La progressiva colonizzazione romana della Valle padana
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La romanizzazione
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Cosa successe dopo la conquista romana?
Con il processo di romanizzazione lo "strato" celtico non scomparve, ma venne
inglobato nella nuova cultura dominante.
I romani ridisegnarono il territorio con la centuriazione e la fondazione di
centri abitati. Attorno alle nuove colonie si disposero le tribù vinte
che, generazione dopo generazione, vennero assorbite o integrate. Poco rimase
del vecchio ordine, che decadde in pochi decenni: l'imperialismo romano nella
Gallia cisalpina apparve infatti come un'irresistibile forza di rinnovamento.
Già verso il 150 a.C. la lingua dei Galli era scomparsa dalla Valle padana.
Tratto da: « Lineamenti della Gallia Cisalpina»,
La Nuova Italia
Le differenti caratteristiche della colonizzazione
a nord e a sud del Po
In Transpadana (Insubri e Cenòmani) la proprietà agraria
romana sembrò quasi sovrapporsi pacificamente ai moduli tribali del possesso
celtico preesistente. Roma lasciò ampi spazi di sopravvivenza agli insediamenti
originari e questo fu uno degli elementi che favorì l'esito non violento
del processo di romanizzazione. Al contrario, l'intervento romano in Cispadana
(Emilia, Romagna e Liguria), fu caratterizzato da fenomeni vistosi di confische
agrarie e di redistribuzione delle terre. Intere popolazioni vennero quasi del
tutto sterminate o deportate, per far posto ai nuovi coloni romano-italici.
Quest'azione di sradicamento toccò prevalentemente i Boi e i Senoni tra
i Celti e gli Apuani tra i Liguri. Foraboschi: «Ci troviamo davanti a
un radicale rivolgimento dell'assetto demografico di queste regioni, cui corrisponde
l'impianto di un'economia agraria [
] articolata tra piccole, medie e grandi
proprietà, condotte come aziende a monocultura, i cui prodotti venivano
quindi smerciati nei mercati urbani». Per integrare la spiegazione di Foraboschi,
va precisato che la pluricultura presuppone un regime di autarchia, invece con
la monocultura il produttore è obbligato a scambiare. È il modello
di azienda che nel II secolo a.C. Catone raffigurerà nel trattato De
agricultura.
La proprietà terriera
Dal punto di vista giuridico lo Stato romano vantava un diritto di
dominio su tutto il suo territorio, che veniva perciò definito ager
publicus. Le terre erano concesse in fitto, quindi in teoria lo Stato poteva
rivendicarle in qualsiasi momento. Il colono era anche tenuto a corrispondere
al fisco a titolo d'imposta (vectigal) una parte dei suoi prodotti, variabile
da un decimo a un quinto. Secondo la consuetudine, le terre sottratte ai nemici
diventavano di proprietà dello Stato.
L'ager privatus, che prevedeva per i coloni il diritto di proprietà
libera, piena e trasmissibile sugli appezzamenti che lo Stato assegnava loro,
era invece molto limitato.
Secondo la cosiddetta "Costituzione serviana", ad
ogni classe sociale poteva essere assegnato un determinato lotto da coltivare,
o da attribuire a pascolo. Le classi sociali erano cinque; unità di misura
era lo jugero (4 jugeri = 1 ettaro):
I classe: da +20 a 500 jugeri;
II-III-IV classe: dai +5 ai 20 jugeri;
V classe: da 2 a 5 jugeri.
Fonti: leggi "Licinie-Sestie" del 367 a.C.; legge di Sempronio Gracco
del 132 a.C.
Al momento della fondazione di Ariminum (268 a.C.), la superficie dei territori annessi a Roma era giunta a 25.000 Kmq. Se si tiene presente che un terzo dei nuovi territori era di proprietà dello stato, si può calcolare che la superficie dell'ager publicus fosse salita a più di 800.000 ettari. Diventava possibile perciò il moltiplicarsi sia dei piccoli poderi degli agricoltori liberi (assegnazioni viritane, vedi pagina seguente), sia la formazione di grandi proprietà terriere da parte delle classi sociali elevate. Foraboschi: "Quindi il disegno politico-sociale di quasi tutte le colonie di questo periodo è teso alla ricreazione di uno strato di piccoli contadini, socialmente solidi e pronti a trasformarsi in soldati. L'esigua dimensione degli appezzamenti privati imponeva ai contadini di utilizzare [a fini privati parte delle] terre pubbliche (ager publicus)". Ciò in deroga alla legge romana.