scritti vari

Libro"ho visto"

SIGFRIDO DE VINCENTIS POETA SAMBENEDETTESE


.... Ecco dopo questo mio intervento un po' frivolo,spassoso, cose fatte da me, senza alcuna pretesa,vorrei cimentarmi a una cosa molto seria, naturalmente senza alcuna garanzia di riuscita.
Vorrei presentarvi un nostro caro conterraneo,SIGFRIDO DE VINCENTIS, morto all'inizio del nostro secolo e precisamente l'otto marzo 1909 a soli 33 anni. Dobbiamo dedurre dai pochi scritti da lui lasciatici (altri sono andati persi nel terremoto del 13.1.1915) che fu un uomo di squisita sensibilità artistica. Senza dubbio uno dei figli più illustri di San Benedetto e della Marsica.
La rievocazione vuol essere un doveroso omaggio alla memoria di un sambenedettese che ha contribuito ad illustrare con saggezza le tradizioni di cultura e di arte di questa nostra terra.
Sin dagli studi liceali, che compì nella città dell'Aquila,fu spiccatamente incline alle lettere classiche,tanto che, come ricorda il notaio Serafino Maccarone di Pescina "Veniva continuamente segnalato dal dottissimo professore di latino e greco,Francesco Ferrari, come un vero erudito di letteratura e geniale poeta classico nel più squisito senso della parola".
Laureatosi in giurisprudenza presso l' Università di Roma, egli si trasferì all'Aquila per seguirvi la pratica forense presso lo studio dell'insigne Avv. Vincenzo Gentile.
Intanto il De Vincentis continuava, e molto fruttuosamente, ad incontrarsi con la poesia. Tanto che fu uno dei promotori, riuscendo assieme agli altri, a costituire un piccolo cenacolo letterario di giovani professori di lettere, giovani avvocati amanti delle lettere che spinti dalle comuni aspirazioni, dal comune giovanile entusiasmo si erano avvicinati e stretti gli uni agli altri, come il giovane poeta Aurelio Ugolini , professore d'italiano al Liceo dell'Aquila', Mario Chini celebre traduttore persino del cinese e del giapponese,Rodolfo Ludovici e Massimo Bontebelli divenuto scrittore di chiara fama.
Il De Vincentis oltre a poeta fu anche traduttore di greco e di latino. Quindi è un motivo di grande orgoglio per noi avere avuto un figlio di San Benedetto di così levatura artistica e di altissima cultura con una eccelsa fertilità di mente, insomma d'una intelligenza superiore.
Purtroppo la morte lo tolse in così givane età altrimenti,sicuramente oggi, lo avremmo letto nei nostri testi di letteratura.
Alcuni amici dopo la sua morte curarono una pubblicazione di dieci sonetti con una breve nota che dice: "Nel giorno otto marzo di quest'anno moriva in S.Benedetto dei Marsi all'età di anni 33, Sgfrido De Vincentis.
In memoria dell'amico indimenticabile, rapito all'amore di tutti nel fiore della giovinezza, degli ardimenti e delle speranze, volemmo che nel
trigesimo della sua morte, fossero pubblicate quelle, tra le sue poesie, che
egli,in uno scritto confidato ad uno di noi, reputava migliori.
Valga ciò a conforto della famiglia desolata ed a ricordare il poeta gentile a tutti quelli che lo conobbero e ne ammirarono le virtù". Seguono i nomi di Ubaldo Bafile (fratello del vivente Cardinale Corradino Bafile ), Mario Chini, Guido Ciarletta, Federico Fabrocini, Vincenzo Gentile, Angelo Leli, Rodolfo Ludovici, Giovanni De Miarchi, Ettore De Vinncentis.
Io e Stefania( la sorella n.d.r.)abbiamo scelto cinque di questi sonetti che vi leggeremo, però prima vorrei leggervi un giudizio critico dell'amico e quasi coetaneo Avvocato Enea Mlerolli: "... Sigfrido mi aveva sempre mandato lesue poesie, volta per volta, come le tirava fuori dalla fucina. E io gliene mandavo il mio giudizio,ora ammirativo, ora irto di riserve a seconda dei casi. A questo modo,io ebbi la raccolta completa, o quasi, di tutta la produzione poetica dell'amico. Ma purtroppo, più tardi, al terremoto del 1915, tutto andò disperso, con mio sommo rammarico.
... La gamma della sua ispirazione non era molto ampia. Alcuni sentimenti fondamentali, nella loro elementarità: l'amore, soprattutto nella sua turgescenza un po' sensuale, un po' pagana ma sanissima: gli aspetti del mondo esteriore colti con una singolare virtù individuante, e goduti con un appagamento pieno e schietto; a volte qualche ombra fuggevole di malinconia . Ma lui era soprattutto un artista, nel senso che il De Santis dette alla parola.
"'... Come avrebbe reagito Sigfrido De Vincentis alle nuove correnti letterarie? Non lo sappiamo perché la vita non glielo consentì. Ma egli era un, classicista e tradizionalista per istinto, per bisogno originario della sua natura.E penso che, non ostante tutto, tale sarebbe rimasto". (Da "Sigfrido De Vincentis poeta marsicano" Il Tempo,2 agosto 1959)
SERAFINO MACARONE: "Durante il periodo dei miei studi liceali in Aquila (1900-1903) io ebbi a conoscerlo personalmente ... Per di più il nostro dottissimo professore di latino e greco, Francesco Ferrari, ce lo segnalava in classe come un vero erudito di letteratura e geniale poeta classico nel più squisito senso della parola". (Da una lettera al Merolli del 6- 8-1959


