IL TETRAGRAMMA
Nei primi secoli i cristiani fecero prevalente ricorso alla
Bibbia dei Settanta per l’evangelizzazione
e per lo studio delle profezie. Per tutto il I secolo la Settanta godette di
grande autorità presso i giudei ed i cristiani. Discepoli, apostoli e padri
della chiesa la citarono spesso e la diffusero soprattutto tra i gentili ed i
pagani. In alcuni casi però la Settanta traduceva in modo estremamente libero
il testo originale. Data la quasi totale ignoranza della lingua ebraica,
numerosi furono pertanto gli abbagli presi, peraltro in buona fede, dai primi
cristiani. Secondo Agostino
la Settanta era comunque a pieno titolo ispirata e perfino le divergenze dal
testo ebraico avevano valore provvidenziale, permettendo nuove e più profonde
letture del testo originale. Secondo Gerolamo, invece, valore poteva essere
attribuito solo all’hebraica veritas, essendo necessario distinguere tra
la sicura ispirazione dell’autore ebraico e le inaffidabili competenze del
traduttore greco [1].
In Isaia 7,14, ad esempio, il termine ebraico עלמה
(almah) cioè “giovane donna” venne reso dalla Settanta con
παρθενος (partenos), cioè
“vergine”, aprendo la strada alla profezia della nascita verginale di Gesù
(Matteo 1,23) ma lasciando piuttosto perplessi gli ebrei più ortodossi.
In Abacuc 3,2 la Settanta lesse poi “tu ti
manifesterai in mezzo a due animali”, mentre il testo ebraico e la Vulgata
di Gerolamo leggono: “l’opera tua ravviva nel corso degli anni”. Il
brano sembrò confermare la nascita di Cristo tra il bue e l’asinello, già
intravista dalla profezia di Isaia: “Il bue conosce il suo proprietario e
l'asino la mangiatoia del suo padrone” (Isaia 1,3) e ribadita dal Vangelo
Apocrifo dello Pseudo Matteo “il bue e l’asino l’adorarono” (Pseudo
Matteo, XIV).
Nel Salmo 95,10 alcuni antichi manoscritti della Settanta
portano. “Il Signore regna dal legno” invece di: “Il Signore regna”.
Alcuni Padri della Chiesa (Giustino, Dialogo con Trifone, LXXIII e
Tertulliano, Contro i Giudei, X) videro in questo versetto un’evidente
profezia della morte e risurrezione del Cristo e giunsero ad accusare gli ebrei
di aver falsificato il testo originale. Oggi tutti gli studiosi più seri sono
concordi nell’attribuire ai cristiani l’interpolazione del testo, testo che
anche nei manoscritti più attendibili della Settanta, nel Masoretico e nella
Vulgata porta: “Il Signore regna” senza far alcun riferimento a legni,
pali o croci.
Nel Salmo 16,10 un’esegesi profetica sulla resurrezione
di Cristo fu possibile grazie, soprattutto, alla Settanta che tradusse il
termine ebraico שחת (sepolcro)
con διαφθοραν (corruzione). La
traduzione classica divenne così “tu non abbandonerai l'anima mia in potere
della morte, né permetterai che il tuo santo subisca la corruzione”,
influenzando profondamente anche il discorso di Pietro nel giorno di Pentecoste
(Atti 2,27-31).
Nel Salmo 40,6 il termine ebraico אזן (orecchio) fu tradotto dalla Settanta con
σομα (corpo). La traduzione greca diventò “Tu non hai voluto né sacrificio né
offerta, un corpo invece mi hai preparato” invece di “Tu non gradisci né sacrificio né offerta;
m'hai aperto gli orecchi”, aprendo la strada ad una famosa profezia
sull’incarnazione di Cristo, molto affascinante per i primi cristiani ma
sicuramente poco convincente per larga parte del popolo ebraico (Ebrei 10,5).
In Isaia 53,8 il termine ebraico ורר (generazione), venne inteso
come “nascita” invece che come “gruppo di persone della stessa età”
producendo, grazie alla Settanta, una lettura messianica molto particolare: “la
sua generazione chi potrà narrarla?” finì così per stravolgere il senso originale “tra quelli
della sua generazione chi rifletté?”, aprendo il passo, già a partire dal
Nuovo Testamento (vedasi Atti 8,33), ad
innumerevoli e profonde riflessioni sull’originalità della generazione del Verbo di Dio.
