I primi tempi

Sembrò necessario, farlo, dopo nove mesi di viaggi. Avevo iniziato a desiderare con tutte le mie forze un po' di requie, e soprattutto cercavo un modo per non dover essere in balìa di quel discorrere fra sposati. Mi disturbava in special modo il rumore della televisione. Forse non era neppure questione di non condividere i loro gusti. Era insofferenza. Faceva caldo. Il cibo era quello che una donna incinta ingurgita su consiglio del medico. Insomma, lì per lì trovai un'ottima cosa nascere.
Ero un bimbo estroverso, dunque? No. Introverso? No (non mi interessava tornare indietro). Ero solo persuaso che occorresse darsi da fare per inventarsi una vita. Oggi inventano il lavoro, allo stesso modo io dovevo giustificare tutto quel tempo informe, dargli delle coordinate, e riuscire a parlarle. Non mi aiutava troppo il fatto di essere un bambino bellissimo; ieri come oggi ciò serve solo ad attirarmi dei pizzicotti libidinosi sulle guance, e a procurarmi delle serie noie con le ragazze. Tutto si somma, giustapponendosi senza criterio sul vuoto fondamentale. Ne fanno cultura, notai. Ne fanno home pages, giornali, libri, film, dischi... anche io dovevo raggiungere una di queste postazioni e radicarmici, avvinghiarmici come una patella su uno scoglio. Farne una professione, o mestiere, come dicono. Ma da qui inizia la storia delle repulsioni della materia nei miei confronti. Ogni disciplina, ogni branca mi rigurgitava. Nulla che mi trattenesse.
Iniziai proprio a questa prima età a raccogliere e catalogare ciucci, e riproduzioni in scala di automobili. Una volta acquisito tutto il database di Quattroruote e il catalogo Chicco la vita tornò a sembrarmi senza senso. In sede biografica non posso scordarmi che da questo mio primo periodo vengono due delle mie idiosincrasie maggiori: i bambini e le automobili. Oggi ancora l'immagine di un imberbe infante alla guida della sua jeep meccanica basta a farmi smaniare. L'atroce agguato che tesi a un moccioso (tentai di decapitarlo con le pagine affilate di un libro) mi costò le prime sculacciate.
Ma ero ben avviato. All'asilo, non trovando particolarmente edificante imparare i numeri e l'alfabeto, mi distinsi attraverso un piccolo show mattutino: per mezz'ora riproducevo vocalmente e con esattezza tutte le modulazioni di pianto che avevo imparato nella mia breve esperienza di moccioso, specie all'asilo stesso. Con quale ottusa grettezza la maestra riferiva a mia madre che ero un bambino depresso e svogliato!
Ma mia madre sapeva. Conosceva bene lo stadio di spleen terminale cui ero giunto in soli 4 anni di frequentazione dell'uomo. Talvolta, per consolarla le imbastivo lunghi ragionamenti, citando qua e là Baudelaire, Nietzsche o Dostoevskij. Ma non servì accanirsi tanto sulla considerazione teorica della vita: impavidi e impertinenti s'accanirono un'altra volta nella copula. Il secondo frutto di tale perseveranza nell'errore, mio fratello John Merrick Venator, ancora li maledice.




Cenni biografici

Tempo luogo e milieu....... Adolescenza....... Diciotto anni....... (Im)maturità.......