III/b.
Tecniche pittoriche:
la natura morta, psicologia dell'artista |
indietro |
il pensiero |
- pittura a
tempera
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gli
strumenti |
Per la pittura a tempera occorrono una
tavolozza
in plastica su cui
stendere i colori e dei contenitori per l'acqua, che
serviranno per diluire i colori. Un pennello o una spatola
verranno utilizzati per mescolare i vari colori sulla
tavolozza, potranno servire pure per stendere il colore anche sul
supporto in caso si vogliano ottenere effetti spatolati o a spessore. Per
stendere la vernice di fondo occorrono
pennelli piatti
a setola dura, mentre per dipingere i particolari o per creare altri
effetti a spessore con il pennello, occorrono
pennelli tondi
a setola morbida o medio dura. Un canovaccio o della carta assorbente del tipo da
cucina serviranno per pulire la spatola o i pennelli sul momento.
La pulizia degli
utensili. Dopo ogni giornata di
lavoro occorre pulire pennelli, spatola e tavolozza se si vuole
mantenerli abili per ulteriori applicazioni. I
pennelli vanno lavati con acqua in modo da mantenere pulite
le setole.
Anche la
tavolozza va pulita
interamente perché le tempere a guazzo o acriliche lasciano forti
tracce sulla tavolozza e la volta dopo non si possono riutilizzare
come per i colori ad acquerello.
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SUPPORTO: la tavola, la tela |
Con la
tempera si può dipingere su tutte le superfici tradizionali della
pittura: tele, tavole e cartoni. Anticamente si dava preferenza alla
pittura su tavola, che per la sua solidità è il supporto più indicato
per questa pittura.
Le tele possono essere di lino, canapa e cotone di varia trama: fine,
media, grossa. Infine abbiamo la tela di juta con una trama molto
grossolana, utile per alcuni generi di lavori a spessore.
Per una
pittura molto descrittiva si può utilizzare la tela di cotone a grana
fine, mentre per una pittura informale vanno bene tele con grana più
grossolana dove il colore si può fermare in spessore.
La preparazione del supporto:
La tavola.
Il lato della tavola destinato a ricevere la pittura
deve essere ben levigato con carta vetrata; si procede
all'eliminazione di nodi e cavità colmandole con dello stucco. Col
termine preparazione si intendono tutti gli strati intermedi fra il
supporto e la pellicola pittorica. Essa può essere ottenuta in modi
più o meno sofisticati: generalmente in antichità si procedeva con
gesso unito ad un legante, come la colla di pelle di coniglio. Tale
composto, una volta steso in vari strati, veniva levigato e
lisciato. A questo punto la tavola era pronta a ricevere la pellicola
pittorica. Oggi esistono delle resine sintetiche che sostituiscono il
miscuglio ottenuto con la colla animale e il gesso, queste vengono
applicate sopra la tavola di compensato levigata, come fondo
preparatorio. E' opportuno stendere due strati di resina attendendo i
tempi indicati per l'asciugatura e poi levigare ulteriormente la parte
su cui si andrà a dipingere.
La
tela. Sulla tela grezza viene eseguita
l'imprimitura, cioè viene steso un composto a base di colla animale e
gesso come per le tavole.
La tela viene poi
stesa su di un telaio, dopo averla bagnata e fatta asciugare. Per le
tele fini è sufficiente una preparazione leggera, per quelle grosse
occorrono più strati. L'imprimitura della tela, che deve rispettare
l'elasticità del supporto, può mutare per diversi particolari da
artista ad artista. Oggi le tele si possono trovare in commercio già
pronte.
Carte o cartoni.
Molti dipingono sopra questi supporti senza prepararli. In antichità i
cartoni subivano la stessa preparazioni delle tavole, ma anche sulle
carte non si andava direttamente a dipingere senza prima aver eseguito
un'imprimitura che poteva essere data con un colore a tinta chiara
sempre a tempera, su cui poi si andavano a creare dipinti o bozzetti
con matite, carboncini o sanguigne.
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STILE: il tipo di
pennellata |
Per
tempera, in italiano arcaico detta "tèmpra", si intende il modo
di mescolare e far solidificare il colore attraverso l'uso di alcuni
ingredienti.
"mescolanza
di colori nella colla o nella chiara d'uovo, per dipingere su legno,
gesso, tela e più specificatamente per le scene e decorazioni teatrali".
