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49. Di te
riempirò le mie parole
Di te riempirò le mie parole;
le
tesserò in fresco lino
per i pomeriggi
di vera estate,
di cotone
morbido
per i lavori faticosi,
resistente per i lunghi
viaggi,
elegante e sobrio
per le feste
delle sere estive;
le
renderò consistenti e lucide
come la tempera pura:
saranno il blu,
il rosso, il giallo,
amore, vitale energia e memoria;
e saranno il
mi
per il do maggiore,
il si per il sol,
una melodia diversa per
ognuno,
un accordo che sa di strano,
lento che scalpita,
allegro
imperioso,
inebriato conquistatore,
dissonante,
un vortice che
ride armonioso,
mentre balla un tango,
concentrato per cacciare
i
suoi stessi pensieri;
saranno come gli alberi,
silenziosi
compagni
nelle vie cittadine,
scudi piegati dalla
pioggia
specchiati nella loro umiltà,
combattivi nel loro verde
tenero,
quasi pieni di baldoria
quando sono ammantati dei loro
fiori;
ti imiteranno,
azzurre chiare d’occhi
per vedere come vedi
tu,
frizzanti e taglienti,
conoscenza beffarda,
che gioca e si
afferma,
mordace concentrazione,
serietà che si avvolge
chiara in
qualche scompiglio,
serpentelli di crine
che innervosiscono
e mi
fanno sorridere
e mi mettono sull’attenti
e muovono
battaglia
all’opacità paurosa,
sapida mescolanza
di uomo e di
bambino
188.
Amami,
soltanto amami,
in silenzio,
nelle tue mani che mi cullano,
che dondolano il mio cuore,
che mi amano
complicemente.
Amami, ti prego,
amami,
anche se non ti vale a nulla,
anche se forse
non valgo nulla;
sii forte,
sotto le mie lacrime disperate
e guarda e vedi
in faccia nitido
ciò che io non oso guardare,
ciò che non oso fare
e descrivimi
ciò che non vedo
e ciò che vorrei tanto
e non posso
sfiorare,
con un senso qualsiasi.
Amami perché non ho pace:
amami nella tua pace,
amami con le tue mani
attorno alla mia vita.
Amami con le tue labbra
che sussurrano la mia passione per te,
che cantano piano
le melodie dei miei sogni
e di quelli che ancora non ho conosciuti.
Amami con le mani sulla pancia,
con la tua forza dolce:
è il mio punto vitale.
Ama la mia anima,
perché l’ho dimenticata,
e il mio spirito,
perché l’ho smarrito
o forse solo non lo conosco:
amami per farmela ritrovare,
amami per farmelo intravedere
e capire e amare e abbracciare
e donare a te.
Di Dio è la mia anima,
ma te la posso prestare
per lasciartela accarezzare,
con le tue mani che gioiscono
di passione e desideri e verità
e non temono nulla,
perché dall’Amore
e con amore
sono state forgiate
148. Poesia
Poesia frenesia.
Frenesia malattia,
ignavia inetta maledicentesi
ansia d’avidità di emozioni,
di conoscenza mai avuta,
e non più tempo
che dilatato,
perso dimenticato
consumato e invissuto,
buttato schiantato
giù in un baratro
vuoto come un sogno sveglio
e con le rocce non smussate,
prive del loro mare
e di ogni loro saggezza di deserto.
Cuore batticuore senza cervello
mentre la mente pensa
e corre lesta
ai ragionamenti
e ai ricordi, anche finti,
perché tutto potrebbe essere,
ma non è,
e questo dispera
e lacera
e non graffia
e strappa,
e non si vuol vedere
e non gli si vuol credere
e si vuole come dormire:
nell’attenzione adrenalinica
precipitosa troppo frettolosa,
che tutto dimentica apposta ed è dura
e crudele e arida
ed ha mangiato la sua dignità,
che non aveva,
l’ha divorata anche nei sogni
e non ha più ritegno.
Nulla le interessa
e nessun amore le basta
o le basterebbe:
non si conosce,
finge
di non vedersi,
ignora i suoi limiti
appositamente,
come un mercante che nasconda i soldi.
Troppo si ama e troppo si brucia
e cercherà di ardere
e consumare,
per ricavare qualcosa,
le sue stesse ceneri:
ma esse la tradiranno
e, facendola impallidire
inorridita e blu,
come di ghiaccio,
la uccideranno,
così potranno sorridere
trionfanti,
vendette
della pace dei veri spiriti.
51. Da una madre
Se non mi somiglierai,
ti amerò;
se mi somiglierai,
ti amerò.
Ti presterò i miei occhi,
le mie mani, le mie parole,
e quando i tuoi sensi
saranno saldi e sicuri
come i nostri passi,
lascerò che il mio amore
finga di dileguarsi,
perché tu possa imparare
un tuo equilibrio.
