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Corte
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115.

Quest’anno non c’è
profumo d’inverno:
odore di freddo,
di nebbia e di neve.
Solo un giorno soddisfatto
e sognante
è stato toccato
dall’affetto di un abbraccio
del respiro del gelo:
perché maledici quel giorno?
Per la prima volta
mi ha portato a me stessa
nella mia stagione:
ho sentito che mancava
la realtà
che doveva nascere
da un sospiro sorriso
da tutti i fiori
che non profumano,
sereni di sollievo di vita
mentre si offrono
all’opaco biancore
che li renderà lievi,
come impossibili:
grani di cristalli d’acqua
eterneranno
la loro bellezza perfetta.

 

 

Amore mare

Proteggerò i miei piedi
per avvicinarmi a te:
nascondendoli in sandali di cuoio
su un sentiero di legno levigato:
severo e arioso, serio e giocoso:
ordinate strisce
sconnesse da nodi di corda.
Affonderò nudi i piedi
lottando con il sole:
nella tua sabbia
appuntita, mobile
asciutta avvolgente: morbida.
Mi chinerò, mi avvolgerò su me stessa:
per accarezzare le tue dita,
che giungono fino a riva,
che giungeranno perfino a me
sul bagnasciuga:
il confine dei tuoi sguardi più profondi.
E se avrai lscogli, per me o per gli altri,
appoggerò un palmo
su una parete verticale
tiepida di primavera, calda di tramonto
o di mezza estate,
rovente di luglio:
orgoglioso e steso
godrà di quel calore
o sfiderà, muto e saggio,
le ire della tua pietra.
Ed infine mi immergerò nelle tue acque
di vita e di morte,
che portano via ogni dolore:
in ondate di rabbia e moti di lacrime,
in disperazione ed in ritrovata purezza,
in dimenticanza e dolce oblio,
in serena contentezza e pace di distensione;
nel liquore dei tuoi pensieri,
che si possono anche guardare e non vedere
poiché li ammanti di effimera gioia
per chi non li vuole
sentire da dentro:
con il tuo più amabile beffardo sorriso
così li proteggi,
mare fatto di uomo
uomo fatto come il mare.
 

 

Amicizia

Roccia di montagna sono:
eppure tu mi vedi
come molle sabbia,
che lascia affogare i piedi,
che sembra fuggire
di più sotto un passo sicuro.
Sono scoglio
ruvido e scosceso:
tu non sei barca che io possa affondare:
sei gabbiano:
libero di dubitare,
ma anche di riposare,
sulle mie pareti scivolose;
di godere in pace del sole,
sulle mie punte
e sulle piccole valli,
senza essere strappato
ai tuoi pensieri, se non vuoi;
di camminare sui miei pendii dove il mare
lascia il suo frizzo in cristalli:
quel sale non ferirà le tue zampe.
Sono solo spiaggia di lago,
che non riempie lo sguardo
perché lo chiude
tra le montagne
ed una piccola insenatura:
ma anch’io posso tentare
di mostrarti l’acqua
che brilla di sole,
in una scia che si allarga
fino quasi all’altra riva,
di concederti un pomeriggio
di tarda estate dolce,
piena di compagnia
senza pretese,
di discorsi di esistenza comune.
Soffri
più di quanto mi mostri:
ma la sofferenza non è una debolezza:
non ti potrò aiutare,
non lo vorrò neppure,
però non ti voglio dimenticare.
 

 

Chissà

Chissà se le betulle soffrono
mentre il vento strappa
le loro foglie vestite di festa,
per un nuovo novembre;
o se si lasciano agitare
come vive alghe
i rami che cedono
alla lusinga del sonno
le loro piccole dita a cuore,
rosse d’oro
Se sia guerra tenace,
per la penultima linfa,
per l’ultimo sangue che avviva
chi deve partire:
l’ultimo sangue
prima della vita;
o se sia abbandono,
come le chiome
che si spandono nelle acque della morte
e le avvolgono
e si dipanano
e si lasciano addormentare
in quella frescura gelida
Chi può sapere
quale calma
sia in quei rami
quando il vento non è più
quel dolce strazio ai miei occhi,
quel dolore che vorrei
fosse tutto per me;
quale sollievo
o quale paziente attesa
per il nuovo impeto:
del freddo d’inverno
che spoglia di tutto
e del tutto sopisce:
nella speranza di una nuova vita.
 

