Scheda bibliografica:

Argomenti filosofici sui
DIRITTI

Quello che segue è un elenco parziale di libri e testi che ritengo di segnalare alla lettura e che mi propongo di integrare via via con altri titoli, evidenziando per ciascuno i concetti secondo me piu' rilevanti. Altri riferimenti sono presenti nelle schede bibliografiche in questo stesso sito.


1.
Herbert L.A. Hart (Il concetto di diritto) considera il diritto come una importante sfera della vita sociale, un campo (quello delle norme giuridiche) che si affianca agli altri importanti campi della vita sociale, che sono quelli della morale e dell'abitudine: il diritto e' storicamente determinato ed e' in costante rapporto di interazione con gli altri campi del sociale.
Trattando le norme giuridiche, Hart le confronta con le regole dei giochi sportivi: la societa', egli osserva, e' un sistema di regole, delle quali una parte (variabile da societa' a societa', da epoca a epoca), costituisce diritto. La giustizia, precisa Hart, e' una parte della morale che si occupa di come vengono trattate classi di individui piuttosto che la loro condotta individuale; la giustizia e' la virtu' piu' pubblica e piu' giuridica, ma i suoi principi "non esauriscono il concetto di morale: e non tutte le critiche del diritto svolte su basi morali sono svolte in nome della giustizia" (pag.196).
Hart distingue il concetto di diritto dai diritti particolari, che determinano forme di ordinamento giuridico condizionate storicamente: rispetto all'ordinamento giuridico, egli individua pertanto le posizioni interne all'ordinamento, che sono quelle del soggetto di diritto, ed esterne che sono invece quelle dell'osservatore non partecipante che "guarda" le regole giuridiche del gioco sociale, ma al momento non e' soggetto ad esse perche' proviene da un altro ordinamento, dallo stato di natura, o da un altro pianeta (pagg.106-107). Il punto di vista interno, scrive Renato Treves, "e' quello di colui che accetta le norme in quanto componente del gruppo a cui le norme si riferiscono e che, con atteggiamento prescrittivo, le usa come guida della propria condotta (...); il punto di vista esterno e', invece, quello proprio dell'osservatore che, con atteggiamento descrittivo, si limita a prender nota 'del comportamento uniforme regolare' presente in un determinato gruppo e consistente, da un lato, nella generale uniformita' della condotta dei membri dei gruppi e, dall'altro, nell'abituale insorgere di 'una reazione ostile' alle deviazioni da tale comportamento" (Introduzione alla sociologia del diritto, pag.180).
Il punto di vista esterno all'ordinamento giuridico, osserva ancora Treves, corrisponde alla sociologia del diritto dei sociologi, alla sociologia del diritto, il punto di vista interno alla sociologia nel diritto.
I due punti di vista, interno ed esterno all'ordinamento, differiscono entrambi dalla "posizione originaria" di Rawls (Una teoria della giustizia, pag.134 e 164): in quest'ultima gli individui si trovano in una condizione di sospensione delle loro identita' individuali e sociali, in essa la societa' costituisce un problema, mentre i punti di vista interno ed esterno la configurano come un dato. Si tratta in un caso di prescrivere valori in una situazione ipotetica, immaginaria, ideale; nell'altro di considerare o descrivere fatti in istituzioni storicamente esistenti.
Il diritto, osserva Hart, esiste indipendentemente dalla trasgressione alle sue norme, la quale tuttavia ne costituisce il retroterra e giustifica il contenuto minimo del diritto naturale, che deriva da fattori strettamente connessi alla natura dell'uomo e dell'ambiente in cui egli vive: vulnerabilita' fisica, uguaglianza approssimativa, altruismo limitato, risorse limitate, comprensione limitata e limitata forza di volonta'. Da questi fattori derivano alcune norme naturali, che si trovano in ogni ordinamento giuridico di qualsiasi societa' umana, la piu' importante delle quali prescrive il dovere di non uccidere; altre impongono l'astensione dall'uso della violenza, il compromesso, "qualche forma minima di istituzione della proprieta' (benche' non necessariamente della proprieta' individuale), e il tipo speciale di norma che ne impone il rispetto" (pagg.228-229).
Oltre a queste norme statiche, Hart rileva l'esistenza di norme dinamiche, che consentono agli individui di creare obblighi e di variarne l'incidenza: fra queste vi sono norme che permettono di trasferire, scambiare, vendere cose, e norme che "garantiscono il riconoscimento delle promesse come fonti di obbligazione" (pag.229).
