archivio

mail me

homepage

 

IL "PUNTO DI FORZA"

DELLA LINEA GOTICA

 

   

LA "AUFTRAGSTAKTIK",

O "TATTICA DEL COMPITO"

GLI INSEGNAMENTI

DELLA CAMPAGNA D'ITALIA

DA VALMONTONE ALL'ARNO

IL "PUNTO DI FORZA"

DELLA LINEA GOTICA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo "Schwerpunkt" della Linea Gotica potrebbe essere un classico esempio da insegnarsi nelle Scuole di Guerra. Non sapendo dove su un così lungo fronte di 320 km. gli Alleati avrebbero scatenato la loro offensiva, non sapendo se questa sarebbe avvenuta in un unico settore o in settori diversi, al Comando del Gruppo d'Armate non restava altro da fare che quello che fece: dislocare le truppe secondo una formula matematica, 2/3 della forza (13 divisioni) lungo il fronte 1/3 (7 divisioni) in riserva o difesa costiera.
Dopo che fu chiaro che dal 25 agosto solo l'VIII Armata britannica portava avanti l'offensiva, il Gruppo d'Armate spostava e trasferiva le 7 divisioni disponibili nel settore adriatico creando due settori di lotta molto differenti: 
a) un settore di 270 km. con 3 Corpi d'Armata e 10 divisioni con il vuoto alle spalle; 
b) un settore di soli 50 km. con un solo Corpo d'Armata, il XIV Corazzato, con 10 divisioni. Quest'ultimo settore divenne lo Schwerpunkt di Kesselring.
19 trasferimento di 7 divisioni nel settore adriatico dovette superare grandi difficoltà. A causa del dominio aereo nemico le nostre divisioni potevano muoversi solo di notte (circa 8 ore su 24!) per cui il trasferimento durò venti giorni. Ma fu svolto in maniera eccellente e riuscì nel suo scopo di fermare gli Alleati al Rubicone.
C'è da rilevare inoltre che al successo dello Schwerpunkt adriatico contribuì la mancata contemporaneità di un'offensiva nel settore di 270 km.

Se gli Alleati avessero attaccato contemporaneamente la Linea Gotica sarebbe crollata perché i tedeschi non avevano altre riserve disponibili. Nella seconda fase poi, gli attacchi a tempi scaglionati prima verso Cesena, poi sulla Firenze-Bologna, dettero al Comando del Gruppo d'Armate tedesco la possibilità di spostare con calma le divisioni dall'Adriatico nei settori montani minacciati. Si crearono così nuovi Schwerpunkt che riuscirono a logorare le divisioni alleate, in questo caso le 4 divisioni americane, fermandole a 15 km. da Bologna.
Da prendere in considerazione anche l'opinione di Puddu che l'attacco britannico in Romagna fu lanciato su un fronte troppo stretto, per quanto scaglionato in profondità il che rese possibile all'avversario di rafforzare al massimo le difese e non si pensò a un attacco laterale di fianco con base di partenza dalla Valle Tiberina. Così l'attacco iniziale, nonostante il valore dei canadesi e dei polacchi, si assolse in una tipica battaglia di logoramento.
Un accenno particolare merita l'organizzazione difensiva tedesca sulla Linea Gotica, che illustra chiaramente i sistemi della difesa mobile. Per l'impossibilità di presidiare l'intera linea con una densità sufficiente di forze e visti per esperienza i limiti della continuità d'una linea difensiva, i tedeschi sostituirono alla rigidità delle posizioni l'elasticità di condotta, la flessibilità e la fluidità del dispositivo. Acquistò allora valore decisivo la reattività a tutti i livelli anche a scapito della densità degli schieramenti e si valorizzò lo sfruttamento degli ostacoli naturali, in particolare dei corsi d'acqua, come posizione di riferimento, di attestamento e di resistenza a oltranza.

L'adozione dei procedimenti di difesa mobile che tendevano alla paralisi dell'attacco, più che all'annientamento delle forze che lo conducevano, permise alle truppe tedesche di ottenere successi difensivi anche sui terreni di pianura e collinari.