 

113.

Potessi tu desiderare di vedere
una sola goccia del mio sangue
arrossita per te:
allora accetterei
ogni forma di solitudine
Potessi tu vedere
in una mia parola una sensazione:
rabbrividirei
di gioia
e sorriderei
finalmente di me stesso.
E camminerei fiero sommesso
e tu non mi vedresti, ebbro:
sprecherei quel tempo
per la mia gioia stupida,
che per me vale
e non è niente:
come profumo
prezioso che si perde
in pochi respiri:
dissolto: non si trova più,
né si cerca.
Potessi tu
trarre un’emozione
pescando lentamente nei miei sogni
spogliati per chiunque:
porgerebbero il collo alla morte
che io vorrei infligger loro:
e così li sospenderei
per sempre
e sarebbero, mio malgrado,
immortali,
come i segni dell’amore per te
invisibili nei miei passi
e conservati senza cure
perché la mente li dimentichi
resi illogici dalla ragione,
opacizzati
come brutti ricordi.
 

 

Divenuta è aria

Divenuta è aria
la mia passione per te,
perché tu la potessi respirare,
normalmente.
Si è impegnato il mio sguardo
per vederti riflesso,
dal sole pomeridiano,
ancora impietoso,
prima del riposo,
in un ampio vetro:
e ho visto
ciò che sapevo: la bellezza
di metà di te,
non domata, sfacciata,
che lotta ferocemente,
contendendo
la maturità al tempo.
Prestato alla luce
è il mio tatto
perché percorresse il tuo viso,
per farmi strada
muta
verso quegli occhi
che mascheri sempre,
poiché forse essi sono
la tua fragilità,
il dolore soffocato e torto
delle tue parole aggressive,
non mai contente,
la sconfitta di una solitudine
che oltrepassa e sovrasta
spada trasparente, perfino la musica:
la solitudine che taci
ha reso forte la mia ragione
e quel bacio,
che avevo desiderato tanto
far danzare per te,
ho affidato, disilluso affetto,
ad un rapido soffio,
che l’ha portato
fino alle tue spalle,
ormai lontane,
sempre indifferenti,
vestite di scuro.
 

 

293.

Regalami una bussola,

affinché possa orientarmi

nella tua bellezza infinita:

nei tuoi occhi sono concentrati

i venti che solcano le rose

e che le portano all’oceano;

nei tuoi occhi si rispecchiano

le rocce delle cascate

e tutte le acque

che con coraggio

hanno placato le proprie tempeste;

nel tuo chiaro viso

si spaura il marmo,

perché sa

che non lo potrà imitare,

perché non è abbastanza vivo,

non abbastanza mobile,

perché conta il tempo in secoli

mentre tu hai gli istanti alle calcagna

e li tieni a bada

con frecce infinite

e con l’impeto di giovani spade.

Non perderò la strada,

sarò come un albero che conosce la campagna,

come uno scalatore che accarezza ogni roccia

e vi vede i nuovi mondi,

come un marinaio che si addormenta nel mare,

completamente tranquillo,

e riposa:

nella tua bellezza

troveranno casa i miei pensieri

e riposeranno, fiduciosi,

molti dei miei canti.

 

 

 

Distanza

 

Piove.

Piove, piove,

piove:

penso che tu lo senta

(sì, se stai pensando a qui).

Piove:

penso a te

e sento brillare

qualcosa che mi abita il cuore

da un giorno.

Penso a te

e ai tuoi baci

con cui dormirò:

sarai tu a svegliarmi.

Piove: vorrei

che tu fossi ad ascoltare,

anche se così non ami.

Che importa se è notte?

Che importa se essa è adorna

di gocce come di canti

e di pietre preziose?

Come collane blu,

di mare e di sirene.