L'ordinamento giuridico di una societa' evoluta e' costituito da due tipi di norme, primarie e secondarie, ed e' fondato su un tipo particolare di norma secondaria che e' detta di riconoscimento. Il riconoscimento delle norme giuridiche da parte dei funzionari preposti alla loro osservanza e' fondamentale per la stessa esistenza dell'ordinamento giuridico: infatti, osserva Hart, non basta che gli individui soggetti alle norme sia consapevoli dei loro doveri ed obblighi, occorre anche che chi sta dall'altra parte dell'ordinamento conosca i propri poteri e li interpreti in modo conforme al riconoscimento che ad essi viene dato dai soggetti del diritto in questione: "l'affermazione che un ordinamento giuridico esiste", scrive Hart, "e' percio' un'asserzione bifronte che e' rivolta sia all'obbedienza dei privati cittadini sia all'accettazione da parte dei funzionari delle norme secondarie come criteri comuni di giudizio del comportamento ufficiale" (pag.138).
La norma di riconoscimento non stabilisce l'efficacia delle altre norme (la loro obbedienza/disobbedienza) ma la loro validita', cioe' la loro appartenenza all'ordinamento come norme giuridiche (pagg.122-123); la norma di riconoscimento e' definitiva e suprema (pag.132), per l'osservatore esterno essa esiste nella pratica effettiva dell'ordinamento giuridico, mentre dal punto di vista interno e' valida, "la sua esistenza si manifesta nel modo in cui vengono individuate le norme particolari, da parte dei tribunali o di altri funzionari o dei privati o dei loro consiglieri" (pag.120).
Le norme primarie impongono obblighi (es. il diritto penale), le norme secondarie conferiscono poteri; fra queste ultime, oltre alla gia' citata norma di riconoscimento (che elimina l'incertezza del sistema di norme primarie), Hart individua una "norma di mutamento" (che conferisce dinamicita' all'ordinamento) e "norme di giudizio", che conferiscono l'autorita' per risolvere le questioni connesse alla violazione delle norme primarie, e percio' risolvono il problema dell'efficienza dell'ordinamento stesso.
L'insieme di norme primarie e secondarie non esaurisce l'ordinamento giuridico, osserva Hart, perche' il diritto e' una struttura sostanzialmente aperta, capace di far fronte a tutti quei casi particolari che non sono stati previsti dal sistema normativo (pag.117).
Il concetto di sovranita', osserva Carl Schmitt (Le categorie del politico), e' un concetto limite: "sovrano e' chi decide sullo stato di eccezione" (pag.33); la sovranita' e' il potere supremo, non derivato, mentre la decisione in senso giuridico deriva dal contenuto di una norma, che richiede situazioni medie omogenee e non ammette eccezioni (pag.130). Il caso d'eccezione o il caso di emergenza (pag.41), percio', non rientrano nell'ordinamento giuridico, che resta letteralmente senza parole: la decisione in tali casi va percio' intesa come decisione in senso forte, eminente.
L'ordinamento giuridico, osserva l'Autore, si fonda su una decisione, non su una norma: la sovranita' stabilisce cosa sia l'ordine (pagg.36-37); e nella situazione d'eccezione, lo Stato continua ad esistere ma il diritto no (superiorita' dello Stato sulla norma giuridica: l'autorita' non ha bisogno di diritto per creare diritto, pagg.39-40).
I giuristi invece intendono per diritto talvolta una regola (normativismo), talvolta una decisione (decisionismo), talvolta un ordinamento (pensiero istituzionale, pag.247 e seguenti).

norma stato legislativo potere razionale-legale legalita' (burocrazia, contrattualisti) ordinarieta'
decisione stato governativo potere carismatico contrattualisti straordinarieta'-sovranita'
ordinamento stato amministrativo potere tradizionale Hegel (e Aristotele) ordinarieta'

Si vedano altre considerazioni dell'Autore negli argomenti filosofici sulla teoria politica e sulla pace in questo stesso sito.
Per Maurice Duverger (I sistemi politici) l'obbedienza alle norme, che sono le regole di condotta collettiva, si fonda principalmente sul valore che viene loro riconosciuto (sistema di valori) piuttosto che sulle sanzioni; il diritto e' parte della cultura, nasce prima come diritto privato e diritto penale, poi come diritto amministrativo e diritto costituzionale (pagg.5-7).
