|
BREVE STORIA DI PATRICA
A fine Settecento Patrica è coinvolta nei fatti della rivoluzione
esportata dai francesi in Italia: la Repubblica è proclamata anche a Patrica
con l’erezione dell’albero della libertà, ma c’è, anche qui, una
violenta ribellione popolare. A seguito di questa, nasce e si formerà un
ambiente favorevole al ribellismo, che è, nello stesso tempo, sociale,
politico ed economico. Negli anni della restaurazione il brigantaggio diventa
il fenomeno dominante che a Patrica genera fatti eclatanti: il sequestro di
Nicola Spezza, la formazione di una banda tutta patricana guidata da Francesco
Del Greco, detto “Il Cechetto”, l’unico prete brigante di tutta la
vicenda è appunto il patricano don Nicola Tolfa, un brigante del paese poi
diventerà lo scrittore ed il primo storico del fenomeno brigantesco: Pietro
Masi. Ma questi avvenimenti non devono farci tacere che nel frattempo la
società è cambiata: si è formata una certa borghesia agraria di cui
maggiori. rappresentanti sono gli Spezza, i Magni, i Vitelli, gli Stella, i
Persi e i Giammaria. Il patrimonio ecclesiastico e le offerte dei paesani
hanno consentito la trasformazione degli edifici sacri con la costruzione di
S. Giovanni, ornato da una bella pala d’altare dono del card. Ganganelli,
poi papa Clemente XIV, soggiornante a Patrica presso il cavaliere di Malta
comm. Domenico Finateri, il personaggio più importante della Patrica nella
seconda metà del Settecento; egli fu segretario della nunziatura pontificia
in Francia e uditore del card. De Bernis. A questa nuova chiesa faranno
seguito S. Pietro (ricostruita fra il 1835 ed il 1885), la Madonna di
Piedimonte, S. Francesco Saverio, la Madonna della Pace. Ma tutta la vicenda
aveva avuto inizio con la distruzione di S. Cataldo alle Piaia, e la sua
ricostruzione come chiesa rurale alla Tomacella, da parte della comunità e
del popolo patricano, auspici i Colonna, i quali volevano sviluppare il polo
vicino al loro palazzo, costruito nelle sembianze attuali fra Seicento e
Settecento sul posto di una torre, la trecentesca “Torre" del Piano di
Patrica, e forse, di un castelletto medioevali. La costruzione di edifici
religiosi, che si susseguono per più di due secoli, dimostra che la
popolazione patricana, oltre ad avere una forte devozione e ad essere conformi
alle esigenze della propria epoca, ha forti possibilità di accumulazione di
capitali. La storia patricana dell’Ottocento non si differenzia gran ché da
quella dei paesi vicini in quanto l’omologazione è ormai spinta. Dopo la
tempesta del brigantaggio, si nota un forte incremento demografico: la
popolazione passa dai 2094 abitanti del 1811 ai 2525 del 1834 e questo
comporta, tanto per fare un esempio, la saturazione progressiva degli spazi:
anche Cacume viene ripopolato ed intensamente coltivato, forse ci sarà stata
una flessione dell’allevamento transumante e, si segnala, una più frequente
presenza di patricani nell’area pontina. Anzi, proprio verso questa zona, e
verso Roma, comincia una consistente emigrazione dal paese.
Anche sul piano sociale si nota una più spinta differenziazione, dovuta
alla formazione di più gruppi: in primo luogo occorre segnalare la presenza
di alcuni grandi possidenti, cresciuti a spese della proprietà signorile
colonnese e di quella ecclesiastica. A questo si associa un piccolo gruppo di
contadini benestanti che forma l’ossatura della società paesana; segue poi
la vasta pletora dei piccolissimi proprietari che sconfinano nel bracciantato.
La segnalata ramificazione si amplia perché cominciano a comparire sempre più
commercianti ed artigiani e addetti a servizi pubblici: il medico e il
chirurgo-flebotomo, qualche raro impiegato comunale, il maestro di scuola, il
segretario comunale.
Sul piano delle vicende politiche Patrica non si segnala per una sua
fervente partecipazione al risorgimento, si ricorda solo la presenza di un tal
“zi Catallo Pizzola” allo scontro di Mentana, ma anche la fuga dal paese
di quei pochi liberali che avevano aderito e proclamato l’annessione al
regno italiano nel corso della sfortunata campagna Nicotera del 1867. Questi
torneranno dopo il 17 settembre 1870 e
saranno la classe dirigente del comune per diverso tempo. Ma ciò non
significa che non ci siano state vicende politiche e soprattutto lotte
politiche nel corso dell’Ottocento pontificio. Si tratta di lotte per
l’egemonia e la preminenza personale e familiare, nascoste dietro lotte per
motivi pubblici. Quella nota è la lotta per come realizzare (e gestire) la
costruzione dell’acquedotto pubblico, realizzatosi nel 1863 mercé un
complesso di circostanze.