Le unità germaniche ricorsero all'osservazione, condotta da elementi leggeri ed estremamente mobili, al frenaggio, con l'installazione di avamposti, e all'arresto dell'attacco alleato mediante un sistema di capisaldi o di posizioni di sbarramento (Riegelstellung), presidiati da plotoni o da compagnie disposte in profondità nel settore difensivo.
I capisaldi o le posizioni di sbarramento, potenziati da campi minati, erano in genere installati nei pressi delle vie di comunicazione e sulle alture che le dominavano, dietro un ostacolo naturale o artificiale importante (argini, canali) che conveniva valorizzare o in una zona che consentiva la copertura o la possibilità di sottrarsi all'osservazione aerea avversaria.
La condotta elastica della difesa, attraverso le posizioni organizzate in profondità, prevedeva l'esecuzione di immediati contrattacchi/contrassalti con riserve locali tenute nei pressi della linea avanzata. Se questi contrassalti/contrattacchi non avessero avuto successo, H Comando superiore avrebbe rinunciato alla riconquista della precedente linea di difesa per risparmiare le forze e, in tale caso, veniva costituita una linea di difesa principale più indietro (tattica delle linee). L'esigenza di formare una riserva per occupare la zona in profondità, portò i tedeschi a diluire ulteriormente la linea principale di combattimento anche a prezzo del suo indebolimento.
La profondità del dispositivo di una divisione schierata a difesa era assicurata, a livello divisionale dai battaglioni esploranti o controcarro e a livello reggimentale da una compagnia d'assalto. Nelle divisioni di fanteria mancava il 3° battaglione di ogni reggimento, eliminato a seguito della ristrutturazione organica delle divisioni di fanteria, terminata nell'estate 1944.
Il dispositivo divisionale poteva variare in caso di Schwerpunkt e in relazione al tipo di unità (fanteria, granatieri corazzati, ecc.)
Inoltre, a seconda delle caratteristiche del terreno e della capacità dei Comandanti di prevedere o meno dove l'avversario potesse attaccare (anche in relazione ai metodi degli alleati) cambiava la disposizione delle unità disposte in profondità.
Se dallo studio del terreno emergevano limitate direzioni di possibile penetrazione avversaria, le unità in riserva venivano schierate in posizioni di sbarramento pre-pianificate (Riegelstellung) (o in capisaldi nel settore montano); in caso contrario, queste erano dislocate a tergo in una zona più o meno baricentrica, idonea per intervenire rapidamente in più punti. Le prime erano posizioni preparate, occupate o predisposte, situate immediatamente a tergo della linea avanzata oppure a una certa distanza.

Le "Riegenstellungen" consentivano alla truppa di ancorarsi a esse nell'eventualità di una penetrazione nemica, di non coinvolgere nel ripiegamento i settori di fronte contigui non investito dal nemico e di allacciarsi alla precedente linea di resistenza.

Tali posizioni, inoltre, potevano essere costituite semplicemente da un allineamento sul quale un reparto avrebbe dovuto attestarsi per bloccare una penetrazione avversaria non prevista, oppure rappresentare una base dalla quale condurre i contrassalti.
La scelta del tipo di difesa in profondità era responsabilità dei Comandanti a tutti i livelli.
I capisaldi, realizzati principalmente nel tratto montano della Linea Gotica, erano disposti in profondità sino a tre ordini successivi.

Le loro posizioni avanzate, invece di essere costituite da linee fisse e continue erano tenute da gruppi di avamposti protetti da intricate linee di fuoco difensivo. A tergo, attendevano in zone di riserva, opportunamente protette, le forze di contrattacco. Frequenti erano le posizioni in contropendenza, anche se noi della 29ª non le abbiamo mai applicate.
La carenza di forze in alcuni settori secondari montani, infine, costrinse i Comandi tedeschi a tenere sguarniti interi tratti di fronte. Si vedano per esempio, le posizioni della 305ª divisione di fanteria nel settore forlivese Portico-Galeata sulla Linea Verde (o Gotica) n. 2 ove il 576° reggimento doveva difendere un settore largo 20 km. con soli 3 battaglioni per cui a difese in profondità di 3 o 4 scaglioni, poste sulle strade, si alternavano ampi spazi vuoti, senza un soldato, larghi fino a 6 km. (Difesa a settore largo).

