Scheda bibliografica:

Argomenti filosofici sulla
PACE

Quello che segue è un elenco parziale di libri e testi che ritengo di segnalare alla lettura e che mi propongo di integrare via via con altri titoli, evidenziando per ciascuno i concetti secondo me piu' rilevanti. Altri riferimenti sono presenti nelle schede bibliografiche in questo stesso sito.


1.
L'esistenza di Stati nazionali, secondo Bertrand Russell (Storia della Filosofia Occidentale, cit.), non puo' impedire le guerre; in un contesto di anarchia internazionale, osserva, "solo l'inefficienza puo' servire a conservare la razza umana" (pag.730).
Nella Lettera aperta di Russell a Eisenhower e Kruscev, Russell osserva come la storia dell'umanita' sia piena di tentativi di dominio sul mondo, tutti falliti; allo stesso modo, le ideologie capitalistica e comunista non sono destinate alla conquista del mondo, visto che tutte le precedenti hanno fallito (pag.8). L'elemento nuovo, osserva Russell, "non e' l'impossibilita' del successo, ma l'ampiezza del disastro che il tentativo necessariamente provocherebbe" (pagg.8-9).
L'accordo preliminare fra le potenze e' condizione indispensabile, perche' la paura reciproca alimenta sempre piu' la corsa agli armamenti, la quale toglie ricchezza all'economia e rende possibile per la prima volta la morte collettiva, oltre che quella individuale, di fronte alla quale tutto il resto diventa trascurabile (pag.61).
La persuasione e' la sola alternativa alla forza delle armi, bisogna pero' anche elaborare un sistema politico che renda impossibili le grandi guerre anche per il futuro, perche' le armi nucleari ormai esistono e possono sempre essere fabbricate di nuovo (pag.62).
Nel saggio La Vittoria Disarmata, Russell rifiuta il pacifismo teorico: alcune guerre sono giustificabili, "la guerra contro il nazismo era inevitabile" (pag.15). La vera novita' del secondo dopoguerra sono state le armi nucleari che, secondo Russell, hanno la caratteristica di ritorcersi contro chi le usa e pertanto sono una debolezza e non una forza (pag.159).
Nell'era atomica la sopravvivenza dell'umanita' e' strettamente legata alla pace e l'Autore suggerisce di simpatizzare, in ogni controversia fra grandi potenze, per la parte piu' pacifista. La coesistenza pacifica e' stata appresa piu' volte nel corso della storia (cristiani contro maomettani, cattolici contro protestanti), pero' sempre dopo decenni o secoli di guerre; l'era atomica accorcia necessariamente i tempi della lezione di coesistenza (pag.23).
Nel nostro mondo altamente organizzato, osserva Russell, un privato puo' fare cose con piu' facilita' e piu' rapidamente di un ministero (La Vittoria Disarmata, cit., pag.13).
Per l'Autore sono criticabili sia il comunismo (manca la democrazia) che il capitalismo (favorisce lo sfruttamento), la soluzione e' il socialismo democratico (pag.18).
Il comunismo tradizionale era presente nel Medio Evo in molte sette eretiche e nell'Utopia di Thomas More, cio' che Marx vi aggiunse fu l'odio e una base pseudoscientifica (pag.21).
Conseguenza di ogni conflitto e' l'esasperazione dei sentimenti nazionali (La Vittoria Disarmata, cit., pag.159), talvolta sembra che non vi sia nulla di onorevole nel volere la pace (pag.161); scrive Russell: "e' piu' facile che una grande potenza conceda qualcosa a un individuo disarmato che non a un avversario minacciante di distruzione" (pag.166).
