Rimini moderna (secc. XV-XVIII)

1. 4. Crisi, dalla dinastia alla città

Crisi di una dinastia
Nel marzo 1497 «a Rimano morivano di fame», ricorda il veneziano Sanudo che cita gli aiuti inviati in città dal suo governo, e la visita fatta in laguna da Pandolfo IV e sua madre Elisabetta Aldobrandini, sorella del «conte Zoan» da Ravenna, condottiero della Serenissima (Malatesti 271-272, nota 39 p. 304).
Vediamo ora come s'origina la parentela fra il ramo riminese e quello «Almerici» (con Raimondo ed il fratello Galeotto), ricostruendo il loro albero genealogico.
Partiamo dal capostipite Galeotto I (morto nel 1385) da cui sorgono i due rami: quello riminese di Pandolfo (1370-1427) e quello di Gaspare, detto «branca Almerici». Da Gaspare derivano in successione Raimondo ed Almerico che dà il nome alla «branca». (Raimondo Malatesti chiama Almerico il proprio figlio in onore della moglie Antonia degli Almerici di Pesaro. Tonini, V, 1, pp. 486-500.)
Almerico ha due figli: Galeotto Lodovico (che sarà tutore di Pandolfo IV detto «Pandolfaccio») e Raimondo assassinato nel 1492. Da Galeotto Lodovico nascono Gaspare e Pandolfo, gli uccisori dello zio Raimondo.
Saltiamo all'altra linea, quella riminese. Dal ricordato Pandolfo (1370-1427) nascono Sigismondo Pandolfo (1417-1468) signore di Rimini, e Domenico Malatesta Novello (1418-1465) signore di Cesena.
Sigismondo Pandolfo di Rimini ha, tra gli altri, tre figli che c'interessano al nostro discorso: Roberto (1442-1482), Sallustio (1450-1470) e Valerio (1453-?). Da Roberto nasce Pandolfo IV detto «Pandolfaccio» (1475-1534), ultimo signore di Rimini.
L'uccisione di Raimondo Malatesti il 6 marzo 1492 è considerata da Clementini all'origine di tutti i mali che affliggono successivamente Rimini, ovvero «il precipizio de' cittadini e l'esterminio de signori» Malatesti e della loro casa.
La versione offertaci dal Clementini è corretta. Non possiamo assumere la pregiudiziale che essendo egli discendente di uno dei congiurati della successiva congiura del 1498, e quindi parte in causa del giudizio storico, non gli vada accreditata alcuna credibilità nell'interpretazione politica di quegli eventi.
I Malatesti non riuscirono a stabilizzare la situazione riminese al proprio interno per cui la crisi della città è diretta conseguenza della loro incapacità di progettarvi un equilibrio, a cui si contrappongono violenze che non sono soltanto una risposta al loro dominio o predominio, ma pure il tentativo di creare un cammino nuovo per la vita della città.
Sempre a proposito del Clementini, altra cosa sono i silenzi che lui s'impone su certi episodi del 1512 (II, p. 642), e sui quali si ritornerà a luogo opportuno. (Circa l'importanza delle pagine di Clementini, si ricordi quanto scritto nel 1950 da Augusto Campana, ed ora anche in Masetti, Pandolfo IV, p. 22, nota 2.)

1492, crisi di una città
Ma questo delitto non è una novità nella vita politica cittadina. C'è il precedente di Sallustio figlio di Sigismondo, ucciso nel 1470 in diverse circostanze. Certamente l'episodio del 1492 fa precipitare immediatamente la crisi politica della città.
Il 31 luglio 1492 Pandolfo e Gaspare, gli uccisori dello zio Raimondo, sono utilizzati dal padre Galeotto Lodovico per una congiura contro Pandolfo IV e la sua famiglia.
A mandarla all'aria evitando una strage, ci pensa Violante Aldobrandini, seconda moglie dello stesso Galeotto Lodovico e sorella di Elisabetta, madre di Pandolfo IV.
In casa di Elisabetta era stato ucciso Raimondo Malatesti quasi cinque mesi prima. Nella stessa abitazione di Elisabetta è ammazzato Galeotto Lodovico, mentre suo figlio Pandolfo è tolto di mezzo in casa del signore di Rimini Pandolfo IV. Gaspare invece è arrestato, processato sommariamente e decapitato (Copioli, Agolanti, p. 105).
Due mesi e mezzo dopo la congiura fallita e la morte dei suoi ideatori, Violante convola a nuove nozze. Violante era la matrigna di Gaspare e Pandolfo, figli della prima moglie di Galeotto Lodovico. La prima moglie è Raffaella figlia di Antonia da Barbiano e vedova di Gilberto da Correggio. Da Violante Aldobrandini, Galeotto Lodovico ha Camilla.
Pandolfo di Galeotto Lodovico a sua volta ebbe quattro figli (Carlo, Malatesta, Raffaella, Laura) perdonati (Tonini, V, 1, p. 491) da Pandolfo IV a testimonianza della sua volontà di pacificazione all'interno della famiglia e della città.
Dal 1492 per circa un secolo, gli omicidi politici che abbiamo registrano continueranno «a far colare sangue», come scrive Rosita Copioli (cfr. in Agolanti, p. 108, dove al proposito è presentata una ricca documentazione).