Il concetto di Costituzione e' legato a quello di "patto", nel preambolo di ogni costituzione vi sono sempre Dichiarazioni di Diritti (pag.183); la costituzione puo' essere rigida oppure flessibile, quando e' modificabile con leggi ordinarie (pagg.8-9 e 184).
Si vedano altre analisi dell'Autore negli argomenti filosofici sulla democrazia e sulla liberta' in questo sito.

2.
Secondo Norberto Bobbio (Il futuro della democrazia), per governo della legge si intendono (pag.154):
- il governo secondo leggi (sub lege);
- il governo mediante leggi (per leges).
Questo per quanto concerne la forma; il contenuto delle leggi puo' poi essere egualitario o inegualitario.
Nel governo degli uomini prevale la giustizia caso per caso, che e' tipica delle societa' di diseguali (moglie-marito, figli-padre, schiavi-padrone), gli uomini vengono prima delle leggi (il grande legislatore, il fondatore di stati, il capo carismatico di Weber, pagg.163-165); il governo degli uomini surroga il governo delle leggi in epoche di crisi, e' strettamente connesso allo stato d'eccezione che e' in genere una crisi esterna (pag.167). Il potere tirannico, che e' extra legem (illegale, pag.158) non sempre e' eccezionale mentre il potere eccezionale non sempre e' corrotto (pag.168). La democrazia e' invece "il governo delle leggi per eccellenza" (pag.170).
Henry Summer Maine (pag.125) identifica le societa' arcaiche come societa' di status e le societa' evolute come societa' di contractus. Gran parte delle decisioni collettive nelle societa' poliarchiche vengono prese per mezzo di negoziati che si concludono con accordi (pag.124), il contratto sociale e' uno strumento di governo e non piu' solo un'ipotesi razionale: "la vita politica si svolge attraverso conflitti non mai definitivamente risolti, la cui risoluzione avviene attraverso accordi momentanei, tregue, e quei trattati di pace piu' duraturi che sono le costituzioni" (pag.128).
In democrazia i partiti sono necessari, e la logica privatistica dell'accordo e' alla base dei loro rapporti (pag.132); abbiamo pertanto (pag.134):
- diritto privato pattizio;
- diritto costituzionale pattizio;
- diritto internazionale pattizio.
Gli accordi che derivano da rapporti di tipo contrattuale sono labili e generano instabilita' (pag.145).
Il divieto di mandato imperativo diviene impraticabile (pag.136); l'Autore distingue il grande mercato (accordi fra partiti) dal piccolo mercato (cittadini elettori clientes dei partiti); nel voto di scambio si stabilisce un rapporto di do ut des fra elettore ed eletto (pag.126).
Giuliano Pontara (Crisi della democrazia e neocontrattualismo) individua alcune preferenze fondamentali: ad essere in vita, a non soffrire, a formarsi autonomamente le preferenze, da cui discendono il diritto per ciascuno alla vita, alla salute, all'autonomia (pagg.108-112). Nello stesso volume, Norberto Bobbio evidenzia come gli argomenti a difesa dei diritti fondamentali siano condizionati storicamente e pertanto non si puo' escludere una "evoluzione etica dell'umanita' " (pag.117).

3.
Nel libro L'eta' dei diritti (vedere anche la relativa scheda bibliografica), Norberto Bobbio descrive i diritti dell'uomo come:
- prodotti non della natura ma della civilta' umana (pag.26);
- mutevoli o storicamente relativi (costituiscono una classe variabile, pag.9);
- eterogenei; sono tre i modi possibili di fondare i valori (pag.19): dedurli dalla natura umana, considerarli verita' di per se stesse evidenti, oppure attraverso la prova del consenso;
- antinomici (diritti di liberta' e diritti sociali: "le societa' reali, che abbiamo dinnanzi agli occhi, nella misura in cui sono piu' libere sono meno giuste e nella misura in cui sono piu' giuste sono meno libere", pag.41);
- universali, attraverso uno sviluppo in tre fasi: prima le teorie filosofiche (giusnaturalismo), poi sistemi di diritti positivi in singoli Stati (Dichiarazione dei diritti degli Stati americani e Rivoluzione francese), infine la Dichiarazione universale del 1948 (pagg.22 e seguenti); scrive Bobbio: "e' avvenuto storicamente il passaggio da un sistema di diritti in senso debole, in quanto erano inseriti in codici di norme naturali o morali, a un sistema di diritti in senso forte, come sono i sistemi giuridici degli stati nazionali. E oggi attraverso le varie carte dei diritti in sede internazionale e' avvenuto il passaggio inverso da un sistema piu' forte come quello nazionale non dispotico a un sistema piu' debole come quello internazionale" (pag.85).