Poiché il termine ebraico ילדתיך (generare) contenuto nel Salmo 110,3 era
identico a quello contenuto nel Salmo 2,7, i Settanta resero legittimamente:
“tu sei mio figlio, oggi
ti ho generato” (Salmo
2,7) e “a te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori;
dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato” (Salmo 110,3). [2] In seguito
però le traduzioni di Aquila, Teodozione e Simmaco (II secolo d.C) e, molto più
tardi, la vocalizzazione del testo intrapresa dai masoreti (X-XI secolo) resero
impossibile la lettura accreditata dalla Settanta. Il verbo “generare” ילדתיך –una volta vocalizzato- si trasformò nel sostantivo “generazione”
o “gioventù”. La traduzione del Salmo 110,3 diventò così: “dal seno dell'alba la tua gioventù viene
a te come rugiada”,
perdendo larga parte del fascino messianico lasciato intravedere dalla Settanta
e dai Padri della Chiesa [3]
Un altro errore riguardò poi la traduzione dell’ebraico בר nel Salmo 2,12. Il termine בר
(bar) si può infatti rendere con “figlio” solo nell’aramaico più
recente, mentre nell’ebraico del tempo di Davide significava semplicemente “puro”.
La traduzione corretta fu pertanto quella fornita da Gerolamo nella Vulgata “adorate
pure” cioè “adorate con purezza” e non quella proposta dalla
Settanta “Apprendete la disciplina” né tanto meno quella messianica oggi
molto diffusa “Rendete onore al Figlio”.
Il testo ebraico originale era poi privo di
vocali e senza punteggiatura, scritto probabilmente in caratteri aramaici e
senza spazi evidenti tra le varie lettere. Molte confusioni furono
probabilmente involontarie e vennero dalla confusione di lettere simili [4]
o dalla fusione di due o più parole contigue. Un esempio famoso dovuto alla
confusione delle lettere ebraiche fu Amos 1,6 dove la Settanta tradusse
“deportazione di Salomone” invece di “deportazione di massa”. Un
altro errore madornale della Settanta si trova in Amos 4,13 dove per la
fusione di due lettere ebraiche il testo greco tradusse “Colui che rivela
agli uomini il suo Messia” invece di “Colui che manifesta agli uomini il
suo pensiero”.
Anche la costante pratica di sostituire il tetragramma יהוה con
Κύριός (Kyrios), benché iniziata dai giudei alcuni secoli
prima, fu interpretata dai rabbini come un tentativo cristiano di rimuovere dalle
Sacre Scritture il nome di Dio, per accreditare la divinità di Gesù Cristo e
per ridurre le problematiche sollevate dal monoteismo ebraico
nei confronti del Verbo di Dio.
Non tutta la Bibbia dei Settanta si prestava però a sostenere il messianesimo individuale e la lettura cristiana delle profezie. Girolamo sottolineò più volte che, in moltissimi punti, il testo ebraico era decisamente più affidabile del testo greco della Settanta. Degni di rilievo sono, ad esempio, i casi di:
Il
mondo ebraico reagì comunque duramente alla lettura cristiana delle profezie e
sconfessò la traduzione dei Settanta, che solo due secoli prima aveva mostrato
di gradire. Nella riunione di Iamnia (90 dopo Cristo) gli ebrei fissarono
il canone ufficiale della Bibbia, bocciando come eretici i libri contenuti nel
Nuovo testamento e bollando come apocrifi alcuni libri scritti in lingua greca
e contenuti solo nella versione dei Settanta.
Nacquero così numerose revisioni greche della
Settanta, grazie all’opera di alcuni ebrei eruditi (Aquila, Teodozione e
Simmaco), particolarmente versati nello studio delle Scritture e grandi
conoscitori della lingua ebraica. Queste versioni, pur molto precise ed accurate, nascevano però
con chiari intenti polemici anticristiani e risultavano realizzate da veri e
propri apostati, cioè da uomini che avevano rinnegato Cristo per tornare
all’ebraismo. San Gerolamo espresse concisamente le caratteristiche di queste versioni
affermando che Aquila cercò di rendere parola per parola, Simmaco tentò
piuttosto di dare il senso, mentre Teodozione non si scostò molto dalla
Settanta.
L'ESAPLA
DI ORIGENE
L'Esapla fu costruita da Origene
(182-251) per approfondire la conoscenza delle Sacre Scritture, per consentire
il confronto tra le più importanti versioni della Bibbia[5] e per
favorire il dialogo con i rabbini ebrei (ingiustamente accusati dai cristiani
di aver falsificato la Parola di Dio) [6].