In realtà la chiara d'uovo non è affatto l'elemento base della vera
tempera all'uovo, che fu invece largamente usata per la miniatura e
per i messali, nonché come vernice finale provvisoria, sfruttando la
sua rapida capacità di essiccamento e indurimento.
Nel corso del novecento il termine "tempera" ha perso il suo
originario significato. Oggi i colori a tempera sono dei colori per gouache
ossia guazzo come si diceva un tempo.
La pittura a guazzo o gouache, fu nei secoli scorsi molto utilizzata,
sopratutto in Francia, per l'esecuzione dei bozzetti preparatori per i
lavori ad olio. Ma la sua diffusione è avvenuta a partire
dall'ottocento, con il suo largo impiego nella cartellonistica
pubblicitaria. Consiste nell'uso di pigmenti mescolati con colla, o
gomma arabica, e
pigmento bianco, il cosiddetto bianco di Medoun.
La caratteristica del gouache è che si abbassa notevolmente di tono,
dopo che il colore si è asciugato, la sua praticità risiede invece
nella rapidità con cui si può lavorare, specialmente quando occorre
dipingere soggetti destinati alla riproduzione tipografica (cartelli
pubblicitari, manifesti ecc.), che grazie al breve tempo di
lavorazione e alla caratteristica opacità, ben si adattano alla
riproduzione tipografica.
Le pitture a tempera più antiche di cui abbiamo traccia in Italia
risalgono al periodo etrusco nelle decorazioni delle tombe
etrusche. Anche in Grecia la tempera fu usata, come l'encausto, pigmenti mescolati a caldo con la cera.
Anche i romani conoscevano la tempera, come dimostrano alcune pitture
parietali pompeiane.
La tempera all'uovo fu usata nel periodo bizantino, in prevalenza
nella pittura delle icone, ma ebbe il massimo fulgore nel
Rinascimento, anche se la pittura a tempera dei quattrocentisti non è
generalmente ad uovo puro. Infatti era già in uso un sistema di
pittura, definito ad emulsione, dove all'uovo venivano aggiunti oli,
essenze e vernici.
Non fu dunque Van Eych a introdurre la pittura ad olio
in Europa, perché l'uso dell'olio era già acquisito da secoli, tanto
che ne scrissero addirittura anche Plinio e Vitruvio e successivamente
nel Medio Evo Teofilo.
La tempera che aveva caratterizzato la pittura italiana del
Rinascimento, fu lentamente soppiantata dalla cosiddetta pittura ad
olio, benché molti quadri della fine del '400, classificati nei musei
come pitture ad olio, siano nei fatti delle emulsioni a base d'uovo,
rifinite con velature a vernice ed olio.
La tempera nei secoli successivi al Rinascimento fu spesso adoperata
come base per le pitture ad olio. Ricordiamo ad esempio nell'ottocento
italiano la tempera del Fontanesi a base di tuorlo e gomma arabica.
Con questa tempera Fontanesi abbozzava i dipinti che poi ultimava a
olio, la sua ricetta fu utilizzata in epoca successiva dal pittore
Carlo Carrà. Hanno inoltre lavorato con la
tempera all'uovo ed emulsioni famosi artisti come: Böecklin, De
Chirico, Annigoni e molti altri.
Giotto, Madonna in Maestà, 1310
Tempera su tavola, 3,252,04 m.
Galleria degli Uffizi, Firenze. |
Giotto di Bondone (Firenze, 1266-1337).
Nel medioevo il problema della
resa dello spazio tridimensionale su un piano a due dimensioni
si risolveva con
alcuni semplici artifici:
La sovrapposizione: ciò che appare in parte coperto da altri
elementi appare essere più lontano di questi dall'osservatore.
La deformazione o obliquità parallela: consiste nell'uso di linee,
parallele tra loro, che sembrano allontanarsi dall'occhio dell'osservatore,
questa tecnica serviva a dar l'idea, ad esempio, delle strutture
architettoniche in cui erano inserite le figure umane.
Infine via via che ci si allontana dall'osservatore le figure, a parità di
grandezza reale, dovrebbero apparire sempre più piccole e poste più in alto.