Si condusse allora la cosiddetta difesa/offesa che consisteva in azioni aggressive effettuate da unità di circa 30 uomini, le quali, spostandosi in continuazione lungo tutto quel tratto di fronte non presidiato, attaccavano le posizioni dell'avversario per mantenerlo costantemente sotto pressione ingannandolo sulla reale consistenza della difesa.

Le battaglie dell'offensiva della Linea Gotica sono, purtroppo, poco conosciute in Germania per il semplice motivo che l'attenzione degli storici è stata attratta dalle vicende belliche dei fronti a est e a ovest.

Esse tuttavia costituiscono, a detta di Kesselring, una pagina famosa nella storia militare della Germania, una grande vittoria difensiva ammessa dallo stesso Churchill quando parla di fallimento dell'offensiva di Alexander, che ebbe per gli alleati le più gravi conseguenze sul futuro dell'Europa sud-orientale. In esse rifulse la genialità tattica di Kesselring il quale contro il volere di Hitler che non intendeva cedere al nemico un metro di terra seppe adottare una difesa elastica che, approfittando degli errori nemici, salverà l'esercito tedesco in Italia bloccando per ben sei mesi l'avanzata degli strapotenti eserciti alleati.
Le fasi principali dell'Operazione Olive (o battaglia di Rimini), prima fase dell'Offensiva di Alexander, si possono identificare nella prima battaglia di Coriano, quando l'avanzata dell'8a Armata britannica fu arrestata bruscamente davanti al crinale corianese fra Riccione e Rimini, e nello sfondamento della Linea Gialla (o Linea Rimini), quando gli attaccanti non seppero sfruttare il successo dello sfondamento.
Il giudizio dei comandanti tedeschi sulla conduzione alleata della la battaglia di Coriano”, - scrive Montemaggi – “è improntato allo stupore per una simile condotta tattica. Invece di puntare direttamente su Rimini con tutto il peso delle loro forze corazzate, Alexander e Leese, il comandante dell'8a Armata britannica, avevano disperso i loro mezzi sulle colline di Coriano, indebolendo la forza d'attacco”.

Non sarà inopportuno rilevare che questo giudizio dei comandanti tedeschi sull'Adriatico contrasta con quello di von Senger, allora sul Tirreno, il quale attribuisce il fallimento dell'attacco alleato non tanto all'errore tattico di Leese quanto al fatto che i mezzi corazzati non erano più all'altezza delle mutate condizioni tattiche della guerra. 
Un giudizio sull'efficacia dei carri armati nella battaglia di Rimini è difficile. Il terreno lungo la costa e più all'interno si prestava al loro uso e noi adoperammo i pochi nostri a regola d'arte.

La nostra divisione era meno che dimezzata e a 5 km. da Rimini sulla Montescudo-Rimini la via era sbarrata solo dalla mia compagnia e dai 4 carri armati del sottotenente Hecht. Un battaglione corazzato nemico avrebbe potuto sfondare agevolmente. Noi ci chiedevamo perché non lo facessero.
E colonnello Horst Pretzell, Capo Ufficio Operazioni della XIV Armata, nell’estate 1945 scrisse per il Comando Supremo alleato le sue osservazioni:
Fino a oggi non è completamente chiaro, dal punto di vista tedesco, perché gli Alleati non sfruttassero subito il successo dello sfondamento della Linea Gotica, puntando direttamente su Rimini, senza curarsi dei fianchi. Allora i tedeschi non avevano più riserve capaci di offrire una resistenza degna di questo nome a uno sfondamento tanto inaspettato ... Durante il successivo cono della battaglia (la battaglia di Coriano, n.d.r.) sarebbe stato forse di maggior vantaggio per il potere dirompente dell'offensiva se ci fosse stata una più marcata concentrazione delle forze sulle ali interne dei Corpi d'Armata
attaccanti e se queste forze fossero state impiegate in un attacco concentrico nel settore costiero (il settore canadese) più idoneo alle operazioni dei carri. L'ostinazione con cui le truppe del V Corpo d'Armata britannico furono sprecate negli attacchi contro le alture di Germano e di Coriano causò la dispersione di considerevoli forze dall'attacco principale. Ne risultò che il cono dell'offensiva fu notevolmente ritardato
".
Lo sfondamento della Linea Gialla riminese e il mancato sfruttamento del successo da parte degli alleati sono il momento culminante della battaglia di Rimini, in cui la 29ª divisione ebbe una parte da protagonista contro il I Corpo d'Armata canadese che era divenuto la punta di diamante dell'offensiva stessa.

