Anno 2 Numero 74 Mercoledì 03.09.03 ore 23.45

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

ULTIME GIOIE

di Pasquale Colaps

C’eravamo dati appuntamento a Ponte Milvio, nel nostro vecchio ristorante con giardino, la cui caratteristica, oltre alla splendida cucina, è quella di veder atterrare uccellini sul tavolo, tra un piatto di linguine alla Canotte, e un bicchiere di Livon, vengono a beccare le briciole e tutto quello che possono rimediare, mentre osservavo tutto ciò mi sono sentito felice. Pallotta a Ponte Milvio è un mondo parallelo, fermo nel suo tempo, romantico senza essere smielato, con i piatti della tipica cucina romana, lo chef, innovativo, inserisce coreografie in questa tradizione.
Scelsi un tavolo vicino alla parete, più distante possibile dall’entrata. Da quella posizione potevo vedere chiunque entrasse nel locale, avevo le cucine in vista, e il giardino lo controllavo completamente.
Il posto era pieno, avventori in cerca di un giardino d’agosto, la calura dava il mal di testa, si parlava di centinaia di morti. Sono arrivati gli altri, cari amici che non vedevo da tempo. La mia attenzione fu attratta da una coppia persa nel loro sguardo, persi nei loro piatti, ad un certo punto abbassando lo sguardo noto che la ragazza ha un solo piede a terra, l’altro dove sarà? Un piede tra le cosce con quel caldo, ma, non so che dire, mi colpisce, lui è imbarazzato, la ragazza continua, e sotto il tavolo una scarpa resta vuota, il piede si abbassa all’arrivo della grigliata di pesce, la forza della gola. 
Il mio sguardo incrocia il suo, ci sorridiamo, è un ragazzo, mi capita spesso di essere corrisposto nella gentilezza, anche se avevo avuto l’impressione che quel ragazzo sapesse, sentivo quasi il suo pensiero “Nino sei anziano cosa ti metti a fare”. Sono arrivati Luca, Marco e Franco, siamo in quattro, siamo vecchi, ex giovani violenti, ci siamo dati appuntamento dopo tanto tempo, Marco era uscito anni prima dall’Ucciardone, io da Regina Coeli, buona condotta, brava persona, vecchio gentile, mi hanno abbassato la pena ed eccomi fuori, Luca e Franco parte davvero del centro anziani di campitelli.
Stretta di mano, ci siamo subito capiti, tra una portata e l’altra, anzi mezza portata, alla nostra età si mangia meno, il nostro pensiero è, quale la banca più facile da rapinare? Serve una banca facile, con pochi scalini da affrontare, con la possibilità di un parcheggio comodo, dove non dare nell’occhio, con una porta scorrevole agile, una banca con un unico grande salone, non abbiamo più lo scatto delle prime rapine, una banca per anziani, dove noi insospettabili ben vestiti ma non troppo, stirati ma senza esagerare. 
Scarpe comode, mai fare una rapina senza scarpe comode, c’è di mezzo l’umore si scivola, si inciampa, ci sono problemi con i tendini, i reumatismi, muscoli non più scattanti, serve una comoda rapina tranquilla, una rapina da vecchietti con scarpe sportive. La nostra banda ormai fa parte del romantico neorealismo.
Ci vogliamo ritirare questa sarà l’ultima rapina, abbiamo tutti intorno ai settant’anni, dai nostri conti possiamo campare secondo le statistiche tra uno e quindici anni, secondo la casualità o il culo che si avrà, a conti fatti oltre le pensioni, ci occorrono 2 milioni di euro, una villetta al mare, due badanti fisse carine e giovani, una macchina comoda, grande, confortevole, ma non di lusso, è lecito pensare alla vecchiaia, noi ci stiamo pensando, chi dovrebbe pensarci, figli ormai partiti, nuore, cognati, cugini, siamo vecchi amici, ci dobbiamo prendere cura di noi.
Per me, Nino, ex balordo, credo che entrare in banca sarà ancora emozionante, occhio sveglio, guardare il cassiere, salutarlo con lo sguardo del dolce vecchio, mentre lo guardo penso, giovanotto tra qualche giorno ti lascio in mutande. Siamo andati all’idroscalo, lì c’è un vecchio tombino, nostro da sempre, entrata quadrata, appena tolto il coperchio metallico ci sono dei pioli, facili da scendere, lungo una delle pareti uno spazio vuoto, da lì ho tirato fuori una scatola nel suo interno quattro pacchi incartati come caramelle, le nostre vecchie e care pistole tre Smith e wesson cal. 38 e una splendida Walther P38, ancora perfette, oliate ben mantenute, carta e olio per farle durare nel tempo.
Ora Franco deve pensare alla macchina, una volta impiegava pochi secondi tra apertura messa in moto e partenza, rubarle era la sua passione, ci vuole una macchina tranquilla in apparenza, scattante, non troppo lunga, veloce con una splendida ripresa, una 147 alfa 1900 di cilindrata, l’abbiamo già scelta rossa, il rosso alfa.
Abbiamo parcheggiato, il paese è grazioso, sorridente, si chiama Segni, ultimo paese della provincia romana, parcheggio perfetto, abbiamo salutato alcuni passanti come se fossimo del posto, quattro vecchi gentili, in carcere si diventa attori.
Siamo entrati senza occhiali, gli occhiali sono pericolosi, meglio baffi finti, barba bianca, dopo un’ora ci si può radere, pettinatura diversa, cambia la fisionomia, uno di noi poteva portare gli occhiali, ma non tutti e quattro, mica siamo i Blus Brother in pensione, quattro bianconi con occhiali neri. Ci siamo spostati ognuno nel posto prestabilito, abbiamo strillato il classico fermi tutti questa è una rapina.
Sono quattro miliardi di lire, panico, freddezza, parcheggio calcolato, l’impiegato di turno ci teneva la porta aperta, lo avevo minacciato di sparargli in bocca, no non l’avrei fatto, su di un piede si, ad un piede si può sparare, no il piede no, facciamo ad una spalla, si gli avrei sparato alla spalla, non certo allo stomaco, ogni volta a pranzo o a cena a maledirmi, per fortuna nessuno ha avuto bisogno di sparare, al mio segnale ha tenuto le porte aperte e tutto è andato liscio.
È un breve racconto senza pretese, non vuole insegnare nulla, non ha il messaggio, la morale, ognuno ha la sua, una cosa però mi viene in mente, di questi vecchi non ci si può fidare.

 

Fregene ore 11 

Elena 

Ho solo 17 anni

MI RESI CONTO TARDI DEL NOSTRO AMORE

LIQUIDI

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