I diritti dell'uomo possono essere cosi' storicamente classificati:
Diritti della prima generazione (pag.70, pag.127): diritti individuali che consistono in liberta' ed implicano un non fare dello Stato;
Diritti della seconda generazione o diritti sociali, non rispondono come i primi a minacce alla liberta' dell'individuo ma offrono rimedi alla sua indigenza, sono antinomici rispetto ai diritti individuali (pag.13, pagg.41-42), consistono in poteri in quanto richiedono un fare positivo dello Stato: i tre diritti sociali fondamentali sono il diritto al lavoro (pag.43), il diritto all'istruzione, il diritto alla salute.
Diritti della terza generazione quali sono i diritti ambientali (pag.XV).
Diritti della quarta generazione (bioetica).
Assistiamo a processi di trasformazione dei diritti dell'uomo, caratterizzati dall'aumento crescente delle pretese e da difficolta' crescenti nel soddisfarle (pag.62 e 64):
- processi di universalizzazione (valgono i diritti fondamentali per ogni individuo, pag.215);
- processi di internazionalizzazione (a partire dalla Dichiarazione universale del 1948);
- processi di moltiplicazione per specificazione dei soggetti titolari di diritti (pagg.63-69-70-78); la specificazione si e' verificata:
a) rispetto al genere (uomini, donne);
b) rispetto alle varie fasi della vita (diritti dell'infanzia e della vecchiaia);
c) tra stati normali e stati eccezionali dell'esistenza (diritti speciali ai malati, agli handicappati, ai malati di mente, ecc.);
- processi di generalizzazione (es. del diritto di voto, pag.72);
- processi di estensione (alle generazioni future, agli animali).
Alla filosofia della storia, intesa come storia profetica (pagg.47-48-147), Bobbio contrappone una prospettiva di ambiguita' della storia umana (pagg.50-251); mentre il progresso scientifico e tecnico e' continuo e inarrestabile (pag.50), il progresso morale e' problematico (pag.51). Si veda il dibattito sulla pena di morte (pagg.196-199-201-202-206), strettamente connesso al dibattito sul diritto alla vita che si esplica in quattro forme (pag.214):
- il diritto a non essere uccisi (cui corrisponde il dovere di non uccidere);
- il diritto a nascere (cui corrisponde il dovere di non abortire);
- il diritto a non essere lasciati morire (cui corrisponde il dovere di soccorrere chi e' in pericolo di vita);
- il diritto alla sopravvivenza (cui corrisponde il dovere di offrire i mezzi minimi di sostentamento a chi ne e' privo).
Scrive Bobbio: "tradotti in termini normativi, questi quattro doveri presuppongono quattro imperativi di cui i primi due negativi (o comando di non fare), gli altri due positivi (o comando di fare)" (pag.214).
Nel libro Il problema della guerra e le vie della pace, Norberto Bobbio definisce il diritto come "l'insieme di regole per l'ordinamento pacifico di un gruppo" (pag.101); la pace e' l'obiettivo minimo e comune ad ogni ordinamento giuridico, che e' come un argine che canalizza i poteri di un gruppo sociale, la cui diga e' la Costituzione (pag.111).
Il rapporto fra guerra e diritto si puo' considerare in quattro modi (pag.99):
- guerra come antitesi al diritto (stato di natura hobbesiano);
- guerra come mezzo per realizzare il diritto (inteso come diritto soggettivo, giusta pretesa);
- guerra come oggetto del diritto (ius belli);
- guerra come fonte di diritto (guerra come rivoluzione internazionale, rivoluzione interna come guerra civile, pag.107).
Anche la forza rispetto al diritto puo' essere in antitesi, mezzo per realizzare il diritto, oggetto del diritto (diritto di guerra), fonte di diritto (teoria della guerra giusta, pag.104) La teoria della guerra giusta stabiliva i criteri di legittimita', di giustificazione: difesa, punizione, riparazione di un torto; oltre a cio', pero', una guerra per essere giusta doveva anche essere legale, nelle regole della sua condotta (pag.103). La teoria della guerra giusta e' soggetta pero' a due critiche:
- il giudizio e' affidato alle stesse parti in causa (pag.133);
- la violenza non garantisce di per se' la vittoria a chi ha ragione. Percio', osserva Bobbio, mentre con una procedura giudiziaria vince chi ha ragione, con la guerra ha ragione chi vince (pag.105).