L’unificazione nazionale è vissuta forse con scarsa emotività anche
perché non si coglieva la portata del momento. Sta di fatto che però inizia
un periodo di trasformazioni: costruzione della nuova piazza e del lavatoio,
sistemazione di qualche strada interna, edificazione di un nuovo ospedale,
costruzione del cimitero, progettazione e realizzazione della nuova arteria
rotabile che dalle Quattro Strade saliva al centro storico. Intanto sul piano
sociale le novità sono tante. L’incremento della popolazione, sempre più
consistente, e l’aumentata sicurezza sociale inducono quote sempre più
consistenti di patricani ad abbandonare il centro urbano per stanziarsi nelle
campagne. Si tratta, all’inizio, di pochi avventurosi e coraggiosi i quali
sfidano le paure dell’isolamento; essi saranno seguiti dalle famiglie e
dalle sempre più convinta presenza di nuclei nei poderi. Già c’era un
gruppo di abitanti legati ai Colonna e dimoranti nelle loro terre, ma ora si
tratta di spostamenti consistenti che portano alla costruzione prima di
pagliai, poi di baracche, ed infine di numerose casette permanenti, che vanno
ad affiancarsi ai pochi casolari rurali, già edificati da qualche decennio, e
posti al servizio delle vaste proprietà dei grandi possessori di terreni. Ma
l’emigrazione incalza la società patricana poiché l’incremento
demografico è sempre più elevato; se quella verso le paludi pontine deve
essere soprattutto stagionale, quella verso Roma rimane consistente e porta ai
primi abbandoni totali; ma si affaccia anche quella extranazionale: si era
avuto un coraggioso emigrante, Macario Marchetti, già fratello laico gesuita,
egli ha fatto da battistrata a quel vasto numero di patricani che, a partire
dalla fine dell’Ottocento, si recheranno numerosi in Argentina e,
soprattutto, negli Stati Uniti. Prima guerra mondiale, fascismo locale,
seconda guerra mondiale sono grandi avvenimenti (e usati per periodizzare) che
però sono stati intensamente vissuti a Patrica anche se con una particolare
valenza locale.
La storia del Novecento si apre con la presenza di una grande novità:
la lega contadina, che è, da una parte, l’articolazione locale di quel
diffuso movimento socialista, dall’altra, la speranza del riscatto contadino
e agente di lotta politica antisignorile. Le vicende del febbraio 1912 sono
appunto esemplari in questo senso: da una lato l’agitazione patricana è
inserita in un contesto di un conflitto più ampio portato avanti da settori
del Partito Socialista, dall’altra è prodotto di questioni locali. La
vicenda genera due conclusioni: la subitanea scomparsa del vecchio ceto
dirigente liberale, incarnato dai grandi possidenti, e l’elezione del primo
sindaco contadino del Lazio. Questo fatto accade alla vigilia della prima
guerra mondiale, a cui hanno partecipato diverse decine di giovani patricani e
nella quale alcuni sono defunti: il loro nome è perpetuato dalla lapide
commemorativa apposta al monumento ai caduti eretto nel 1921. Ma l’elezione
di un sindaco contadino creava altri problemi, fra cui il rapporto con il
potente segretario comunale De Libero e apriva la strada alle rivendicazioni
sociali e politiche di altri gruppi. Fascismo, presenza dei cattolici in
politica, modernizzazione in atto, vecchie lotte familiari si mescolano in un
groviglio di interessi e fatti che ancora sono tutti da chiarire e da
comprende bene. Certo è importante la presenza sulla scena pubblica
dell’arciprete don Icilio Simoni, portatore di istanza di modernizzazione e
razionalizzazione (sulla scia delle contemporanee istanze sociali del
movimento cattolico), ma egli rappresenta anche desideri non inconfessi di
scalata sociale delle nuove famiglie. Di fronte c’è un variegato gruppo di
oppositori che utilizzano i partiti come contenitori e non si rendono nemmeno
ben conto della portata di certuni fatti. La lega contadina di fatto si
smembra e molti, sulla scia dei fatti nazionali, o passano ai fascisti (visti
come è noto come una diaspora socialista), o emigrano o resistono
barcamenandosi sulla onda degli impegni pubblici presi. Il partito popolare è
una creatura nelle mani dell’arc. Simoni e della sua banca, la Cassa
Agricola e Rurale di Patrica, forse il più potente strumento di intervento
economico e sociale inventato a Patrica. Il partito nazionalista, al di là di
una certa adesione a vertici romani da parte di Moretti, è uno strumento
nelle mani di alcuni nuovi notabili. La conclusione delle vicende è data dai
fatti nazionali: la lega è perseguitata da fascisti e dalle autorità
pubbliche; il segretario De Libero è attaccato su due fronti e cerca di
allearsi con i vincenti fascisti, qui presenti come nazionalisti (la sezione
dei fascisti è ispirata dall’arciprete Simoni), i nazionalisti - fascisti
portano a Patrica, come sindaco - podestà, Riccardo Moretti, in una infausta
(per lui) vicenda, condita di pettegolezzi e incapacità a realizzare alcunché.