Sta per calmarsi,

tra poco sarà silenzio la pioggia.

E questa dolcezza svanirà

con lei

e anche il pensiero,

avvolto da sciarpe di seta.

Ma che importa?

Tu non vivi nella pioggia,

hai solo la tua carne altrove.

Vorrei solo,

per una volta,

aver unito un pensiero con te.

 

 

 

123.

 

Angoscia azzurra,

spalancata nella tua rotondità

di ghiaccio percorso

da sangue invisibile

e vivo, che ti anima

di tutte le tue impercezioni, sensibili

ad ogni umano misero cedimento,

così normale e da scandalo

nella terra taciturna

che ospita gli eroi

sopravvissuti

alle malie del grande occhio.

Tutta ti sgrani

nel dolore che anche tu puoi provare

e che ricomponi,

spiegandolo tristemente,

tu riluttante e compita,

nel tuo sguardo che lo fissa

e lo accetta, per domarlo,

e nella tua compagna bocca,

dischiusa

come pronta ad una preghiera

candida e delicata.

Dolcezza costernata,

che vedi ogni strappo

dell’anima mescolata al corpo

aggrappata al mondo

candido e delicato delle tue guance

ed estraniata, in deboli istanti,

da un potere che non vuoi

e che ti scava

voragini nelle radici,

nelle mura, nelle torri

delle tue reali certezze.

Ma tu prosegui

verso la distruzione di una follia

che ha arroventato di morte,

di brame,

gli spiriti e le civiltà,

foreste e vulcani.

In silenzio precipiti

in trappole tetre

di foschi fuochi

e ti risvegli

impaurita illuminata:

così ti alleni

a sacrificare il tuo destino.

 

Nevica

 

Nevica

lentamente sulle stazioni

nella metropolitana

e d’improvviso mi si trafigge il cuore,

con una lancia subitanea,

con una spada di orrore

di me,

di terrore e immenso amore,

compassionevole,

del mio sonno,

noncurante

delle sofferenze

che ha provocate

Ogni fiocco,

frattale, ghiaccio che danza,

è una stella cinese

acuminata a sette punte capitali

affilate come un peccato

Vorrei sorridere

come quando potevo,

e invece mi allontano

sprofondando e disimportando

tra occhi che si incontrano,

complici allegri che tacciono i pensieri,

tra affetti usuali,

che non mi conoscono,

né mai mi hanno visto:

voglio non invidiarli,

voglio solo osservarli

trasparente,

conservandomi nel cuore la neve,

che li ha ancora meravigliati

e fatti ridere

spontaneamente;

la terrò con me

in una teca di cuore

disperata

e sotto abiti neri e rubino

nasconderò

il sangue che ne sarà sgorgato.

 

 

 

129.

 

Ad occhi chiusi

o ad occhi aperti

il mio ricordo vi rivede:

dolente silenzio

spaccato, più che dischiuso

affiorato e sbocciato

in fissa azzurrità

trasecolata giù da una eterna fantasia

e incarnata, come in una statua

morbida, viva,

che stupisce

nella sua apparenza giovane;

il mio pensiero

dipinto dietro agli occhi

ti riecheggia:

pena trafitta

che guarda

e vorrebbe sillabare

un lamento

di conforto

come il lieve pianto

di un salice

che vorrebbe intiepidire il ghiaccio

senza ucciderlo:

non potete nulla di ciò,

dovete lasciarlo a noi.

E solo dopo le nostre lacrime

di compianto,

potrete abbandonarvi, liberi:

avrete salvato

gli uomini

e gli amici.

 

 

 

9.

 

Non ti conosco molto,

eppure so

che sei dolce,

come questo sole,

che mi fa rimboccare le maniche,

che mi fa desiderare

che il mal di capo

del pomeriggio

svanisca,

che i miei occhi non siano più assonnati,

perché possano apprezzare

questa chiarità

che abbraccia, teneramente,

perfino i sassi, i cipressi, i muri.

