III/a. Tecniche pittoriche: la natura morta, psicologia dell'artista

il pensiero la tecnica

 

 

 

introduzione

 

Come abbiamo visto nella lezione dedicata al disegno, esso può rappresentare come fase legata all'ideazione di un'opera, il principio dell'opus alchemico. Ora se seguiamo questo ragionamento la fase pittorica la possiamo immaginare come tutto ciò che sta in mezzo,  è il procedimento alchemico, per raggiungere il fine dell'opera. Inoltre se paragoniamo il disegno al pensiero, ora ci troviamo con il procedimento pittorico nel presente, nel sentire, e allo stesso tempo nel presente, forgiamo quel che avverrà nel futuro, ad opera del volere. 

 

 

" La luce irradia dal passato e la tenebra accenna all'avvenire. Nella luce il pensiero vivente, il passato che muore. Nella tenebra la volontà nascente, il futuro che viene. Il pensiero è luce e la volontà è tenebra.

Solo osservando il mondo nella sua duplice natura si riesce a capirlo."

 

 

R. Steiner, "L'essenza dei colori".

 

 

 

 

 

Quindi nel nostro presente dobbiamo essere consci di quello che ci arriva come passato e di quello che si prepara come futuro. In quanto tutto è in continuo movimento e trasformazione.

La creazione pittorica deve essere vista come una fase di trasformazione in cui il colore deve vivere nella sua prospettiva, sulla superficie del supporto pittorico.

 

 

 

la natura delle arti

 

Un tramonto di sera in una vasta pianura ricoperta di neve, laghi ghiacciati, alberi e cespugli ricoperti di neve e ghiaccioli. Nel paesaggio vi sono due donne e dal rosso del tramonto appare un messaggero dei mondi superiori che le ascolta.

Una donna si lamenta che ha freddo, l'altra osserva la natura è la vede meravigliosa. Nel suo cuore sente il calore fluire perché scorda tutto quello che potrebbe sentire per il gelo e per l'influsso fisico. Il rosso del tramonto si scolora, cala la notte, e le due donne si assopiscono dolcemente in un profondo sonno. La donna che aveva freddo cala in un sonno che potrebbe diventare per lei quasi la morte. L'altra invece ripensando alla bellezza di quello che aveva visto ha una sensazione che le scalda le membra, durante il sonno. Ella aveva udito le parole del giovane venuto dal rosso del tramonto che le aveva detto: "Tu sei l'arte".

Una volta addormentata entrò in una specie di sogno che però non era tale, era una immaginazione astrale, le impressioni della conoscenza immaginativa dell'anima della donna. Vide una figura diversa da come si può immaginare una figura spirituale. La figura era povera di tutto quanto poteva ricordare il mondo fisico sensibile. Lo ricordava solo perché si mostrava simile a tre cerchi, uno verticale, uno orizzontale e uno orientato da destra a sinistra, intrecciati insieme in modo perpendicolare. Da esso fluivano sensazioni animiche di un dolore per qualcosa. L'anima della donna le chiese il motivo di tanto dolore. E la figura le risponde che soffre perché discende da un ceppo altamente spirituale. Appare così anche come anima umana. Ha un'origine molto alta nel regno delle gerarchie. Dall'altro lato della vita gli uomini gli hanno rapito l'ultimo dei suoi rampolli. Lo hanno preso incatenato ad una specie di rupe e lo hanno reso piccolo. La donna chiese chi fossero lui e il rampollo. Gli uomini sulla terra lo chiamano come senso, un  piccolissimo senso. Il senso dell'equilibrio. E' diventato piccolo e consiste di tre cerchi incompleti, saldati all'orecchio. Nel suo regno non è vincolato ed ha cerchi completi. Allora la donna le chiese come poteva aiutarla. Lo poteva fare solo unendo la sua anima alla sua, trasferendo in essa tutto quello che gli uomini sperimentano grazie al senso dell'equilibrio. Solo allora lei crescerà e diventerà grande, liberando il senso dell'equilibrio, spiritualmente libera oltre il laccio che la lega alla terra.

La donna lo fece si unì alla figura spirituale e sentì subito che aveva qualcosa da eseguire, tramutò la quiete in movimento, e tramutò il movimento in una danza, chiudendo la danza in una forma. La figura spirituale ora si è trasformata è diventata l'arte della danza. Ma fu avvertita di non andar oltre. Infatti gli Spiriti della forma sono quelli che nel corso dell'evoluzione della terra tutto produssero. Se si penetra nei loro compiti si cade nella regione astrale della brama ardente e la danza spirituale si trasformerebbe in una danza selvaggia. Invece attenendosi alla danza che si conclude in forma si crea un'immagine delle poderose danze eseguite negli spazi del cielo dai pianeti e dal sole per rendere possibile il mondo fisico sensibile. (il movimento delle sfere celesti nel mondo greco).

L'anima della donna continuò a vivere in quello stato e gli si avvicinò un'altra figura che appariva racchiusa in un piano, una figura senza le tre dimensioni. La donna la vedeva da due lati che erano diversi. Questa proveniva dalla regione degli arcangeli e come all'altra, l'uomo gli aveva rubato l'ultimo rampollo che gli uomini chiamano il senso del movimento. Anche questa le chiede di unirsi a lei. In questo modo l'anima della donna accrebbe ancora di più e divenne più bella. E diventò l'arte mimica, l'arte di esprimersi con i gesti della mimica. Ma come l'altra figura spirituale la avverte di non andare avanti, ma solo riversare nella forma i movimenti che esegue, per non cadere nelle brame e trasformare in una smorfia la forma. Per essere l'archetipo dell'arte mimica non deve fare come gli uomini che esprimono solo il loro egoismo.

Quindi le si avvicina una figura spirituale che si muoveva solo in una linea. Discesa dalla regione degli Spiriti della personalità e come le altre gli uomini le avevano tolto il suo ultimo rampollo da solo chiamato senso della vita, quello per cui sentono la loro personalità. L'anima della donna si doveva unire a lei e tralasciare tutta l'egoità che gli uomini hanno  in sé. Così diventò l'archetipo dell'arte plastica, della scultura. Ora l'anima della donna poteva riversare negli uomini una nuova facoltà, la fantasia plastica di creare in forme scultoree. Ma non deve andare oltre la forma, nel momento in cui si annienti la personalità che deve tenere unita la forma, si è al limite con quello che nell'opera d'arte è attuabile come bello.

Poi gli appare un'altra figura, mirabile ed austera, che veniva dalla sfera degli Spiriti della forma. Dice che gli uomini non sono mai riusciti a rappresentarla come figura perché non esiste sul piano fisico. Per questo gli uomini gli presero l'ultimo rampollo e lo frantumarono, perché la fantasia la facevano comparire a pezzi qua o là, ed ora se ella si univa a  lei con la sua anima poteva donare la facoltà della fantasia alle anime degli uomini. Ora la donna era diventata l'archetipo dell'architettura. Ma la deve far usare agli uomini solo per erigere templi spirituali, deve avere questo carattere, non venire usata a fini terreni.

Le si avvicinò un'ulteriore figura da cui fluiva qualcosa di simile all'amore che scalda e insieme qualcosa che può raggelare. Era l'intuizione che proviene dal regno dei Serafini. La donna doveva unirsi a lei per dare agli uomini l'intuizione che è una parte della loro fantasia creatrice. Disse allora la figura spirituale serafica che portava il nome di intuizione: "Poiché lo hai fatto, ora puoi dare agli uomini la fantasia pittorica. Sei così diventata l'archetipo della pittura e sarai in grado di accendere negli uomini questa facoltà. La donerai a uno dei sensi, l'occhio, che ha in sé qualcosa che non viene toccato dall'egoità umana come attività pensante, ha in sé però il pensare sintetico del mondo esterno: tu potrai donar loro questo senso, in quanto porti in te la fantasia pittorica. Questo senso sarà in grado di riconoscere in ciò che di norma è senza vita e senz'anima, l'entità dell'anima che traspare attraverso la superficie. Tutto il colore e la forma, che di solito appaiono agli uomini alla superficie delle cose, saranno ora pervasi di anima grazie alla tua facoltà; essi tratteranno l'arte pittorica in modo che attraverso la forma sia l'anima a parlare, che attraverso il colore non sia solo il colore sensibile a parlare; attraverso il colore che gli uomini incanteranno sulla superficie, sarà l'interiorità del colore a parlare, così come tutto ciò che proviene da me tende all'intimo verso l'esterno. Tu sarai in grado di dare agli uomini una facoltà per cui riusciranno, grazie alla loro luce animica, a introdurre persino nella natura inanimata (che di solito appare solo in colori e forme senz'anima) quel che è il movimento animico. Tu donerai loro qualcosa per cui potranno trasformare il  movimento in quiete, per cui potranno trattenere nel mondo fisico ciò che è mutevole. Insegnerai loro a trattenere il colore rapidamente sfuggente su cui guizza il sole nascente, a trattenere i colori che vivono nella natura inanimata!."

Dal mare ondeggiante del mondo immaginativo emerse ora un'immagine che rappresentava la pittura di paesaggio. Poi emerse una seconda figura: "Grazie alla facoltà che donerai agli uomini, tu insegnerai loro a trattenere ciò che nella vita umana si svolge e si sperimenta in un tempo breve o lungo, in un minuto, in un'ora o in secoli, ciò che si concentra tutto in breve istante. Anche quando passato e futuro si incontrano possentemente, anche quando le due correnti di passato e futuro si incrociano, tu darai agli uomini questa facoltà e insegnerai loro come passato e futuro siano da trattenersi nel loro incontro, facendoli confluire simmetricamente nel centro, in quiete assoluta."

Dal mondo ondeggiante affiorò l'immagine del Cenacolo di Leonardo da Vinci. "Avrai però anche difficoltà. Avrai le maggiori difficoltà quando lascerai applicare dagli uomini la tua facoltà a ciò in cui esiste già movimento e anima, in cui essi hanno già inserito il movimento e l'anima sul piano fisico. Lì inciamperai con facilità. Quello sarà il limite in cui le immagini dell'archetipo che tu sei potranno ancora essere chiamate arte, quello sarà il pericolo." E dal mare ondeggiante del mondo immaginativo emerse il ritratto. 