Insomma, pur ribadendo che il periodo è tutto da comprendere, dobbiamo
registrare che in un lungo periodo a Patrica si è costruito poco. Se
all’inizio del Novecento si era realizzata la nuova strada rotabile
(completata nel 1915), si era portata l’illuminazione pubblica elettrica,
completato il sistema fognante, negli anni venti-quaranta si è costruito il
mattatoio, rifatto l’acquedotto (causa di un lungo contenzioso) e
risistemata qualche strada interna. Nel contempo la popolazione cresce in modo
abnorme giungendo persino a 3.500 abitanti, e questa è la causa di fondo di
un’emigrazione più massiccia, fino alla chiusura delle frontiere verso le
Americhe, e poi verso Roma che diventa la valvola di sfogo dell’intero
Lazio. Le bonifiche pontine sembrano aver più danneggiato che favorito
l’economia paesana poiché si perdeva un serbatoio di lavoro stagionale.
La seconda guerra mondiale è ricordata più per il
tragico epilogo che per altri particolari episodi: lo stanziarsi del fronte a
poche decine di chilometri di distanza, a Cassino, fa di Patrica un sicuro
retroterra e per questo, pare, qui si è posto il comando della divisione
Hermann Goering, il comando di una divisione slovacca. Ci sono state frizioni
con la popolazione (ad esempio l’arresto di Publio Magni) ed una certa
attività di resistenza con la creazione di un gruppo armato, anche se per lo
più formato da gente desiderosa di non essere reclutata nell’esercito
repubblichino. I tedeschi hanno ucciso diverse persone, compiuto
rastrellamenti e soprattutto sequestrato beni materiali. La liberazione si è
subito presentata con un volto duro: i cannoneggiamenti durante l’avanzata e
le truppe di colore, che anche qui hanno prodotto pochi ma significativi
danni. Il secondo dopoguerra è caratterizzato dalla
voglia di vivere e di ricominciare daccapo. La vitalità si esprime con
iniziative economiche e sociali: qualche giovane si ingegna a fare mestieri
scomparsi come il carbonaio e si organizzano spettacoli teatrali
all’oratorio San Nicola, per ritrovare il gusto di vivere e divertirsi. Ma
il paese non dà lavoro, il territorio è troppo densamente popolato,
l’agricoltura non dà neppure da sopravvivere: molti emigrano
definitivamente in America, in una corsa al benessere e quel nuovo mondo che
sta trasformando tutto e tutti. Ricomincia anche la corsa verso Roma e negli
anni cinquanta il paese si spopola del tutto; decade l’economia montana e
quella di pianura stenta a mantenersi attiva. Le grandi aziende agricole
crollano per via della impossibilità di mantenere le quote di mercato e la
produzione, le piccole sono condannate all’autoconsumo. Negli anni sessanta
la crisi dell’agricoltura è totale: i campi servono solo per un sempre più
secondario autoconsumo e, a partire dal 1961 il “Campo”, il miglior angolo
del territorio patricano, è destinato ad ospitare le fabbriche per
un’incipiente industrializzazione. Da allora il piano è stato occupato da
decine di industrie che hanno dato una nuova realtà al paese ed alla zona.
L’economia in questi cinquanta anni che ci separano dalla fine della guerra
è stata totalmente trasformata: le risorse principali vengono dal lavoro
salariato, dall’occupazione in fabbrica, da quella nei servizi pubblici e
privati. L’agricoltura è praticamente inesistente, ridotta a livello di
mera occupazione secondaria (o part time) o di semplice “divertimento” o
passatempo. Altri mestieri sono comparsi che hanno determinato cambiamenti
notevoli nella mentalità e nei comportamenti. Appunto a questi fenomeni fa capo il
grandioso cambiamento avvenuto con le trasformazioni sociali degli ultimi
decenni e che si possono sostanziare in una formula: una nuova acculturazione
di massa. Ciò ha determinato profonde variazioni nella vita sociale di cui
qui non facciamo menzione per registrare alcune vicende della vita politica.
Il dopoguerra è dominato dal partito repubblicano, guidato dall’ins.
Giuseppe Ferrarelli, e l’attività si indirizza verso la costruzione di una
rete moderna di strade verso tutte le contrade di campagna e, poi, di
acquedotti rurali. L’abbandono progressivo da parte della popolazione del
centro storico è il pendant preoccupante di tutto un periodo, che non riesce
a far fronte alle necessità di stare al passo con le profonde trasformazioni,
che nel frattempo avvengono nella società circostante a causa delle scarse
risorse. Né le amministrazioni democristiane del 1964-70, e del 1975-80, né
il ritorno di Ferrarelli fra il 1970 ed il 1975 possono appunto far fronte
alle gravi necessità, anche se bisogna riconoscere che certune novità sono
avvenute come la costruzione e l’ampliamento degli edifici scolastici nelle
campagne, della scuola materna, diverse, tante, piccole opere fra cui l’asfaltamento
delle strade rurali, la distribuzione dell’acqua potabile a buona parte del
territorio. Ma questo periodo, come quello più recente dell’amministrazione
comunista, richiedono una ricostruzione storica ancora non possibile.