L'attacco alleato fu preceduto da un "mostruoso" bombardamento terrestre, aereo e navale. Scrivono i cronisti della 29ª: Il nemico ha impiegato una massa di uomini e mezzi finora sconosciuta nella guerra in Italia. Mentre i bombardieri attaccavano le postazioni di artiglieria, i cacciabombardieri erano permanentemente in cielo per attaccare qualsiasi obiettivo, sia pure un singolo camion e talvolta un singolo soldato.
Ricordo quei bombardamenti come un incubo.

La mia compagnia era appostata in un campo presso il fiume Ausa sotto quel fuoco tambureggiante (Trommelfeuer) nella notte fra il 16 e il 17. Furono tre ore di fuoco che sembrava non finissero mai. Con questo sistema l'artiglieria nemica bloccava spesso i nostri rifornimenti notturni. E non vorrei dimenticare che i caccia-bombardieri quasi regolarmente attaccavano i nostri portaordini motociclisti come se sapessero che tutto il nostro sistema di comunicazioni si basava su di loro.
Riprendono i cronisti della 29ª: “L'artiglieria nemica era molto superiore alla nostra. Le munizioni a loro disposizione erano molte volte di più delle nostre. L'artiglieria navale intervenne pure nelle battaglie terrestri con grande successo”.
Effettivamente l'artiglieria nemica aveva a disposizione tutto quello che voleva e come gli pareva. Quando fui fatto prigioniero, passando fra le loro batterie, vidi il loro sistema. Arrivavano con i camion fino alle postazioni delle batterie, i camion si affiancavano a ogni singolo pezzo d'artiglieria e le granate passavano direttamente dal veicolo al cannone.
Dalle nostre posizioni parte un rabbioso, devastante fuoco di difesa. I nostri mortai - che nella notte dal 19 al 20 settembre sono stati riforniti con grande difficoltà con una scorta di l.000 granate - oppongono davanti alle nostre posizioni un tale sbarramento di fuoco che il nemico attaccante perde la vista e l'udito.
I mortai, sia quelli da 80mm. che quelli da 120mm., erano la nostra salvezza. Durante il giorno la nostra artiglieria pesante da campagna non poteva intervenire con tiri di controbatteria e di sbarramento per non esporsi ai caccia-bombardieri nemici sempre in agguato dall'alto.

I canadesi, nostri diretti avversari nella battaglia di Rimini, asseriscono di aver molto sofferto per i tiri della nostra artiglieria. Io ritengo che essi abbiano molto sofferto per i nostri mortai e la nostra artiglieria di fanteria.
I mortai e l'artiglieria di fanteria erano diventati la nostra artiglieria con il motto “Hilf dir selbst, dann hilf Gott” (“Aiutati che il Ciel t'aíuta"). Per questo, sulla base della mia esperienza, io insegno alla scuola di Guerra canadese che la fanteria per difendersi bene ha bisogno di mortai efficienti, di cannoni da fanteria e di armi controcarro di qualsiasi tipo. La campagna d'Italia insegna.
Adoperando un sistema messo a punto nella la guerra mondiale proprio sul fronte italiano gli inglesi a cominciare dalla notte del 18 settembre, e illuminano il campo di battaglia con potenti proiettori. La prima volta verso le ore 22 gli abbaglianti del nemico illuminano tutto il cielo puntando sia contro la prima linea sia contro le nubi - annotano i cronisti della 29ª: - “Questi abbaglianti cercano di ostacolare l'osservazione verso il nemico, ma d'altra parte sono d'aiuto per i nostri autisti dei servizi che si possono orientare più rapidamente e non vengono più ostacolati dai crateri delle granate”. Ricordo bene che quell'illuminazione non era di nessun ostacolo all'osservazione. Anzi ci permetteva di vedere meglio il nemico e ciò è anche dimostrato dal fatto che quando gli abbaglianti erano in funzione il nemico non attaccava né noi, né i nostri movimenti notturni.
Piuttosto era da incubo la presenza della nebbia. E qui sottoscrivo interamente le parole di Nardini che, pur riferendosi a Cassino, descrivono l'aspetto del campo di battaglia riminese sotto gli incessanti bombardamenti aerei e i cannoneggiamenti di terra e dal mare: Nebbia davanti agli avamposti, nebbia davanti al nemico, nebbia davanti agli hotels, nebbia per prendere i feriti, nebbia per portare le munizioni, nebbia, nebbia ... Il giorno non esisteva più; c'erano solo due specie di notti, una giallognola, piena di nubi, che non permetteva di vedere e prendeva alla gola, l'altra piena di lampi, di sprazzi di luci, di raffiche di mitragliatrice, di rumori paurosi.