Le apparve un'ulteriore figura spirituale che sulla terra viene chiamata ispirazione. Veniva dalla regione dei Cherubini. L'anima della donna si unì a questa entità. "Poiché  lo hai fatto, potrai infondere nelle anime degli uomini una facoltà. Quando passerà nelle anime degli uomini sulla terra, essa vivrà nelle loro anime come fantasia musicale. Nulla potranno trovare gli uomini (tanto estranea sei diventata con la tua facoltà alla sfera terrestre), nulla potranno prender da fuori per potervi imprimere ciò che l'anima stessa sente sotto il tuo influsso ispirato. Essi stessi dovranno accenderlo in modo nuovo mediante un senso che di solito conoscono in tutt'altro modo; dovranno dare una forma nuova al senso del suono; dovranno scoprire nella propria anima il suono musicale  trarre la loro creazione dalla propria anima, come da altezze celesti! Quando gli uomini creeranno così, dalla loro stessa anima fluirà qualcosa che sarà come un riflesso umano di tutto ciò che dalla natura esterna può fluire e scaturire solo imperfettamente. Come un riflesso fluirà dall'anima umana il mormorio della sorgente, il sibilare del vento, il rimbombo del tuono; dall'anima umana non ne scaturirà una copia, ma qualcosa che come una sorella, si contrappone naturalmente a tutte le magnificenze della natura, fluenti per così dir da ignote profondità spirituali. In tal modo gli uomini saranno in grado di creare qualcosa che arricchisce la terra, qualcosa che senza la tua facoltà non esisterebbe, e che sulla terra è come un germe per l'avvenire. Tu darai loro la facoltà di esprimere ciò che vive nell'anima loro, ciò che mai potrebbe venire perso, se dovessero fare assegnamento solo su quel che hanno ora, sul pensiero, sul concetto. Per tutti i sentimenti che incenerirebbero il concetto e che si congelerebbero se facessero assegnamento sul concetto, per tutti i sentimenti per cui il concetto sarebbe troppo astratto, tu avrai loro la possibilità di alitare alla periferia della terra, sulle ali del canto e della canzone, l'intima essenza dell'anima, imprimere sulla terra qualcosa che altrimenti non ci sarebbe..."

In seguito le si avvicinò un'altra figura che proveniva dalla regione degli Spiriti della volontà e si chiamava immaginazione. Ora poteva infondere sulla terra quella che si chiama fantasia poetica. "Grazie a questo archetipo gli uomini saranno in grado di esprimere sulle ali del tuo ritmo, del tuo metro, tutto quello che il linguaggio ordinario sarebbe uno strumento troppo grossolano. Tuoi la poesia e l'arte drammatica."

Ad un certo momento la donna vide in sé stessa un'esperienza interiore. Un'esperienza che si indica sulla terra come risveglio. In un'immagine riflessa vide ciò che sulla terra non esiste e così si svegliò. Lei stessa era divenuta una con l'immaginazione. La poesia che vive sulla terra è un riflesso dell'immaginazione. L'anima della donna vide il riflesso dell'immaginazione nell'arte poetica e si destò. Riflesso perché non era più nel mondo spirituale ma nell'elemento spirituale di riflesso, la poesia che vive nell'immaginazione spirituale.

La notte era passata e rivide nuovamente il paesaggio ricoperto di neve, accanto a sé vide la donna quasi congelata perché non si era scaldata come lei dall'impressione della bellezza del paesaggio. Così vide che la donna che nulla aveva sperimentato del mondo spirituale era la scienza umana. Ella si prese cura di lei cercando di trasmetterle una parte del suo calore, la protesse e la curò. L'altra donna si scaldò sotto l'impressione di quanto l'anima della prima le aveva trasmesso, sotto l'impressione di quelle esperienze notturne. L'aurora del sole stava annunziandosi. La donna udì quel che i figli degli uomini dicono sulla terra quando presagiscono e sperimentano ciò che può essere sperimentato nel mondo immaginativo. Udì la voce di un poeta che un giorno aveva presagito tutta la grandezza che l'anima umana sperimenta nel mondo immaginativo. Ora comprese di dover diventare la salvatrice di una scienza semi-assiderata; lei era l'arte e doveva scaldarla comunicandole il ricordo di quel sogno notturno. Si avvide che tutto quello che era semi-congelato può rivivere, purché la scienza accolga come conoscenza tutto quello che le viene comunicato. L'aurora divenne per lei il simbolo di quella che era stata la causa del suo risveglio, un simbolo della sua immaginazione. E comprese quello che il poeta tanto saggiamente aveva detto:

 

"Solo attraverso l'aurora del bello tu pervieni al paese della conoscenza!" (Schiller)

 

Che vuol dire che tutto il sapere viene dall'arte, l'aurora è la porta del mattino, la soglia verso la conoscenza.

 

 

R. Steiner, "Arte e conoscenza dell'arte".

 

 

psicologia dell'artista

 

Quando nell'arte subentra la psicologia dell'artista a discapito dei modelli spirituali precostruiti dall'immaginario collettivo, la figura dell'artista entra in crisi. Gli esempi si susseguono a partire dal periodo Impressionista quando ancora il pensare comune emulava la pittura delle Accademie, mentre Monet si faceva strada con il nuovo concetto di pittura basato sull'impressione. La natura veniva studiata sia attraverso il sapere scientifico, che ritornando ad usare il colore in modo spirituale. Ma il vero momento in cui la figura dell'artista entra in crisi lo abbiamo già a partire da una data storica molto importante, il 1527 data in cui si verificò il sacco di Roma ad opera dei Lanzichenecchi, guidati dallo spirito protestante di Martin Lutero. La chiesa reagì con la Controriforma, ma l'artista ormai era entrato in una profonda crisi spirituale che col passare dei secoli lo portò ad allontanarsi dai modelli iconografici sacri nei soggetti delle sue opere, spingendosi verso temi di matrice popolare, il paesaggio, il ritratto, la natura morta.

Mentre fino al Rinascimento la spiritualità era sentita nei soggetti religiosi come espressione del divino, dopo la crisi religiosa, la spiritualità si trasferisce dall'iconografia biblica ad altri soggetti, si lascia "il cielo" per entrare in una fase evolutiva che porterà al naturalismo e al mondo materiale.

Se prendiamo ad esempio la figura di un maestro del neoimpressionismo quale Vincent Van Gogh, ci rendiamo immediatamente conto di come il passaggio dal mondo spirituale visto nell'immaginario collettivo si sia trasformato in un linguaggio "occulto", che non viene più capito dall'intera collettività, ma si cela in un mondo personale creato dall'artista. E' come se il sapere di millenni si fosse perduto, dimenticato, e riaffiori in modo sporadico in queste figure di grandi artisti, che naturalmente nelle loro epoche non vengono compresi. L'apertura verso l'operato di Van Gogh, come di altri, si avrà in periodi postumi la sua esistenza, quando la psicologia avrà raggiunto un livello di sviluppo e di comprensione globale e le malattie psichiche riconosciute a tal punto, che un artista considerato "pazzo" nella sua epoca, viene considerato nella nostra epoca un vero e proprio genio. 

Jung scoprì nell'attività onirica una compensazione all'attività diurna come cura, un linguaggio proveniente dal nostro inconscio che si esprime attraverso simboli, non personali-soggettivi, ma collettivi-oggettivi, che ci viene in aiuto. Questo linguaggio è uguale per tutti noi, poi naturalmente si può scomporre ed analizzare per un caso personale. Infatti queste immagini archetipiche, che riaffiorano nei sogni, con la loro frequente presenza in casi sia individuali che a livello etnico, dimostrano quanto la psiche umana sia soltanto in parte unica e soggettiva o personale: per l'altra parte invece è collettiva e oggettiva.

Se in parallelo ci affidiamo alle conoscenze antroposofiche, ci rendiamo conto come effettivamente nell'addormentarsi e nello svegliarsi si combinano l'io e il corpo astrale che si staccano dal corpo fisico e da quello eterico. In questo modo durante il sonno, la nostra parte spirituale va nel mondo spirituale, poiché l'uomo è stato creato dagli dei ed esiste sulla terra affinché quel che solo in lui può essere portato a termine, possa dagli dei venir ripreso per l'ulteriore costruzione del mondo. Di conseguenza l'operato che noi compiamo nel mondo spirituale arricchisce il mondo spirituale, e di conseguenza vi sono entità che ci aiutano prendendosi cura di noi attraverso il sogno donandoci consigli per la vita diurna.

Molti artisti non si sentono capiti, e questo è spesso fonte di disturbi della psiche. L'arte per essere tale deve essere oggettiva, non soggettiva perché è qui che si entra nella malattia psichica.  Lo stato di incomprensione in cui ricade spesso l'artista lo dirige principalmente verso una situazione di isolamento che lo porta alla condizione di solitudine, e conseguentemente di inutilità, che possono portare a soluzioni devastanti, soprattutto se egli non reagisce dirigendo la sua volontà di conoscenza verso il processo di individuazione che lo porta ad armonizzazione e quindi riunire la sua personalità ordinaria dell'io al sé.

La creazione artistica oggi è diventata una sorta di cura, ma allo stesso tempo prigione, per l'artista stesso, perché se dal lato personale vive con il suo io in relazione al mondo spirituale manifestando nelle sue creazioni l'apparenza oggettiva dello spirito, d'altro canto la collettività ha perso questa comunione vivendo nel materialismo quotidiano. A questo punto cambiare la mentalità della collettività è difficile e per l'artista diventa una lotta contro se stesso cercare di mantenere la sua spiritualità senza estraniarsi dal mondo intero e soprattutto non cadere in patologie psichiche.