Secondo Epifanio di Salamina (315-403)[7]
essa conteneva su sei colonne ben sei distinte versioni del Vecchio Testamento
(il testo ebraico, la trascrizione del testo ebraico in caratteri greci, le
versioni di Aquila, di Simmaco, dei Settanta e di Teodozione), mentre secondo
Eusebio di Cesarea (265-340) [8]
l’Esapla conteneva ben sei versioni greche oltre a due colonne in ebraico (la
Quinta e la Sesta).
Esisteva un’unica copia dell’Esapla
composta da circa 50 volumi: andò interamente perduta dopo la distruzione della
biblioteca di Cesarea, avvenuta nel 653 d. C. per opera degli invasori arabi.
Dell’opera non esistono quindi copie ma solo testimonianze (soprattutto da
parte di Eusebio di Cesarea e di Gerolamo) e piccoli frammenti dispersi negli
scritti di alcuni Padri della Chiesa[9].
Le prime due colonne riportavano
probabilmente[10]
il tetragramma in ebraico (יהךה), le due
successive riproducevano il Santo Nome in caratteri ebraici o paleoebraici,
mentre nelle restanti due colonne il nome di Dio era quasi sicuramente
traslitterato in caratteri greci (πιπι).
Aquila
Aquila[11]
è conosciuto per essere stato un grande matematico, un valente architetto ed un
profondo conoscitore delle Sacre Scritture. Di origini pagane, studiando l'Antico
ed il Nuovo Testamento, si convertì giovane al cristianesimo ma, in età matura,
abbandonò la fede per abbracciare l'ebraismo.
Secondo Epifanio di Salamina (315-403) l'apostasia di Aquila
sarebbe conseguente alla forte simpatia verso le arti magiche e l'astrologia
(condannate dai cristiani ma segretamente coltivate dalla cabala ebraica),
mentre secondo altri la scelta di Aquila sarebbe stata determinata dalla
difficoltà di inquadrare la figura di Gesù Cristo nel monoteismo ebraico.
Originario del Ponto, visse tra il I° ed il II° secolo e si occupò di grandi progetti.
L'imperatore romano Adriano (col quale era probabilmente imparentato) gli
commissionò un interessante studio per la ricostruzione del tempio di
Gerusalemme ma, per quanto è oggi dato di sapere, il lavoro non fu mai tradotto
in pratica. Egli portò invece a termine, verso il 130 dopo Cristo,
un'autorevole traduzione della Bibbia, di cui abbiamo notizie sia dai padri
della chiesa che dalla tradizione ebraica. Aquila tradusse il Vecchio
Testamento in greco e contrappose alla libertà ed alla creatività della
Versione dei Settanta una fedeltà assoluta e talora un po' pedante al testo
originale. La traduzione di Aquila, basata sul canone giudaico di Iamnia
(90 dopo Cristo), fu comunque accolta positivamente dagli ambienti ebraici e
venne spesso menzionata nel Talmud[12].
Origene (185-254), Eusebio d'Emesa (295-360) e Gerolamo
(347-420), pur criticando la versione di Aquila perché molto letterale e
servile, ne apprezzarono l'esattezza scrupolosa. Ireneo (140-200) ed Eusebio di
Cesarea (265-340) - pur citando Aquila per la traduzione di Proverbi 8,22 e di
Salmo 45,6 - sottolinearono invece lo spirito critico di tale opera. Aquila aveva infatti sostituito la
parola (χριστος) kristos con il
sinonimo greco (ήλειμμένος) eleimmenos
in vari punti chiave del Vecchio Testamento (Salmo 2,2; Salmo 44,8; Isaia
61,1), spesso citati dai cristiani
per dimostrare che Gesù è il Cristo di Dio. La versione di Aquila è poi spesso ricordata anche perché - in alcuni manoscritti (Aq Burkitt 1897 e Aq Taylor 1900) - conserva il
tetragramma in caratteri paleoebraici. L’unica preoccupazione di Aquila sembrò
comunque quella di rispecchiare con assoluta esattezza il testo ebraico, parola
per parola, con i suoi idiomi, le sue iperboli ed i suoi modi di dire. Egli
cercò anche di mantenere nel testo greco lo stesso numero di parole, gli stessi
tempi e modi verbali, le stesse costruzioni sintattiche presenti nel testo
ufficiale ebraico. La versione risultò evidentemente sgrammaticata e astrusa ma
costituì un calco fedele del testo ebraico: oggi perciò rimane un utile
strumento per la ricostruzione del testo premasoretico.