Inoltre le teorie che giustificano la guerra non reggono di fronte alla prospettiva della guerra atomica la quale, essendo incontrollabile, e' l'antitesi del diritto (pag.41 e 112). La strategia nucleare impedisce la guerra di difesa come risposta all'attacco altrui perche' in questo caso non vi puo' essere eguaglianza fra delitto e castigo ma solo "delitto impunito", che come tale e' ingiustificabile (pag.62); la guerra atomica e' pertanto un male assoluto, nel senso di Hobbes (pag.131).

4.
Secondo un'analisi di Amnesty International (Diritti senza pace), il diritto internazionale dei diritti umani ha standard piu' rigidi del diritto umanitario in materia di uso legale della forza, in quanto suppone che i governi ne abbiano il monopolio; l'uso della forza da parte di altri soggetti si configura pertanto in esso come reato penale (pagg.71 e 74).
Sia il diritto umanitario che il diritto internazionale dei diritti umani si occupano di vaste tipologie di violazioni (pag.19): genocidio, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni, tortura nelle sue varie forme ed evoluzioni (stupro, ecc.), schiavitu', deportazione, detenzioni arbitrarie, persecuzioni politiche, razziali, religiose. Le violazioni dei diritti fondamentali sono commesse dagli Stati, gli abusi da vari soggetti (NGE: entita' non governative, pag.21).
Sono diritti umani inderogabili (super-diritti, core rights o minimum humanitarian standards la cui violazione costituisce crimine sottoposto a giurisdizione universale, pagg.77-78 e 82, nota):
"il diritto alla vita in alcune sue declinazioni, il diritto a non subire torture ne' punizioni o trattamenti disumani e degradanti, il diritto a non essere sottoposti a regime di schiavitu' o servitu', il diritto a non essere imprigionato per non essere in grado di adempiere ad un'obbligazione contrattuale, il principio di irretroattivita' della legge penale, il diritto a veder riconosciuta la propria personalita' giuridica, il diritto alla liberta' di pensiero, coscienza e religione" (pag.76, vedere anche la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948).
Si tratta di diritti essenziali, interrelati, non divisibili, meritevoli di tutela (pag.88).
Il diritto umanitario si rivolge a tutti i soggetti (autorita' statali ma anche ENG) ed e' considerato piu' cogente dagli stessi militari; le sue norme sono infatti quelle piu' riconosciute internazionalmente: Convenzione di Ginevra (1949, che riconosce peraltro uno status particolare alla Croce Rossa), Patto sui diritti civili e politici (1966, pagg.91-92).
Il rapporto verticale Stato-individuo comporta per lo Stato alcuni doveri negativi di garanzia (non uccidere, non torturare, non discriminare, ecc.) ed altri doveri positivi (diritti per i cittadini); doveri secondari positivi sono poi necessari per garantire i diritti umani, del cui rispetto lo Stato e' responsabile sia direttamente che indirettamente (per le violazioni altrui, pag.13): si tratta di interventi che richiedono risorse umane ed economiche ingenti, ad esempio per approntare la riforma delle procedure penali e dell'odinamento giudiziario.
Ma sono le situazioni di conflitto armato interne agli Stati che, nel solo ultimo decennio del XX secolo, hanno perpetrato abusi maggiori che nei quarant'anni precedenti: cio' ha comportato la necessita' di interventi tempestivi (tempestivita', osserva Amnesty International, in questi casi e' la parola-chiave, pag.91) e lo sviluppo di ONG appositamente preposte all'intervento (MSF, Caritas, Save The Children, Beati Costruttori di Pace, Croce Rossa Internazionale, ecc., pagg.22, 57 e 91). La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale possono incidere profondamente, vincolando gli aiuti al rispetto dei diritti umani da parte dei governi assistiti (pag.56).