Nella psicologia umana a fianco delle molteplici differenze individuali esistono due differenze tipiche primarie, che costituiscono il tipo introverso e quello estroverso. Se un artista può essere individuato nel tipo psicologico introverso propenderà verso il suo essere interiore, alla soggettività. Mentre il tipo estroverso durante la sua  vita determinerà il suo destino in base all'oggettività dei suoi interessi materiali. Ogni essere umano possiede entrambi i meccanismi dell'estroversione e dell'introversione, ma il predominio dell'uno o dell'altro determina il tipo. Come in tutto, l'unità è data dagli opposti, che possiamo paragonare al principio della sistole e della diastole goethiano, e questo alternarsi ritmico delle due forme di attività psicologica dovrebbe corrispondere al corso normale della vita. Tali sistemi se vengono alterati portano di conseguenza all'insorgere di patologie. 

Infatti la scienza antroposofica ci aiuta a comprendere come questo mondo sia basato sulle polarità, e l'"Io" vi sia posto al centro. L'anima cosciente cerca l'equilibrio tra Arimane e Lucifero che sono due forze polari che servono al nostro io per la nostra crescita-evolutiva. L'io è stato messo in mezzo tra bene e male e deve mantenere l'equilibrio, cercando sempre con la morale di propendere verso il bene, e così crescere ed evolversi rafforzando il pensiero e il volere per raggiungere la consapevolezza di sé. In questo modo l'ego diventa positivo, dire: io sento, io penso, io voglio, è un bene quando l'io è cosciente, ma l'ego può rendere schiavi se non si segue la via della coscienza, si può ricadere nel male e di conseguenza in patologie che portano a visioni maligne e quindi alla pazzia.

Steiner ci spiega come nelle varie epoche l'uomo ha sviluppato il suo l'io in relazione all'esperienza dell'anima. Nel primo periodo postatlantico da lui chiamato Paleoindiano,  l'io non era legato all'esperienza dell'anima, ma era legato al cielo delle stelle fisse da cui recepiva la sicurezza di avere un io, che non era sentito come umano. Quindi si trattava di un io cosmico-divino; il pensare non proveniva dalla mente umana ma dall'alternanza dell'azione dei due astri Sole e Luna che davano vita ai pensieri.

Nel secondo periodo postatlantico, il Paleopersiano, l'anima umana si indirizzò a ciò che viveva sulla terra e si sentiva legata all'anima della terra. Sentiva gli spiriti elementari che portavano la forza dei semi vegetali dall'inverno alla primavera, e in quel periodo l'anima della terra si apriva al cosmo. Quindi l'uomo non sentiva più il legame col cosmo ma lo presagiva. Si sperimentava il corso dell'anno, in inverno sperimentava la sua coscienza individuale, mentre a primavera si sentiva partecipe del cosmo. Si aveva anche un concetto diverso di popolo, infatti nel periodo paleoindiano non si parlava di popolo ma di generazioni e i figli erano legati ai padri mantenendo una connessione con gli antenati come se la coscienza umana avesse un'istintiva chiaroveggenza verso di loro.

Nel terzo periodo postatlantico, Egizio-caldaico si sapeva che i pensieri erano ovunque sulla terra e quello che l'uomo aveva in testa veniva da questo mare di pensieri del mondo. In questo periodo si pensava che i pensieri cosmici, il Logos, si sperimentava nel corpo eterico. Il corpo umano era il risultato solo di quello che viveva nei pensieri nel corpo eterico. Il corpo era un'immagine del pensiero. Quindi l'uomo diventa sempre più cittadino della terra.

Nel quarto periodo postaltantico chiamato Greco-latino, il corpo fisico divenne il più importante nell'uomo, si sentiva di vivere nel corpo. Poi nel periodo seguente con l'avanzare della romanità, non si sentì più la freschezza di vivere nel corpo fisico. Per il romano il corpo è come un'uniforme di stato assegnatagli dall'ordine universale. L'uomo è diventato cittadino della terra e il suo io, il corpo astrale e il corpo eterico si ritraggono in una zona indefinita. I Greci pensavano ancora che i pensieri vivessero nelle cose, ma in seguito si arrivò a pensare che il pensiero nasceva nell'uomo. Quindi l'uomo si evolve immergendosi sempre più nel corpo fisico.

Fino alla venuta del Cristo l'uomo si affida ad una guida, non ha un "io", fa parte di un pensare collettivo, con Cristo l'uomo diventa un essere con un io individuale.

Noi oggi ci troviamo nel quinto periodo postatlantico e abbiamo una sensazione verso il corpo fisico come l'aveva il greco, ma molto più vaga. Noi ci distanziamo dall'arte con la nostra anima, siamo insicuri nei pensieri. Il greco sapeva per istinto quale relazione vi era tra il suo pensiero e l'organismo, perché gli era ovvio, mentre per noi non lo è, e dobbiamo porci dei problemi in quanto non sappiamo più come trattare i pensieri. Il pensiero dell'uomo greco era razionale,  il corpo fisico era come un vestito in cui ci sono tasche in cui potere inserire pensieri, sentimenti, impulsi volitivi. Oggi è come se avessimo tasche ma non sappiamo più a cosa servono. Non siamo più consci della natura del nostro organismo, non sappiamo più il rapporto della nostra vita dell'anima con il nostro organismo.

Osservando come nella storia l'io dell'uomo si è sviluppato modificandosi col tempo in favore del materialismo, portandolo ad estraniarsi dal mondo spirituale, tanto che non riesce più a comprenderlo, vediamo come gli artisti, o i veggenti, siano in grado grazie all'antroposofia di ritrovare l'antico equilibrio tra religione, scienza ed arte. La conoscenza tende a risvegliare verso il cammino che poi porta ad attraversare la porta del mondo spirituale, mentre la religione è consolatrice e risveglia l'uomo verso la prospettiva del mondo spirituale. L'arte supera l'abisso dell'esistenza terrena, e da un lato porta la vita divino-spirituale sulla terra e dall'altro struttura la vita fisico-terrena in modo che nelle sue forme, nei suoi colori, nelle parole e nei suoni possa apparire come una manifestazione terrena della sfera spirituale. Nella nostra epoca l'io diventa individuale e l'uomo deve diventare il portatore del pensiero cosciente.

 

Analizziamo ora un film che narra la figura di un artista, che si pone ai nostri occhi, nel suo vivere quotidiano, nel XVII Secolo.

Tratto dal film: La ragazza con l'orecchino di perla, di Peter Webber, un romanzo di  Tracy Chevalier.

La giovane Griet entra a servizio in casa del pittore Johannes Vermeer (1632-1675), tra i due nasce un rapporto intenso quanto inespresso e la ragazza finisce per posare per uno tra i quadri più celebri del maestro, "La ragazza con l'orecchino di perla".

La ragazza era già sensibile all'arte, in quanto il padre era decoratore, e quindi aveva ereditato quegli elementi menzionati da Goethe che fanno dell'artista un conoscitore profondo della natura.

Il film ha la struttura di un labirinto, una ricerca di un percorso che porta al sé, infatti all'inizio del suo cambiamento di vita la ragazza passa sul disegno di un cerchio (il cerchio magico, simbolo alchemico, e simbolo della totalità junghiano), che si trova al centro della piazza di Delft, su chi ripasserà a fine vicenda. E' il percorso dell'anima che termina con la scoperta del sé, Griet acquista consapevolezza del suo essere grazie all'arte. Alla fine ritorna sul cerchio per poi intraprendere un nuovo ciclo della sua esistenza, nel perdurare dei cicli delle leggi cosmiche.

L'artista Johannes Vermeer sentirà di essere se stesso e vorrà esserlo al momento che un'altra persona, Griet, riuscirà a comprenderlo nel suo essere spirituale.

Così il colore delle nuvole ("...giallo, azzurro, grigio, ci sono tutti i colori..."), la luce che passa attraverso le finestre, che se pulite potrebbero alterare l'opera, sono tutti momenti che preludono all'iniziazione, a cui il pittore la prepara, culminando nell'operazione alchemica della frantumazione dei minerali per portarli ad impasto e a creare l'opera.

 

J.Vermeer,"La ragazza con l'orecchino di perla"

 (c1665) Mauritshuis, The Hague.

 

La luce che la perla dona al viso, la sedia spostata, sono tutti elementi che Griet riusciva a capire, per entrare col suo amore e la sua devozione all'amore in sintonia con la sua sensibilità con l'artista.

Vermeer ha trovato in lei la spinta all'arte, colei che le era affine. Al vero artista non importa l'amore fisico, ma l'amore spirituale che è rinchiuso nell'arte, perché l'arte è la cura dell'io. L'artista anela a trovare una persona che possa "capirlo".

Questa stima lo aiuta a creare il superamento fisico-sensibile nel soprasensibile. E in quel momento raggiunge piena consapevolezza di sé.

Vermeer le regalerà le perle; le regala la luce. Infatti dove il bianco ci appare in pittura sentiamo che lì è intenso lo spirito.

Il colore era espressione divino-spirituale prestata alle cose terrestri. Nel colore oro non si vedeva solo l'oro nel suo aspetto fisico, ma il colore del sole che si annunciava al cosmo. Nelle cose viventi si ascriveva ad esse il loro colore perché appariva in loro lo spirito, e negli animali lo spirituale-animico.

In tempi più antichi in cui si sentiva artisticamente anche in modo interiore, non si arrivava alla pittura, perché ad esempio dipingere un albero in verde appariva sciocco in quanto anche arrivando ad imitare la natura, questa è sempre più bella ed essenziale, sempre più viva.

Il vero pittore usa gli oggetti per far risplendere il sole su di essi, per osservare un particolare riflesso cromatico derivato dall'ambiente, per afferrare il tessere e il vivere del chiaroscuro su di un oggetto, non imita la natura. Gli oggetti sono un pretesto per dipingere la luce che si posa su di loro.

Cosa è l'ispirazione? Vermeer vedeva la luce dalla finestra inondare la stanza perché era intesa come luce spirituale, il soggetto era spiritualizzato dalla luce.

Perché l'artista usa certi colori? Perché in questo modo l'uomo cerca di far trasparire la parte animica nella corporeità, quindi di inserirsi nello spazio fisico.