DESCRIZIONE DEL PAESE E DEI SUOI PRINCIPALI MONUMENTI
Il paese oggi è frazionato in diverse entità territoriali:il centro
storico, le contrade: Tufo, Colle S. Giovanni, Tomacella, Quattro Strade,
Fontana de’ Conti, Celleta, Selvadonna, Lori, Valiana, Cardigna. Solo il
centro storico presenta un agglomerato urbano, mentre il rimanente degli
insediamenti è formato da case sparse, spesso contigue solo lungo le strade
principali e per brevi tratti. Il centro storico di Patrica è un tipico agglomerato appenninico di
scollinamento, sorto lungo un costone, prima nelle zone rivolte ad oriente e
poi nell’area superiore, fino ad occuparne una certa porzione. Un gruppo di
case si è disposto sulla sella che univa la collina al monte Cacume e altre
case sono state costruite lungo le strade di scollinamento, determinando cosi
l’ampliamento del primitivo borgo.
Dentro questo insediamento e nelle sue immediate propaggini sono stati
ricavati gli spazi sociali: le piazze, le strade, gli edifici d’uso
collettivo, essenzialmente il palazzo comunale e le chiese. Il processo di
costruzione del borgo è durato circa un millennio ed attualmente si assiste
alla crisi di questa forma di abitato, in quanto si sta tornando a quella,
tipica del mondo romano, dell’insediamento diffuso nel territorio.
In questo paese diversi sono i monumenti, qui ne descriviamo
sommariamente alcuni: si va dai resti di ville romane a quelli medioevali, dai
palazzi agli edifici delle chiese per terminare con i monumenti isolati.
Le due ville rustiche di epoca romana sono ridotte ormai a pochi ruderi.
La prima si trova in località Maceroni e di essa rimangono solo alcuni massi
del “podium” e qualche muraglia; la seconda si trova in località S.
Pietro ove rimangono solo alcuni muri di un’aula. Del Castrum Cacuminis, già esistente sul cono di Cacume, rimangono
pochi muri del suo vasto recinto. La torre sommitale è stata poi reimpiegata
ome basamento per la chiesa eretta all’inizio del XIX secolo, ed in corso
di ricostruzione. Scendendo dalla sommità del monte si incontrano muraglie,
già appartenenti alla cinta ed agli edifici: si tratta di brevi tratti che,
sommati fra loro, raggiungono i 150 m. circa. La ricostruzione della pianta ha
evidenziato che il castello aveva una probabile forma trapezoidale, con due
porte e torri di cui rimangono scarse tracce. La Cittadella è di origine medioevale, risale probabilmente al mille ed ha subito
diversi interventi e modifiche posteriormente. Corrisponde alla rocca del
paese e attualmente comprende la parte residua del mastio, un pezzo della
cortina e tre torri cinquecentesche, di cui una lontana dall’area sommitale,
che si distinguono per le feritoie a bocca di lupo per artiglierie.
A porta S. Rocco si eleva una torre, risalente al XV secolo;
restaurata di recente
apparteneva al sistema difensivo della porta (di cui rimangono tracce poco
leggibili). Alta m. 7, è larga m. 6: appare quindi molto tozza ed oggi
risulta fortemente rimaneggiata.
La storia del Palazzo Comunale è
stata scritta recentemente. Il palazzo è antico e risale al Cinquecento
quando, a fianco della torre della porta e sopra il loggiato, vengono
edificate delle camere. All’interno del palazzo c’è una corte ove è
raffigurato S. Cataldo allora protettore del comune. All’inizio del
Settecento il palazzo minacciava di crollare e si cominciò a costruire il
primo dei quattro speroni che attualmente si vedono avanti il portico. Altri
lavori si fanno alla fine del Settecento e nel corso dell’ottocento; alla
metà del secolo XIX assume l’attuale configurazione mutando successivamente
solo l’aspetto per la costruzione del grande balcone. L’assetto interno è
stato modificato più volte fino ai lavori degli anni ottanta. L’elemento più
caratteristico è sicuramente la facciata che presenta un grande uso di
peperino locale, molto scuro e granuloso, con cui è stata costruita la “Loja”,
il portico sottostante, fatto con quattro pilastri che hanno generato tre con
volte a vela. I quattro pilastri sono rinforzati da altrettanti grandi scarpe,
o speroni. La facciata si presenta grigiastra ed è caratterizzata da
marcapiani e fiancate in pietra peperino. La parte destra del palazzo è
costituito dalla torre, unite mediante aperture a cui si appoggia l’intero
edificio.
Il Palazzo Spezza è il risultato della
progressiva trasformazione della parte anteriore della fortezza che dominava
Patrica, quella che oggi si chiama Cittadella. Infatti le parti più in basso,
dopo lo smantellamento della fortificazione, furono trasformate ad uso civile
e, vendute dai Colonna agli Spezza, ridotte a palazzo mercé l’intervento
del priore gerosolimitano Domenico Finateri, il quale introdusse stili
architettonici provenienti dalla Francia e dall’Inghilterra. Il palazzo
sorge in alto, ed incombe sul paese. Attorno vi è stato costruito un piccolo
parco con giardino all’italiana. L’edificio si sviluppa su tre piani. Il
piano inferiore è stato destinato a cantine; il primo piano è formato da una
doppia fila di saloni, arredati ed adornati secondo stili di fine Ottocento.
La sala da ballo, posta sul lato sinistro dello stabile richiama saloncini
inglesi del Settecento e su questo salone si apre la piccola cappella
domestica.
