Architetture religiose

Castello Roganzuolo ha tre chiese: una monumentale dedicata ai Santi Pietro e Paolo, magistralmente affrescata all'interno, è posta sul colle più alto del comune, antica sede del Castello di Reggenza; le altre due, una cinquecentesca e una del secondo Novecento, sono dedicate a San Martino di Tours, e dislocate nella parte pianeggiante di Castello Roganzuolo, molto vicino alla S.S. 13 Pontebbana. Altri centri religiosi di rilievo storico sono i capitelli e i due oratori di Villa Liccer e Villa Malvolti.


Chiesa dei Santi Pietro

La chiesa dedicata ai patroni di Castello Roganzuolo costituisce il complesso religioso più importante del comune di San Fior per rilevanza storica e artistica, essendosi sviluppata a partire del nucleo del castello medievale e conservando segni del passaggio di grandi artisti del Rinascimento, quali Francesco da Milano, coi suoi magistrali affreschi, e Tiziano Vecellio, col polittico Madonna con Bambino e santi Pietro e Paolo.

La chiesa monumentale dei Santi Pietro e Paolo è l'edificio sacro più importante di Castello Roganzuolo, nel comune di San Fior, in provincia di Treviso. Si innalza sul colle più elevato del paese, a 119 m s.l.m., laddove nel medioevo sorgeva il Castello di Reggenza.


Cronologia


  • Nasce nel XII secolo, presso il Castello di Reggenza, presente sul colle dal VI secolo. Il primo nucleo è costituito dall'antica cappella (attuale coro della chiesa).
  • Nel 1490 viene allungata di 6 metri.
  • Nel 1898 viene allungata di altri 6 metri, con l'erezione dei casteàri.



Le vie d'accesso


L'accesso al cortile della chiesa è possibile in automobile attraverso via Castello di Reggenza: la strada si imbocca all'intersezione di via Pomponio Amalteo con via Rividella, con una lieve pendenza; essa conduce prima al piazzale della canonica e poi, attraverso un suggestivo viale alberato, si esaurisce nel cortile-terrazza della pieve. Nell'ultimo tratto di via Castello di Reggenza, tra canonica e chiesa, l'intreccio delle fonde degli alberi che costeggiano i lati della strada crea un effetto meraviglioso di luci e ombre, mentre oltre le siepi già si rivela il panorama: a sinistra il vigneto della parrocchiale, a destra la vista sull'area di Colle Umberto e sulle Prealpi bellunesi. Altra via d'accesso, solo pedonabile, è la ghiaiosa e ripida rampa a sud, che collega direttamente il cimitero e Borgo Gradisca alla terrazza, ponendosi come naturale continuazione di via Cal del Valòn.


Esterni



La facciata e i casteàri


La facciata è romanica e risale agli anni 1890. Fu alla fine del XIX secolo (1898) che la comunità di Castello Roganzuolo, quando la parrocchia era retta da don Luigi Colmagro (parroco di Castello Roganzuolo dal 1886 al 1916), si adoperò al fine di allungare la chiesa. Operazione non facile, data la sua posizione, sulla sommità di un colle. Tuttavia, il problema fu risolto coll'edificazione di otto arcate sul declivio dell'altura, allungando il piazzale della chiesa di circa trenta metri: tale struttura ha il nome di casteàri, i quali, reggendo la struttura sopra di essi, danno importanza alla facciata della pieve, che così dà luce all'intera valle, comunicando con essa. La parte frontale della chiesa è a capanna, con un frontone non decorato ma separato da una sottile cornice dagli elementi sottostanti: questi sono un piccolo rosone, sopra il portale, e due finestrelle laterali a mezzaluna. Unica decorazione è rappresentata da quattro sottili semicolonne attorno al portale, rettangolare e chiuso da un portone ligneo a due ante.


Interni


L'interno della pieve, costituito da una navata coperta a capriate lignee, dal presbiterio e da cinque cappelle laterali, assume grande importanza artistica, in quanto ospita numerose opere di pittori grandi e minori della tradizione veneta: si tratta di nomi come Tiziano Vecellio, Francesco da Milano, Francesco Frigimelica.