I primi due accorgimenti in questa Madonna
della Pala di Ognissanti sono evidenti: le linee oblique nel trono e nei suoi scalini, e
gli effetti della sovrapposizione nei santi che circondano il trono;
particolarmente interessante l'idea di aprire il trono con due finestrelle
laterali, che accentuano la percezione dello spazio. Non è possibile, invece,
riscontrare il terzo artificio perché l'autore ha conservato le proporzioni
gerarchiche, per cui i personaggi più importanti vengono dipinti più grandi
degli altri. Si tratta di una convenzione pittorica dettata dall'iconografia bizantina che era difficile
metter da parte dipingendo la Madonna, veneratissima nel medioevo: questo
dipinto, infatti, appartiene ad un vero e proprio genere pittorico (le
Maestà) in cui la Vergine era sempre rappresentata in trono, in genere su
sfondo dorato con altri santi; in questo quadro oltre all'innovazione nello
spazio è molto ardita la raffigurazione di Maria col viso sorridente e un corpo
dotato di uno spessore, che le donano una consistenza terrena. I volti sono più
dolci e pur mantenendo la caratteristica solidità giottesca, sono resi in questo
modo più umani.
Il colore oltre ad individuare i volumi, li crea
con le variazioni di tono, infatti da essi si riflette mescolandosi ai vicini,
influenzandosi reciprocamente. Dona una morbida fusione dei passaggi
cromatici nei volti dei due protagonisti.
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Sandro Botticelli, "La nascita di
Venere", 1485 circa.
Tempera su tela, 172,5 x 278,5,
Uffizi, Firenze. |
Sandro Botticelli (Filipepi
Alessandro detto Sandro - Firenze 1445 - 1510).
Il soggetto iconografico è
l’allegoria della Nascita di Venere, abitualmente rappresentata
come Dea emergente dalla spuma del mare. Nella versione
dell’artista rinascimentale Sandro Botticelli Venere acquista
significati simbolici legati al mito classico, ma anche al culto
cristiano.
Qui Venere rappresenta non solo
l’unione delle due nature, celeste e terrestre, della deità, ma
anche l’ideale rinascita della classicità e dell’anima,
purificata in seguito al battesimo. Venere nascente dalla spuma,
sostenuta dalla conchiglia e sospinta dal vento fecondatore di
Zefiro, divinità a cui è abbracciata la ninfa Clori, approda a
riva dove l’attende la ninfa Ora, nell’atto di porgerle il
mantello che la proteggerà.
La tempera nel Rinascimento non è
il nostro guazzo moderno dove il colore non si può stendere per
velature come l'acquerello o l'olio e quindi non ha la stessa
resa volumetrica. I colori rimangono più vividi, ma le campiture
risultano più piatte.
Qui viene usata la vera tecnica
della tempera dove le pennellate vanno stese incrociando il
tratto in modo da mischiare il colore sulla tela. Si deve far
asciugare il colore tra una mano e l'altra giungendo alla
definizione del particolare. Infatti
il
colore viene steso per sovrapposizioni e rifinito a tratteggio
finissimo. Inoltre con l'uovo, vernici e oli era possibile
sfumare il pigmento in modo da ricreare un effetto a velature. |
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Giorgio De Chirico (1888-1978).
"Non bisogna dimenticare
che la parola tecnica viene dal greco Tèchne che vuol dire arte".
La tecnica è dunque lo strumento per la trasformazione della materia
grezza in materia artistica e nel contempo di realizzazione
dell'artista attraverso questa.
Per De Chirico la metafisica rappresenta ciò che va oltre
l'apparenza fisica, l'essenza intima della realtà al di là
dell'esperienza sensibile. Decontestualizzando l'oggetto,
portandolo da una situazione "normale" in cui si trova nella
realtà ad una "estranea", si crea in noi un'inquietudine, una
sorta di angoscia verso questa illogicità. Una sorta di paura
verso l'ignoto, il terribile che può accadere da un momento
all'altro.
Nei suoi dipinti troviamo il pensiero di Nietzsche, che si basa
sulla Stimmung, l'atmosfera morale, del pomeriggio d'autunno. Il
cielo è chiaro e le ombre più lunghe perché il Sole è più basso
che ne in estate.
Nelle sue
opere predominano la forte geometrizzazione che ritroviamo nelle piazze,
nella rappresentazone dei palazzi, che diventano palchi
allucinati per rappresentare manichini od altri oggetti
inanimati; la solitudine del centro cittadino, visto come città
morta, priva di abitanti; colori caldi ma privi di vibrazioni
atmosferiche. Sono città deserte, dove tutto è statico e
sospeso, abitate da manichini che racchiudono solo l'aspetto
dell'umano, non l'essenza.