Era questo l'ambiente del nostro attacco sull'Ausa il 17 settembre e quello, più tardi, dell'attraversamento dell'Uso, nei pressi di Sant’arcangelo.
Nella seconda battaglia di Coriano, dove la 29ª distrusse 46 carri nemici, i nostri fortilizi erano le case su cui si basava la nostra difesa mobile. Usavamo le case o le loro rovine per difenderci il più a lungo possibile: esse ci riparavano dal fuoco di qualsiasi arma.
L'errore alleato di aver diretto la carica decisiva della la divisione corazzata britannica contro il crinale di Coriano invece che contro la piana dell'aeroporto riminese di Miramare è rilevato anche dai cronisti della 29ª quando scrivono che il pericolo maggiore era lungo la costa ove il terreno offriva al difensore poche possibilità. Il nemico avrebbe potuto impiegare l'suoi carri in massa e appoggiare la sua avanzata con l'urto dell'aviazione e delle artiglierie terrestri e navali.

Un attacco di sfondamento avrebbe aggirato le ultime postazioni difensive di Coriano e del colle di Covignano e avrebbe permesso al nemico di attaccare le nostre difese sul fianco evitandogli di autodistruggersi con i soliti attacchi frontali.
Questo commento è stato evidentemente ispirato dal generale Pollack, che comandò la divisione dal primo settembre, o dal generale Herr, che comandava il LXXVI Corpo Corazzato, ma era anche il commento che facevamo noi sulla linea del fronte. Infatti i soliti attacchi frontali, a Cassino e in altre zone permettevano a noi di difenderci meglio e a loro di avanzare molto lentamente.
Il 19 settembre si scatenò su tutto il fronte, da Rimini a S. Marino, l'attacco alleato preparato da uno spaventoso bombardamento terrestre aereo e navale. Il punto centrale della lotta fu l'ameno colle di Covignano, attaccato da due brigate canadesi e difeso dai due reggimenti della 29ª che nel centro del loro schieramento a S. Fortunato avevano dovuto mettere i turcomanni della 162ª divisione di fanteria.

Terrorizzati dai bombardamenti i turcomanni si arresero, permettendo ai canadesi di sfondare l'ultima difesa tedesca prima della pianura padana.

La mattina del 20 la divisione resiste ancora in due isole a villa Battaglia (il nome Battaglia è un errore del cartografo italiano: in realtà si tratta della villa Battaglini/Bianchini) e a S. Lorenzo a Monte Tutto il settore attorno era aperto all'attacco nemico. La divisione era alla fine delle sue forze - scrivono i cronisti.

Ed ecco la novità, che per altro non è una novità. Gli alleati vittoriosi non sfruttano il successo. Per motivi inconcepibili il nemico si ferma e non sfrutta con vigore questa sua opportunità. Forse gli fece impressione la inaspettata e decisa resistenza di quei due piccoli centri isolati. Ed è per merito di questi due gruppi di combattenti che la giornata non finisce in una catastrofe.

