john CARPENTER

John Carpenter nasce a Carthage (New York) il 16 gennaio 1948, ma trascorre l'adolescenza nel Kentucky a Bowling Green, non distante da Nashville. Il padre Howard insegna musica moderna all'università. Sarà lui a trasmettere al figlio quella passione per la musica che accompagnerà per sempre il futuro regista/compositore. Alla passione per la musica si unisce ben presto nel giovane John anche quella per il cinema. A soli 5 anni assiste in un cinema newyorkese alla proiezione del film di Jack Arnold Destinazione Terra. L'impatto dello spettacolo sull'immaginario del bambino è davvero notevole, al punto che il regista in futuro citerà sempre quell'episodio come l'origine della sua passione per l'universo dei b-movie e della fantascienza. Nel 1965 fonda la fanzine Fantastic Film Illustrated dedicata al cinema fantascientifico. Sono gli anni in cui, con l'ausilio di una cinepresa Brownie 8mm., realizza dei cortometraggi fanta-horror di natura per lo più parodica. Intanto si iscrive all'università del Kentucky.

Nel 1968 è ammesso alla rinomata University of Southern California dove può approfondire le sue conoscenze in campo registico, fotografico e di montaggio. Ai fini della crescita artistica del nostro, ciò che rende fondamentale l'esperienza all'USC è l'incontro con i futuri collaboratori Dan O'Bannon e Nick Castle. Insieme a Castle, Carpenter scriverà soggetto e sceneggiatura dello short-movie The Resurrection of Broncho Bill  (1970) diretto da James Rokos e vincitore dell'Awards come migliore cortometraggio.

Cavalcando sulle ali di un grande e giustificato entusiasmo, Carpenter si impegna nella realizzazione del proprio saggio di diploma: il corto fantascientifico Dark Star. Il progetto verrà ripreso e sviluppato come lungometraggio in 35mm quattro anni dopo. Nel 1976 realizza un thriller dall'anima sostanzialmente "western": Assault on Precint 13 (in Italia tradotto in Distretto 13, le brigate della morte) che, in quanto a composizione narrativa, richiama Per un dollaro d'onore di Howard Hawks (uno dei suoi dichiarati registi di riferimento). L'accoglienza tributata al pur pregevole lavoro del giovane regista è però piuttosto tiepida, sebbene con il passare degli anni Assault diverrà inevitabilmente un cult-movie nei circuiti festivalieri e dei cine-club.

In un periodo in cui comincia ad interessarsi alle produzioni televisive (ricordiamo il film-tv del '78 High Rise, in Italia Pericolo in agguato), Carpenter riceve dal produttore di  Irvin Yablans la proposta di dirigere un film basato sulla storia di un maniaco omicida che perseguita alcune giovani baby-sitter.
Il progetto si concretizza qualche mese dopo nel film Halloween (in Italia Halloween, la notte delle streghe) del 1978, praticamente il più grande successo commerciale del regista. Nel film, co-sceneggiato dall'amica Debra Hill, appare anche una convincente Jamie Lee Curtis nel ruolo della protagonista.


Nel 1980, dopo una seconda esperienza televisiva (Elvis, the movie, in Italia Elvis, il re del rock; da ricordare se non altro per essere stata la prima occasione d'incontro tra il regista e l'attore Kurt Russell), Carpenter dirige l'horror The Fog, co-sceneggiato da Debra Hill e divenuto un successo clamoroso dopo la partecipazione al prestigioso Festival di Avoriaz. Un anno dopo, sviluppando un concept maturato nella metà degli anni '70, realizza uno dei suoi film più famosi: il thriller fanta-politico Escape from New York  (da noi 1997: Fuga da New York) che ha come protagonista principale, nel ruolo di Jena/Snake Plissken, Kurt Russell.

Nel 1982 Carpenter, divenuto ormai regista-culto, si dedica all'ambizioso quanto riuscitissimo progetto di un remake basato sul film del '51 The thing (in Italia La Cosa da un altro mondo) di Nyby-Hawks: il titolo della pellicola sarà The Thing, tradotto semplicemente come La Cosa nella versione nostrana.
Il 1983 è l'anno di Christine (Christine, la macchina infernale) tratto da un romanzo di Stephen King, a cui fa seguito, l'anno dopo, il malinconico fantasy Starman con Jeff Bridges.
Nel 1986 realizza un divertito omaggio al cinema orientale e ai film di kung-fu: Big Trouble in Little China (Grosso guaio a Chinatown), che segna una nuova collaborazione con Russell.


Seguono quattro lavori che presentano e approfondiscono alcune delle tematiche tipiche dell'ormai affermato "Carpenter style".
Il primo di essi è Prince of Darkness
(Il Signore del male), del 1987, che affronta l'argomento della dicotomia tra Bene e Male, scienza (fisica quantistica) e religione (possessione demoniaca); They live (Essi vivono), del 1988 e Memories of an invisible man (Avventure di un uomo invisibile), del 1992, prendono ad oggetto il tema della mistificazione della realtà e della necessità di uno sguardo "sbieco" per coglierne le esatte coordinate; nel teorico In the Mouth of Madness (Il seme della follia), del 1994, vengono invece messi in luce i meccanismi del legame quasi "fideistico" che sussiste tra i prodotti di fiction (in questo caso romanzi horror) e i loro allucinati consumatori.