Il colore è
steso sia nelle pitture a tempera che ad olio sempre per vaste
campiture, mantenendo le tinte quasi piatte, ogni volta
contornate dalla linea nera che gli dona il carattere irreale
dell'illustrazione. |
Giorgio De
Chirico
"Autoritratto", 1920
tempera su tavola, 40,3x29,5 cm.
Collezione privata. |
Giorgio De
Chirico
"L'enigma di una giornata", 1914
Olio su tela
185,5x139,7 cm. |
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COLORE: i pigmenti e la
tavolozza |
La tavolozza.
E'
composta da un supporto in plastica bianco, si può usare anche lo
stesso modello della tavolozza ad acquerello, oppure delle coppette
se si utilizza la tempera acrilica per dipingere su ampie superfici.
Per mischiare i colori sulla tavolozza occorre una spatola o un
pennello. Quindi si procede
mettendo col tubetto di ogni colore un po' del medesimo iniziando
dai colori chiari fino a quelli scuri nell'ordine: bianco,
giallo, ocra, lacca, rosso, blu, terra. Questo perché così si viene
a creare
una visione unica di tutto quello si può avere a disposizione. Di colori ne bastano pochi perché con
questi si
fanno tutti gli altri: bianco, giallo primario, rosso carminio, blu
primario già basterebbero, ma se ne possono aggiungere altri
2 che sono: terra di Siena bruciata, ocra gialla chiara. Ora i primi
4 sono fondamentali, l'ocra e la terra sono un di più utili
soprattutto per ottenere un colore scuro corposo e pastoso dove occorre molta massa, quindi
più colori ci sono a formarla e più viene sodo. I colori vanno
diluiti con acqua in piccole quantità, troppo lo rende
troppo fluido e troppo poco troppo secco. Questo vale per la tempera
a guazzo o la tempera acrilica, se si vuole usare la tempera
all'uovo, si adopererà l'uovo. La tavolozza va tenuta a fianco del
piano di lavoro.
I
bianchi. Dove il bianco ci appare in pittura sentiamo che lì è
intenso lo spirito.
Il bianco
puro come del resto il nero o qualsiasi altro colore in purezza non
si danno mai, perché è risaputo che in natura i colori puri non
esistono in quanto ognuno è influenzato da quello che gli sta
accanto, perciò anche se si noterà una superficie il cui riflesso
risulta bianco, bianco non lo si dovrà mai fare, ma si farà virare il
bianco verso il colore di quell'oggetto. Quindi si prende con la
punta della spatola una porzione di bianco abbondante e la si mette
verso il centro della tavolozza e poi sempre con la spatola si
prende una punta di giallo e di ocra e si inizia a mischiare,
poi visto più o meno come viene si metteranno delle piccolissime
quantità di rosso, blu e terra, tutto ciò per riscaldare il bianco
puro. Quando si mescola si deve incrociare sempre il colore, ma
mentre nella pittura per velature il colore deve essere
perfettamente mescolato, in quella a spessore, visto il risultato
che si vuol ottenere, si può non incorporare bene tutti i colori,
lasciando delle parti meno mescolate.
I neri. Dove si applica il nero si è ricondotti
all'immagine spirituale di ciò che è morto.
I neri, perché al plurale? Semplice come per il bianco, o qualsiasi
altro colore, in natura non ne abbiamo solo una gradazione.
I neri sono dati dalla
mescolanza di tutti i colori in quantità abbondante e simile tra
loro: giallo, rosso, blu, terra, verranno esclusi l'ocra gialla e il
bianco perché tendono ad ingrigirli. Chiaramente per ottenere delle
sfumature grigie occorre incorporare del bianco.
Se si vuole ottenere un nero caldo occorre aumentare il rosso, se si
vuole ottenere un nero freddo occorre aumentare il blu. Per i
marroni basta aumentare il giallo e il rosso e diminuire blu e
terra.
Le gradazioni. Nel fior di pesco che rappresenta il
colore dell'incarnato umano, abbiamo l'immagine viva dell'anima.
La pianta nel suo verdeggiare indica
la vita, è costituita di minerali morti, ma essi sono permeati di
vita. Le piante contengono le sostanze morte della terra, i
minerali, per questo sono verdi. Il verde quindi è l'immagine morta
della vita.