La fine della guerra fredda ha segnato infatti una escalation di conflitti locali, regionali, etnici o religiosi con un crescendo di abusi e di conseguenti flussi migratori di rifugiati , che in massima parte hanno interessato paesi gia' poveri del Terzo Mondo (pagg.29-30, pag.42 e seg.; l'elemco dei paesi e' molto lungo: Ruanda, Mozambico, El Salvador, Cambogia, Sahara Occidentale, Algeria, Somalia, Guatemala, Bosnia Herzegovina, Haiti, Liberia, ecc.). In questo contesto, le Nazioni Unite si sono trovate ad organizzare non piu' solo tradizionali operazioni di interposizione, di peace-keeping (Namibia 1978, Sudafrica 1992), ma anche di peace-building, cioe' di sostegno alla ricostruzione anche in collaborazione con ONG (e con tutti i problemi organizzativi del caso: "sindrome armena" da eccesso di assistenza, pag.121 nota); in qualche caso, si e' trattato anche di operazioni di peace-making, azioni delle Nazioni Unite per imporre la pace.
Amnesty International osserva come "piu' di un terzo delle operazioni di mantenimento della pace iniziate a partire dall'istituzione delle Nazioni Unite sono state avviate tra il 1991 e il 1994" (pag.30; vedere anche alcune considerazioni del libro negli argomenti filosofici sulla pace in questo sito).
L'istituzione del Tribunale Penale Internazionale Permanente segna l'inizio del sopravvento del diritto delle genti sul diritto interno degli Stati leviatani ("caso Pinochet", pag.17): un Tribunale Penale Internazionale fu istituito inizialmente dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per processare i responsabili del genocidio in Ruanda (1994), la Conferenza Diplomatica di Roma nel 1998 lo istitui' in forma permanente (pagg.49-50). Le sentenze di giudici nazionali e internazionali in tema di diritti umani hanno effetti di deterrenza e di prevenzione, facendo venir meno l'immunita' per i mandanti delle violazioni (pag.94 e pag.97, nota).
Ma il genocidio perpetrato in Ruanda e' anche l'esempio di come il rifiuto o il ritardo nell'intervento (anche armato) di Stati terzi in paesi che violano in modo massiccio i diritti umani puo' causare disastri (pagg.51-52); le responsabilita' per gli abusi di massa, osserva poi Amnesty International, vanno condivise anche dai governi coinvolti indirettamente, attraverso la vendita di armi (pag.55).
I macro-obiettivi politici del movimento per i diritti umani sono la democrazia (obiettivo primario dei movimenti per il rispetto dei diritti civili e politici) ed il progresso economico-sociale (sindacati, associazioni ambientaliste, ONG per la cooperazione e lo sviluppo, pag.90).
A seguito dei profondi cambiamenti e del peggioramento nelle violazioni dei diritti umani dopo la fine della guerra fredda, Amnesty International modifico' nel 1991 il proprio mandato (pag.53); le attivita' di formazione, educazione, informazione ed allerta, fanno si' che il movimento per i diritti umani possa esercitare azioni preventive (pagg.83-85; diplomazia popolare o parallela, pag.88), anche se nei conflitti etnici l'operato delle ONG per i diritti umani rischia spesso di essere manipolato dalle parti in causa a fini politici (pag.59 e 64). L'atteggiamento proattivo dei molti militanti delle organizzazioni internazionali per i diritti umani e' in grado di controbilanciare le ingiustizie prodotte dai singoli dittatori, "nulla e' piu' politico (...) dell'impegno per la tutela dei diritti umani" (pag.8).

5.
Le democrazie capitalistiche, osserva Arthur M. Okun (Eguaglianza ed efficienza), si caratterizzano per due diversi livelli di dominio, il dominio dei diritti e quello del mercato. I diritti, in particolare:
- non hanno un prezzo, il loro utilizzo non e' economizzabile;
- sono distribuiti in modo universale, non vi e' specializzazione nel loro esercizio;
- sono distribuiti in modo eguale, persone con preferenze e capacita' differenti sono trattate in modo eguale;
- non vengono distribuiti come incentivi, premi, penalita' e quindi non si possono orientare verso attivita' socialmente utili;
- non sono obbligatori e possono non essere esercitati;
- non possono essere scambiati ne' con altri diritti ne' con denaro.
I diritti, osserva Okun, proteggono gli individui dalle interferenze dello Stato e di chi governa, e li trattano come persone morali dotate di dignita' (diritto ad un'esistenza decorosa, a condizioni accettabili di vita e di morte); insieme alle onorificenze ed alle intese amicali fra persone (la fraternita'), i diritti sono valori alternativi al mercato, che invece traduce ogni relazione ed ogni cosa in termini di prezzo.