Mentre perché disegna e ricerca certe linee? Perché con la sua anima vuole dilatarsi, inserirsi nello spazio cosmico, usandole come vie, come guide.  

Quando i pensieri astratti ci abbandonano si incomincia a muovere il resto del corpo, le braccia e le dita incominciano a diventare strumenti di pensiero, i pensieri vivono in immagini e forme e si diventa plasmatori. Per afferrare la realtà non bastano i pensieri, ma occorre sperimentare e sentire il mondo artisticamente. Non bisogna quindi pensare in idee, ma in immagini, per capire la natura e l'uomo fisico nelle sue forme. "L'arte è la manifestazione di occulte leggi naturali che, senza di essa, non si sarebbero mai palesate" (Goethe). Il sentire spirituale, la visione spirituale dell'universo, e non il pensare astratto conducono all'arte.

Questo concetto segue un principio conscio, di libero pensiero e libera volontà. Il vero artista è conscio di creare con Dei che guardano sopra le sue spalle, in comunione con loro e l'opera artistica va fatta vivere nella spiritualità del mondo.

La fantasia è una forza naturale di crescita, trasformata in forza animica, ed essa agisce in noi, come immagini che ci pervengono e danno vita alle opere artistiche. Ecco perché l'uomo fa arte, perché il ricordo inconscio di ciò che si vive nel soprasensibile, noi lo portiamo a realizzazione durante la vita. L'uomo non deve agire come se si dovesse aspettare qualcosa dagli dei, ma agire come se gli dei vivessero nella sua volontà agente. Allo stesso modo dalle arti configurate in modo esteriore deve passare ad un'arte che rappresenti il soprasensibile in modo diretto.

 

 

Possiamo incominciare sottolineando il fatto, di ordine psicologico, che l'artista è stato, in ogni tempo, lo strumento rivelatore dello spirito della propria epoca. Solo in parte è possibile interpretare e comprendere la sua opera nei termini della sua psicologia individuale. Consciamente o inconsciamente, l'artista dà forma ai caratteri e ai valori tipici del suo tempo, e resta, a sua volta, condizionato e formato da questi.

Lo stesso artista moderno, del resto, si rende spesso conto dell'interrelazione fra la propria opera e il proprio tempo. Così, il critico e pittore francese Jean Bazaine scrive nel suo libro Note sulla pittura contemporanea: «Nessuno può dipingere come vuole. Tutto ciò che un pittore può fare, è di voler perseguire, con tutte le sue forze, quel tipo di pittura di cui la sua epoca è capace». L'artista tedesco Franz Marc, morto nella prima guerra mondiale, disse: «I grandi artisti non vanno a ricercare le loro forme nella nebbia del passato, ma accolgono le risonanze più profonde del vivo e reale centro di gravità della loro epoca». E, solo nel 1911, Kandinskij scriveva nel suo famoso saggio Sullo spirituale nell'arte: «In ogni epoca esiste una certa misura di libertà artistica, e anche il genio più creativo non può superare i limiti di quella libertà».

Nel corso degli ultimi cinquant'anni l'“arte moderna” ha dato occasione a una contesa generale, e la discussione continua ancora con tutto il suo calore. I “sì” sono altrettanto convinti e appassionati che i “no”; e, tuttavia, la profezia, più volte ripetuta, che l'arte “moderna” è finita, non si è mai avverata. I nuovi metodi espressivi hanno trionfato decisivamente. L'unico pericolo che li minaccia è costituito soltanto dalla possibilità della loro degenerazione in manierismo. (Nell'Unione Sovietica, dove l'arte non-figurativa è stata spesso ufficialmente proibita, e viene seguita solo privatamente, l'arte figurativa è minacciata da una simile degenerazione).

La generalità del pubblico, quanto meno in Europa, si trova ancora in piena battaglia. La violenza della controversia dimostra che gli animi sono eccitati da una parte e dall'altra. Anche chi si mostra ostile all'arte moderna, non può fare a meno di restare impressionato dalle opere che condanna; resterà irritato, proverà della repulsione, ma (come prova la violenza dei suoi sentimenti) verrà, in ogni caso, anche scosso. Di regola, il fascino di ordine negativo non è meno forte di quello positivo. La folla dei visitatori che si accalcano alle mostre di arte moderna, dovunque queste siano tenute, testimonia di un atteggiamento che non si limita alla semplice curiosità. La curiosità si esaurirebbe presto. Del resto, i prezzi fantastici pagati per certe opere d'arte moderna danno la misura precisa della valutazione sociale di esse.

Il fascino sorge quando l'inconscio resta colpito. L'effetto che produce l'arte moderna non può spiegarsi soltanto nei termini dei valori formali coinvolti. Per l'occhio educato alla scuola tradizionale dell'arte “classica”, o “sensitiva”, quei valori si rivelano come nuovi ed estranei. Non c'è assolutamente niente, nella pittura non-figurativa, che valga a richiamare allo spettatore il suo mondo abituale — non oggetti immessi nel loro ambiente normale, né figure umane, o animali, che parlino un linguaggio familiare. Il cosmo creato dall'artista non rivela nessuna condiscendenza, nessuna visibile corrispondenza. E tuttavia, senza ombra di dubbio, scocca un contatto umano, che può essere anche più intenso che non nel caso dell'arte sensitiva, la quale fa appello diretto alla corrispondenza sentimentale.

Scopo dell'artista moderno è di esprimere le proprie visioni interiori, di individuare il fondo spirituale della vita. La moderna opera d'arte ha abbandonato non soltanto il piano delle cose concrete, “naturali”, sensitive, ma anche il piano dell'individuale. Ha assunto carattere collettivo, e pertanto (anche nella compendiosità del geroglifico pittorico) tocca e interessa non pochi prescelti, ma la massa. Ciò che resta di individuale è il metodo della rappresentazione, lo stile e la qualità dell'opera d'arte. È spesso difficile, per il profano, appurare se le intenzioni dell'artista siano sincere, e i suoi criteri espressivi spontanei, o siano invece frutto di imitazione, o tendano all'effetto più facile. In molti casi l'uomo della strada deve “far l'occhio” a nuovi tipi di linee e di colori. Egli deve imparare il nuovo linguaggio espressivo, proprio come imparerebbe una lingua straniera, prima di poter emettere giudizi sui valori espressivi dell'opera d'arte.

I pionieri dell'arte moderna si rendono evidentemente conto di ciò che chiedono al loro pubblico. Mai gli artisti hanno pubblicato tanti “manifesti”, tante dichiarazioni esplicative delle loro intenzioni, come nel corso del ventesimo secolo. E tuttavia, non è soltanto agli altri che essi cercano di spiegare e di giustificare il loro operato; quei tentativi valgono anche nei confronti di loro stessi. Per la maggior parte, quei manifesti sono artistici attestati di fede — tentativi poetici, e spesso confusi e incoerenti, di chiarire gli strani risultati dell'attività artistica moderna.

Ciò che realmente ha importanza, come è ovvio, è (ed è sempre stato) l'incontro e il contatto diretto con l'opera d'arte. Tuttavia, per lo psicologo che si interessa del contenuto simbolico dell'arte moderna, lo studio di quei manifesti e di quelle apologie è quanto mai istruttivo. Ed è per questa ragione che, nel corso del presente studio, ogniqualvolta sarà possibile, lascerò che siano gli artisti stessi a parlare di sé.

Gli inizi dell'arte moderna si fanno datare ai primi anni del 1900. Una delle più importanti personalità di questa fase iniziale fu Kandinskij, la cui influenza è chiaramente rintracciabile anche in dipinti della seconda metà del nostro secolo. Molte sue idee si sono rivelate profetiche. Nel suo saggio Sulla forma, egli scrive: «L'arte di oggi esprime il mondo spirituale saturato fino al limite della rivelazione. Le forme di questa espressione si polarizzano intorno a due estremi: 1) rigorosa astrazione; 2) rigoroso realismo. Da tali estremi si partono due strade che spesso conducono, in definitiva, a un solo esito. Quei due elementi sono stati sempre presenti nel mondo dell'arte; il primo trovava espressione nel secondo. Oggi sembra che essi si sviluppino secondo direttive distinte. Sembra che l'arte abbia posto un punto finale alla piacevole complementarietà di astratto e concreto, e viceversa».

Per chiarire l'idea di Kandinskij, per cui i due elementi artistici, l'astratto e il concreto, si sono “separati”, ricorderemo che, nel 1913, il pittore russo Casimir Malevič disegnò un quadro, che consisteva esclusivamente in un rettangolo nero su fondo bianco. Si tratta, con ogni probabilità, del primo quadro “astratto” che sia mai stato dipinto. Malevič scrisse: «Nella mia lotta disperata per liberare l'arte dalla zavorra del mondo oggettivo, ho trovato rifugio nella forma del quadrato».

Un anno più tardi, il pittore francese Marcel Duchamp pose su un piedistallo un oggetto scelto a caso (uno scolabottiglie) e lo presentò a una mostra. Scrisse, al riguardo, Jean Bazaine: «Quell'oggetto, distolto dal suo contesto utilitaristico, e come spogliato ed esaurito, è investito della desolata dignità delle cose abbandonate. Buono a niente, o pronto per essere usato, aperto a ogni possibilità, esso è vivo. Vive, sul limite dell'esistenza, la sua vita assurda e imbarazzante. Quell'oggetto imbarazzante — è il primo passo verso l'arte».

Colto nella fatale dignità del suo abbandono, e incommensurabilmente esaltato, a quell'oggetto veniva attribuito un significato che può definirsi soltanto magico. Onde la sua «vita assurda e imbarazzante». Diveniva un feticcio e, al contempo, un oggetto da burla. La sua concreta e reale natura veniva completamente superata.

Così il quadrato di Malevič, come lo scolabottiglie di Duchamp, costituivano gesti simbolici, che non hanno niente a che fare con l'arte in senso stretto. E tuttavia essi valgono a indicare i due poli (“astrazione rigorosa” e “rigoroso realismo”), nello spazio fra i quali può ritenersi compresa l'arte immaginativa dei decenni successivi.