Talvolta la prontezza a morire per una causa e' oggetto di ammirazione, anche se non serve a nulla ("vi sono cose che l'uomo ama piu' della vita", pag.168). Il pericolo viene enormemente accresciuto dalle reazioni ad esso: "la paura crea odio, porta alla convinzione che l'altra parte sia assolutamente malvagia e la nostra assolutamente buona" (pag.169); la divisione dell'umanita' in buoni e cattivi rispecchia una mentalita' infantile: in tutti noi ci sono sia il bene che il male, chi si ritiene migliore non e' detto che lo sia per davvero (pag.167).
Il nazionalismo si caratterizza per amore per il proprio paese (nazionalismo buono) ed odio verso gli altri (nazionalismo cattivo); la guerra nucleare deve essere considerata come un nemico comune del genere umano (pag.170).
Il disarmo nucleare generale non mette fine alla possibilita' di una guerra nucleare (pag.172) ma elimina il terrore quotidiano, che spesso e' il principale ostacolo ad intese ragionevoli.
L'Autore propone corti arbitrali (pag.173) di paesi estranei alla controversia in atto, come primo passo verso un governo mondiale, che e' il solo mezzo capace di impedire guerre totali; il governo mondiale dovrebbe avere il monopolio delle armi piu' potenti, un esercito di individui appartenenti a diverse nazioni e razze, il controllo delle materie prime necessarie per costruire armi di distruzione di massa, codici di diritto internazionale e corti internazionali di giustizia (pag.174), mentre una Corte Suprema Internazionale dovrebbe poter intervenire sugli accordi fra Stati.
Secondo Russell, pero', i poteri del governo mondiale sarebbero solo quelli indispensabili a prevenire le guerre, mentre gli Stati membri resterebbero autonomi in tutti gli altri aspetti (pag.174).
Carl Schmitt (Le categorie del politico) evidenzia come a partire dal XVI secolo (guerre di religione) i concetti di Stato e di politico vennero a coincidere ("il concetto di Stato presuppone quello di politico", pag.101), con una chiara identificazione dei concetti di pace, guerra militare e civile, neutralita', nemico (pag.90 e seguenti); vennero secolarizzate nozioni telogiche (teologia politica): Dio sovrano che non segue regole (decide secondo uno schema di volonta'; Cartesio), Dio perfetto (che decide secondo uno schema di razionalita'; Leibniz) e idea del migliore dei mondi.
Dal XX secolo, la guerra fredda, quella rivoluzionaria e quella partigiana hanno eliminato le distinzioni classiche (gerra/pace, militare/civile, economia/politica), mantenendo solo la distinzione amico/nemico (pagg.99-100).
La guerra, osserva l'Autore, e' il presupposto della politica, la sua possibilita' reale, e non e' un semplice strumento della politica come riteneva Clausewitz (pag.117); il diritto internazionale presuppone la distizione pace/guerra e non ammette una terza possibilita' (si vedano altre considerazioni di Carl Schmitt negli argomenti filosofici sulla teoria politica e sul diritto in questo sito). Un mondo senza guerre non avrebbe piu' distinzioni amico-nemico e pertanto sarebbe un mondo senza politica: "il concetto di umanita' esclude quello di nemico" (pag.139); pero' lo Stato, in quanto unita' politica, determina in se stesso il "nemico interno".
Contrapposizioni solo religiose o solo economiche non possono portare alla guerra, se non vi e' la contrapposizione amico-nemico (cio' che e' esteticamente brutto, moralmente cattivo ed economicamente dannoso non necessariamente deve essere anche nemico); la contrapposizione amico-nemico, originando raggruppamenti di lotta, trae pero' forza da questi ed altri settori della vita umana (pagg.118-121).

