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Scintille

Uno scrittore è essenzialmente un uomo che non si rassegna alla solitudine.
François Mauriac

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IL CIELO CHE FU DELL'AQUILONE

Vidi venire su dalla valle un aquilone, e lo seguii con gli occhi passare sopra a me nell'alta luce, mi chiesi perché, dopotutto, il mondo non fosse sempre, come a sette anni, Mille e una notte.

Udivo le zampogne, le campane da capre e voci per la gradinata di tetti e per la valle, e fu molte volte che me lo chiesi mentre in quell'aria guardavo l'aquilone. Questo si chiama drago volante in Sicilia, ed è in qualche modo Cina o Persia per il cielo siciliano, zaffiro, opale e geometria, e io non potevo non chiedermi, guardandolo, perché davvero la fede dei sette anni non esistesse sempre per l'uomo.
 

O forse sarebbe pericolosa? Uno, a sette anni, ha miracoli in tutte le cose, e dalla nudità loro, dalla donna, ha la certezze di esse, come suppongo che lei, costola nostra, l'ha da noi. La morte c'è, ma non toglie nulla alla certezza, non reca mai offesa, allora, al mondo Mille e una notte dell'uomo.

Ragazzo, uno non chiede che carta e vento, ha solo bisogno di lanciare un aquilone. Esce e lo lancia; ed è grido che si alza da lui, e il ragazzo lo porta per le sfere con filo lungo che non si vede...

 

Elio Vittorini

 Conversazione in Sicilia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4 IL RACCONTO DEL MESE

Antonio
Perché scrivo?