Il Palazzo Colonna sorge in località
Tomacella ed è prospiciente il fiume Sacco, in un luogo strategico poiché lì
era posto l’unico passaggio sul fiume sorvegliato da una torre già
esistente nel Trecento. Attorno a questa costruzione agli inizi del Seicento,
Filippo Colonna deve avervi costruito un palazzo in onore della moglie
Lucrezia Tomacelli. Lavori settecenteschi sono stati diretti dall’arch.
Domenico Schiera ma l’edificio, oltre che residenza rurale dei Colonna fino
ai recenti anni sessanta, è stato utilizzato soprattutto come centro della
vasta azienda signorile.
La costituzione sorge avanti il fiume, sopra una balza tufacea tagliata
per rendere più arduo il passaggio del fiume. Attorno, su tre lati, il tufo
è stato tagliato per fare un fossato, scavalcato da un ponte in pietra là dove è
stato costruito l’ingresso principale caratterizzato da un grande portale.
Da questo si entra nel palazzo e per un andito si perviene nel cortile che ha
il prospetto frontale costruito come un atrio a doppia scalea. Dal cortile si
accede ai numerosi locali, già scuderie e, più recentemente, usati come
stalle dell’azienda Colonna. Il piano nobile è costituito da una lunga fila
di saloni, due dei quali occupano in altezza due piani. Alla base della torre
è stato ricavato un ambiente che sembra essere stato destinato a cappella
domestica. Poche le decorazioni, per lo più costituite da grandi fasce rosse,
qualche stucco ed elementi architettonici. Al di sopra del palazzo svetta la
torre che ha sembianze settecentesche.
S. Pietro è la chiesa più grande del paese e la principale
dal punto di vista religioso, essendo la chiesa matrice. Di antiche origini,
esisteva nel Duecento, l’edificio prim’evo è stato trasformato nel corso
dell’Ottocento, dopo averne cambiato l’orientamento: attualmente sul lato
ad est si notano i resti della costruzione medioevale. La chiesa è a pianta a
croce latina con abside semicircolare e otto cappelle, due poste ai bracci del
transetto e sei sui due lati della navata. Sulla crociera si innalza una
cupola chiusa in alto, all’esterno, da una lanterna. Misura m. 50 di
lunghezza, m. 12 di larghezza alla navata, al transetto è larga 27,5 m. La
facciata è scandita da un basamento e lesene in peperino ed è coronata da un
timpano e da uno stemma pontificio opera dell’artigiano locale Gaudioso
Grossi.
Appena si entra ci si trova sotto una grandiosa cantoria in legno che
sorreggeva un organo, oggi sostituito da un grande armonium. L’interno è
luminoso e solenne. Alle pareti delle cappelle sono state poste grandiose pale
d’altare. A sinistra ci sono le cappelle: del battistero con
crocefisso ottocentesco, del S. Rosario, di S. Giacinto con una tela di
ottima fattura il cui autore è sconosciuto; seguono quella dedicata a S.
Cataldo con statua del santo, e quella del transetto dedicata a S. Giuseppe
con tela. A destra vi sono le cappelle di S. Anna con statua, del Sacramento,
di S. Sebastiano con statua e dell’Immacolata con tela. L’altare maggiore
si eleva isolato nel presbiterio, circondato da un imponente coro ligneo
ottocentesco e sovrastato da una grande pala. La nuova sagrestia è stata
dotata di un altare con tela proveniente dalla Madonna della Pace. Il
campanile è posto al lato sinistro della facciata, costruito con largo
impiego di peperino e non possiede cuspide.
S.
Giovanni Battista
ha origini medioevali, ma l’attuale edificio è stato costruito alla
metà del Settecento. Anche in questo caso sono stati cambiati
l’orientamento e lo stile architettonico. La facciata è barocca a due
ordini, basamento in peperino locale, grande finestrone e portale monumentale
di pietra calcarea. All’apice è stato posto un altorilievo raffigurante
l’agnello. Ai lati due cuspidi in peperino. La chiesa è a pianta a croce
latina con sei cappelle laterali, di cui al transetto, sopra del quale sorge
una cupola. Il campanile è stato costruito sul lato sinistro della facciata e
si innalza per sei piani, segnati da marcapiani in peperino e con monofore.
E’ sormontato da una cuspide. L’interno è vasto ed armonioso:
all’ingresso si erge una grande cantoria lignea costruita nel Settecento, già
molto decorata e attualmente fortemente depauperata.
Su quest’ultima è installato un organo monumentale, opera dei Catarinozzi e
degli Spadari. L’interno di S. Giovanni si apre con la cappella a sinistra
dedicata a S. Cataldo, con quadro seicentesco. Segue la cappella dedicata a S.
Andrea Avellino, anch’essa con pala a cui fa seguito il pulpito ligneo del
Seicento e la cappella del Rosario con grande pala d’altare; in questa
cappella, oggi usata come cantoria, si apre l’ingresso per il cappellone
della Confraternita della Buona Morte, anch’esso settecentesco con piccoli
quadri di un pittore naif locale. Il lato destro è occupato dalla cappella
recentemente dedicata a S. Gaspare con tela del Gagliardi; nell’incavo
dell’altare statua settecentesca del Cristo morto. Segue l’ingresso per la
sagrestia (ove c’è un antico stiglio ligneo per i paramenti e armadio
sedile opera delle confraternite). Dopo ci sono le cappelle dedicate a S.