Il vivente si vuole manifestare attivo quando ci
viene incontro col rosso, esso è lo splendore del vivente.
Se lo spirito vuole rivelarsi non
nell'astratta uniformità nel bianco, ma parlarci con intensità
nell'intimo, per l'anima nostra esso rispenderà come giallo, esso è
lo splendore dello spirito.
Se l'anima vuole raccogliersi
nell'intimo, racchiudersi in se stessa, lo farà nel mite azzurro,
esso è lo splendore della sfera animica.
Le tinte
che si andranno a creare in genere per l'incarnato o per il cielo o
per il verde dell'erba vanno create seguendo una gradazione. Si
parte costruendo un colore base medio e poi si andrà a creare una
tinta sempre con quel colore più chiara e una più scura, in modo da
avere a disposizione già tutte le variazioni da stendere e poi da
mischiare sulla tela.
I colori da mischiare sono per tutti quelli che troviamo sulla
tavolozza, naturalmente se si vuol far del verde occorre togliere il
bianco, aumentare il giallo e diminuire i neri, mentre per
l'incarnato occorre aumentare il bianco e diminuire i neri, per il
cielo aumentare il bianco e diminuire il giallo e i neri.
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LEGANTI: l’acqua, l’uovo |
La
tempera all'uovo.
La tempera dei quattrocentisti italiani ci è stata tramandata grazie
al "Libro dell'arte" del pittore e scrittore d'arte Cennino Cennini
(1370-1440). In questo trattato l'autore descrive come gli artisti del
tempo preparavano i supporti sui quali dipingere, come dipingevano, e come si faceva la
tempera (capitolo LXXII).
Il Cennini spiega che ci sono due maniere di fare la tempera. La prima consiste nel battere il tuorlo d'uovo
con le mozzature dei rami di fico. Il liquido che fuoriesce dai
giovani ramoscelli tagliati va mescolato al tuorlo d'uovo in quanto
ritarda l'essiccazione dei colori sulla tavolozza, favorendo la
coagulazione e la conservazione dell'uovo, pare inoltre che abbia
un'azione antisettica.
Il secondo metodo indicato dal Cennini per fare la tempera è quello di
mescolare il solo rosso d'uovo con i colori, e questa tempera è per
l'autore buona per dipingere su qualsiasi superficie: muro, tavola o
ferro.
Questa tecnica è
molto adatta per creare dipinti su tavola a cui si vuole donare un
effetto antico.
Chiaramente nel 400
non esistevano i colori a tempera come li conosciamo oggi, ma si
usavano i pigmenti ossia le polveri ottenute triturando e schiacciando
direttamente i minerali, un procedimento alchemico di cui ogni pittore
era a conoscenza. Infatti ogni pittore aveva una ricetta personale che
metteva a punto mescolando questi pigmenti alla gomma arabica,
all'olio o all'uovo.
Queste polveri oggi
molto costose si possono acquistare nelle mesticherie. Nei normali
negozi di Belle Arti troviamo solo tempera a guazzo, dove il pigmento
è già preparato secondo metodi chimici convenzionali.
Gouache. ll guazzo è la
tempera che comunemente adoperiamo miscelando il colore con acqua
abbondando con l'uso del bianco; nell'inconsapevolezza della tecnica
antica in cui il colore per l'appunto si mischiava al tuorlo d'uovo e
ad oli. Adatta per bozzetti, ed opere grafiche.
Tempera acrilica. Viene venduta
in tubetto ed in barattolo, infatti è molto adatta per creare
trompe-l'oeil su tavola o muro di vaste dimensioni. La tempera acrilica può
essere opaca o lucida e ha la caratteristica di essere molto più
resistente agli agenti atmosferici. Si può diluire sia in acqua che in
solventi, ma per comodità è sempre consigliabile l'uso di acqua.
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L'ATMOSFERA: lo sfondo, gli effetti animici |
La tempera, il guazzo o la tempera
acrilica, come la conosciamo oggi è un mezzo espressivo che utilizza
una tecnica rapida. Quindi tolto l'uovo o gli oli, con solo l'utilizzo
di acqua è praticamente impossibile creare delle sovrapposizioni per
velature. Quindi l'effetto atmosferico più che ricrearlo nella
sfumatura del colore, si deve creare a partire dalla stesura del
colore, si deve ricercare nell'orientamento della pennellata nel
seguire le curve del soggetto, ma seguire soprattutto come il colore
vuole essere steso, la sua essenza. Ad esempio il giallo vorrà essere steso a partire
dal centro e sfumato verso i bordi, mentre il blu in senso opposto.