Dal punto di vista psicologico, i due gesti, nei confronti dell'oggetto nudo (la materia) e del nudo non-oggetto (lo spirito), sono indicativi di una lacerazione psichica collettiva che trovò la sua espressione simbolica negli anni che precedettero la catastrofe della prima guerra mondiale. Tale lacerazione aveva incominciato a rivelarsi fino dall'epoca del Rinascimento, manifestandosi nei termini del conflitto fra fede e ragione. Nel contempo, il progresso distoglieva sempre di più l'uomo dai fondamenti istintivi della sua natura, talché si apriva un abisso fra mente e natura, fra conscio e inconscio. Questa opposizione caratterizza la situazione psichica che cerca espressione nell'arte moderna.


 

C. G. Jung "L'uomo e i suoi simboli".

 

filosofia dell'arte

 

Nella sua interiorità l'uomo costruisce un mondo che corrisponde alle sue esigenze spirituali e del quale è propria l'armonia; verso di essa tende il suo spirito, e in essa vige la severa logica cui egli aspira. Mai la natura, quale ci si presenta direttamente, è in grado di soddisfare tale esigenza. Il fenomeno diretto ci appare sdivinizzato, e per questo i tempi che tendono a un dominio teologico mai arrivano a fondare un'estetica. L'estetica può essere figlia solo di tempi in cui l'uomo vede nell'attività artistica un alto compito, in cui l'arte è per lui l'alta figlia del cielo che ha da adempiere una missione divina.

Se in ogni singolo fenomeno naturale già ci appare l'attività divina nella sua piena intensità, quale potrà essere il compito dell'arte? L'elemento divino dovrebbe essere riconosciuto come idea nella sua forma più sublime, affinché anche il singolo fenomeno abbia il suo giusto posto nella nostra concezione del mondo. Lo spirito intuitivo vede sì il generale nel particolare, nell'individuo l'idea, ma solo perché egli, mentre il suo sguardo rimane del tutto nella sfera reale, vede in essa più di quanto non riescano a fare solo i sensi. Nel singolo fenomeno gli si schiude l'idea, perché non si arresta all'individuo. L'artista creando muta l'individuo, gli presta il carattere della generalità, fa una necessità da ciò che è solo un caso, rende divino ciò che è terrestre.

Compito dell'artista non è dare all'idea una forma sensibile, ma far trasparire la realtà in una luce ideale. Il "che cosa" è preso dalla realtà, non è essenziale; il "come" è proprio della forza creativa del genio, é questo che conta realmente.

Il bello non è un microcosmo, e come tale neppure sarebbe bello, perché il bello sta appunto nel superamento del proprio sé, nell'individuo per quanto riguarda le sue caratteristiche e la sua grandezza. Lo sentiamo come qualcosa di perfetto che non ci può elevare all'universo perché là semplicemente è ovvio.

Quel che conta in Goethe non è il risultato delle sue ricerche, concordi più o meno con quello della scienza attuale, ma è come egli abbia affrontato l'argomento. Sia nelle scienze, sia nell'arte il vero progresso non è mai dovuto alla semplice osservazione o alla servile imitazione della natura. Mille e mille persone passano davanti ad un fenomeno trascurandolo; poi una osserva lo stesso fenomeno e scopre una grande legge scientifica. Galileo ne è un esempio per la sua scoperta del moto pendolare della lampada che oscillava nella chiesa.

Goethe dice: "Se l'occhio non avesse una natura solare, non potremmo rimirare la luce", intendendo che è in grado di contemplare le profondità della natura solo chi abbia la necessaria predisposizione e la forza atta a scorgere nei fenomeni qualcosa di più dei semplici fatti esterni.

La scienza dell'estetica che si occupa dell'arte e delle sue creazioni fu inaugurata nel 1750 da A. G. Baumgarten e dello stesso periodo sono anche Winckelmann e Lessing. Prima non esisteva la scienza del bello, infatti persino in Grecia non venivano trattate le arti figurative, nonostante presenti un vertice come epoca artistica non aveva l'esigenza di comprendere l'arte come una missione. Il greco era un tutt'uno con la natura, non si voleva emancipare da essa, ma vivere con il suo aiuto perché essa vive in lui. Avevano una considerazione dell'arte ingenua, essa era continuazione della vita e dell'attività della natura, quindi era imitazione della natura. Infatti l'imitazione che a noi oggi pare vuota e insignificante, allora li appagava interamente.

Quando l'uomo ha scoperto il proprio sé, e si è reso conto che nella sua interiorità viveva un mondo altrettanto valido quanto il mondo esterno, egli dovette emanciparsi dalla natura. In questo il medioevo cristiano presenta la caratteristica opposta al mondo greco: l'uomo di allora era rivolto al mondo spirituale e non sentiva inclinazione alcuna ad occuparsi dei singoli fatti della natura. Così i greci non riconobbero l'essenza dell'arte perché non arrivarono a capire il trascendente nella natura e i medioevali neanche perché non potevano concepire che nella realtà, priva dell'elemento divino, si potessero creare opere in grado di appagare lo spirito che anela al divino.

Per la rinascita dell'estetica era necessaria un'epoca in cui l'uomo, libero e indipendente dai vincoli della natura, vedesse lo spirito nella sua serena chiarezza, ma in cui fosse di nuovo possibile confluire con la natura. La concezione di Goethe vuole vedere nel mondo un grande tutto. Goethe non fugge la realtà per crearsi un mondo astratto di pensieri che nulla ha in comune con essa, ma vi si immerge per trovare, nel suo continuo mutarsi, nel suo divenire e procedere, le leggi immutabili; egli si pone di fronte all'individuo per scoprire in lui l'archetipo. Nel suo spirito così sorsero la pianta e l'animale primordiale che altro non sono le idee della pianta e dell'animale, il puro archetipo, come lo si trova nel mondo spirituale. Goethe crede che la semplice esperienza non può giungere alla riconciliazione degli opposti perché ha sì la realtà, ma non ancora l'idea, così la scienza non può giungere a tale riconciliazione, perché ha sì l'idea, ma non ha più la realtà.
L'uomo deve creare il regno dell'arte in cui il singolo, e non soltanto l'intero rappresenti l'idea, e l'individuo si presenti con il carattere dell'universalità e della necessità. Compito dell'artista è di portare l'elemento divino nelle cose della natura.

Schiller parte da Kant affermando il bello essere un piacere disinteressato perché è un piacere legato solo alla rappresentazione dell'oggetto, non legato alla sua utilità. E' bello ciò che è dotato di una forma fine a se stessa, senza servire a un fine esteriore. Schiller indica la sfera dell'arte paragonandola al gioco del bambino. La natura del gioco fa si che si prendono le cose della realtà e a piacere se ne mutano i rapporti. Non si tiene conto della logica ma dell'esigenza soggettiva. Le cose sono messe in una connessione che diano piacere. Chi gioca imprime alla realtà la sua soggettività alla quale conferisce un valore oggettivo. I due impulsi diventano uno e diventano liberi: ciò che è naturale è spirituale, ciò che è spirituale è naturale. L'impulso al gioco è l'impulso alla base dell'arte. Tale impulso produce nell'artista opere che già nella loro esistenza sensibile soddisfano la nostra ragione e il cui contenuto razionale è al tempo stesso presente come esistenza sensibile. Anche Schelling trova che il compito del sommo sforzo umano sia afferrare gli eterni archetipi delle cose.

Lo spirito trascende il mondo reale e si eleva alle altezze dove regna l'elemento divino. Solo ciò che è eterno è vero e anche bello. Solo chi si eleva alla verità suprema è in grado di vedere la vera bellezza, perché esse sono una sola e identica cosa. L'opera d'arte quindi non è bella per se stessa ma in quanto riproduce l'idea della bellezza. Ma così l'arte si pone come scienza oggettivata. L'immagine sensibile sarebbe solo un mezzo di espressione, la forma in cui si esprime un contenuto soprasensibile. Hegel afferma che il bello è la parvenza sensibile dell'idea. L'arte perciò cercherebbe di mostrare ciò che la scienza esprime direttamente in forma di pensiero. Questa estetica non riconosce il significato autonomo dell'arte e risulta infeconda.

Fechner dice che l'estetica dovrebbe partire da esperimenti sul senso del piacere, come se potessimo distinguere la natura estetica di una sensazione di piacere dall'altra, e non dall'oggetto da cui è prodotta. Invece è sapere cosa rende bello l'oggetto, il problema basilare di ogni estetica.

Merck dice di Goethe: "tu aspiri, tu tendi a dare una forma poetica alla realtà; gli altri cercano di realizzare il cosiddetto elemento poetico immaginativo, ma giungono solo a sciocchezze". L'arte non è un'incarnazione del soprasensibile, ma di una trasformazione del concreto-sensibile. L'artista crea seguendo gli stessi principi che usa la natura, secondo le sue leggi. L'artista isola e coglie un'idea sviluppandola con quei principi. Ma la natura, sempre crea e distrugge perché vuole giungere alla perfezione non con i singoli, non isola, non si occupa degli individui, ma con il tutto. Nell'arte la realtà sensibile viene trasfigurata perché essa appare come se fosse spirito. La creazione artistica non è imitazione di qualcosa di già esistente, ma una continuazione, scaturita dall'anima, del processo della natura. Quindi il bello è dato dalla manifestazione di leggi della natura. Il bello non sta nel frutto della pianta da cui non trasparisce la legge che è alla base della formazione della pianta, ma nel fiore dove appare l'idea che prende forma e vita.

L'arte deve dare l'illusione di una realtà superiore mediante la parvenza, non realizzare una parvenza che rimanga una comune realtà. L'artista non porta il divino in terra, ma solleva il mondo alla sfera del divino. Il bello è realtà sensibile che appare come idea. Questa è l'estetica della concezione goethiana del mondo. L'estetica tedesca invece ha capovolto tutta la cosa affermando il contrario. La missione cosmica dell'artista secondo Goethe é: "Le grandi opere d'arte sono prodotte dagli uomini, similmente alle somme opere della natura, secondo leggi vere e naturali. Tutto quanto è arbitrario e illusorio cade: in esse vi è necessità, in esse vi è Dio".