Antonio Abate, con una pala seicentesca, ed alla Beata Maria De Mattias, con
quadro recente. L’altare maggiore è stato ridotto alla forma moderna e si
è abbattuto il vecchio altare settecentesco, costruito con finti marmi; è
circondato da un imponente coro ligneo della fine Settecento opera di
artigiani intagliatori locali. Al di sopra una grande pala d’altare del
pittore Niccolò Dalla Piccola del Settecento. Alle pareti della navata
pendono i quadri di una Via Crucis seicentesca recentemente decurtata di
alcuni pezzi per via dl un furto.
La
Madonna della Pace è stata spostata di sito in quanto una precedente
chiesetta sorgeva più in alto, dove oggi campeggia la statua della Madonna
Immacolata e la cui ara d’altare è stata reimpiegata come pietra parietale
del muro della piazzetta. La chiesa è stata costruita ad opera e spesa dei
fratelli Francesco e Macario Marchetti su progetto dell’arch. Bernardo
Lugari verso la fine dell’Ottocento e consacrata nel 1890. Si tratta di una
costruzione notevole, alzata sopra un falso podio e tutta costruita con grandi
blocchi tufacei che ne caratterizzano la facciata e le modanature delle
fiancate. Per salire al piano si è costruita una grande scalea d’ingresso
che immette della piccola navata grande m. 11,30 x 6, caratterizzata da
affreschi di fine secolo rappresentanti storie della Madonna e dipinti ad
affresco dal pittore Salvatore Nobili. Le pitture rappresentano
l’Annunciazione, l’incontro al tempio fra la Madonna e S. Elisabetta, la
Natività, la Fuga in Egitto, la Madonna della Pace in trono con le sante
Apollonia e Lucia; i primi quattro sono posti nella navata, l’ultimo nel
catino absidale. Al di sotto degli affreschi sono stati dipinti sei medaglioni
raffiguranti la storia della caduta dell’uomo. Secondo una tradizione
locale, abitanti della contrada posarono come modelli.
La chiesa dedicata a S. Francesco Saverio è detta anche dei i
Frati, cosi come sono chiamati i Missionari del Preziosissimo Sangue. E’
nata solo alla metà dell’Ottocento a seguito dell’arrivo dei Missionari.
I recenti lavori hanno dato un’altra veste alla facciata che si mostra
rustica essendo stata ripulita dagli intonaci: si presenta su due piani
marcati da lesene ed un marca - finestre; in alto un finestrone. L’interno
è a croce latina lunga
m. 17 e larga
m. 14. La cappella di sinistra è dedicata a S. Francesco Saverio con pala, al
centro l’altare maggiore con crocefisso e paliotto marmoreo sotto il
tabernacolo. La cappella di destra è dedicata a S. Gaspare con grande tela.
Sulla crociera c’è una cupola. L’edificio vicino è la casa dei
Missionari e la semplice facciata qualche anno or sono, è stata adornata da
una statua in terracotta rappresentante il Redentore e S. Gaspare, opera dello
scultore Turriziani.
La Madonna di Piedimonte è attualmente
sconsacrata e sta al posto di un’antica chiesa medioevale, abbattuta alla
metà dell’Ottocento quando venne costruita l’attuale. Sembra che imiti
una chiesa romana ed è composta da un’unica aula rotonda coperta da una
cupola.
S. Rocco sorge al posto di due più antiche
chiesette gemelle, dedicate a S. Sebastiano ed allo stesso santo di
Montpellier. Abbattute dall’arc. Simoni, lo stesso ne iniziò la costruzione
e la chiesa funzionò fino alla caduta del tetto, si dice per un’abbondante
nevicata. Da allora la chiesa rimase abbandonata fino alla recente
ricostruzione: è stata riconsacrata nel 1964. Si presenta con una facciata
mistilinea: il basamento è il peperino e l’alzata in cemento imitante la
pietra. L’interno è a navata unica e l’aula misura m. 8 x 25; il
presbiterio è rialzato con unico altare alle cui spalle c’è la nicchia con
la statua di S. Rocco, affiancata da due cartoni, opera di Pia Refice,
rappresentanti due angeli.
La chiesa di S. Anna, già S. Cataldo alla
Tomacella, è stata edificata nel corso del Seicento e consacrata nel 1671.
Conosciuta con il titolo di S. Anna, perché consacrata il 26 luglio, festa
della santa, oggi rievocata da una fiera annuale di merci e bestiame, è ad
unica aula con altare. Gli affreschi seicenteschi sono stati coperti in
occasione di una recente ripulitura. Alle pareti nicchie, una vetrata chiude
il fondale opera, assieme alla terracotta collocata all’esterno sopra il
portale, dell’artista Elio Turriziani.
Le chiese dedicate a S. Cataldo e Gaspare,
alle Quattro Strade e a S. Giorgio al Tufo sono recenti; la prima è
parrocchiale ed è in corso di ristrutturazione; la seconda è la più piccola
delle chiese locali.