Lettura dei cinque sonetti

 

LA SCARTOCCIATURA

Tonfano entro le còscine le spighe
di meliga tra il secco scartocciare:
E il coro ode la saga; agate rare,
danze di fate ed armonie di gighe ;

fuggenti amori. in auree quadriche,
e, dietro, l'orco che mugghiando appare;
sorto da specchio, interminato mare,
pettin che crea di triboli ardue dighe.

Pel fesso del spate ecco sorride
roggia una spiga al giovinetto; ei vibra
come una corda che spezzata stride,

l'amata afferra, rotola sul mucchio
tra i baci, e a lei, fremendo in ogni fibra,
s'avvinghia come a segala vilucchio.


Questo è un sonetto molto nostrano, ma magistralmente scritto. Ricorda i fuggenti amori,i triboli della povera gente che vorrebbe fare da diga ai guai a venire. Dipinge con altrettanta maestria il giovanetto che vibra quando si trova inaspettatamente una mazzocca rossa e sceglie la sua innamorata di quella sera di scartocciatura.

NOVEMBRE

Sfilano, come scheletri, diritti
lungo le dormienti acque del fiume
i pioppi e l'irta nell'ondoso lume
lor magra nudità guardano afflitti;

sale con lente accidiose piume
grigia nebbia dai piani derelitti
e,come giganti ebbri di conflitti,
ergonsi intorno i monti aspri di brume.

E a me indistinta amarezza piove
e uno stango mi sento al cuor gravare
desio di pianto, come allor che altrove
porta e svelle da noi persone care
il ferreo mostro, e sbuffa e ansando move
e corre corre,sibila,scompare.

E' un paesaggio fucense, anche se non é detto, però il lettore marsicano lo avverte subito,quei pioppi lungo i canali (fiume) che come scheletri guardano afflitti la piana quasi deserta, offuscata dalla nebbia e guardano intorno i monti che circondano il Fucino, egualmente aspri di brume. Traspare in questo sonetto una malingonia interiore del poeta.


L'ACQUA

T'amo, divino liquido elemento,
o che tu rugga in cavità profonde
per d'aspre rupi irte scoscendimento,
o che tu canti tra fiorite sponde;

t'amo allor che lottando ebbro col vento
gli astri mugghiando attingi alto con fonde,
o allor che in te si specchia il firmamento
e sulla tua quiete il riso effonde;

ma ancor più t'amo quando lento lento
scendi invocato a rendere feconde
le campagne: e il colon guarda contento;

o, di Lidia le membra vereconde
cingi con delizioso abbracciamento
e fremi e baci le sue trecce bionde.