Per l'estetica tedesca si possono distinguere due cose nel prodotto artistico, il prodotto materiale e l'idea presentata con quella immagine. Quindi si possono avanzare tre ipotesi: la prima è che l'idea e l'immagine visiva si identifichino completamente, l'idea non è troppo alta e spirituale rispetto all'immagine, la quale è significativa e adeguata all'idea, vanno in armonia. Questo viene chiamato bello in sé.

La seconda è quando l'idea è più importante più grande dell'immagine, la supera e quindi l'immagine appare insignificante e questo è il sublime.

Terza ipotesi è quando l'immagine appare più grande dell'idea, questa disarmonia porta al brutto.

Ma visto che l'arte non può rappresentare l'idea, perché questo è compito della scienza. L'artista rappresenta oggetti della natura, ma in modo diverso da come li troviamo nella realtà, ne varia solo la forma. Li rappresenta come se fossero altrettanto necessari, e divini dell'idea stessa. Il contenuto dell'arte ha a che fare con la sfera sensibile, la forma con la sfera ideale. La scienza rappresenta l'idea attraverso contenuto e forma, la natura presenta il mondo sensibile attraverso contenuto e forma, ma con l'arte nasce un nuovo regno, quello sensibile in veste divina.

Mentre la natura la vediamo in ciò che ci circonda e la scienza immergendoci nel nostro pensare, l'arte la dobbiamo creare da noi e non la troviamo da nessuna parte reale. Questa sfera dei prodotti artistici è detta sfera dell'apparenza estetica, cioè la sfera sensibile divinizzata grazie al creativo spirito umano. Libertà è il dominio dello spirito sulla natura, dell'idea sulla realtà.

Se si compie qualcosa secondo le leggi della natura, proprio come la goccia di pioggia deve cadere sulla terra per un'immutabile legge, come impulso materiale, non si è una persona libera, si è costretti ad agire.

Ma più accendo in me la luce dello spirito, tanto più divento libero. Solo ora posso dire: sono io che agisco, che realizzo qualcosa. Tale azione non viene compiuta per mia volontà, ma per amore, una piena dedizione di se stessi all'oggetto. L'artista opera per amore, l'oggetto che è solo naturale deve essere annullato, superato, proposto come se fosse divino. L'arte è un continuo processo di liberazione dello spirito umano e in pari tempo l'educatrice dell'umanità per azioni mosse dall'amore.

Chi riesce a guardare a fondo un'opera d'arte sente il sublime slancio verso l'alto che, per la durata dell'osservazione ci fa dimenticare spazio, tempo e la nostra persona, che ci fa perdere interamente nell'oggetto osservato. Chi non conosce il vero amore, rimarrà sempre estraneo di fronte alla vera opera d'arte. I sensi ci presentano la natura priva di spirito nella sua molteplicità, l'intelletto ci presenta la varietà dei concetti e li ordina, la ragione stabilisce l'interiore unità di quella molteplicità, l'idea divina che troneggia su tutto. Con questi tre sensi noi comprendiamo il mondo. L'artista riesce a trasformare la materia della diretta realtà a partire dall'intelletto e ne trova l'apice con la ragione. Il contenuto dell'opera segue la vita reale e la forma l'ordine comprensibile delle cose. Quando l'artista da più importanza al concetto, l'intelletto non ha più base reale perché i concetti sono singoli non fanno parte del tutto.

Dal libro omonimo di F.T.Vischer, "Il bello e l'arte", egli considerava il mondo come la realizzazione dello spirito divino. Quindi per lui l'arte era la spiritualizzazione dello spirito divino nel marmo, nelle linee, nei colori e nelle parole. Quindi l'artista è un uomo ricolmo di spirito divino e lo incorpora nelle sue opere. Per i contemporanei invece l'artista è un uomo che ha la necessità di usare violenza sulle cose, imprimendo loro l'impronta della sua personalità; non credono di incorporarvi uno spirito ma creano cose che corrispondono alle loro idee, alla loro fantasia.

Vischer dice: lo scultore forma nel marmo una figura umana che non è simile a alcuna vera figura esistente, perché inconsciamente vuole incorporare l'immagine, l'idea di tutta l'umanità, avendo in sé il prototipo dell'uomo, il divino prototipo dell'uomo. I moderni invece non sanno nulla del prototipo divino, sanno solo che osservando la figura umana, si presenta all'anima una figura ed essi vogliono realizzarla. Accanto al mondo della natura loro vogliono farne nascere un altro artificiale al quale imprimere il loro temperamento, di loro fantasia. Un mondo voluto dall'uomo, non divino.

 

Possiamo affermare che il bello commisurato al brutto, è simile all'odio che ha come contrario l'amore, si può parlare di bello come amabile. Quindi ora abbiamo l'amabile e il brutto. Nella lingua tedesca il bello è imparentato con il termine apparenza. Quindi si può dire che ciò che è bello appare, cioè porta in superficie la sua interiorità.

L'essenza del bello è che esso non si nasconde, ma porta la sua interiorità alla forma esteriore.  Il brutto invece è al contrario ciò che non appare, si nasconde, che trattiene la sua essenza nel suo involucro. Il bello dunque è oggettivo, mentre se parliamo del brutto, dovendo trovare una parola che esprima qualcosa che si nasconde, diventa soggettivo.

Ciò che si mostra con un aspetto contrario a ciò che è, è il brutto, è quello che odiamo.

A cosa tendiamo se con l'arte aspiriamo al bello?

Mentre il bello viene fuori da noi, l'odio è legato alle emozioni e rimane celato in noi. Nel bello quindi dobbiamo uscire da noi e quindi mostriamo che nel bello vi è riferimento alla spiritualità. Quel che vediamo coi sensi non è apparenza, è presente.

Quel che ci appare e irraggia nel mondo dei sensi, è lo spirito. Quindi il bello artistico inteso in modo oggettivo è sempre qualcosa di spirituale che si manifesta. Quindi è compito dell'arte afferrare l'apparenza, irradiare lo spirituale nel mondo. Ogni vera arte anche se vuole manifestare il brutto, lo sgradevole, cerca lo spirito, in questo caso manifesta lo spirito che annuncia il suo essere nello sgradevole dei sensi. Il brutto può diventare il bello se lo spirito si manifesta.

Guardando una madre col bimbo nel mondo reale ci immaginiamo che lui si muova e che lei chini la testa in un certo modo. Se invece guardiamo il quadro di Raffaello, tutto rimane immutato nei secoli, l'attimo si è fermato e nulla si muove. Raffaello avrebbe compiuto un peccato contro la realtà, se non avesse elevato in modo artistico quell'istante portandolo oltre il tempo e lo spazio.

 

Raffaello, Madonna Sistina

1513-1514, olio su tela, cm.265x196,

Gemaldegalerie, Dresda.

 

Elevandolo fuori dal tempo e dallo spazio perché in essi quell'istante non è vero. In ciò che si dipinge sulla superficie si deve far intuire quel che proprio non può essere sulla superficie. Con la profondità e l'armonia dei colori viene raggiunto questo scopo, grazie alla mancanza della terza dimensione, spiritualizzando l'opera.

Ciò che dona l'eternità all'attimo non è la sulla superficie, ma il colore azzurro dietro la superficie, il rosso davanti che risultano sulla superficie in modo spirituale. Se l'eterno non agisce nell'arte, essa non è più arte. Se la pittura va verso il naturalismo, verso il voler portare sulla superficie la plastica come accade nel nostro tempo, si abbandona lo spirituale. Solo usando la prospettiva del colore come faceva Raffaello con azzurro e rosso, e azzurro e giallo l'arte è veramente qualcosa che avvicina l'umanità ai mondi spirituali.

La grandezza di Goethe sta nell'aver rilevato come scienza, arte e religione siano in armonia. L'uomo nella sua libertà li ha sperimentati separati e ha perso la loro profondità e la vita comune con il cosmo. E' urgente nuovamente riunirle in una unità. L'antica discussione se il mondo avesse come base una struttura unitaria oppure se il bene e il male fossero due potenze fra loro divise, monismo e dualismo, sconvolgeva tutte le forze dell'anima dalle quali l'uomo sentiva che dipendevano salvezza e felicità. Questo era un problema artistico-religioso e se non rientrerà nuovamente nella nostra anima non si riavrà l'impulso alla grande arte.  In tempi antichi si parlava del soma, la bevanda che proveniva dalla luce del sole raccolta nella coppa della luna, e con la quale l'anima umana si imbeveva per comprendere i segreti del cosmo. L'anima sperimentava qualcosa sulla terra e allo stesso tempo nel cosmo. Gli dei si manifestavano attraverso le stelle fisse e i pianeti che si muovono. Grazie alle immagini sulla terra che si avevano delle stelle fisse e dei movimenti planetari, l'anima sperimentava il cosmo. Quando l'anima beveva il soma, compiva il sacrificio cultico artistico-conoscitivo e restituiva agli dei, col fumo sacrificale che fluiva verso l'alto, la parola religiosa, artistica e poetica di cui essi avevano bisogno per continuare a strutturare il mondo. L'uomo è stato creato dagli dei ed esiste sulla terra affinché quel che solo in lui può essere portato a termine, possa dagli dei venir ripreso per l'ulteriore costruzione del mondo. L'uomo è sulla terra perché gli dei se ne servano e perché pensi, senta e voglia quel che vive nel cosmo. Se infatti l'uomo pensa, sente e vuole in modo giusto quel che vive nel cosmo, gli dei lo riprendono e lo ripongono di nuovo nella struttura del mondo in modo che egli costruisca con loro tutto il cosmo quando nel sacrificio e nell'arte ridà quel che gli dei gli offrono manifestandosi nel mondo stellare. Così l'uomo è in relazione col corso del mondo sperimentandolo affine alla sua anima. Quella che oggi chiamiamo scienza ha un'importanza terrena solo perché l'uomo sulla terra possa essere libero, ma gli dei non la possono usare per l'ulteriore costruzione cosmica del mondo.  La vera arte non è nata dai pensieri creati dal tempo e dallo spazio ma da ciò che creano i pensieri attivi per l'eternità.