Un forte aroma di caffè si diffuse con discrezione nella piccola dimora, mentre stava tentando di scrivere qualcosa di significativo; era ben impressa in lui l'immagine di Hemingway che se ne stava davanti alla sua macchina da scrivere, con le onde dell'oceano che lo investivano di iodio e creatività.
Aveva tutti gli ingredienti per creare l'atmosfera giusta:
-la casetta-non proprio sul mare, le leggi sul demanio non lo consentono più- ma "a un tiro di schioppo", pensò,e congratulandosi con se stesso per quella definizione, la inserì in un taccuino a parte, dove stava raccogliendo tutti gli effetti speciali per il suo libro;
-il tempo. Si era preso due settimane di ferie,chissà,forse sarebbe stato necessario qualcosa di più,ma bastava produrre qualcosa di decente,e poi Wilbur Smith in quindici giorni magari di libri ne avrebbe scritti due;
-il caffè. Aveva imparato dalla sua enciclopedia medica che per tenersi sveglio non c'era di meglio della caffeina- della famiglia delle metilxantine, insieme alla teina-,che agiva sul sistema nervoso ortosimpatico stimolando una maggiore capacità di attenzione, eh sì.. un po' come quando attingeva dal bollente thermos di liquido nero,strizzava gli occhi e si pizzicava i polsi durante un lungo viaggio in macchina,e l'attenzione era proprio quello di cui aveva bisogno; "guidare è un po' come scrivere, necessita di continua attenzione e concentrazione" e scrisse ancora sul suo "molesquine", questo l'aveva imparato da Sepùlveda;
-un buon vino e una bottiglia di Martini. Male si conciliavano con la metilxantina, ma non mancavano gli alcolici e i super in casa Hemingway e in casa Bukowski. Servivano a smussare gli spigoli, ridurre i contrasti, amalgamare la realtà,e ad attenuare ,appunto,gli effetti del caffè,in caso di abuso.
-un dizionario dei sinonimi e contrari. Questo era farina del Marchi,suo ex compagno di liceo, un tipo che nei suoi temi raggiungeva sempre e rigorosamente la lunghezza ideale di quattro colonne di foglio protocollo, che utilizzava il righello per non sconfinare oltre la metà del rigo, e che arrivava sempre al nocciolo della questione. Aveva, anche lui, imparato ad attingere dal dizionario in modo abbondante, copioso, fertile, in altri termini non carente, non esiguo, non sterile.
"Può bastare", pensò;era il primo giorno e quella barretta verticale lampeggiante sembrava che dicesse: "Muovimi, dai, spostami un po' a destra e scrivi qualcosa. Bastano poche grandi battute ed è fatta,dai,su... Hemingway aveva le stesse cose che hai tu, che ci vuole?"
"Magari parti da quando ti sei accorto di desiderare quella bionda, alle scuole superiori, ci spremi sopra qualche condimento erotico, ed è fatta!"
"...Forse, però, è un soggetto troppo acerbo, e poi non successe quasi nulla, quindi dovrei inventare di sana pianta..
Oppure racconto del viaggio in Irlanda, dei tramonti sull'oceano, delle rocce di basalto, del forte odore di torba... no, un po' troppo "National geographic"..
Allora, dei vent'anni di ufficio a mangiare merda, con quello stronzo del Giuliani, sempre lui, immancabilmente lì, accanto a me? Lì sì che ci sarebbe da dire, eh! Ma non posso raccontare delle mie figure, e poi a chi frega? Nessuno vorrebbe identificarsi nel protagonista..
Dei miei successi sportivi? Successi,non esageriamo..
Del mio incidente d'auto? Un po' troppo banale, è successo a molti.
Di politica? Non ho la competenza, e poi lo leggerebbero in tre.."
Insomma, per quale motivo aveva letto tutti quei libri tediosi e preoccupanti, perchè aveva speso soldi per quel corso di scrittura creativa?
Per scrivere!
Per far schiantare di bile il Giuliani, magari regalandogli una copia del suo libro autografata.
Dopo mezz'ora circa di black-out si soffermò disperatamente sui rari oggetti di quella cucina, cercava di trarre ispirazione dalle curve di quel vaso dozzinale, souvenir di Portofino... che aveva a che fare con Portofino, poi?
E quella tendina a quadretti rossi e bianchi, un po' ingialliti, come lui.
Cominciò a scrivere:
"La mia vita è..." Sembrava un buon esordio, un po' indefinito ma diretto, che ti avrebbe sparato dentro la storia. Rilesse più volte quelle tre parole, come se fosse sotto esame,o agli ultimi minuti di un compito di matematica che, salvo disperati guizzi dell'ultimo momento non prometteva nulla di buono, e cercasse la risposta esatta.
"...è..."
"... insignificante?"
Pensò ad una formulazione migliore, cancellò tutto e riscrisse:
"Scrivo perchè la mia vita è insignificante, e voglio renderla, appunto, significativa grazie ai proventi di questa nuova attività; vi condurrò per mano in un mondo scialbo, ordinario, banale e ripetitivo. Grazie."
Più che un incipit sembrava un SOS, una specie di messaggio in bottiglia da mandare al mondo intero, era comunque, a suo avviso, convincente, originale e sincero; sincerità a tutti i costi, sì, poteva essere la strada giusta da percorrere.
Cominciò pian piano a prelevare dolenti periodi dalla memoria, a scrivere della sua squallida esistenza, dei suoi desideri repressi, delle sue invidie, di quanto era per lui opprimente avviarsi ogni mattina in ufficio, del suo amore naufragato.
Giorno dopo giorno, il file diventava sempre più corposo e lui diventava sempre più curvo e stanco.
Scrivere quelle note dolenti non gli faceva bene, e rileggendole, si soffermava e riviveva ciò avrebbe voluto, in realtà, cancellare con un semplice tasto.
Andò meccanicamente avanti,e pian piano srotolò in quel monitor tutta la sua vita; nonostante sembrasse invecchiato all'improvviso, si ritenne soddisfatto e mise la parola fine al suo romanzo.
Si mise il costume e si avviò verso il mare.
La parte finale del libro diceva così:
"..nonostante sembrassi invecchiato all'improvviso, mi ritenni soddisfatto e misi la parola fine al mio romanzo.
Mi misi il costume e mi avviai verso il mare.
Le ombre erano lunghe, i toni accesi del tramonto ben si adattavano al mio stato d'animo,non c'era nessuno intorno, sentivo solo il rumore dei miei passi.
Arrivai dunque alla battigia, posai i miei oggetti personali ordinatamente sull'asciugamano-a pensarci mi venne quasi da ridere, lo feci meccanicamente, ma avrei potuto scagliarli nell'acqua- e mi immersi nel mare ormai cupo e livido.
Vidi il sole che stava per toccare il bordo sfumato dell'orizzonte, provai un gran desiderio di raggiungerlo e cominciai a nuotare; e nuotai, fin quando le mie forze me lo concessero.
Un ultimo confortante pensiero al mio libro e, inabissandomi, raggiunsi il sole.

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| BombaSicilia 4.0 # 2 - agosto 2003 |

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