Non so comprendere

il tuo dolore,

che vorrebbe mietere

con un soffio

quello che ancora rimane nei campi,

lasciando solo

paglia sparpagliata e monconi di fusti:

saccheggio di una vita fruttuosa:

nessun semplice uomo

potrà renderti un solo seme della tua felicità;

un abbraccio non basterà

se non a sospendere

l’affanno del respiro.

Forse, quando verrà ottobre,

la nebbia vorrà nascondere

i tuoi ricordi;

non sa che un fuoco

si può accendere anche nella neve.

Solo…

non so se, sotto le rocce gelide,

si custodisca

a forza

una fiamma che devasta il cuore

oppure si ospiti il timido tepore

di un sorriso,

quello che accompagna talvolta i tuoi occhi,

quando sono increduli

perché qualcuno dice di

volerti

un po’ di bene.

 

 

 

Fissi i pensieri sfibranti

 

Fissi i pensieri sfibranti,

come gatti ciechi,

come cani che annaspano contro un muro.

Fissi i pensieri sfibranti,

che logorano

e non mollano la presa:

non lasciano la stretta,

imperversano,

come tempeste di neve e sabbia,

come tempeste di vetri rotti

turbinanti contro

il viso.

Infiniti sfiniti

i pensieri sfibranti,

che tagliano la pelle del pensiero

con coltellini da legno,

come se volessero scolpirlo

mentre ne recidono

tutte le corde,

una a una,

senza dover rovinare le vele.

Ma sono pensieri:

e forse su di essi

potrà il sonno,

che li assopirà pensoso:

e domani si sveglieranno rose,

preoccupate e di luminoso profumo,

bellissime

nella loro tenuità intensa e lieve:

rose per adornare

il coraggio della mia anima.

 

 

 

Sognerei di parlare con te

 

Sognerei di parlare con te

proprio davanti a una tazza di caffè,

americano ustionante.

Parlare di vita di te di morte,

mentre un bardo, Shakespeare, getta la sorte:

chissà che cosa ne sarà

dei miei destini,

mentre tu

hai già la tua via chiara

delimitata dalle pietre:

commedie, tragedie, esperimenti:

i tuoi impegni.

Vorrei ascoltarti assortamente

(lo so fare!),

bevendo tutto quel profumo bruno scuro

mentre la sottile schiuma

vortica dolcemente

con il cucchiaino,

restando salda ai bordi:

è fragile come me

attaccata ai miei vecchi principi,

è ancorata

e si diverte con i gorghi degli umani contatti:

un gorgo, un uomo: una sfida.

Vorrei essere immersa con te nella gente

che parla insieme, complicemente, e si guarda attorno,

e ci vede ma non ci sente parlare,

né sa chi io sia

e nemmeno lo chiede,

anche se tu conosci tanti.

Vorrei godermi un pezzetto di batticuore,

il sapere che verranno ore senza sonno,

l’eccitazione e la chiarezza

di un nero aroma, senza lo zucchero:

lo ricorderei come tutta la mia vita,

con memoria forte,

perché sarebbe stato

condiviso senza banalità:

condiviso con te.

 

 

 

Felicità serale

 

Eppure a volte

riesco ad essere felice,

perché sto tornando a casa,

perché un’emozione

mi si scava nei polmoni,

mi si incide nei muscoli del cuore,

mi segna i pensieri

con fuochi profondi

illuminanti.

Sono felice qualche attimo

intensamente,

perché torno a me,

perché prendo tempo

quando il tempo si consuma,

perché cammino con calma

e il buio non mi chiede nulla.

Anzi, il buio si scosta dalle insegne

e dalle vetrine e dalla gente,

per non farmi male

mentre indugia

e mi indaga nell’anima:

le lancia domande come aghi

e aspetta che essa

vi appenda le meditazioni

come frutti e pesci agli ami

e sfere di Natale d’oro.

Sono felice perché

non è più Natale ma c’è un balcone

illuminato che mi ricorda

l’attesa

e il mare.

È la festa del buio.

 

 

 

132.

 

Vorrei essere un indovino,

per rimanere impassibile

nell’aspetto, nel corpo,

mentre i templi mi crollano attorno

rovinando tra vampe di guerra,

mentre il mio sangue scorre

sulla pietra rifinita,

un tempo splendida

dell’arte di una poesia sconosciuta

a tutti

e calpestata

come trasparente selciato.