Verso il disastro
Elisabetta Aldobrandini scompare nell'agosto 1497. Da quel momento suo figlio Pandolfo IV governa Rimini in preda ad uno spirito di vendetta (Tonini, V, 1, p. 430) che spinge i suoi avversari a tentare di cacciarlo il 20 gennaio 1498 con una sommossa nella chiesa di Sant'Agostino. I capi della cospirazione appartengono alle più note famiglie aristocratiche di Rimini: Adimari, Agolanti e Belmonti. Sparsasi la voce della congiura, si solleva la plebe che corre a salvare Pandolfaccio (Tonini, V, 1, p. 433).
La punizione che seguì fu esemplare, con l'esecuzione capitale per gli ideatori. I loro cadaveri furono appesi ai merli della rocca di Sigismondo. Avvennero la confisca dei beni e la distruzione delle loro case (Clementini, II, pp. 577-582).
La confisca dei beni provoca un «disastro» non soltanto in quelle famiglie che la subiscono, ma in tutta l'economia cittadina. (Di «disastro» parla a ragione Rosita Copioli in Agolanti, p. 101) riferendosi all'inchiesta sulla morte di Nicola Agolanti svolta «intorno al 1513».)
Il 10 ottobre 1500 Pandolfo IV se ne va da Rimini che passa in potere del duca Valentino. (Cesare Borgia raccomanda agli amministratori «alcuni Ebrei, artefici ricchi venuti di Spagna», cfr. Tonini, V, 1, p. 16.)
Le campagne riminesi sono inquiete, come testimoniano i servizi segreti ed esponenti politici della Serenissima. (Nell'autunno del 1502 e nell'estate del 1503 si registrano sollevazioni di villani a favore di Pandolfo con distruzioni di «libri e altro» come scrivo Sanudo nei suoi Diari, V, col. 73, 27 agosto, citt. da Masetti, Roberto, p. 132; e Clementini, II, p. 594.)
Nel 1503 dal 2 ottobre al 24 novembre Pandolfo fu di nuovo signore di Rimini, ma sotto il governo veneziano. «Di nuovo la misera città rimase alla discrezione dei furibondi vincitori» che saccheggiarono dovunque e se la presero anche con gli Ebrei ed i loro banchi (Tonini, V, 1, p. 20).
Ci fu uno spargimento di sangue in cui restarono uccisi pure molti popolani (Masetti, Pandolfo IV, p. 135). Il successivo 16 dicembre Pandolfaccio cedette la città alla Serenissima.
La congiura del 20 gennaio 1498 era stata capeggiata da Adimario Adimari (giustiziato il successivo 13 febbraio) che agì affiancato dal figlio Nicola (scompare nel 1526). La madre di Nicola è Elisabetta degli Atti, figlia di Antonio fratello di Isotta, la moglie di Sigismondo Pandolfo Malatesti.
Elisabetta degli Atti aveva sposato Adimario in seconde nozze. Suo primo marito era stato Nicola Agolanti, morto in circostante misteriose il 9 novembre 1468. Quella mattina Nicola va in cerca della moglie per le strade della città, ed incotratala la saluta commosso con un enigmatico addio. La mattina dopo Elisabetta trova Nicola impiccato nella cappellina domestica dove è solita recarsi a pregare (Clementini, II, p. 495).
Questa la sua versione dei fatti. Elisabetta vuole allontanare da Roberto Malatesti, che era il proprio amante, ogni sospetto sulla responsabilità nella morte del marito, e smentire la tesi di un omicidio passionale.