L'imperatore Giustiniano I (482-565) proibì la diffusione dei
libri del Talmud[13]
perché ritenuti irriverenti nei confronti dei cristiani ma autorizzò la
lettura della Bibbia di Aquila nelle sinagoghe. Le versioni greche di Aquila,
Simmaco e Teodozione diventarono così per vari secoli i testi ufficiali
dell'ebraismo, in chiara polemica con la versione dei Settanta, ormai recepita
dalla chiesa come il più autorevole testo greco delle Sacre Scritture. Oggi
della versione di Aquila sono purtroppo rimasti solo pochi frammenti,
soprattutto dopo la stabilizzazione del testo ebraico da parte dei masoreti
(Codice del Cairo, Codice di Aleppo, Codice di Leningrado), avvenuta verso
l'anno mille.
Simmaco
Secondo Eusebio e Gerolamo, Simmaco sarebbe stato un ebionita[14]
vissuto verso la fine del II° secolo dell'era cristiana. Epifanio
ricorda, invece, Simmaco come un samaritano vissuto ai tempi dell’imperatore
Severo e convertito al giudaismo. La Bibbia di Simmaco, purtroppo oggi
scomparsa, fu da Gerolamo stimata per la chiarezza, la qualità letteraria e la
capacità di rendere intelleggibili le espressioni ebraiche più oscure. Sempre
secondo Gerolamo l’intento di Aquila era letterale (verbum de verbo exprimere), mentre Simmaco cercava di trasmettere
soprattutto il senso della frase (sensus
potius sequi). È pertanto possibile che la versione di Simmaco sia nata
proprio per ovviare all’impressione di ridicolo, suscitata dalla Bibbia di
Aquila soprattutto nei lettori che non avevano familiarità con l’ebraico, ed
abbia tentato di tradurre le Sacre
Scritture in greco in modo comprensibile e scorrevole.
Teodozione
Secondo Ireneo, Teodozione sarebbe stato un proselito giudeo di
Efeso, mentre secondo Gerolamo si tratterebbe di un ebionita vissuto nel I°
secolo. Secondo Epifanio, invece, Teodozione sarebbe un apostata cristiano
convertito (come Aquila) all'ebraismo dopo aver abbandonato la dottrina di
Marcione. La Bibbia di Teodozione apporta solo lievi modifiche alla versione
dei Settanta e costituisce, piuttosto che una vera e propria nuova versione dai
testi originali, una revisione della Settanta sul testo ebraico. Teodozione
evitò di tradurre in greco molti termini ebraici (e probabilmente anche il
tetragramma), preferendo traslitterare in greco le parole ebraiche più
difficili. Dell'opera di Teodozione è tuttora quasi integralmente conservato il
libro del profeta Daniele, mentre rimangono ampie porzioni di Giobbe, Proverbi,
Isaia, Geremia ed Ezechiele.
[1] Sull’ispirazione profetica della
Settanta vedansi, ad esempio, le testimonianze autorevoli di Filone Giudeo, Vita
di Mosé, II, 34; Ireneo, Contro le Eresie, III, 21; Clemente Alessandrino, Stromata, I,
22; Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, V, 8; Agostino, Città
di Dio, XVIII, 43. Sulla Settanta dati e pareri sono tuttora discordi.
Molti studiosi (soprattutto cattolici ed ortodossi) nutrono il fondato sospetto
che la Settanta avesse attinto da uno stadio redazionale molto antico ed
autorevole, utilizzando versioni del testo ebraico precedenti al testo
masoretico, stabilizzatosi ben mille anni più tardi. Secondo altri studiosi, è
possibile che, nel periodo ellenistico, circolassero varie versioni del testo
biblico, ugualmente accreditate ed originali: la Settanta sarebbe stata
pertanto ricavata da un testo ebraico "diverso" da quello
vocalizzato dai Masoreti nell’VIII secolo. Non mancano poi autorevoli esegeti
(soprattutto ebrei e protestanti) convinti del fatto che solo il testo
masoretico custodisca l’hebraica veritas, mentre la Settanta altro non
sarebbe che una Bibbia mal tradotta, una specie di Targum, un’interpretazione
libera, una versione dinamica, una parafrasi del testo biblico. Solo un numero
limitato di esperti è infine oggi convinto del fatto che la Settanta
costituisca la fonte testuale più attendibile: secondo costoro il testo
masoretico risentirebbe di revisioni giudaizzanti, portate avanti con zelo
meticoloso ed anticristiano soprattutto dopo l’opera di Aquila, Teodozione e
Simmaco.