Noi tutti abbiamo più volte sentito L'armoniosità delle acque che corrono nei ruscelli il fragoroso rumore delle cascate,la paurosa violenza del temporale.Tutto sembra nella normalità delle cose mentre quì il poeta,col suo liquido elemento orchestra un'alternarsi di suoni creando con soavità una incomparabile melodia.

L 'ASINO

Ave, sofo : digiuna aguzzo e manco,
sotto la soma tentennando, tardo
incendi innanzi al montanar gagliardo
che ingrato e sciocco ti percuote il fianco.

Tu nulla curi; non ti desti franco,
ed aspetti il baston quasi beffardo;
mesto rivolgi e paziente il guardo
e ognor più movi affaticato e stanco.

Ma, se d'umori lutei sanguigni
fiuti l'aura amorosa, arduo rizzando
gli orecchi e il collo, il conduttor sbaragli

Ragliante fremi e i denti alto digrigni;
poi rigida la coda ergi ruzzando
e inalzi al cielo fragorosi ragli.


Sembra uno scherzo,invece non è,in questo sonetto si avverte la sensibilità del suo animo per le creature che soffrono senza avere nessuna colpa, con la pazienza di chi è oppresso per destinata rassegnazione.
E' una cosa molto scabrosa, detta però con ineguagliabile garbo.

ESTATE
Giù dal tuo crine i gloriosi serti,
o bionda estate; tu crudel tormento
dagli estuosi eterei deserti
vibri pel vasto piano sonnolento

su' servi che di polvere coperti
sudano a dispogliar l'aureo frumento.
Miseri! E ad essi, della fame esperti,
scarsa e sciocca polenta è nutrimento.

Ma l'aurea marina errano liete
armonie di chitarre e barcarole;
e in sen recandi fortunate genti

per l'azzurro del mar vasta quiete
errano bianche vele incerte e sole
simili a cigni solitari e lenti.


Qui c'è tutto il contrasto tra il bello e il brutto,tra il bene e il male.Il mietitore che miete il grano, ma non mangia il suo frutto, l'arido deserto nella sua misteriosa paura di chi ci si trova in caminino, il mare con l'armonia di chi ci si diverte e le vele incerte e sole dei marinai e dei pescatori con il loro duro faticare.


Certo,lo so,non dovevo essere io a rievocare,a presentare un così alto ingegno,non ho alcun titolo per farlo,con la mia pochezza senza un minimo di cultura. E' stata una vera sfrontatezza. Chiedo umilmente scus alla sua memoria, a chi lo ha stimato e lo stima, ai suoi familiari,quindi anche un po' a me stesso, perché suo parente.Ma tanto ho saputo fare.

 

in calce riportiamo altrei due sonetti tratti dalla stessa raccolta:

 

LA RICAMATRICE

Sempre cara tu riedi al mio pensiero,
vergine bruna; ed invocata, quando,
china, con l'ago industre esercitando
dei variopinti fili il magistero,

sacro intessi d'asfodeli verziero,
ove con mormorio soave e blando
serpono i rivi e, amore sospirando,
zefiro aleggia tepido e leggero.

Ed io tra i prischi eroi mesta e solinga
cantar toccando l'amorosa cetra
sogno di Lesbo la fanciulla bruna;

mentre su la poetica lusinga
piove languori nivei dall'etra
la solitaria veneranda luna.

LENTUS IN UMBRA

Lento all'ombra d'un cocilo Maria,
sogno le tue sembianze oneste e belle;
dal labbro come di flauti favelle
pupulla di parole un'armonia;

dalle pupille piove una. malia
dolce che affanna... Ahimè, sei tu di quelle
bianche fate dell'arabo novelle?
Trema e incerta ristà l'anima mia.

Ma il sacre bronzo scotemi repente;
è mezzodì. Sfuman le chiome bionde...
E l'aura tace: a quando a quando solo

l' arguta merlo zufolar si sente,
e il rivo narra alle fiorite sponde
suo lamentevole e fragile duolo.

 

 

 

 

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