Sono le rovine del tuo amore,

o cinica profetessa:

quello che ho ricambiato

senza inganno,

quello che ti sei sottratta,

per un sortilegio sbagliato,

dal cuore tormentato,

che nessuna fantasia reale,

nessuna concretezza di parole

potevano ingannare:

mi sono ingannato e ammaliato

io per te

e il mio cuore ha brillato

riflettendosi nel tuo splendore,

nei tuoi ventagli luccicanti

di diamanti e di zirconi:

ne ho strappato uno

ed ho visto la morte venire:

la guerra che affilava i coltelli:

la mia salvezza

indossare le lievi vesti bianche.

 

 

 

133.

 

Scavo, scavo nella tua terra

e non trovo

che terra:

ben nascoste le tue radici,

protette dalla tua saggezza

contro il brancolare

delle mie mani bisognose

troppo

di cure

inutili.

Cammino, corro

attorno ad un canneto

che riempie un lago

e tu sei sempre alle mie spalle;

mai ti troverò,

mai ti raggiungerò,

mai saprò voltarmi,

mentre gli altri ti parlano

e sorridono con te

non vedendomi.

Eppure tu

mi parli da lontano

un passo:

mi vuoi riconsegnare

a me stessa

sana e salva,

ritornata alla vita:

quando mi sarò risvegliata

dai bagliori

ingannevoli

dei miei finti sogni,

che ho creato,

muri di difesa sgretolati

dalla realtà

con fatica,

potrai offrirmi la tua mano

per farmi scendere dal mio letto di sonno:

non mi siederò a riposare

e ti ringrazierò

con un invisibile sorriso,

che ammirerai brillare dentro di te,

come tutti quelli

che silenziosamente

si sono fabbricati così

grazie a te.

Sarà un sorriso

per te e per me.

 

 

 

135.

 

Hai visto la mia paura

e tacendo l’hai abbracciata,

come una madre

con il suo bimbo

Inaudito silenzio,

come fosse usuale

tra parole qualunque.

Ho sentito la protezione

Spirare da te,

come da un mite abbraccio,

senza affetto,

tutto di logica, di comprensione:

è questa piccola saggezza,

un tesoro sepolto nel deserto

e che a volte solo l’età

sa scavare,

che mi ha stemperato nel cuore

ancor più gratitudine,

tiepida,

con le sue lacrime

preziose come resina

candida e trasparente

nei secoli:

alcune ho versate presto,

lasciando i preziosi

superbi diamanti

indifferenti nella perfezione

a tutti gli occhi altrui:

ma le altre

ho tenute tutte per me,

come un ricordo

che, forse per sempre,

rischiarerà la mia anima

 

 

 

137. Plagio di N.

 

Il sole non può tendere

le briglie al vento:

solo il mantello del mare,

la terra color di cammello

e di zucchero denso dorato

e di conchiglie

e di mallo di noce,

può imporgli una via:

larga e impervia,

dipanevole, senza presa

nelle pianure

desolate e animose,

sicura e angusta,

come una chiocciola

avviticchiata alla vita,

piena di svolte

non conosciute illuminate

fra le montagne,

speroni che l’universo

non percepisce neppure.

Ti auguro che quella terra

possano essere i tuoi pensieri

e quel vento i tuoi amori,

che tu possa guidare

con l’arioso mantello della ragione,

che tutto sa proteggere,

nella sua immensità,

e che è pieno di passioni,

antiche come l’oceano,

mutevoli e inafferrabili

come ogni suo mare:

io vorrei solo essere il sole,

che, lontano e vicino,

ogni stagione contempla:

vede e consiglia

senza voce:

sa solo riscaldare, confortando,

ma è mite e presente,

e può ascoltare.

 

 

 

Pensando a te

 

Sara difficile espugnarti,

mio amore come sarà difficile:

sarà come camminare in piano,

sarà come guardare il baratro

a picco sul mare

mostrato dalla terrazza

del tuo castello di roccia

e sorridere perché tu sei con me.