2.
Il potere, osserva J.K.Galbraith ne Il potere militare negli Stati Uniti, e' andato trasferendosi dal consumatore al produttore, e dal cittadino alle forze armate. Il Vietnam fu la conseguenza di vari passi che hanno condotto ad una interpretazione burocratica del mondo (un pianeta minacciato dalla imminente conquista da parte dei comunisti, che erano visti come un blocco monolitico ed insieme un complotto internazionale che non poteva avere l'appoggio delle popolazioni locali).
Vi era la certezza che la lotta al comunismo fosse quella definitiva per l'umanita', e che ogni accordo fosse passibile di violazioni: percio' l'unica soluzione era la corsa agli armamenti. Gli interessi dell'uomo erano irrilevanti in confronto agli interessi della nazione, nuove armi potevano essere prodotte se favorirvano l'interesse nazionale e la vita stessa poteva essere distrutta in presenza della minaccia rappresentata dal comunismo.
Il potere militare negli Stati Uniti era un insieme complesso di organizzazioni, dal dipartimento alla Difesa ad industrie private specializzate in forniture militari, da settori di societa' non prettamente militari agli scienziati delle universita' e di altre strutture legate alla ricerca, dai servizi segreti ai portavoce dei militari al Congresso.
Si trattava nel complesso di autorita' prive di controlli, che non obbedivano alle necessita' nazionali ma a quelle burocratiche, e che giungevano per conto proprio alle decisioni, considerate un diritto: quando si trattava di armi e di decisioni militari, cio' che i funzionari delle varie organizzazioni pensavano fosse meglio veniva accettato dai cittadini su cui gravava il costo finale, e l'aumento dei conflitti circoscritti geograficamente garantiva un futuro positivo alle industrie (peraltro non erano in concorrenza fra loro ma fornitori singoli nel loro comparto di specializzazione, con un intreccio continuo fra attivita' di governo, progettazione, esecuzione tecnica).
Nessuno al di fuori delle burocrazie pubbliche e private era informato dettagliatamente e, pertanto, nessuno al loro esterno era sufficientemente qualificato ed ogni critico o scettico poteva cosi' essere estromesso come nemico della sicurezza nazionale. Paradossalmente, alla morte (annientamento nucleare) si poteva far fronte, ma non all'ostracismo politico (nemico del sistema). I guardiani dell'ordine costituzionale erano i primi artefici del suo capovolgimento.
Anche all'interno del sistema industriale russo una burocrazia militare-industriale era intenta a perpetuarsi e ad accrescere il proprio potere.
Ma la burocrazia militare-industriale crescente aveva bisogno di persone istruite, con la conseguenza di generare al proprio interno individui che le faranno resistenza. La burocrazia si rivelo' in effetti incapace di reagire agli attacchi dopo i guai causati (Baia dei Porci, Vietnam): l'esercizio del potere non puo' essere difeso, alla resa dei conti i burocrati, come i dittatori, i monarchi, gli zar, i capitalisti, i capi sindacali sono del tutto incapaci di difendersi.
Secondo l'Autore, occorre che il potere militare sia sotto stretto controllo politico (tema elettorale); il disarmo bilaterale ed accordi non perfetti sono preferibili alla sfida militare, che deve essere trasformata in competizione di tipo scientifico: l'opinione scientifica indipendente deve guidare l'iniziativa politica, gli esperti non devono essere militari e l'informazione non deve essere avvolta nella segretezza. Il controllo del potere militare richiede pero' uno sforzo economico, perche' un piu' ampio budget federale per spese in armamenti si rivelo' un sistema per realizzare il pieno impiego.
Molte situazioni della vita reale, osserva Richard Dawkins (Il gene egoista), sono equivalenti a giochi a somma non zero, a causa delle notizie che pervengono dal mondo esterno, delle minacce di ritorsione, del fatto che il gioco e' iterato e delle stime statistiche che possiamo fare sulla durata del gioco stesso (pag.233 e seguenti): non e' comprensibile come due bombe atomiche siano state impiegate contro altrettante citta', invece che  nell'equivalente dello spegnimento di una candela (pag.236), come la minaccia di ritorsione che era sempre presente nella vita di trincea durante la prima guerra mondiale, o le tecniche di dissuasione mostrate nei film western (pag.236). Tutta la vita, umana, animale, vegetale, e' piena di dilemmi del prigioniero iterati (pag.216).