Una sorella di Elisabetta degli Atti, Ludovica, è la prima moglie di Giovani Tingoli (detto Griffone), di professione mercante, a cui dette un figlio, Annibale. Tingoli e gli altri famigliari erano dediti ai rapporti commerciali con la Dalmazia: con naviglio proprio vi trasportavano legname, ferro, vino, grano e farina, traendone bestiame vivo e carni salate (Delucca, Scolca, Atti 6, p. 90).
Giovanni (del fu Benedetto) operava assieme ai fratelli Paolo e Gaspare e con gli eredi del fratello Giuliano.
Giovanni Tingoli discende da una famiglia di cui dovremo occuparci per la storia riminese del XVII secolo. Si legge su di lui una notizia non documentata secondo cui sarebbe stato marito di Alessandra Malatesti figlia di Sigismondo Pandolfo e di madre sine nomine. Di Alessandra sappiamo certamente soltanto che nel 1463 fu «messa in vendita» senza risultato dallo stesso Sigismondo ai nipoti di Pio II (Delvecchio, Donne, 439-440, 706).
La scomparsa di Nicola Agolanti (che ha avuto da Elisabetta una figlia, Violante), avviene a pochissima distanza da quella di Sigismondo (9 ottobre dello stesso 1468). Essa appare come frutto di un delitto politico. Attraverso l'uccisione del marito della amante di Roberto, forse si voleva colpire proprio quest'ultimo destabilizzando la situazione riminese. Come avviene anche con l'uccisione di Sallustio Malatesti nell'agosto di due anni dopo. E con la voce infondata sulla morte violenta di Valerio.
Attorno a Roberto Malatesti si crea una «leggenda negra» che si amplifica fino ad attribuirgli un terzo delitto, presunto come gli altri, che avrebbe avuto per vittima addirittura Isotta, la vedova di Sigismondo.
Ai suoi oppositori conveniva tramare sia con un omicidio politico come quello di Sallustio, sia con le insinuazioni per poter riversare su Roberto accuse che lo avessero reso facile bersaglio di violenze vendicative. Le quali sarebbero state giustificate grazie alla sua mala fama e non dalle sue vere azioni. La «leggenda negra» di Roberto non nasce per caso. Essa gli crea attorno una fama a cui lui stesso ha dato un contributo fondamentale.
Essa lo ripaga del tradimento compiuto nei confronti del papa, quando dopo la morte di Sigismondo si era impegnato a restituire Rimini alla Chiesa. Essa poi riassume il dramma politico di una città che vuole condannare un protagonista della sua vita pubblica mediante l'invenzione di un profilo delinquenziale non riuscendo a far altro per risolvere la crisi istituzionale che la stava travolgendo e che l'avrebbe piegata.
Elisabetta degli Atti (per volere dalla zia Isotta) sposa Adimario Adimari, ma non tronca il legame con Roberto a cui dà un figlio, Troilo, nato nel 1482 pochi mesi prima della scomparsa del padre. Troilo è fratellastro di Pandolfo IV (figlio di Elisabetta Aldobrandini) e fratello uterino del congiurato Nicola Adimari.
Adimario è allontanato da Roberto dalla propria casa e dalla propria moglie. Con il figlio Nicola (nato nel 1472) Adimario se ne va da Rimini, facendovi ritorno nel 1482, dopo la scomparsa del rivale e signore della città.
Roberto nel suo curriculum sentimentale conservò una ferrea fedeltà soltanto al nome di Elisabetta. Oltre alla Aldobrandini e alla degli Atti, ne ebbe una terza, Elisabetta d'Urbino madre di una fanciulla, Battista.