Se non vorrai vedermi,
farò che il mio sguardo non abbia un peso;
se proprio non vorrai,
ti abbraccerò solo nei ricordi
e poi ti dirò addio
e forse proverò a dimenticarti un po’
Se vorrai,
starò con te,
prendendo il sole con te,
se avrai posto per tenermi tra le mani.
Se la solitudine avvolgerà il tuo animo,
ti basterà pensare a me
e io ti difenderò.
Se avrai paura del tramonto,
starò con te per dirti
come l’arancio e il giallo
tenui e convinti
siano tiepido bordo
per il cielo che si fa azzurro più intenso
per prepararsi alla lunga notte,
quando lavora
per preparare a chi lo ama
diademi di stelle,
folle di brillii
o piccoli ricami solitari
e preziosi.
Se il giorno ti opprimerà,
ti mostrerò l’alba,
così potrai condividere,
con il sole e con me,
il rosa ed il rosso,
che non sono più il sangue della sera,
ma una energia
diversa,
che non medita ma agisce
d’impulso.
Troverai una via
per sopportare ogni colore del cielo,
per scegliere quello della tua mente,
per indagare quelli del tuo spirito,
e se non conoscerò un modo
per aiutarti,
cercherò e cercherò
implacabilmente,
finché non sarò disperata
e finché non saprò che avrai combattuto
e avrai quelle ferite
che aprono la strada alla vita:
e desidererò averle su di me,
anche se saranno state necessarie;
ma non le curerò,
perché tu abbia la tua libertà
ed io un pizzico di dolore,
che mi farà essere felice
seriamente e convintamente,
per aver lottato,
con il silenzio e con le rissosità,
per te e con te,
per il mio piccolo amore.
159.
Urla, paura, urla:
in un corpo deserto,
che trema di te,
che si raggela
al tuo regnare,
al tuo passare
al passo su cavalli bianchi,
senza fretta,
nelle sue vene,
nei suoi muscoli,
nelle sue vie.
Urla, paura, urla,
ulula e latra,
cane non sperduto
o capobranco lupo,
getta il terrore
come neve acuminata
fatta di sale e sassi
invisibili,
pesanti, vestiti di stracci:
così urla, rabbiosa,
il tuo potere,
in un’anima
che non c’è, che si è dissolta
per sfuggirti
ed ora ride
di sé e di te.
È svanita dal tuo cappio,
divenuta filo senza più nodi,
scivoloso sottile sinuoso,
sgravata della tua rabbia
e della sua folle
schiavitù a te:
non geme più
lungamente:
non grida più
vuotamente,
ascoltata vanamente
da un amore addolorato:
ti ha beffato,
o ingannatrice maga burattinaia delle ombre:
non è più
come un fantasma
perduto nell’Inferno:
ha perso tutte le sue battaglie,
ha addolorato,
lacerato spiriti, corpi e cose,
ignorato schiacciato
le delicatezze
e ti ha vinto
avvinto stritolato immiserito
in veleno
simpatico: che attosca per poco
e poi cede,
come un fragile guscio
che non lascia traccia:
e la mia vita rinasce ad ogni ostacolo:
ti conosce e ti capisce e ti inquadra e ti ingabbia,
mostrandoti allo spirito
come un soprammobile iridescente.
442. Istruzioni
Ma guarda quanti disastri
per un leoncino girovago
in una foresta di cactus!
Buio fitto talvolta:
la luce nascosta
da densissimi fiori enormi:
spaventosamente, inaspettatamente!
Stupendi quei fiori, rosa
e rossi,
come il sangue
e le sue emozioni,
o che sprizzano gocce di mare
dal loro immenso blu
delicatissimo;
ma i più
velenosissimi, da stare attenti
a dove si posano i passi
o si lascia passare la testa
e le membra.
Teneri, innocenti fiori!
Chi mai direbbe
che bisogna guardarsene
o starsene proprio lontani?
Chiedere il permesso bisogna,
per accedere al sonno della foresta,
per potervi camminare
solo ai confini circolari,
per poter ascoltare
qualche magico stormire
di foglie lente, immobili.
E tu, leoncino, stai attento,
ascolta la fata buona!
Devi avere un medico
che curi le ferite degli aculei
e le bruciature profonde del veleno;
medico è chi conosce e sa
le formule e i toni
della musica di parole che ammalia
la foresta
come fosse un vero serpente.
Non tentare neppure,
dunque, se non hai un simile amico
o alleato: è semplice
attraversare da solo il piccolo ruscello,
il piccolo solco sulla terra,
il piccolo roseto incantato senza spine
posti a guardia
dell’intrico di meraviglie.
Ma non puoi sapere,
tu che sei al di là della luce e del buio,
quali albatri ostili ti aspettano,
in un paradiso di voragini,
in prodighi miraggi
risolti in fumo e paludi,
in abbracci dolcissimi
che ti farebbero dimenticare.
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