Che tipo di verità si richiede da un'opera d'arte? Da un saggio di Goethe che inizia con una presentazione del Teatro nel Teatro: c'era un teatro, una costruzione a semicerchio nei cui palchi vi erano dipinti molti spettatori. Gli spettatori presenti ne erano insoddisfatti e offesi per questa falsità. Vi è così una sorta di colloquio fra un sostenitore dell'artista che stima di aver esaurito il suo compito con gli spettatori dipinti e uno spettatore che pretende la verità naturale. Il sostenitore dell'artista spiega che quello che vede nel teatro non è la verità ma l'apparenza del vero. La fantasia crea una superiore verità artistica accanto alla verità della natura. Il sostenitore dell'artista quindi afferma che mai egli dovrà far sembrare un'opera come un'opera della natura.

Lo spettatore che richiede la verità artistica manca di cultura estetica, quindi conoscendo solo la verità che sperimenta, pretende quella. Chi invece conosce l'estetica richiede e cerca nell'arte l'altra realtà che viene dalla fantasia.

Una perfetta opera d'arte è opera dello spirito umano e in questo senso anche della natura. Così c'è differenza tra un'opera d'arte che appare reale e una che rispecchi solo la realtà. Chi non intende la differenza fra le due cose è perché non vi trova il valore spirituale, che non appare nella sola imitazione del reale.

 

R. Steiner, "Arte e conoscenza dell'arte".

R. Steiner, "La missione universale dell'arte".

 

 

 

 

alchimia

La tradizione ha sempre rappresentato l’alchimia come qualcosa di misterioso le cui origini non sono mai state definite. Molte storie e leggende sono state raccontate sull’alchimia e sugli alchimisti; la Pietra Filosofale, la Quintessenza, la Polvere rossa di proiezione, capace di trasformare in oro purissimo il più vile dei metalli, fu la loro ricerca. Personaggi come Ermete Trismegisto, Zosimo l’Alessandrino, Raimondo Lullo, Arnaldo de Villanova, Nicolas Flamel, Basilio Valentino, Paracelso, Johann Daniel Mylius, Giovanbattista Della Porta e, più recentemente, Fulcanelli ed Eugène Canseliet contribuirono ad accrescere questa immagine magica. I loro scritti appaiono ancora oggi un’inesauribile fonte di simboli e di geroglifici, segni di un’antichissima lingua le cui radici si affondano nella cabala ebraica, nelle elucubrazioni monacali del Medioevo e nei riti delle misteriose confraternite rinascimentali.
All’inizio del XX secolo gli studi di Scholem (
Gershom Scholem, La Kabbalah e il suo simbolismo, Torino Einaudi 1960) sulla cabala  ebraica  e quelli di C. G. Jung sui rapporti tra Psicologia e Alchimia hanno permesso di scoprire un’alchimia diversa da quella che fu creduta la sola arte della trasmutazione dei metalli vili in oro. Nella speranza di riprodurre, in piccolo, quanto esisteva nel Macrocosmo gli alchimisti lavorarono e rilavorarono, nelle storie poste sopra all’athanor, le più strane materie. Il loro laboratorio non fu solo l’antro oscuro, ma soprattutto l’uomo.
In questo fine secolo, ove lo strabiliante sviluppo tecnologico domina la vita dell’uomo, l’Alchimia è ancora in grado di attirare l’attenzione di molti che, alla ricerca di una loro precisa identità, trovano nel pensiero alchemico il modo per scoprire loro stessi e l’indole umana.

 

Il filosofo greco Empedocle osserva che l'intero mondo del divenire, la natura e gli universi sono generati dall'attività di due principi divini, che ha chiamato con i termini simbolici di zolfo e mercurio, di opposta polarità i quali, a loro volta, attraverso l'azione del terzo principio, il sale, determinano l'incessante assemblarsi e dividersi dei 4 elementi primari: Terra-solidi; acqua-liquidi; aria-gas; fuoco-radiazione. Il passaggio dalla terra (stato solido) all'acqua (stato liquido) all'aria (stato aereo, vaporoso) al fuoco (luce) segna le successive trasformazioni e 'sublimazioni' della materia che progressivamente si smaterializza  fino a raggiungere l'eterea e luminosa consistenza della pietra filosofale.

Per arrivare a trasformare la materia grezza (il caos) in oro (ordine), vi sono due vie da intraprendere che partono dagli stessi principi. Esiste l’Ars brevis e l’Ars longa, la prima è “Dio, ripetono i Maestri, procura la saggezza a chi gli sembra opportuno e la trasmette mediante lo Spirito Santo, Luce del mondo”. La via breve è seguita dalla maggior parte degli adepti. Mentre quella lunga, La via umida, invece, comprende la rivelazione totale, cioè sia il campo spirituale, che fisico e si consegue in tempi  lunghissimi, interi anni.

I Maestri ricordano che l'alchimia è chiamata anche "Agricoltura Celeste" perché l'artista deve seguire la Natura e i suo cicli stagionali, solari e soprattutto lunari. 

 

Allegoria ermetica, tratta dall' "Aurora Consurgens",del XIV -XVsec.(Biblioteca Centrale di Zurigo,codex rhenovacensis 172).

Dopo i lavori preliminari, si affronta la Prima Opera, la separazione. Così come in Genesi leggiamo" Dio vide che la luce era buona cosa e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte"( Genesi I,4-5). Per giungere a questo, l'alchimista assiste all'attrazione dei 'tre protagonisti', al loro metaforico 'combattimento', alla loro calcinazione (separazione vera e propria del 'fisso' dal 'volatile', della luce dalle tenebre, dello spirito dalla materia.

L'incontro-scontro tra le due opposte nature: solforosa e fissa (simboleggiata dal leone, dal cavaliere, e dal Sole, maschile, penetrante, igneo, la 'psiche'),  mercuriale e volatile (simboleggiato nel grifone, leggero, sottile, femminile, lunare, l'Intelligenza Universale). Il 'sale' è il mediatore tra le due e si associa volentieri sia al fisso che al volatile. Il principio maschile (zolfo) dovrà attirare verso di sé la parte solforosa contenuta nella natura mercuriale, e viceversa. Otterrà, al termine di questa prima fase, una sostanza che viene chiamata calamita dei saggi, specchio dell'arte, l'aimant, che sarà in grado di incorporare il nostro 'sale' e allo stesso tempo caricare il 'sale' di energia.

 

 

E'questo uno dei 'passaggi' cruciali alchemici: questo racchiude il verbo dimissum, la parola perduta, il verbo creatore...l'incarnazione di Dio nella materia. Dal vecchio drago nero, solfureo, si otterrà la Bianca Vergine, (che rappresenta idealmente la nostra 'calamita', il mercurio dei saggi), che recherà una stella o 'artiglio del grifone' (e indicherà all'artista che sta procedendo sulla strada giusta).

I due protagonisti iniziali ora sono sublimati, la vergine e il prete, qual'è il compito del cavaliere, che armato della sua spada di ferro aveva affrontato il drago nero e aveva attirato su di sé lo zolfo arsenicale liberando la vergine metallica?

Nel Nuovo Testamento, S. Michele Arcangelo è presentato come avversario del demonio, vincitore dell'ultima battaglia contro satana e i suoi sostenitori. Troviamo la descrizione della battaglia e della sua vittoria nel capitolo 12° del libro dell'Apocalisse: 
"Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli." Difatti il compito di Lucifero una volta che si è insinuato sulla terra è di dare il male, di allontanare l'uomo dalla realtà concreta, poiché posto l'io dell'uomo tra queste due forze polari, egli deve trovare l'equilibrio per la sua crescita-evolutiva.  Le forze presiedute dall'Arcangelo Michele sono forze di equilibrio, di giustizia, quindi di discernimento tra il buono e il cattivo in vista di liberare ciò che è bene e di trasformare ciò che è male. Ma il bene e il male sono così strettamente uniti che non li si può separare prematuramente senza provocare lacerazioni. L'arte di separare i contrari è la più difficile che ci sia.

Il fatidico 'lingotto' ottenuto, separato in due da un colpo di martello, rivela una parte bassa, lucente e più pesante, quindi raccolta sul fondo dello stampo che raccoglie la fusione e una parte più alta, nerastra, uno scarto solforoso che è chiamato caput mortuum, la testa morta, che è più leggera ed occupa la parte più alta del cilindro...il principio maschile, igneo, si è installato nella terra (il caput). Esso non è inservibile, anzi costituirà uno dei punti cruciali delle successive operazioni.

Le due nature dovranno essere nuovamente unite. Dalla testa morta dovrà rinascere lo Spirito divinizzato. Allegoricamente, l'Horus egizio nascerà dal dio Osiride morto; dal sacrifico di Gesù sulla croce, dipenderà la sua divinizzazione e la Redenzione dell'umanità. La croce è simbolo del crogiolo alchemico, dove la materia viene purificata e spiritualizzata. Cristo diventa il portatore dell'io individuale sulla terra. La nascita è quindi sotto un influsso lunare mentre la rinascita sotto un influsso solare, ma che deve venire coscientemente attraverso la Volontà e la ricerca della verità nel Cristo e nelle potenze del Sole (“Voi riconoscerete la verità ed essa vi renderà Liberi”). La forza del Cristo fa si che si ricostruisca la propria individualità come essere Spirituale e di questo mondo.  

 

A queste operazioni, lungamente ripetute, gli alchimisti danno il nome di aquile o sublimazioni:allegoria della potenza dell'aquila che porta la preda fin sopra le alte vette,così il potente 'cavaliere' ha saputo portare in superficie la Bianca Vergine che si nascondeva all'interno del Drago Nero Solfureo (ovvero ha separato la Luce dalle Tenebre, lo Spirito dalla Materia).

