Niccolò Macchiavelli: la vita
(Firenze
1469-1527). Discendente da famiglia che diede numerosi magistrati a
Firenze, ma che per non essersi dedicata ai commerci visse di un modesto
patrimonio, fece i suoi studi in casa sotto la guida di un maestro Matteo
dal quale imparò bene il latino. Dopo la fine del Savonarola, nel maggio
1498 entrò nella carriera politico-diplomatica e fu nominato segretario
della seconda cancelleria. Di un anno appena posteriore all’accesso ai
pubblici uffici è il primo suo scritto di materia politica, il Discorso
fatto al Magistrato dei Dieci sopra le cose di Pisa, che nonostante
l’acerbità dello stile rivela già la logica rigorosa e il realismo che
avrebbero caratterizzato gli scritti della maturità. Nel 1499 ebbe due
legazioni di non grande importanza, connesse alle esigenze della guerra di
Pisa, presso Iacopo IV Appiani signore di Piombino e presso Caterina
Sforza Riario; nel maggio dell’anno successivo fu inviato con incarichi
più delicati alla corte di Francia e rimase lontano da Firenze per sei
mesi. Tornato in patria ebbe varie altre missioni diplomatiche in Toscana,
delle quali le più importanti furono, nel giugno e nell’ottobre 1502,
quelle presso il Valentino, il quale, profittando della ribellione di
Arezzo e della val di Chiana, minacciava l’integrità del territorio
fiorentino. Il Machiavelli fu mandato a Roma dove direttamente poté
osservare la fine della fortuna del Valentino e rendersi conto degli umori
del nuovo papa, al quale egli stesso indicò i pericoli dell’espansione
veneziana in Romagna. Dopo la disfatta francese al Garigliano fu inviato
una seconda volta in Francia, da dove ritornò nel marzo 1504. Altre
missioni dovette assolvere presso Giampaolo Baglioni signore di Perugia e
a Siena presso Pandolfo Petrucci.
Nel 1506 si dedicò con grande
passione alla difficile questione del riordinamento delle milizie
fiorentine, e sulla fine dell’anno quando venne istituito l’ufficio
dei Nove dell’ordinanza e della milizia ne fu nominato cancelliere.
Alla fine del 1507 andò presso
l’imperatore Massimiliano I, alla cui corte già si trovava in qualità
di ambasciatore di Firenze Francesco Vettori: soggiornò specialmente in
Svizzera e Tirolo e dalle osservazioni sui costumi tedeschi ricavò
l’acuto Rapporto delle cose d’Alemagna, rielaborato poi nel 1512 nel
Ritratto delle cose della Magna. Presso l’imperatore stette sino al
giugno 1508. Nel 1509 presente alla resa di Pisa fu tra coloro che
sottoscrissero l’atto di sottomissione; si recò poi a Mantova e a
Verona dopo la disfatta di Agnadello in legazione presso l’imperatore
Massimiliano.
Frattanto, poiché la svolta della
politica di Giulio II in senso antifrancese rendeva estremamente precaria
la posizione di Firenze, il Machiavelli partì per la Francia con
incombenze diplomatiche assai delicate: due furono allora le sue
legazioni, la prima nel 1510 e la seconda nel 1511.
Il 16 settembre 1512 i partigiani dei
Medici occuparono il palazzo della Signoria e la repubblica cadde. Il
Machiavelli fu naturalmente coinvolto nella reazione che seguì: non solo
venne allontanato dai suoi uffici, ma sospettato di complicità nella
congiura di Pietro Paolo Boscoli nel febbraio 1513 fu per breve tempo
imprigionato. La sanzione ultima fu di lì a poco la condanna al confino:
si ritirò allora nella sua casa dell’Albergaccio a Sant’Andrea in
Percussina presso San Casciano, occupandosi dell’amministrazione del
piccolo patrimonio familiare, ma intanto dalla corrispondenza con gli
amici e specialmente con Francesco Vettori cercava di avere notizie della
vita politica, che restava pur sempre la sua passione, e soprattutto si
dedicò nel raccoglimento e nello studio a comporre le opere nelle quali
il suo pensiero si spiega in sintesi luminosa.
Divenendo il confino progressivamente
meno rigoroso il Machiavelli poté recarsi di tempo in tempo a Firenze,
dove frequentò anche le riunioni degli Orti Oricellari. Nel novembre 1520
venne stipendiato per due anni per scrivere la storia di Firenze. L’anno
seguente fu mandato a Carpi presso il capitolo generale dei frati minori
che Firenze voleva staccare dagli altri confratelli, e da quell’ufficio
di scarso rilievo trasse spunto un interessante carteggio col Guicciardini
che si trovava allora a Modena. Tornato a Firenze il suo maggiore impegno
fu attendere a scrivere la storia "a fiorini di suggello", ma le
vicende private di quegli anni non ci sono in tutto note: certamente non
subì persecuzioni per la congiura del 1522 contro il cardinale Giulio
de’ Medici, alla quale parteciparono alcuni dei frequentatori degli Orti
Oricellari; sappiamo che in quel periodo si colloca l’amore per una
donna fiorentina, la Barbera, recatosi espressamente a Roma nel maggio
1525, a Clemente VII, al quale, durante il soggiorno romano, il
Machiavelli propose anche di tentare in Romagna un arruolamento conforme a
quello da lui sperimentato con l’"Ordinanza della milizia". A
tal fine fu mandato presso il Guicciardini, allora presidente della
Romagna, ma questi giudicò irrealizzabile il piano dell’amico. L’anno
seguente nell’imminenza della guerra tra la lega di Cognac e Carlo V
ebbe finalmente una mansione politica importante: fu nominato provveditore
e cancelliere dei Procuratori delle mura, una magistratura che avrebbe
dovuto provvedere alla difesa di Firenze; e per ragioni del suo ufficio
ebbe anche occasione di recarsi presso Giovanni dalle Bande Nere. Ma la
sconfitta della lega e gli errori di Clemente VII determinarono nel 1527
la cacciata dei Medici da Firenze e la breve instaurazione della
Repubblica. Invano sperò allora di avere un incarico nel nuovo governo:
per l’età avanzata e soprattutto per essersi compromesso con i Medici
fu lasciato in disparte e forse l’amarezza sofferta affrettò la sua
fine: dopo breve malattia la morte lo colse il 21 giugno.
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