Comincia ora, per il regista del Kentucky, un periodo piuttosto "apatico", che sfocerà in prodotti sicuramente non all'altezza dei capisaldi della sua carriera. Ci riferiamo ai mediocri Body Bags del '93, Village of Damned (Il Villaggio dei dannati, remake di un film del '62 di Wolf Rilla) e allo scialbo Escape from Los Angeles (Fuga da Los Angeles, seguito del già menzionato Escape from New York).

Per fortuna, negli anni a venire la verve del regista avrà una felice impennata, espressa nei suoi ultimi lavori. I quali, pur non riportandoci ai fasti di un tempo, almeno rassicurano per maestria della messinscena e dignità della narrazione. Alludiamo ovviamente all'horror in "salsa western" Vampires del 1998 e del fantascientifico tecno-horror Ghosts of Mars (Fantasmi da Marte) del 2001.

 

La notte, la solitudine e l'onore in John Carpenter

di Fabio Furnari

John Carpenter è "il regista della notte e della solitudine", più di molti altri che si autodefiniscono come tali. La condizione notturna e solitaria degli eroi di Carpenter e il carattere underground di ambientazioni e situazioni, inducono a leggere la maggior parte dei testi carpenteriani come "western non-western", che del genere tanto amato hanno assorbito tutto quanto c'era da assorbire, al punto da rendere superflua un'operazione dichiaratamente western (non a caso assente nella filmografia carpenteriana).

Ma se per qualità e specificità dei sottotesti utilizzati Carpenter è sicuramente un regista di genere, per le scelte più squisitamente ritmico-narrative possiamo considerarlo un outsider amante delle sfide contro il tempo.
Molti dei suoi lavori infatti (pensiamo ad Escape from New York, a Fog o a In the Mouth of Madness) fondano la propria struttura narrativa sull'incedere del tempo, che molto spesso si traduce in un vero e proprio conto alla rovescia.

Tutto ciò enfatizza e rende più drammatico il ruolo dei protagonisti, che il più delle volte sono dei braccati, degli emarginati, delle creature che fanno della fuga/lotta la loro unica ragion d'essere in un mondo che diviene - a volte per un brusco cambio di prospettiva, di "ottica" - matrice di ostilità. Si pensi a tal proposito al protagonista di They Live, che acquisisce una consapevolezza/coscienza (quasi "di classe") nel momento in cui, grazie a lenti speciali, riesce a "vedere" oltre il velo mistificante, o a Jena Plissken, il cui sguardo monoculare ci segnala forse il suo "aver chiuso un occhio" nei confronti del mondo per dedicarsi alla propria egoistica lotta per la sopravvivenza.

Se la solitudine è un sostrato perenne nella produzione del regista del Kentucky, non possiamo però ignorare la costante presenza dell'elemento solidarietà che si genera tra i suoi eroi. Ciò non è in conflitto con il punto precedente.
Difatti gli eroi di Carpenter - pur rispettando un inviolabile codice d'onore - stringono alleanze sempre contingenti e dettate solo dalla minaccia che incombe (questo è palese ad esempio in Assault on precint 13 e in Ghosts of Mars dove i protagonisti, inizialmente in conflitto, si ritrovano improvvisamente a combattere per la stessa battaglia).

Ma lo spettatore imparerà presto che il raggiungimento del comune obiettivo (la vittoria o la lotta in sè) non si traduce mai in unione eterna, semmai in eterna garanzia di rispetto reciproco. A giochi fatti gli eroi carpenteriani torneranno alla situazione di isolamento di partenza, a meno che lo stato di cose non imponga nuove riunioni. Si pensi ad esempio all'emblematico finale di Ghosts of Mars, in cui Desolation Williams recluta ancora una volta l'agguerrita Ballard a causa di un inaspettato "...alzarsi della marea!".

Dopo la metà degli anni '80, la poetica di Carpenter si arricchisce di nuovi elementi che si tradurranno in operazioni forse meno scanzonate e divertite delle precedenti, a vantaggio però di un accresciuto cerebralismo, segno dell'avvenuta crescita artistica e filosofica del regista.
A partire dal periodo in cui elabora il soggetto di Prince of Darkness (siamo nella metà degli anni '80) Carpenter inizia ad appassionarsi alla fisica dei quanti e legge un gran numero di testi sull'argomento. Le ricerche sfoceranno in una visione più complessa del reale e, quindi, del proprio modo di fare cinema.

Assumeranno un ruolo centrale la figura dell'osservatore e la visione del reale come complessa intersezione di piani. In Carpenter adesso convergono Einstein e Heisenberg, Leone e Hawks, Lovecraft e Dick. Testi come il già citato Prince of Darkness, In the Mouth of Madness e, più formalmente, il recente Ghosts of Mars testimoniano del nuovo corso della poetica carpenteriana.

 

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The thing Page

1997Escape from New York page