Il mercato, pero', conferisce esso stesso diritti: il diritto di scegliere il proprio lavoro, di scegliere i beni da acquistare e consumare; l'economia di mercato favorisce la salvaguardia dei diritti politici: e' impressionante, osserva Okun, "che la storia delle nazioni a economia totalmente collettivizzata non ci mostri un solo caso di stampa libera ne' una sola libera elezione" (pag.40). Per altre considerazioni dell'Autore, si vedano in questo sito gli argomenti filosofici sull'uguaglianza e sulle riforme.

5.
Per Kant (Lo stato di diritto) il principio universale del diritto richiede che qualsiasi azione sia conforme al diritto quando la liberta' di ciascuno coesiste con la liberta' degli altri secondo una legge universale. Kant distingue il diritto:
a) come dottrina sistematica
- diritto naturale (fondato su principi a priori);
- diritto positivo (derivato dalla volonta' di un legislatore)
b) come facolta' morale di obbligare gli altri
- diritto innato (spetta per natura);
- diritto acquisito (richiede un atto giuridico).
L'unico diritto originario spettante all'uomo per la sua umanita' e' la liberta'; il principio della liberta' innata implica uguaglianza innata (coesistenza con la liberta' altrui secondo una legge universale), indipendenza, potere di fare cio' che non danneggia gli altri.
Il sovrano (dominio) puo' avere forma monarchica (autocratica: e' la piu' semplice forma statuale), aristocratica (due rapporti: dei nobili fra loro per costituire il sovrano, del sovrano col popolo), democratica (volonta' collettiva, e' la piu' complessa forma statuale); il regime (governo) puo' essere una repubblica (caratterizzata dalla divisione fra potere legislativo ed esecutivo) o un dispotismo.
Il patto sociale e' il patto di fondazione di una costituzione civile, che prevede il rapporto fra uomini liberi che vivono sotto leggi coattive; i principi dello stato civile o stato giuridico, riferiti al singolo individuo, sono: liberta' (da accordare con la liberta' altrui secondo una legge universale), uguaglianza (ognuno ha diritti coattivi verso gli altri membri del corpo comune), indipendenza; il contratto originario richiede liberta' esterna, uguaglianza fra i contraenti, unita' del volere di tutti (indipendenza). La ricerca della felicita' e' il fine comune a tutti gli uomini, ma nessuno puo' costringermi ad essere felice a modo suo (governo paternalistico, incompatibile con la liberta'): non esiste un principio valido universalmente per legiferare sulla felicita', ognuno pertanto deve essere messo in condizioni di liberta' per cercare la propria felicita' (senza violare la liberta' generale in conformita' alle leggi).
Un patto che preveda solo doveri e nessun diritto si annullerebbe da se', in quanto priverebbe l'individuo dello stesso diritto di fare un contratto.
Ciascun diritto consiste unicamente nella limitazione della liberta' per ogni altro, e dipende da leggi. Unica eccezione, il sovrano, che per Kant non e' sottoposto a leggi coattive. Inoltre, cittadino e' chi ha diritto di voto, e cioe' l'adulto maschio che abbia proprieta' o attivita' che gli consentano di vivere; pertanto, chi vende il proprio lavoro non e' padrone di se' e quindi non e' un cittadino Il consenso di tutti non e' possibile, valgono le decisioni prese a maggioranza e da delegati che rappresentino il popolo; il consenso del popolo per una legge la fa ritenere giusta.
Una volta che la costituzione civile esiste, al cittadino rimane solo la facolta' di manifestare la propria opinione su cio' che nella sua attuazione possa arrecare ingiustizia al corpo sovrano; e' ammessa querela, ma nessuna resistenza: l'insurrezione armata non e' percio' mai giustificata, perche' rende incerta ogni costituzione giuridica e fa precipitare ad una condizione di stato di natura, exlege in cui ogni diritto cessa di avere effetto (l'insurrezione non cambia la costituzione civile ma la dissolve). Il cambiamento della costituzione puo' dunque avvenire via riforma, non via rivoluzione; una volonta' suprema che volesse avere il diritto di sostituire la forza alla legislazione, distruggerebbe se stessa.
La buona educazione morale di un popolo deriva da una buona costituzione dello stato e non viceversa; il politico morale coniuga principi di prudenza politica con la morale (dottrina del diritto e del dovere). L'accordo della politica con la morale e' possibile solo in un'unione federativa.