A un attacco di sfondamento, lanciato dal nemico con tutte le sue forze, la divisione non avrebbe avuto più nulla da opporgli”.
La battaglia del Covignano, nota nelle cronache alleate come la battaglia di S. Fortunato, è un classico esempio di mancato sfruttamento del successo. Come tante altre volte durante la campagna d'Italia il nemico ci ha dato il tempo di riorganizzarci e di occupare nuove posizioni difensive e di prepararci a resistere a un nuovo attacco. Un ufficiale tedesco, anche a livello di comandante di compagnia, sapendo che il compito del reggimento era quello di raggiungere il Marecchia non si sarebbe fermato davanti all'isolata resistenza di S. Lorenzo a Monte ma avrebbe proseguito verso il fiume, per arrivarvi prima del nemico in ritirata! Noi ci ritirammo in buon ordine, indisturbati, occupando posizioni difensive intermedie, scavalcando un caposaldo dietro l'altro, con un metodo provato durante i nostri addestramenti, che ci diede sicurezza e calma, mentre il nemico rimaneva sufficientemente lontano alle nostre spalle.

Per la divisione questa pausa del 20 e 21 settembre fu un regalo inaspettato. Ci diede la possibilità di organizzare tutti i reparti e di riordinarli per il prossimo impiego a nord del Marecchia.

I generali alleati addussero a causale di questo mancato sfruttamento del successo le piogge che effettivamente provocheranno una forte inondazione ... ma qualche giorno più tardi! La loro giustificazione non convince - scrivono i cronisti della 29ª. - Sulla riva meridionale del Marecchia erano rimasti pochi avamposti. Il fiume nel nostro settore con le sue sponde basse, con il letto duro di ghiaia e quasi senz'acqua non rappresentava certo un ostacolo (lo prova anche il fatto che per questi motivi di praticabilità del letto del fiume fu giudicata naturalmente inutile la distruzione del
famoso ponte romano di Tiberio, che venne lasciato intatto dai genieri tedeschi).

Personalmente non ricordo alcuna pioggia, il 20 e il 21 settembre. Ricordo che ritirandoci nei pressi di S. Vito, la campagna era illuminata dai pagliai incendiati dalle opposte artiglierie, cosa che non sarebbe successa se i pagliai fossero stati bagnati.
La battaglia di Rimini fu la più grande battaglia di mezzi in Italia. Il nemico, in tutti i campi largamente superiore, possedeva la piena padronanza dell'aria. Poteva cambiare spesso le sue truppe e attaccare dopo pochi giorni con forze fresche. Una gran parte del suo successo era dovuta all'artiglieria, che poteva contare su un enorme numero di pezzi di tutti i calibri e su un'enorme quantità di munizioni. Spesso la loro artiglieria distrusse le nostre postazioni difensive prima ancora dell'attacco delle fanterie, spezzando il morale delle nostre truppe.