3.
Norberto Bobbio (Il futuro della democrazia) osserva come nessuna guerra finora sia mai scoppiata fra regimi democratici: la pace perpetua (Kant) e' dunque possibile, a patto che tutti gli stati assumano la forma di governo democratica (pag.26).
Sono infatti valori della democrazia (pag.27):
- tolleranza;
- nonviolenza;
- rivoluzioni silenziose, rinnovamento graduale, libero dibattito;
- fratellanza.
Nell'atteggiamento di fronte alla guerra (compresa la guerra atomica), Norberto Bobbio (Il problema della guerra e le vie della pace) distingue i realisti, i fanatici, i fatalisti, i nichilisti e i mistici (pagg.43-45): la guerra non appare diversa da altri eventi catastrofici naturali (fatalismo, pag.8), talvolta viene giustificata come castigo divino (pag.12); la tentazione di uccidere aumenta con la sicurezza di non essere uccisi (pag.16), la morte di persone a noi lontane ci e' indifferente emotivamente (pag.9).
Bobbio individua quattro tipi di guerre: fra stati, interna (civile), coloniale (imperialistica), di liberazione (pag.125). Distingue il giudizio di legittimita' (giudizio etico sul giusto titolo: giusta causa della guerra) dal giudizio di legalita' (giudizio giuridico sulla conduzione della guerra: ius belli): una guerra puo' pertanto essere legittima e legale, legittima e illeglae, illegittima e legale, illegittima ed illegale; il diritto internazionale non regola le cause di una guerra ma solo la sua condotta (con armi convenzionali). La guerra atomica e' illegittima ed illegale, non rispetta alcun limite previsto dallo ius belli, non rispetta le persone (i civili), le cose (obiettivi non militari), i mezzi (armi micidiali), i luoghi (zone di guerra; pagg.64-65).
Pace, secondo Bobbio, ha un significato descrittivo (uno "stato di cose") ed uno emotivo (valore).
In positivo la pace consegue ad un accordo fra stati (diritto internazionale); mentre in negativo (nella sua definizione generica) pace e' un termine alternativo a guerra, fra la pace in senso positivo e la guerra vi puo' essere una zona intermedia in cui sono possibili tregue ed armistizi (pag.126). Anche il concetto teologico-filosofico di pace e' positivo, ma valutativo (definizione persuasiva: la pace giusta, come dovrebbe essere); al contrario, la definizione tecnico-giuridica del diritto internazionale e' avalutativa (definizione lessicale, pag.127).
Il pacifismo passivo nel XIX secolo considerava la guerra destinata a scomparire con l'evoluzione del regime politico (Kant) o di quello economico (positivismo evoluzionistico, materialismo storico); comunismo, anarchia, pacifismo, rispondono alla stessa logica di rovesciamento dialettico: della proprieta', dello stato, della guerra (pag.112).
Il pacifismo attivo del XX secolo cerca invece rimedio alla guerra nei mezzi (disarmo), nelle istituzioni (pacifismo giuridico), negli uomini (liberazione dalla guerra per via morale, scientifica, religiosa). Il pacifismo attivo percio' si distingue in:
- pacifismo strumentale, che agisce sui mezzi: in negativo distruggendo le armi (disarmo), in positivo sostituendole con mezzi non violenti (teoria e pratica della non violenza);
- pacifismo istituzionale, che agisce sulle istituzioni: puo' essere giuridico (istituendo lo stato mondiale federale, pag.143), sociale (istituendo al contrario la soppressione dello stato col socialismo, pagg.83-86 e pag.145), democratico (concezione illuministica: la causa delle guerre sono i dispotismi, pag.144);
- pacifismo finalistico, che agisce sugli uomini: attraverso la persausione, la conversione, l'obiezione di coscienza; oppure attraverso terapie di guarigione da quella che viene considerata una malattia (pagg.88-89).
A seconda delle giustificazioni date, le teorie sulla guerra possono essere bellicistiche, dottrine della guerra giusta, pacifistiche (pacifismo attivo); la teoria della guerra giusta e' intermedia e la considera come una procedura giudiziaria (pag.58) caratterizzata da un processo di cognizione e da uno di esecuzione; il problema, osserva Bobbio, e' la certezza ed imparzialita' del giudizio, perche' chi decide e' parte in causa: la guerra e' giusta da entrambe le parti, da' ragione a chi vince e non fa vincere chi ha ragione. La guerra, secondo Bobbio, non e' percio' assimilabile ad una procedura giudiziaria ma piuttosto ad una rivoluzione (pagg.59-60; si vedano altre considerazioni dell'Autore negli argomenti filosofici sul diritto in questo sito).
L'etica della politica continua ad essere un'etica della potenza, manca in particolare una coscienza atomica (pag.97). L'atomica non ha portato la fine della guerra ma la sua sospensione: nel XIX secolo la fine della guerra era legata alla sua non necessita', nel XX secolo alla sua possibilita'; senza dissuasione, la guerra torna ad essere possibile (pag.55).
Alcune teorie considerano la pace come bene insufficiente (pace ingiusta) e la guerra come male necessario ("il fine buono giustifica anche il mezzo cattivo", pag.134); quest'ultima, osserva Bobbio, e' strettamente connessa alle teorie del progresso e la pace e' solo una condizione per realizzare altri valori superiori: giustizia, liberta' (Kant, pag.40), benessere (pag.135). La vita, si chiede allora Bobbio, e' il massimo dei beni?
Quando la guerra diventa un mezzo per difendere un valore supremo piu' importante della vita, diventa un male minore e talvolta necessario (guerra giusta, pag.11). La guerra appare un male minore anche ai disperati, occorre pertanto eliminare quelle situazioni "che possono essere considerate mali peggiori della peggiore guerra" (pag.48).
La guerra come male necessario e' strettamente legata all'idea di progresso, progresso raggiungibile con la guerra (pag.71); in effetti, osserva Bobbio, molte conquiste del progresso umano sono state ottenute utilizzando la violenza (pag.149), che pero' puo' trovare giustificazione solo come extrema ratio, esercitata in casi estremi da un potere legittimo e per ragioni giuste (pag.155). Bobbio concentra la sua attenzione sui mezzi alternativi, la cui ricerca deve accompagnare ogni condanna della violenza affinche' questa non sia sterile (pag.157): il metodo democratico e' stato finora il tentativo piu' riuscito di sostituire mezzi non violenti alla violenza nel risolvere le controversie (pag.159).
Per gli obiettori di coscienza la guerra e' un male assoluto (pag.22), ma il miglior metodo nonviolento, ripete l'Autore, e' la democrazia: col voto il vinto di oggi puo' essere il vincitore di domani (pag.27).
Bobbio distingue due tecniche efficaci di non violenza collettiva: il boicottaggio (del potere economico) e la disobbedienza civile (verso il potere politico); le varie alternative di non violenza (superstato, metodo democratico, non violenza collettiva, pag.160) sono pero' tutte parziali: non basta quindi condannare la violenza, se non si inventano nuove istituzioni e nuovi strumenti che la rendano inutile, controproducente, troppo costosa (pag.161).
Si vedano altre considerazioni dell'Autore negli argomenti filosofici sul diritto, sulla storia, sul metodo in questo sito.