La Croce di Cacume, o monumento del Redentore,
è stata eretta nel 1903 in ricordo del Giubileo dell’anno 1900 e fu voluta
come segno tangibile della fede cristiana in un’epoca di profonde differenze
fra stato e chiesa. E’ stata costruita a Patrica, come in altri 12 luoghi
d’Italia, per una serie di motivi e che portavano il paese ad essere vicino
all’allora regnante pontefice, Leone XIII, al secolo Gioacchino Pecci di
Carpineto, un paese profondamente legato a Patrica per la comune radice lepina.
La croce fu costruita dalle acciaierie di Terni e portata a braccia e con
l’ausilio di animali da trasporto sopra il cono di Cacume.
E’ alta 14 metri e pesa 44 q. Fu portata durante l’estate ed
inaugurata e benedetta il 14 settembre 1903 dal vescovo di Ferentino. Delle
fasi costruttive e delle cerimonie rimane una serie di fotografie a memoria
dell’evento. La croce caratterizza ulteriormente il monte Cacume, in quanto
visibile da lontano.
Il monumento ai caduti sorge sulla piazza
principale ed e formato da massi di peperino su cui svetta un’aquila. Lapidi
ricordano i caduti delle due guerre mondiali.
Un monumento recente è quello eretto in memoria di Licinio
Refice, a cura della nipote Pia, e realizzato dallo scultore Martini: il
musicista patricano è riprodotto da un semibusto e si affaccia da una
finestra della casa abitata dal maestro per buona parte della sua vita.
Vicino, una lapide rammenta il maestro e dà la falsa informazione che quella
è la casa natale del musicista, nato invece in un’altra abitazione posta
vicino la chiesa di S. Pietro.
Il
monumento a S. Gaspare o contro la violenza è stato eretto a seguito
dell’uccisione del procuratore della repubblica Calvosa e dei suoi
collaboratori Pagliei e Rossi. E’ in onore di S. Gaspare, opera
dell’artista Ingletti e si compone di due gruppi: il primo raffigura S. Gaspare con scene,
incise sul mantello, della sua opera di pacificazione; l’altro raffigura la
decomposizione del corpo umano dopo la morte. I due gruppi sono collegati da
un arco di pietre e sorge al centro del giardino comunale.
DATI TERRITORIALI
Descrizione del territorio
Il territorio comunale di Patrica occupa un’area
della provincia di Frosinone e che va dal culmine di alcuni dei monti Lepini
fino al fiume Sacco. Se in quest’ultima direzione il confine può essere
definito naturale, poiché trova in un elemento geografico la sua
delimitazione, negli altri lati i confini sono stati fissati con punti
convenzionali.
Il territorio dl Patrlca è delimitato a nord da quello
di Supino e Frosinone, ad est dal territorio di Frosinone e Ceccano, a sud e
ad ovest da quello di Giuliano. E’ compreso fra i 0,46 - 0,53 di longitudine
da Roma e i 43,34 - 41,37 di latitudine. Il territorio è vasto circa 2.699
ettari ed è suddivisibile in quattro grandi aree: montana, alto collinare,
collinare e pianeggiante. Dal punto di vista dell’utilizzazione e
destinazione si distingue in boscoso, prativo, seminativo, residenziale e
industriale.
Geologia
Rispetto
alle caratteristiche geologiche, il suolo è prevalentemente calcareo: nelle
aree montane e verso meridione sono presenti calcarei bianchi ed avana,
microgranulari e stratificati con
intersezioni di calcarei dolomitici. Le zone a nord ed il colle di Patrlca
presentano calcare nocciola dalle stesse caratteristiche del precedente. Le zone
di
scollinamento, e parte della Valle sono composte da tufi incoerenti e
pozzolane rosso scuro. In queste zone sono presenti cinque aree
di tufi grigi
con
abbondanti tracce di
calcari e dolomie. L’area di
Cona MaiùSelvadonna è formata
da argille e fra Tomacella e Quattro Strade c’è una zona di tufi pomicei a
strati, includenti arenaria.Tutta la piana è formata da detriti e sedimenti
argillosi con lenti di torba e marne.
Orografia
Patrica può essere considerato uno dei paesi più
ricchi dl verde di tutta la provincia: sono noti infatti i numerosi boschi e
castagneti ciò è dovuto per lo più alla particolare geologia - orografia
locale e di questo complesso bisogna ricordare il Monte Cacume.
Il gruppo montuoso di Cacume è situato
all’estremità Sud-Est della catena orientale dei Monti Lepini che va da
Gorga a Giuliano di Roma. Tale complesso ricopre una superficie di circa 1000
ha ed è compreso nel territori dei comuni di Patrica e Giuliano dl Roma. Il
monte è sovrastato dal caratteristico cono calcareo e raggiunge un’altezza
di 1096 m. s.1.m.
Cacume fa parte dei monti Lepini che a loro volta fanno parte del grande
complesso pre-appenninico dei Lepini, Musoni e Aurunci. Il classico cono dl
Monte Cacume è il residuo di un’antica faglia piegata a gomito, modellata
dall’erosione oppure spostata in loco, che poggia su uno strato di Miocene
dei pianori a quota 800 - 900 m. Monte Cacume è il più caratteristico dei
Monti Lepini e la sua forma conica spicca isolata sullo sbocco della valle di
Prossedi, Giuliano, Ceccano e nella Valle del Sacco. La posizione del monte ed
i suoi microclimi. hanno favorito la crescita di tipi vegetazionali di diverse
origini geografiche. Sono presenti contemporaneamente tipi diversi di
vegetazione con influssi Mediterranei, Nord-Africani, Continentale
Appenninico, Continentale Atlantico e Balcanico Orientale.