Sarà averti accanto

mentre scrivo in metropolitana

e un uomo suona

la fisarmonica

e non può guardare nessuno

se non con struggente:

averti accanto per il solo pensarti.

Sarà difficile far crollare

i tuoi muri di pensiero:

basterà trovare la mossa giusta,

la parola baricentrica,

che non voglio conoscere per ora.

Lavorerò lavorerò,

duramente, nessuno sa

quanto duramente:

il tempo necessario,

l’intervallo richiesto:

un attimo, forse due,

mentre sbatterai le palpebre

normalmente

senza sapere.

Il mio vero impegno e fatica

sarà decidere

quando predere in mano il martello

e uno scalpellino piccolo piccolo.

 

 

 

154. L'acqua

 

Dea del deserto,

che imprigioni le dune

nel tuo spirito

e sfiori i sogni

di nomadi bistrati:

di occhi scoperti da veli blu

come dalle tue onde di seta.

Tace il tuo richiamo,

appagato,

dove splendono le turgide foglie

di improvvisi nuovi mondi,

come la voce sensuale

di una passione appena riaffiorata,

che brilla su un amore passato

che aveva perso subito la vita:

soffocato consumato da folle frettolosa frenesia,

come disperata.

Sembri impietosa:

tu privi della vista,

privi delle forze,

del senno,

quando ti allontani

per tornare tutta

al tuo compagno sole;

eppure,

quando lo lasci,

in un’ora buona,

e ricadi fra gli uomini

e fra la sabbia, sulle punte degli scorpioni,

storpidisci gli animi straniti,

sperduti, pieni di speranza:

e la morte si lascia svenire,

sommergere da te,

ritirandosi dalla battaglia.

 

 

 

155. Ancora acqua

 

Dea del deserto,

madre d’India,

pietra blu.

Tu fai la linfa

delle viole carminie,

adorne di nero velluto,

splendenti.

Tu ti sciogli in gemme

che adornano opulente bellezze:

come collane infilate con l’oro

di un ricco sole.

Tu nutri la vita e la morte

di rive che hanno millenni

di vite e di morti in loro

e custodiscono, sacerdotesse,

le preghiere e il lavoro,

la fame e i pellegrinaggi

e l’onore

di milioni di corone di fiori.

Tu incanti i sogni

confusi di chi sta morendo

nell’aria insabbiata e fusa

ove i minuscoli granelli

di roccia riflettono

il calore, traspaiono

diffondendolo

in un respiro liquido

che non toglie la sete al sangue

e lo soffoca;

ti nascondi dietro gli occhi e le storie

dei nomadi bistrati,

che ti sanno trovare e domare

e riposano il volto

dentro i turbanti fatti di mare,

ondeggianti increspati

come il tuo molle mantello.

Rendi vive d’improvviso

la roccia spesso riarsa

e la vaga sabbia,

tane di semi

che ti attendono

mentre gli scorpioni danzano senza impazzire

e serpenti balenano obliqui e leggeri

tra due secchi geli.

 

 

 

172.

 

Ho il mare,

ho soltanto il mare,

ho solo il mare nei miei sogni,

nei miei occhi vuoti,

aperti per dovere,

nel mio respiro,

che è il suo respiro,

magari,

nei miei giorni stanchi.

Lasciare ondeggiare

il mare:

lasciare respirare

il mare:

lasciare albeggiare

il mare:

questo dev’essere

il mio pegno d’amore per te.

E mentre desidero il mare, l’oceano,

e voglio rivederlo

e me lo porto dentro, a passeggio,

al lavoro, al soffrire,

e lo sento all’improvviso,

sprigionarsi

da una caramella rosa,

più rosa delle azalee,

vorrei solo incastonarti

in una collana di sabbia

il suo cuore di sole,

il mio cuore di sole,

perché il tuo viso possa sempre brillare

del suo abbraccio

di vita e d’amore.