La separazione della prima opera deve ora divenire unione delle due opposte nature per dare origine all'androginia, la perfetta fusione tra maschio-femmina, tra Dio e l'uomo, che provoca la morte della nostra dimensione materiale.

Questo nuovo 'prodotto', che in alchimia si chiama rebis, la cosa duplice,è il risultato della seconda opera, l'androginia.

Notare i neri corvi, l'aquila delle sublimazioni, la lepre terrestre e il pipistrello volatile...

Allegoricamente è il bambino divino, partorito dalla Vergine mercuriale, chiamato in molti modi: remora, Hermes, pesce, mercurio filosofico (da distinguersi dal mercurio dei saggi che lo ha generato).

Ora, il nostro prodotto, chiamato anche uovo filosofico, deve essere sottoposto alla terza prova, quella del fuoco. Incessantemente, la nostra materia continua ad incorporare l'energia 'radiante' perciò aumenta notevolmente di peso. L'alchimia è chiamata anche Arte della Musica perché in questa fase si producono sette suoni, sette sibili in scala armonica crescente che indicano il buon andamento delle operazioni.

Su di esse l'artista deve modulare il 'fuoco' adattandolo in perfetta armonia con il cambiamento delle note.

Visivamente, gli è impedito di vedere cosa accade nel suo 'composto' poiché sulla superficie è comparsa una sorta di crosta calcarea, il 'guscio dell'uovo' appunto.

Allegoria tratta dal "Rosarium Philosophorum",

di Amsterdam: rappresenta l'androginia

 

Eugene Canseliet così descrive la fase finale: "Dunque, grazie a queste note, voi seguite il procedere della grande cozione fino alla pietra al rosso. Voi seguite così il passaggio dei pianeti, dei colori...l'uovo si apre, il guscio si spezza e allora appare, tra le ceneri...il rubino centrale. E' la pietra. La sua forza può essere molto differente. In seguito la si moltiplica, per aumentare la sua forza, con il mercurio che si è messo da parte a questo scopo".

 

I collegamenti con i quattro elementi, le quattro stagioni, i quattro momenti del giorno, le quattro età dell'uomo suggeriscono la ciclicità dell'opus alchemico, che ha per simbolo la RUOTA o l'OUROBOROS, il serpente che si morde la coda con questo simbolo l'immaginario pagano volle rappresentare il perpetuo moto del mondo, l'unità del Tutto (il cerchio) che si dispiega nella molteplicità delle trasformazioni cicliche (per le sue spire, il serpente è simbolo delle fasi lunari) per tornare poi sempre in sé stessa (la congiunzione della coda con la testa), conciliando così l'apparente contraddizione tra l' "uno" e il "molteplice".

"OUROBOROS",

il serpente che si morde la coda.

 

Le fasi dell'opus' alchemico, sono a seconda dei trattati, da tre a cinque, ma più comunemente quattro:

I. nigredo ('putrefacio'), fase della materia al nero, grezza, assimilabile al piombo, all'uomo materiale.

II. albedo, contrassegnata dal colore bianco (la vergine bianca, la mente nobilitata).

III. citrinitas', contrassegnata dal giallo (l'uovo filosofico).

IV. rubedo, corrisponde al rosso e all'oro o pietra filosofale; talvolta è la 'viriditas', corrispondente al verde, colore della vegetazione e della vita.

Le quattro fasi simboleggiano un sistema simbolico e ciclico, di cui l'alchimia diventa il cardine, di ogni altra quadripartizione antropologica e cosmica. Alla 'nigredo' corrisponde l'elemento terra, la notte, l'inverno, la vecchiaia e la morte, la malinconia.

All' "albedo" corrisponde l'elemento acqua, l'alba, la primavera, la fanciullezza e l'umore flemmatico.

Alla 'citrinitas' corrisponde l'elemento aria, il meriggio, l'estate, la giovinezza.

Alla rubedo l'elemento fuoco, la luce limpida dell'autunno e del tramonto, la maturità, la luce dell'illuminazione.

L'impresa va sempre ripresa da capo e ripetuta: dalla maturità (il culmine) si ricade nel punto più basso, nell'inverno, la notte, la vecchiaia e la morte, l'interramento e la putrefazione. Ma questa ciclicità è garanzia rasserenante perché dall'inverno si risalirà alla primavera, dalla notte all'alba, dalla morte ad una nuova rinascita. 

Gli alchimisti concordano da migliaia di anni che il Grande Magistero porta all'acquisizione di una triplice corona regale, al conseguimento supremo, cosidetto donum dei, all'ottenimento della pietra filosofale, detta anche rubino dei saggi, una polvere rossa e granulosa che viene ottenuta al termine della Terza Opera dopo un procedimento lungo e difficoltoso.

Il donum dei o pietra filosofale contiene  in sé tre proprietà per colui che la consegue:

I. la panacea o medicina universale (la pietra disciolta in un liquore alcolico produrrebbe l'elisir di lunga vita che, ingerito, è in grado di guarire qualsiasi malattia e di conferire l'Immortalità).

II. la seconda è l'acquisizione dell'onniscienza o scienza innata che gli permette di prendere consapevolezza del passato, del presente e del futuro, del bene e del male (cogliere esattamente il  biblico frutto dall'albero della Conoscenza, secondo le regole): il raggiungimento di questo stato è lo scopo supremo della creazione, ovvero l'incarnazione dello spirito divino nella densità della materia.

III. la terza proprietà della pietra è quella trasmutativa, la meno importante ma quella più ricercata dagli avidi e che ha colpito maggiormente l'immaginario popolare: è la capacità della pietra di trasmutare, a sua volta, altre porzioni di metallo in oro. La forma assunta a questo scopo viene chiamata polvere di proiezione, la pietra viene anche chiamata tintura per il suo potere di tingere i metalli vili. Da ciò deriva l'enorme potere di arricchimento detenuto dall'Adepto, che egli userà per scopi strettamente umanitari, avendo egli sviluppato un senso morale parallelo all'elaborazione della pietra e costituendo anzi una conditio sine qua non per la riuscita finale.

 

 

Molti artisti rinascimentali, furono attratti dall'Arte Regia, i colori usati per molti dipinti furono preparati con procedimenti alchemici ed intesero trasporne i contenuti occultandoli nelle loro opere.

Albrecht Dürer (1471-1528), nell'autoritratto in posizione centrale sembra rifarsi all'iconografia che tradizionalmente alludeva al Cristo.  Egli  vuole sottolineare come l'Artista imiti il virtuoso cammino di Gesù, l'uomo-divinizzato, la 'pietra filosofale'.

L'Artista non faceva altro che trasmutare la materia inerte  in 'forma', in una 'opera vivente', l 'opera d'arte, dopo un percorso anche sofferto nel proprio interno, travagliato e che portava all'ascesi, verso la luce e la bellezza Suprema (per poi  ricadere al travaglio iniziale). L'Artista rinascimentale sembra ergersi quale 'Redentore' di una società che deve recuperare il 'senso' del simbolo perduto.

Infatti l'arte del Rinascimento non è da intendersi come 'imitazione' del mondo naturale, ma in essa si vede l'emulazione dei processi creativi della Natura che portano a sublimare la natura nello spirituale, in un chiaro parallelismo con l'Alchimia.

 

Compiendo un esperimento morfologico su questo ritratto, dividendo al centro il volto e ricostruendo a specchio le due parti si ottengono il ritratto di destra e di sinistra.  Ci troviamo di fronte a due visi completamente diversi da quello centrale, innanzitutto perché morfologicamente la parte destra e la parte sinistra di un volto umano sono diverse, in quanto polari tra loro si uniscono per dar forma ad una unità completa.

Infatti se consideriamo quanto detto all'inizio sul controllo dell'Io della parte destra e sinistra del cervello, possiamo dedurre che i due ritratti separatamente appartengono alle entità di Lucifero (la parte sinistra) e Arimane (la parte destra) del volto centrale, le quali unendosi formano il volto dell'uomo. 

"E Gesù cresceva in saggezza (nel suo corpo astrale), in tendenze mature (nel suo corpo eterico) e in avvenente bellezza (nel suo corpo fisico), in modo che era visibile a Dio e agli uomini". (da "Il vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col vangelo di Luca", R.Steiner).

Ciò presuppone che una vita condotta rettamente dia come risultato anche un corpo fisico bello, quindi noi viviamo la nostra esistenza in una sorta di "Ritratto di Dorian Grey". Se le due entità Arimane e Lucifero sono tenute in perfetto equilibrio dal nostro Io, risulterà un volto avvenente (quello centrale), al contrario propenderà uno dei due (i laterali).

Se ognuno di noi dipingesse il proprio autoritratto scoprirebbe come sia costituito il suo vero volto, sicuramente visto che non ci possiamo paragonare ad una entità divina-spirituale al livello di Cristo, eseguiremmo come risultato l'autoritratto della nostra contro-immagine spirituale allo stato in cui si trova in quel momento. Tale immagine avrà le sembianze o di Arimane o di Lucifero, a seconda che il nostro io propenda verso uno dei due. Arimane agisce sul pensiero e Lucifero sul sentire ed entrambi agiscono contemporaneamente sul nostro Io, Arimane in eterico e Lucifero a livello astrale, ma in realtà anche se uno dei due è più forte, l'altro si insinua ugualmente in modo più sottile e quindi non si avrà mai una netta distinzione. Nel Vangelo di Giovanni sta scritto che quando Gesù fu battezzato, lo spirito del Cristo entrò in lui,  l’io di Gesù abbandonò il suo corpo, e in seguito Lucifero-Arimane fu cacciato dal corpo fisico del Cristo. Questo è l’esempio di quello che deve avvenire nell’umanità attraverso l’impulso del Cristo, gli ostacoli di Lucifero-Arimane devono essere scacciati dal corpo fisico dell’uomo.

 

 

A. Dürer, "Autoritratto", 1500

Alte Pinakothek di Monaco

 

 

 

a cura di A. Delvecchio

 

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