Il monte Calciano e l’altro monte Creta Rossa, che sovrasta la Valle,
fanno da corona a Cacume; si tratta di montagne più basse che presentano cime
arrotondate (segno di vetustà) e le sole pendici settentrionali risultano
ricche di verde.
La zona montuosa costituisce la prima parte geografica del territorio
comunale; la seconda zona è quella delle colline che hanno nel colle, ove
sorge il centro storico del paese, la punta più alta. Al di sotto si elevano
modeste colline che degradano verso il basso, verso la pianura del Sacco. Una
collina che non appartiene alla scoscendimento del Cacume, ma si propaga dai
monti Calciano e Siserno è quella di Selvadonna, al confine con Cecceno.
La zona si pianura si estende fra le ultime
propaggini delle colline e la delimitazione data dal corso sinuoso del Sacco.
La piana è divisa in due zone dal piccolo rilievo della Tomacella: il Campo
di Patrica, posto in direzione del territorio di Supino e la piccola pianura
alluvionale fra la Tomacella, l’altura delle Quattro Strade e Selvadonna, in
direzione di Ceccano.
Idrografia
Le acque di superficie sono molto diverse: il fiume Sacco è l’unico
corso d’acqua perenne con grande portata mentre esistono diversi piccoli
rivi, anch’essi perenni, ma di minore entità che raccolgono le acque di
sorgente; i principali sono i fossi Verdesca, S. Maria -Vadisi, Uccelletta e Lagoscillo.
Il fiume Sacco è posto al confine nord - est del territorio e fa da
confine con quello di Frosinone. Oggi è un fiume scarsamente utilizzato
mentre in precedenza serviva per l’irrigazione, per la pesca e per far
funzionare il mulino della Tomacella. Prima era valicabile solo per mezzo del
ponte alla Tomacella, in seguito, con lo spostamento della strada statale per
la Marittima, si è costruito un altro ponte, il cosiddetto “Ponte
Bianco”. I fossi menzionati hanno carattere alluvionale, anche se raccolgono
le acque di numerose piccole sorgenti perenni di pianura ed attualmente le
acque reflue dei pozzi. Il Lagoscillo si presenta con un interessante sistema
di canalizzazione irrigua nella pianura del suo corso più alto.
Le sorgenti perenni patricane sono
numerose. Sul M. Cacume alla base del klippe (cubatura fra i 20.10 alla 6 e i
25.10 alla 6) ci sono appunto alcune sorgenti in ciascuno dei quadranti. Sono
a regime fortemente variabile, con una portata invernale a volte superiore ai
6 litri al minuto secondo, mentre l’estate scendono a meno di 2 litri. Più
in basso, a 810 m. sboccano altre sorgenti come La Rava, Fontana Ciraso e
Fontana Sambuco. Altre sorgenti non perenni e di scarsissima portata sono
presenti alla valle e in tutte le zone di congiungimento fra aree geologiche
diverse. In pianura si trovano sorgenti di diversa tipologia come: Lagoscillo,
Fontana di Graia, Fontana Gelatina, Fontana S. Pietro (oggi disseccata). Attualmente
l’acqua è captata attraverso pozzi che diventano sempre più profondi fino
a giungere a falde poste a circa m. 170.
Pedologia
Il territorio di Patrica
presenta le seguenti destinazioni pedologiche. La zona montana è totalmente
coperta da boschi (in forte ripresa e composti soprattutto da faggi, querce,
cerro, leccio) e da prati. Le pendici dei monti, poiché il territorio è
prevalentemente rivolto a nord - est, sono coperte da folti boschi e qui si
trovano oltre ai faggi e cerri anche querce e soprattutto castagni. Le aree
collinari, escluse quelle urbanizzate, presentano ampi boschi di castagno,
diversi oliveti (per lo più abbandonati) mentre i fondovalle, già destinati
all’agricoltura, sono a prato ma anche qui è in ripresa il bosco e gli
alberi paiono sempre meno radi. Le pianure alluvionali e spicchi di aree
collinari sono in gran parte coltivati e solo pochissime zone sono state
destinate a colture specializzate (vigneti); anche in queste zone prevalgono i
prati. Un’area, già fortemente coltivata, ed oggi lasciata a prato (con
qualche esempio di rimboschimento razionale) è la zona destinata, ed in parte
coperta, dai fabbricati delle industrie.
Superficie territoriale: kmq 26,99
Altitudine delle principali zone:
·
Cardigna
265
·
Celleta
163
·
Centro storico
443
·
Cittadella
509
·
Colle Lo Zompo
704
·
Colle S.
Giovanni
220
·
Fontana dei
Conti
141
·
Illori 213
·
Monte Cacume
1.096
·
Quattro Strade 150
·
Tomacella
153
·
Tufo
185
·
Valiana
182
|
|