Un riepologo
A questo passaggio del nostro discorso, s'impone un breve riepilogo cronologico.
1468, il 9 novembre è trovato il corpo senza vita di Nicola Agolanti, ad un mese esatto dalla scomparsa di Sigismondo Pandolfo Malatesti (9 ottobre). La moglie di Nicola Agolanti, Elisabetta degli Atti, allontana ogni sospetto di delitto passionale e soprattutto scagiona Roberto Malatesti.
1470, omicidio di Sallustio Malatesti e linciaggio di Giovanni Marcheselli.
1498, esecuzione capitale per Adimario Adimari, cospiratore contro Pandolfo IV, figlio e successore di Roberto.
I puri dati oggettivi della successione temporale degli eventi, sono un arido riassunto rispetto alle lettura della complessa situazione genealogica che lega protagonisti e comprimari di queste vicende. Che ripercorriamo ora tenendo d'occhio appunto tutte le varianti del gioco delle parentele che in quei fatti si offrono alla nostra attenzione.

Gioco delle parentele
Elisabetta degli Atti, vedova di Nicola Agolanti, sposa in seconde nozze il cospiratore Adimario Adimari. Ma Elisabetta è anche madre di Troilo avuto da Roberto Malatesti. Elisabetta è poi nipote ex fratre di Isotta moglie di Sigismondo Pandolfo Malatesti e matrigna di Roberto, Sallustio e Valerio Malatesti.
Sallustio muore nel 1470 trafitto da una spada. Il colpevole è individuato in Giovanni Marcheselli che è linciato dalla folla. Giovanni Marcheselli è accusato dalla moglie Simona di Barignano il cui padre Giovanni è fratello di Antonia, la madre di Sigismondo Pandolfo Malatesti. Una sorella di Giovanni Marcheselli, Lena, è la seconda moglie di Giovanni di Barignano, il padre di Simona.
C'è un continuo rincorrersi e rinchiudersi in una specie di cerchio che rappresenta la proiezione psicologica delle mura di una città o di un castello. Mura che non servono a nulla se non a delimitare (e ad esasperare) continue esplosioni di odio.
Questo giro ristretto aggrava situazioni che non hanno sbocchi, come dimostra la storia di Sallustio. Egli s'invaghisce di una giovane di casa Marcheselli. (Scrive Clementini, II, p. 479: che Sallustio «procurava di accasarsi in una sorella di Nicolò e di Giovanni, figliuoli di Lodovico Marcheselli».)
La sua pretesa di avere l'amore che desidera, è respinta nel più classico modo di quanti, abituati alla guerra, non sanno ragionare che con la spada. Giovanni Marcheselli uccide Sallustio. Ma la moglie di Giovanni, Simona di Barignano, gioca il suo ruolo di verità con una deposizione che lo accusa apertamente: «[…] ha confessato como fu morto [Sallustio] in caxa sua, et molte altre cose» (lettera di Malatesta da Fano a Ludovico II Gonzaga, 11.8.1470).
Resta il sospetto che non si sia trattato di un fatto politico tout-court, ma forse di un delitto d'onore, nel senso che non si voleva far entrare un Malatesti nella famiglia Marcheselli.
Simona di Barignano si comporta nel 1470 come farà Violante Aldobrandini nel 1492. A proposito di Violante e del suo “tradimento” (con il denunciare alla sorella quanto a danno del di lei figlio Pandolfo IV stavano tramando il proprio marito Galeotto ed i propri figli), Rosita Copioli ha scritto una pagina illuminante che riguarda un tacito patto politico coinvolgente l'universo delle donne malatestiane: «[…] l'atto sia pur terribile e doloroso della confidenza [di Violante] alla sorella, corrisponde all'alleanza di un sistema femminile che ha in mano le redini dello stato, e che cerca di salvarlo come può, dalle mire di qualunque provenienza» (Agolanti, p. 105).
Quell'atto di delazione corrisponde «a una strategia autodifensiva» che «avrebbe dovuto vincolare Atti, Agolanti, Adimari» sul corpo stesso dello stato malatestiano «incarnato da Roberto», a dieci anni dalla sua morte
Il quadro che abbiamo sinora delineato, è il nocciolo delle questioni politiche che riguardano Rimini tra 1500 e 1600. Ed il modo di governare la città. Le vicende malatestiane portano ad un continuo, progressivo logoramento di quel tessuto della vita pubblica che degenerando in faide personali (come si è detto), ne distruggono la struttura politica. La classe aristocratica ovviamente sopravvive, ma langue.

Una città ed i suoi «barbari»
Tutto ciò che viene da fuori, come gli Ebrei, non sarà ben visto come invece era stato ai tempi dei Malatesti, ma gettato nella categoria del «barbaro», dello straniero da evitare e scacciare. Quando la consapevolezza della crisi economica è razionalmente inserita in un discorso meno superficiale di quello esclusivamente religioso del rifiuto degli Ebrei, allora (1693) le cose cambieranno.
Nel 1693 gli Ebrei chiedono al Consiglio generale di Rimini di essere autorizzati a rivolgersi direttamente al pontefice per poter ottenere di rientrare in città. Da dove erano stati cacciati nel 1615.
Le vicende malatestiane costituiscono dunque gli antefatti di quelle che esamineremo per l'inizio del secolo XVI.


Alle origini di Rimini moderna.
1. Storie malatestiane del XV secolo
1. 5. Note e bibliografia
1. 4. Crisi, dalla dinastia alla città
1. 3. Plebe partigiana e delitti politici
1. 2. Profilo di una città, 1429-1469
1. 1. Premessa. Malatesti, Europa e Chiesa
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Agg. 06.10.2012
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