[2] L’applicazione del Salmo 110,3 alla generazione del Figlio iniziò già nel II
secolo dopo Cristo (Giustino, Dialogo con Trifone, 63 e Ireneo, Esposizione
della predicazione apostolica, 43).
[3] Molti cristiani sospettarono (e tuttora
sospettano) che le revisioni di Aquila, Teodozione e Simmaco e, soprattutto, la
vocalizzazione dei masoreti mirassero volutamente ad indebolire la forza
messianica del Salmo 110. In questo caso il dubbio sembra essere ragionevole,
anche se, per amor del vero, occorre ricordare che perfino Gerolamo, quando
tradusse il salterio direttamente dall’ebraico, rese il
Salmo 110,3 con “populi tui spontanei erunt in die fortitudinis tuae in
montibus sanctis quasi de vulva orietur tibi ros adulescentiae tuae”
abbandonando la traduzione classica “tecum principium in die virtutis tuae
in splendoribus sanctorum ex utero ante luciferum genui te” contenuta nella
Vulgata.
[4] Ad esempio reshר
e daleth ד, beth ב e kaf כ, he ה e heth ח, nun נ e ghimel ג, mem finale ם e samech ס
[9] Vedasi F. Field, Origenis
Hexaplorum: quae supersunt sive veterum interpretum graecorum in totus Vetus
Testamentum fragmenta, Oxford University Press, 1875.
[10] Non mancano studiosi che sostengono la
presenza del tetragramma in caratteri greci traslitterati nelle versioni di
Aquila e Simmaco e l’esistenza di una molteplicità di opzioni all’interno della
quinta colonna dedicata alla Settanta
(caratteri greci traslitterati,
caratteri ebraici, caratteri paleoebraici, caratteri aramaici,
Κύριός,
Κς soprassegnato, …).
[11] Epifanio ricorda Aquila nel libro De
mensuris et ponderibus, XIV-XV (riprodotto da P. De Lagarde a Gottinga nel 1880).
Non si tratta evidentemente di Aquila originario del Ponto, marito di
Priscilla, fabbricante di tende di cui
si parla nel Nuovo Testamento (Atti 18,2; Atti 18,18; Atti 18,26; Rom 16,3):
questi visse almeno una generazione prima. Probabilmente non si tratta neppure
di Onkelos, famoso autore ebraico di un Targum sul Pentateuco: a parte la
contemporaneità e la somiglianza tra i due nomi, l'opera di Aquila e quella di Onkelos presentano comunque molti
caratteri comuni e non poche somiglianze. Su Aquila vedasi, ad esempio, D.
Barthélemy, Les Devanciers d'Aquila, VTS 10, Leyda, 1963
[12] La tradizione rabbinica concorda con
quella cristiana nel qualificare Aquila come un proselito ebreo, discepolo di rabbi
Eliezer e di rabbi Joshua (o, secondo alcuni, di rabbi Aqiba). La sua
traduzione delle Sacre Scritture venne accolta con enorme entusiasmo anche dai
rappresentanti più ortodossi dell’ebraismo, che si congratularono con Aquila
ricorrendo addirittura alle parole del Salmo 45 (Tu sei il più bello di tutti gli uomini). Vedasi, a tal proposito,
Talmud di Gerusalemme, Megillah, I,
9-11.
[13] I rabbini sostengono che, oltre alla
legge scritta, trasmessa da Dio a Mosè sul Monte Sinai, Mosè abbia ricevuto
anche la sua interpretazione, o legge orale. Nei secoli la tradizione
orale fu arricchita da rabbini, filosofi e pensatori. Quando fu impossibile ritenerla oralmente venne
trascritta nel Talmud, libro dottrinale che si compone di 6 parti, 63
libri e 524 capitoli e che da solo spiega completamente tutta la conoscenza e
l'insegnamento del popolo ebreo.
[14] Degli ebioniti parla più
volte Ireneo ricordando come tale setta giudaico-cristiana fosse molto
ligia alle usanze ed alle leggi giudaiche, riconoscesse come ispirato solo il
vangelo di Matteo e rigettasse in blocco tutti gli insegnamenti e le lettere di
Paolo (Contro le eresie, I, 26). Sempre secondo Ireneo la comunità degli
ebioniti rifiutava anche la nascita verginale di Cristo, non considerando Gesù
figlio di Dio ma figlio di Giuseppe (Contro le eresie, III, 21).