4.
Una pace positiva, osserva Amnesty International (Diritti senza pace), puo' essere conseguita solo sulla base del rispetto dei diritti umani (pag.65); argomenti critici contro l'intervento militare in nome dei diritti umani sono discussi nel libro citato a pagg.67-69 (e a pag.81, nota): si tratta in ogni caso di decisioni politiche che possono essere legittime solo dopo un'attenta valutazione in termini di costi e di benefici. Se da un lato e' vero che il rispetto dell'altrui umanita' e' il presupposto per ogni pacificazione che sia duratura (pag.9), ristabilire condizioni di pace comporta anche l'accertamento delle responsabilita' per gli abusi compiuti dei diritti umani (pagg.64-65); in questo campo, osserva Amnesty International, gli approcci del movimento pacifista appaioni deduttivi, troppo generici e talvolta schierati politicamente. Si vedano anche altre considerazioni del libro di Amnesty International negli argomenti filosofici sui diritti in questo sito (in merito, ad esempio, alla istituzione del Tribunale Penale Internazionale Permanente (Roma, 1998).
Secondo Heilbroner (La prospettiva dell'uomo), le guerre su piccola scala continueranno a verificarsi col permanere degli stati-nazione, la cui esistenza viene giustificata proprio dalle costanti minacce di guerra, in un circolo vizioso che risulta acuito dall'emergere di "governi di ferro" nei paesi sottosviluppati.
Solo l'azione politica puo' risolvere le crisi generate dall'ambiente sociale e naturale, ma i comportamenti politici delle nazioni sono in larga misura proiezioni dei comportamenti dei singoli leaders, le cui idiosincrasie non si possono prevedere.