Inoltre è importante tener conto della prospettiva del colore, in
particolare come il moto tra blu e rosso indica il moto dell'anima, il
vivere nel colore.
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VERNICI FINALI: vernici
pittoriche di finitura |
I colori a tempera asciugano piuttosto
rapidamente, infatti è per questo motivo ed anche perché essendo molto
pastosi, poco trasparenti e poco duttili, sono stati sostituiti dai
colori ad olio, che al contrario, lasciando il colore più elastico e
asciugando in maggior tempo permettevano un grado di mescolanza sulla
tela elevato, che donava sfumature plastiche grazie alla facile
stesura per velature.
Solitamente i quadri a tempera o tempera
acrilica vengono
protetti con vernici finali che si possono stendere a pennello o
spray.
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DORATURA: foglia d’oro e missione |
Una porzione
fondamentale del dipinto su tavola nel medioevo è costituita dal fondo
o dalle parti decorative realizzate in oro. Le tecniche di doratura
sono molteplici: la più diffusa è costituita dalla stesura di foglie
d'oro. L'oro deve essere cioè steso prima dei colori sulla tavola già
preparata. Per preparare il supporto a riceverlo si incide il contorno
della parte da dorare, quindi, secondo la procedura canonica, si
stendono su di essa quattro mani di un composto costituito da acqua,
chiara d´uovo montata a neve e bolo cosiddetto ´armeno´, cioè
un'argilla untuosa e rossiccia finissima. E´ quest'ultima che
riaffiora comunemente in seguito alla caduta dello strato d'oro,
rimanendo in vista in molti dipinti del XIII, XIV e XV secolo.
Dopo aver fatto asciugare la tavola protetta dalla polvere con un
panno, si procede con la brunitura (una sorta di lucidatura) del bolo
mediante pietre dure levigate (pietra d'agata) oppure con strumenti
ricavati da denti di animali. Le sottili foglie d'oro zecchino,
ricavate ad opera dei battiloro da una lamina battuta con un martello
tra due strati di pelle, sono poste ad una ad una su un pezzo di carta
e lasciate scivolare con il pennello sul bolo precedentemente
inumidito. A questo punto sull'oro brunito si possono apporre
decorazioni incise o impresse con dei timbri detti "punzoni", l'uso e
la diffusione dei quali contribuisce non poco al risultato finale del
dipinto.
Oltre alla stesura dell'oro a bolo, precedentemente descritta, la
doratura di alcune parti dei dipinti medievali si ottiene anche con la
tecnica a missione ed a conchiglia, generalmente riservate a zone più
minute. La prima era ottenuta stendendo con un pennellino sulle parti
da dorare la missione, cioè una colla fatta di olio di lino, una
resina e, talvolta, un pigmento essiccante. Quando la colla cominciava
a far presa vi si metteva sopra la foglia d'oro, premendola con la
bambagia affinché aderisse, e quindi la si spolverava con un pennello
morbido per togliere l'oro in esubero. La doratura a conchiglia era
invece ottenuta mescolando la polvere d'oro con un legante come la
gomma arabica e stendendola a pennello. Nei dipinti medievali si fa
spesso ricorso a decorazioni a pastiglia: si tratta di decorazioni in
rilievo fatte con gesso e colla proteica, oppure gesso e colla di
farina, spesso estese a parti di carpenteria anche prive di
figurazione, come pilastrini laterali di polittici o aureole di santi
stese sulla preparazione del dipinto. Oggi in vendita nelle
mesticherie si trovano dei pacchetti di foglie d'oro pronte all'uso
che si incollano con una missione all'acqua sulla tavola
precedentemente preparata. Si può sostituire il bolo con della pittura
ad olio rossa in modo che se la foglia per qualche ragione non venisse
sistemata per bene non lasci trasparire la vernice di fondo. Ad ogni
modo esiste anche la vernice dorata in tubetto che si stende come un
normale colore di più facile impiego ma di resa meno lucente.
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a cura di A.
Delvecchio |
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