AKA coda cavallina
There's so much to say
so I won't say it








E' difficile tornare indietro, e se tutto il corpo apprende la nozione, è ugualmente arduo che la mente ami tornare sui luoghi dei delitti. Si funziona così, e si corre a gambe levate dal primo istante. Un po' più lenti alla periferia, un po' più lenti a fuggire i diciotto anni; così talvolta, approfittando degli attimi di nudità, di estrema vulnerabilità, il ricordo assale, a frammenti, a pezzi, in brandelli macilenti.
Ameremmo che tutta la vita vi fosse fuggita, ed invece, i vermi sazi possono dimenticare qualche muscolo, qualche mozzicone di sangue rappreso. Può capitare qualche tizzone incandescente sotto la sopravvenuta morte "lavorativa", appiccicata alla carogna della "maturità".
Ed invece lì, sempre lì vi è ressa di vita, che si auto-giudica: impossibile. Che si espone alla lacerazione della non conseguenzialità, che maledice ogni sviluppo. Un Dio non permetterebbe ai suoi figli di crescere, se proprio esser nati tocca per destino. Ed invece, oggi ho 26 anni. A contarli si fa in fretta. A contarli nella macabra coscienza della loro analogia con il tempo, si accede al mistero della volontà cosmica. In ultima istanza e da qui, un'imprecazione sorda persa fra le voragini del senso. Ma la si cela, la si analizza, e la si trasforma in arte. Senza questa ultima estrema possibilità d'arte ogni sistema imploderebbe. E, a prescindere dalla vostra valutazione singolare dell'uomo, sono i vestiti che indossate a mantenervi ancora in vita, dietro le barricate di tutto ciò che vi è possibile computare. Eccovi dunque, il mio guardaroba.
La scuola, il liceo. Ciò che vi ero e vi rappresentavo, ciò che controvoglia appresi di me, parrebbero futilità a chiunque. Era tutto più grande. La bellezza vive solo di piccolezza, di osservazione degli automatismi ipertrofici della natura. Uomini, uomini, uomini. Vecchi, adulti, giovani, bambini. Preti, soprattutto, o preti in divenire, o preti una volta, adesso non più. Cosa poteva passare per la testa è presto detto. In qualche modo, sopravvivere. In qualche modo, favorire le compulsioni del cazzo. In qualche modo, iniziare a costruire la truffa del futuro (chiamiamola per intenderci, personalità). Ma, dentro la struttura complessiva della necessità sociale, ti accorgi che i tuoi residui piaceri passano da quel compromesso. Che sei da solo a spezzarlo, e che dai l'impressione di averlo fatto, vieni bollato da chi, personalmente e nel suo silenzio, ha fatto lo stesso. E poi ancora: spezzare il costruito per non-spezzarsi. Spezzare ciò che spezzare spezza.
Mah. Si vive, sembra qualcosa. Che non lo sia, che sia solo la limitazione di una solitudine che ci atterrirebbe lo troviamo ragionevole. E ci facciamo compagnia, usandoci, consolandoci, avendo pietà o misericordia dei difetti che traspaiono meglio in altri che in noi. Io stavo tra i preti dell'Ignatianum, gesuiti, massoni, ricchi, sapienti, corruttori, amabili. Timido, succube, in preda al bisogno di direzioni. Ne afferrai, a differenza dei miei compagni, una sola - che solo col tempo riesco a decostruire. Col tempo, riesco a vedere, senza sofferenza, il male che mi accanii ad infliggermi, le piaghe che partecipai ad aprirmi facendomi largo nel capannello di curiosi che assistevano al quotidiano esercizio di fede.
La grandezza è ancora la mia piaga in suppurazione.
La distanza che alimentavo, lo spazio che liberavo tutt'intorno, il fiato delle mille mosche sul collo.




Cenni biografici

Tempo luogo e milieu....... Nascita....... Adolescenza....... (Im)maturità.......