La Vita La tecnica Lo Stile Action Painting I Quadri

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LA VITA

Fondamentale artista della storia americana, Jackson Pollock nasce il 28 gennaio 1912 a Cody nello Wyoming. E' il rappresentante più emblematico della cosiddetta action painting, la corrente che rappresenta il contributo americano all’informale e che consiste nel trattare la tela con ampi e violenti movimenti del pennello, attraverso azioni appunto dinamiche.

Questo possente artista, i cui quadri emananti una selvaggia energia non possono lasciare indifferenti, trascorse la sua infanzia e la sua adolescenza in Arizona e California. La sua è una famiglia contadina assai numerosa (Jackson è l’ultimo di cinque figli), di origine scozzese-irlandese.

Già a 15 anni Jackson è piuttosto irrequieto e dedito all’alcool. Frequenta la High School di Reverside dalla quale viene allontanato per indisciplina e, nel 1929, pure dalla High School di Los Angeles, alla quale si era iscritto nel 1925. Durante la Grande Depressione abita a New York, dove vive alla giornata e dove frequenta i corsi di Thomas Hart Benton all’Art Student Leaugue.

Nel 1936 frequenta il Laboratory of Modern Techniques in Art di Siqueiros, dove sperimenta tecniche, strumenti e materiali di pittura non tradizionale. Dal 1938 al 1942 lavora nel Works Progress Administration del Federal Art Project nel reparto murales, ma scarsi sono l’interesse e il successo. E’ un periodo di gravi difficoltà economiche e di privazioni.Nel 1940 conosce Orozco e la pittura messicana.

Nel 1942 partecipa alla grande mostra dell’Art of this Century e viene apprezzato dal critico Clement Greenberg, che lo seguirà e sosterrà in tutta la sua carriera.

Nel 1943 incontra Peggy Guggenheim che gli fa un contratto di cinque anni. Grazie a lei nel 1944 presenta la sua prima mostra personale che gli apre le porte della celebrità.
Nel 1940 sposa la pittrice Lee Krasner e si trasferisce assieme a lei in una fattoria a Long Island, dove conduce una vita modesta, lontano dall’alcool. Gli anni fra il 1945 e il 1950 sono i più creativi.

A questo proposito, è bene precisare che l’arte come comunicazione non ha mai interessato a Pollock. “Dipingere è un modo di essere “, diceva. Questa affermazione ha stimolato il critico americano Harold Rosemberg a scrivere le seguenti parole, nel tentativo di approfondire la concezione pollockiana : “A un certo momento i pittori americani cominciarono a considerare la tela come un’arena in cui agire, invece che come uno spazio in cui riprodurre, disegnare, analizzare o esprimere un oggetto presente o immaginario. La tela non era più dunque il supporto di una pittura, bensì di un evento [...]. L’innovazione apportata dalla pittura di azione consisteva nel suo fare a meno della rappresentazione dello stato per esprimerlo invece in un movimento fisico. L’azione sulla tela divenne così la stessa rappresentazione…”.

Una delle innovazioni più importanti di Pollock, all'interno di questo modo di considerare la pittura e il suo supporto materiale, la tela, è stata la messa a punto di una tecnica chiamata dripping(letteralmente sgocciolamento consistente nel far gocciolare il colore su una tela posta in orizzontale, determinando la colatura del colore con gesti rituali e coreografici in cui erano presenti reminescenze dei riti magico-propiziatori praticati dagli indiani d’America. Le opere così realizzate si presentano come un caotico intreccio di linee e macchie colorate, con una totale assenza di organizzazione razionale.

Lo stesso Pollock, nel 1949, durante una conversazione con Rosemberg, sostenne la supremazia dell’atto pittorico come sorgente di magia. Subito fu coniato proprio da Rosemberg il termine di Action-painting, pittura-azione. Considerato “il rantolo mortale del dadaismo”, “un atto di negazione totale”…”incapace di assolvere alla funzione di comunicare per l’assenza di immagini definite” (Pollock), questo nuovo stile venne inizialmente guardato con diffidenza dai critici americani ed europei.

Non sappiamo se questo stato di cose abbia effettivamente turbato l'ipersensibile personalità di Pollock. Quel che è certo è che la sua dedizione all'acool, pur con alti e bassi, non venne mai meno. Nel 1950, dopo un periodo di salutare interruzione, colto dalla depressione (uno stato d'animo che l'ha perseguitato e che non l'abbandonerà mai), riprese a bere. Muore in un incidente stradale, ubriaco al volante della sua auto, a South-Hampton, il giorno 11 dicembre 1956.