5.
Gandhi, osserva Giuliano Pontara (Introduzione a M.K.Gandhi, Teoria e pratica della non-violenza), non rifiuta i conflitti ma solo l'uso della violenza per la loro risoluzione (pag.XXVI): la non-violenza e' un freno volontario alla capacita' di colpire, serve pertanto molto piu' coraggio per esercitare la non-violenza che per usare le armi (pagg.XXIV-XXV); la dottrina di Gandhi implica la partecipazione attiva alla vita politica, diversamente, osserva ad esempio Pontara, dalla non-violenza di Tolstoj che e' una posizione meramente rinunciataria (la lotta politica e' per Tolstoj il campo della violenza e dell'immoralita', pag.XXXIX).
Gandhi distingue la non-violenza come convinzione (rifiuto morale della violenza, non-violenza forte), la non-violenza come scelta tattica (resistenza passiva, non-violenza debole), la non-violenza del codardo; quest'ultima non e' giustificabile nei casi dell'autodifesa e della protezione degli indifesi (pagg.XXII-XXIV).
L'azione non-violenta varia al variare delle situazioni (pag.XCIV e seguenti); l'Autore distingue la costrizione violenta da quella non-violenta (pag.XCVII). Di fondamentale importanza e' la capacita' dell'agire non-violento di persuadere l'oppositore (pag.CII e seguenti; "sforzo costruttivo", pag.CX). La non-violenza forte comporta la capacita' di sopportare sacrifici, di saper soffrire, e gradualita' dei mezzi (pagg.CVIII-CXV).
Vi sono situazioni in cui per la dottrina gandhiana e' lecito uccidere: per fermare l'altrui follia omicida, e nel caso dell'eutanasia (pag.XXX e XLVII); un contrasto fra doveri puo' portare il non-violento a violare in certe situazioni la norma della non-violenza (pagg.LXV e LIII): la decisione morale e', in ultima analisi, prodotta dalla coscienza individuale, che puo' essere attendibile ma non infallibile (pagg.LXVI-LXVIII). Alcuni importanti argomenti connessi alla partecipazione o all'appoggio di non-violenti a gruppi che ricorrono alla violenza sono discussi da Pontara a pag.LVI e seguenti:
- obbligo di lealta' (pag.LVIII);
- obbligo di equita' (pag.LIX);
- argomenti utilitaristici e tattici: non sottomissione, riduzione della violenza nel mondo, giudizi sulla possibilita' e sull'efficacia dell'azione non-violenta, diritti derivanti dall'adempimento di un dovere (pagg.LXI-LXIII e seguenti).
Il motivo per cui si compie un'azione (per codardia, ecc.) e' rilevante ai fini delle responsabilita' di chi agisce (pag.LXVII).
Gandhi ritiene vi sia una verita' oggettiva, ma l'atteggiamento verso chi sbaglia deve essere di pazienza e di comprensione; l'unica autorita' e' la ragione, l'individuo e' la misura della verita' (pag.LXXV).
Da un lato la violenza e' un male morale, un agire moralmente illecito; dall'altro e' l'impiego di mezzi coercitivi, e puo' essere: "diretta o indiretta, fisica o psichica, per omissione o per commissione, manifesta o latente, personale o strutturale, piu' o meno intensa, estesa, ecc." (pag.XLI).
L'uso della violenza implica inoltre limitazioni e distorsioni delle informazioni (condizionamenti, indottrinamenti); anche chi assiste i soldati (persino nei servizi sanitari) secondo Gandhi partecipa alla guerra (pag.LV).
Solo l'impiego di metodi non-violenti garantisce soluzioni reali dei conflitti, determinando verita' piu' vaste di quelle parziali che determinano i conflitti stessi (satyagraha, pag.XXXVII e XLV).
Non basta astenersi dalla violenza, occorre agire per cercare di ridurla il piu' possibile nel mondo (pag.XLVI). Argomenti a posteriori a favore della non-violenza sono (pagg.XLVIII-L):
- l'instabilita' delle situazioni che derivano dalla violenza;
- la brutalita' connessa all'uso della violenza e il rischio della sua escalation;
- la lotta violenta facilita l'accesso al potere di individui e istituzioni autoritarie;
- la violenza compromette i valori democratici (liberta', autonomia e soprattutto uguaglianza).
Ogni limitazione alla liberta' individuale deve essere di natura non-violenta, equa, volontaria, reciproca (pag.LXXVI; "servizio civile", pag.LXXIX); Gandhi e' contrario ad ogni forma di privilegio sociale od economico (pag.LXXVIII) e si oppone all'automazione che elimina lavoro umano (pag.LXXXI). Il forte decentramento sociale e danche economico aiuta i metodi non-violenti (pag.LXXXIV).
Non puo' esservi governo non-violento ove vi siano accentuate divisioni fra ricchi e poveri; Gandhi rifiuta pero' la violenza rivoluzionaria e la lotta di classe (pagg.LXXXVII e seguenti).

6.
Per quanto concerne la pace perpetua fra gli stati, si vedano le considerazioni di Immanuel Kant ne
Per la pace perpetua. Nel libro Lo stato di diritto, Kant propende per la costituzione repubblicana, il federalismo, l'universale ospitalita':
- la costituzione civile dev'essere repubblicana, altrimenti dove il sovrano e' proprietario dello stato la guerra e' inevitabile;
- il diritto internazionale va fondato su un federalismo di liberi stati;
- il diritto cosmopolitico comprende le condizioni dell'universale ospitalita'.

Argomenti filosofici

Schede bibliografiche

Menu' principale