 

 

 

173. Legolas

 

Non c’è parola che non riecheggi

la tua bellezza,

in suoni silenti

come cascate di ghiaccio,

sciolte da austera solitudine

che non ha dimenticato se stessa

in ascetico oblio,

ma che sa vedere

e riconoscere

e celebrare con dignità umana

e giustizia di porpora

l’uomo che rispecchia il divino,

senza alcuna colpa aggiunta.

Non c’è parola che non possa dispiegare,

schiudere, luminare

il colore di vaniglia,

della quale tu non profumi,

e l’ardore del cedro,

entro cui tu cammini,

e l’odore della buccia

dei limoni profumati e pieni,

nitido come le linee meditate

della tua bellezza,

che genera sogni dello spirito della memoria

e lo lenisce, e gli dà speranza:

di poterti cogliere in un baleno,

mentre lo guardi

con gli occhi spalancati,

e di poterti dipingere,

tra i tuoni,

nel silenzio teso e perfetto

della tua meditazione.

 

 

 

175. Un’idea

 

Tu

pallida:

diafana, delicata

o imbarazzata, che non mi vuoi toccare

neppure nella mente:

figuriamoci nel cuore! E ridi,

mentre io,

istericamente impaurita mi faccio scoppiare nel vuoto,

o ballo, goffa marionetta di me stessa,

una cantilena grottesca,

nella mia grotta da orsi meschina:

ridi, mi deridi, m’irridi

e ti tieni il ventre

e batti i piedi a terra, l’uno dopo l’altro;

cerchi di trattenerti un mezzo istante, forse per finta,

di ricomporre un rispetto

che stona e stride e cozza fra sé,

piastrella lasciata cadere;

ma subito mi riscacci

con la tua gioia serena pungente,

come una lancia primitiva

riaffilata

dal mio veleno orgoglioso,

che non ti vorrebbe credere:

e invece tu ridi,

e baleni, di splendida luce,

ti accendi e mi fuggi e ti spegni prima ch’io t’afferri

e per questo

vivrai sempre,

nitida e serena,

rosa con tutte le sue frecce

e con tutte le gocce di rugiada

che sono morte

per la sua stupenda bellezza.

 

 

 

103.

 

Regalami la tua paura

ed io renderò brezza il vento

che rabbrividirà

nel passare contro il tuo viso,

nello scomporre se stesso inelicandosi

con le dita sul tuo capo

Donami il tuo terrore

di te

ed io lo renderò luce

che aprirà la tua fantasia

ad abbracciare i tuoi pensieri,

come a un lago di sole

va una cascata di suoni splendenti

gemme in festa

tranquille

Dammi tutto il tuo sgomento,

il tuo orrore,

la tua vergogna

e io tutto trasformerò

in forza

e pazienza

e tenacia

e umiltà

e l’ansia del giorno

diverrà l’energia pacata

di un arancio tramonto,

e la stanchezza

si scioglierà in pianto,

liberata dalle lacrime

di una dolcezza infinita

tiepide dentro gli occhi fiduciosi

che non vedono ancora

ma vedranno

Sorriderai ai tuoi angeli

 

 

 

262.

 

Sto perdendo i ricordi:

i ricordi delle emozioni,

le emozioni nei ricordi,

forse non ancora

i ricordi nelle emozioni:

saranno gli ultimi, i più forti, spero.

Non ho più memoria

per le parole,

se mai ne ho avuta,

e ora e da sempre non ho presa

sui sentimenti:

è come il fango che ti scivola da una mano

e lo vedi lucido

e pensi che non possa fare male

e sai che è vita

ma ti sfugge

velocemente quasi quanto

la polvere, che tutti conoscono

e provano con il calpestio:

ci giocano e ci stanno seri,

gli altri, con la polvere

e alcuni non lo sanno e molti sì,

perché comunque

è il loro buon destino.

Io intanto mi perdo nella stanchezza rifrangente:

si conosce un po’,

ma è abbastanza impotente;

ma ho una speranza che prima o poi

la mia tristezza basti

per riempirmi l’animo:

di consapevolezza che rifulge,

che lo farà morire

e poi rifiorire

come se fosse successo un niente.

 

 

 

 

 

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