di lasciarlo fare e sgroppò violentemente,
facendo scivolare il guerriero sotto i suoi zoccoli taglienti. Il cavallo
calpestò con forza il corpo sotto di sé, riducendolo in poltiglia. Ostacolato
dal grosso corpo dell’animale dal raggiungere la sua preda, un altro barbaro
tentò di spingere da parte il posteriore del cavallo. Ma Scarto ne aveva avuto
abbastanza. Strinse i suoi poderosi quarti posteriori e scalciò con le zampe,
colpendo il guerriero catti nella cassa toracica e mandandolo a fracassarsi
contro la pietra. L’uomo gridò e protese le mani nel vano tentativo di evitare
altri colpi, ma il sangue di Scarto ribolliva e il cavallo continuò a scalciare
fino a che l’uomo scivolò, privo di vita, lungo la parete.
Ansimando, Massimo fermò il cavallo e si mise in ascolto del suono di altri
uomini, ma tutto ciò che sentì furono i terrorizzati singhiozzi del ragazzo
premuto contro la porta. Riusciva a sentirlo ma non a vederlo, dato che la luce
della lanterna era di nuovo scomparsa.
- Asellio... Asellio, è tutto a posto, adesso. Sono morti. Siamo al sicuro. -
Massimo cercò il ragazzo e trovò il suo braccio. Gentilmente tirò il ragazzo
accanto a sé e lo abbracciò dicendogli: - Appena aprirò questa porta saremo
fuori in salvo. - Dopo due potenti spinte la porta si aprì cigolando, la tenue
luce solare illuminò il fogliame che celava la porta della galleria. Massimo
s’inginocchiò e separò i cespugli, socchiudendo gli occhi alla luce solare
mentre scrutava fuori prudentemente. Non c’era nessuno. Sorridendo, arruffò i
capelli del ragazzo e lo aiutò ad uscire, poi guidò anche l’ormai docile Scarto
attraverso i cespugli.
Massimo non desiderava far altro che girare il viso verso il sole ed aspettare
che il suo cuore che batteva veloce si acquietasse, ma temeva che altri
guerrieri li avessero inseguiti attraverso la galleria. Il resto, suppose, li
stava cercando nella foresta. Perciò afferrò la criniera di Scarto e si issò
sull’ampio dorso del cavallo, poi sollevò Asellio dietro di sé. Girò il cavallo
nella direzione che avevano preso Lucio e Freyda e con un colpetto lo fece
muovere.
Dopo aver vagato un po’ tra gli alberi, trovò la strada polverosa e diresse il
cavallo a sud. Un Asellio esausto si addossò contro la schiena di Massimo, il
corpo floscio mentre si assopiva, così il generale si avvolse le braccia del
ragazzo intorno alla vita e le tenne ferme con una mano per impedire che il
ragazzino scivolasse giù. Ma Massimo era completamente vigile. L’avamposto non
era ancora abbastanza distante dietro di loro ed essi erano ancora molto
lontani dalla salvezza.
Scarto lo percepì prima di lui. Il cavallo fece schioccare gli orecchi
all’indietro e sbuffò. Massimo gettò un’occhiata oltre la spalla e, non vedendo
nessuno, fece fermare l’animale e lo voltò nella direzione da cui erano venuti.
La strada era vuota, c’erano soltanto uccelli canori che dardeggiavano fra le
cime degli alberi a disturbare la quiete. Massimo accarezzò il collo del cavallo.
- Che cosa hai sentito, amico mio? - Scarto s’impennò e sbuffò ancora e Massimo
sentì l’inquietudine strisciargli lungo la spina dorsale. - Asellio, svegliati.
Credo che stia per accadere qualcosa. - Il giovinetto si mosse assonnato. -
Tieniti stretto a me più forte che puoi. Capito? - Asellio annuì contro la sua
schiena, troppo spaventato per dire anche una sola parola. La mano di Massimo
scivolò alla spada al suo fianco, ma la lasciò nel fodero.
Improvvisamente, una moltitudine di merli s’alzò nel cielo stridendo dai
cespugli alla loro destra, le loro rauche strida fondendosi con le urla di
guerra dei terrificanti guerrieri catti che si slanciarono dagli alberi
sempreverdi ad entrambi i lati della strada, correndo con le armi in pugno. Si
riversarono dalla foresta come rapide di un fiume in piena, brandendo spade,
lance ed archi. Massimo fece girare rapidamente Scarto e lo spronò al galoppo.
Le lance li superararono fischiando e le frecce caddero con tonfi nel terreno
intorno a loro. Massimo si rammaricò molto di aver messo il ragazzo dietro di
sé ma ormai non c’era più tempo di cambiare posizione.
- Tieniti! -
gridò ancora.
L’enorme stallone distanziò velocemente i loro inseguitori, ma Massimo sapeva
che il cavallo si sarebbe rapidamente stancato con il peso supplementare del
ragazzo. Era anche consapevole che Scarto stava perdendo, e aveva perso da un
po’ di tempo, fiotti di caldo sangue dai fianchi scorticati, che impregnava le
brache di Massimo. E che la strada stava andando in salita, il lieve pendio
essendosi trasformato in ripide pendenze e profondi avvallamenti.
- Vai! Vai! - Massimo incitava la sua cavalcatura ma l’animale aveva già la
schiuma alla bocca, i fianchi dilatati. Massimo non vide altra alternativa che
provare a correre più veloci dei guerrieri. Se fossero usciti dalla strada e
avessero tentato di nascondersi nella boscaglia, sarebbero stati trovati di
sicuro. Gli zoccoli dello stallone sgretolavano il terreno, ma Massimo lo sentì
inciampare leggermente… una volta, due volte. Freneticamente, Massimo provò a
pensare ad un piano di fuga alternativo se il cavallo fosse mancato. Scarto
lottava valorosamente sul ripido pendio, il suo grande cuore rifiutando di
venire meno. Massimo vide gli orecchi del cavallo drizzarsi di nuovo, ma questa
volta si girarono in avanti. C’era qualcosa dall’altro lato della collina.
Poi anche Massimo udì. Il marciare di piedi. E quando arrivò in cresta alla
collina la vide… la miglior vista che avesse mai veduto. L’aquila dorata di
Roma scintillava al sole e gli stendardi porpora schioccavano nella brezza
davanti ad un fiume senza fine di soldati romani, armati di tutto punto e
pronti per la battaglia. I corni squillarono quando i soldati videro il loro
generale cavalcare come un indemoniato. Dietro di lui, i guerrieri germanici si
bloccarono sbandando, incapaci di credere a quello che vedevano. La loro preda
era fuggita ed ora il loro uomo era al sicuro circondato dai cinquemila soldati
della Felix III, che immediatamente assunsero la posizione di battaglia proprio
in mezzo alla strada, pronti a combattere fino alla morte per difendere il loro
generale.
E... in mezzo a loro... seduto solenne ed eretto sul suo stallone bianco...
c’era il Divino Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto, i bianchi
capelli sottili mossi dalla rigida brezza, il mantello viola ondeggiante sulla
sua luccicante corazza tinta d’oro e porpora imperiale. L’imperatore stesso era al comando di quell’operazione.
I germanici non ebbero una sola possibilità.
Diario di Giulia: Conversazione con l’imperatore, Parte
I: la mia libertà
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