Se egli, nonostante questo, non ebbe successo fu per la sistematica rigidità dei suoi attacchi che volevano evitare qualsiasi rischio, e per la fermezza delle nostre fanterie e delle loro armi d'appoggio. Tutti i reparti combattenti diedero prova di forze sovrumane.
Questa è la storia della battaglia di Rimini vista dalla 29a divisione di Granatieri Corazzati che ne fu una delle protagoniste. Per parte mia vorrei aggiungere tre cose: 
1) gli alleati cambiavano spesso le loro truppe mentre noi tenevamo in prima linea gli stessi uomini e ciò ci ha logorati profondamente; 
2) dall'inizio della 2a battaglia di Coriano, 13 settembre, abbiamo combattuto di continuo, giorno e notte, passando da una situazione di emergenza e crisi a un'altra, con le compagnie quasi sempre isolate. Il nostro morale ne ha risentito fortemente tanto che alla fine è dovuta intervenire la Feldgendarmerie per fermare i singoli soldati sbandati; 
3) l'appoggio alle fanterie fu dato dai mortai di compagnia (80 mm.), dai mortai di battaglione (120 mm) e dall'artigheria di fanteria reggimentale. La nostra artiglieria pesante da campagna nel mio settore di prima linea non si vide mai di giorno né si senti mai di notte. 
Ma l'offensiva della Linea Gotica non finì con la fine della battaglia, di Rimini e lo stop imposto alle truppe alleate il 29 settembre sul fiume Rubícone. E nuovo comandante dell'VIII Armata britannica spostò la lotta sulle colline a sud di Cesena per cui il mio reggimento fu mandato a Montecodruzzo e a Monteleone a combattere contro i mongolo nepalesi Gurkhas, terribili nei combattimenti notturni. Poi fummo trasferiti a sud di Bologna per opporci agli americani.
Le nostre perdite erano state pesanti. Al Rubicone la mia compagnia era ridotta a 30 uomini. In tre giorni fu riportata a 110 combattenti, più della metà dei quali li perdemmo nei 12 giorni di combattimento contro i Gurkhas. Quando giungemmo sul nuovo fronte bolognese eravamo appena una cinquantina.
La 29ª divisione aveva ricevuto il compito di inserirsi fra la 65ª divisione a destra e la 362ª divisione a sinistra, fra la statale 65 Firenze-Bologna e la valle del fiume Zena. Il nostro reggimento combatteva a sud di Cesena quando il 71° difendeva il settore a sud di Zula e Castel di Zena. Il battaglione II/15 arrivò il 20 ottobre nel settore di Gorgognano, il I/15 si posizionò il giorno dopo nel settore di Casa Casetta al centro della valle poi giunse anche il III/15 nel settore del Poggio. Sui monti alla nostra sinistra si posizionò un reparto esplorante.
Il fiume era in piena a causa delle piogge ininterrotte. La valle molto stretta non permetteva a un battaglione di spiegarsi adeguatamente, le sovrastanti posizioni dominanti erano in mano agli americani della 34ª divisione USA. Sul fondovalle c'era solo una strada, con poche mulattiere e qualche sparso gruppo di case. Ogni tanto si vedeva qualche rara casa isolata: la terra grigia e fangosa ricopriva un fondo roccioso nel quale era impossibile scavare qualsiasi apprestamento difensivo.
I combattimenti iniziano subito, il 71° reggimento contro la 91a divisione americana, il 15° contro la 34ª divisione. Il modo di combattere degli americani è ben diverso dal nostro. Essi ci hanno dato l'impressione di essere ancora immaturi per la lotta. Un po’ di pioggia, un pò di fiume sopra gli argini e i combattimento venivano sospesi. Beati loro! Sembra che non volessero più combattere. Si davano prigionieri con grande leggerezza. Solo cosi si possono comprendere le numerose catture di 100, 80, 70 o 50 prigionieri alla volta! Lasciavano rapidamente le loro posizioni per ritirarsi mentre i nostri Comandi Superiori non parevano avere alcuna comprensione per noi. Si attraversava, se necessario, il fiume Zena in piena tre o quattro volte ... e noi bagnati fradici, dalla testa ai piedi, non avevamo alcuna possibilità di asciugarci in breve tempo. Bisognava combattere sotto la pioggia violenta, sul terreno scivoloso, nel freddo della notte. Credo che siamo sopravvissuti solamente perché abbiamo acceso dei fuochi nei camini di qualche casa, per riscaldarci a turno, squadra dopo squadra, ingurgitando forti liquori, vodka ...
Come ho detto il mio battaglione difendeva la valle dello Zena cambiando spesso posizioni e articolazioni difensive da tre compagnie in linea a tre scaglioni in profondità. Fra il 20 e il 31 ottobre il diario della mia compagnia descrive il susseguirsi degli scontri, fra cui l'attacco americano del 24 che ci costrinse ad abbandonare il Poggio, l'arretramento in 2° e 3° scaglione quando il battaglione III/15 ci rimpiazza in prima linea il 25, il contrattacco della mia compagnia e della 9ª compagnia del III° battaglione per la riconquista del Poggio e la cattura d'una cinquantina di nemici il 26, il posizionamento del mio comando a Casa Casetta e gli attacchi americani nelle notti del 28, 29 e 30 ottobre respinti tutti con successo, i rimpiazzi che mi creano nuovi problemi - una trentina di ragazzi diciassettenni che devo frenare e una quindicina di ex-avieri della Luftwaffe, che sono stati per sei anni di stanza in Germania e non hanno né esperienza né voglia di combattere.
Poi il 31 ottobre mi ammalo e vengo trasportato all'ospedale da campo n. 29 a Montagnana. Durante la mia assenza gli americani prendono finalmente Casa Casetta ma ne vengono ricacciati qualche giorno dopo.
Fu così che la spinta di Clark si fermò alla fine di ottobre, a 15 km. da Bologna.

 

 

 

released and webmastering by M@rcoweb®2011 - all rights reserved