Il principio trascendentale della pubblicita' stabilisce che sono ingiuste tutte le azioni relative al diritto degli uomini non compatibili con la pubblicita' (non vi puo' essere segreta riserva sottintesa per alcun diritto dello stato).
Allo stato di natura Kant oppone non lo stato sociale ma lo stato civile, tale cioe' da garantire la giustizia distributiva (cio' che e' mio e cio' che e' tuo) con leggi pubbliche. La volonta' generale si ramifica in tre poteri dello stato:
- la volonta' del legislatore, insidacabile e irreprensibile;
- il potere esecutivo del reggitore, inoppugnabile e irresistibile;
- la sentenza del giudice supremo, irrevocabile e inappellabile.
Al potere esecutivo spetta la facolta' di costringere in conformita' alla legge. Kant obietta anche che il legislatore non puo' decidere per il popolo quello che il popolo non puo' risolvere da se', ad esempio le credenze religiose; le spese per il mantenimento di una chiesa sono a carico di coloro che ne professano la fede.
Kant e' anche a favore della legge del taglione, e percio' della pena di morte per chi uccide, senza pero' maltrattamenti che sarebbero degradanti per il condannato; chi ruba, viceverse, perde le garanzie alla proprieta' personale. Per quanto riguarda le osservazioni di Beccaria contro la pena di morte, Kant osserva pero' che questa non puo' essere compresa nel contratto originario, perche' nessuno puo' disporre della propria vita e quindi dare il proprio consenso ad essere ucciso; peraltro nessun individuo puo' essere giudice di se stesso, ed il giudizio e l'esecuzione del diritto non possono essere riuniti in una sola persona.
Kant distingue la proprieta' suprema dalla proprieta' privata: il signore di un paese possiede tutto, in quanto ha diritto di comando su di un popolo, ma insieme non possiede nulla, perche' la sua eventuale proprieta' privata (dominio di parte del suolo) potrebbe entrare in conflitto con altri proprietari, e non vi sarebbe alcun giudice in grado di risolvere la controversia.
Nessuno puo' trasmettere la proprieta' del suolo alle generazioni successive in modo indefinito; lo stato puo' intervenire, indennizzando pero' i cittadini interessati.
Si vedano altre tesi dell'Autore nel libro citato, negli argomenti filosofici sulla liberta' e sulla pace in questo sito.

6.
Secondo Jean-Jacques Rousseau, (Origine della disuguaglianza), il lavoro da' diritto al prodotto della terra, il possesso continuato si trasforma in proprieta', le disuguaglianze naturali influiscono su quelle politiche o sociali (pag.83). Il "diritto del primo occupante" e' discusso a pag.69 e seguenti.
Quando il diritto di proprieta' fu esteso su tutti i territori, nacquero i conflitti fra il diritto del primo occupante e il diritto del piu' forte, con situazioni conseguenti di dominazione, servitu', violenza, rapine (pagg.85-86); abili usurpazioni divennero diritti irrevocabili, con l'estendersi ovunque delle societa' civili comparvero le guerre nazionali coi loro orrori e massacri (pagg.88-89). Ma il diritto di conquista, osserva l'Autore, non e' un diritto e non puo' costituire il fondamento di alcun diritto.
Il figlio adulto ha nei confronti del padre dei doveri (rispetto, riconoscenza), ma il padre non ha diritti da esigere (obbedienza, pag.93); il potere paterno deriva dalla societa' civile e non viceversa.
L'Autore distingue il diritto di proprieta', che e' una convenzione umana, da vita e liberta', che sono diritti naturali inalienabili e per i quali non esiste un diritto di privarsene (suicidio, schiavitu', pagg.95-96).
Nel Contratto sociale, Rousseau osserva come l'ordine sociale non sia naturale ma si fondi su accordi (pag.52); l'unica societa' naturale e' la famiglia, che e' anche la piu' antica ma che si conserva anch'essa per accordo (pag.53).
L'obbedienza e' dovuta solo a poteri legittimi, il cui diritto deriva solo da accordi (pag.56). La guerra e' una relazione fra Stati, non fra uomini (pag.59), forza e pazzia non creano diritti (pag.56-57), schiavitu' e diritto sono incompatibili (pag.60).
La conservazione della vita, per Rousseau, giustifica un accordo che preveda la pena di morte, anche se poi riconosce che il suo uso frequente e' "un segno di debolezza o di pigrizia da parte del governo" (pag.84).

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