Gli affreschi del presbiterio


L'attuale presbiterio della pieve è, assieme alla torre campanaria, l'unico elemento superstite dell'antico Castello di Reggenza, del quale era cappella dal XII secolo. Dopo la distruzione del castello, nel 1337, la cappella non fu dismessa, fu anzi ampliata nel 1490, con un allungamento di sei metri: sulla scia di tale ampliamento e della nascita di una vera e propria chiesa, intorno al 1535 fu richiesta la mano di Francesco da Milano, già autore nel 1511 di parte degli affreschi della Scuola dei Battuti di Conegliano, al fine di abbellire e rendere comunicative le pareti e le quattro campate della volta a crociera di quello che era divenuto il coro della pieve. Le scene dipinte, incentrate su vicende riguardanti i santi protettori Pietro e Paolo, sono numerose e in stato di buona conservazione, anche grazie ai restauri in corso tra autunno 2009 ed primavera 2010. Secondo la chiave di lettura proposta dal critico Antonio Soligon, le vicende narrate dal ciclo di affreschi partono dal lato sinistro della parete di fondo, salgono sulla volta e scendono sul lato destro della parete di fondo, per poi proseguire sulle due pareti laterali, prima la destra e poi la sinistra, le cui immagini, all'interno di una coerente poetica, sono sul piano simbolico l'una l'opposto dell'altra.


La parete di fondo


Il fondo è tagliato centralmente da una torre dalla base diroccata e culminante nell'immagine di Dio Padre con le braccia aperte verso la chiesa. Più d'una sono le letture possibili e coesistenti: essendo la torre in pietra, il rimando è sicuramente a san Pietro e alla celebre frase su questa pietra edificherò la mia Chiesa; la base della torre, la parte più distante da Dio Padre, è diroccata, come a simboleggiare la corruzione dell'umanità; dalla quale però può partire un percorso di crescita e salvezza, leggibile nella faticosa rinascita dell'arbusto posto a sinistra, il quale, salendo verso l'alto, ci porta a una nuova torre, perfetta e luminosa, sulla quale trionfa raggiante la figura divina, situata poco sopra a tre oculi, probabile rimando alla Santa Trinità; la rinascita religiosa si accompagna a un'altra rinascita, quella della chiesa di Castello Roganzuolo, che nel Cinquecento tocca, con Francesco e Tiziano, il suo massimo splendore: e questa rinascita parte proprio dai ruderi della fortezza distrutta due secoli prima, di cui proprio una torre è l'elemento superstite, simbolo ancora oggi della comunità parrocchiale. A sinistra della torre centrale si svolgono le prime due scene della vita di Pietro, di discendenza evangelica: in basso, sopra la porta della sacrestia, La pesca miracolosa e la chiamata di Pietro: si tratta del primo episodio della storia di Pietro, quand'egli scende dall'imbarcazione per abbracciare la vita cristiana, con le braccia allungate verso la composta figura di Cristo, il cui volto originale è andato perduto (quello attuale ne è una studiata ricostruzione); in alto La consegna delle chiavi: Pietro, sulla sinistra, è inginocchiato davanti a Gesù, che è nell'atto di consegnargli le chiavi del Regno, facendone il fondatore della Chiesa, a cui allude la tiara papale che Pietro ha sul capo. A destra della torre centrale si svolgono le seconde due scene della vita di Pietro, tratte dagli Atti degli Apostoli: in alto Pietro predicatore; in basso La guarigione dello storpio.


La volta


Particolare della volta con le chiavi di San Pietro all'incrocio Ai lati dei quattro settori della volta, sono posizionati due medaglioni, a fare da cornice alle scene; vi sono raffigurati in ciascuno un simbolo dei quattro evangelisti e un ritratto di un padre della Chiesa, secondo i seguenti accoppiamenti (in senso orario): leone (Marco) - San Gerolamo; aquila (Giovanni) - Sant'Agostino; toro (Luca) - Sant'Ambrogio ; angelo (Matteo) - San Gregorio Magno. Al centro dei quattro settori hanno luogo rispettivamente le seguenti scene evangeliche: L'adultera (dal Vangelo secondo Giovanni) Cena in casa di Simone (dal Vangelo secondo Giovanni) Il martirio di Giovanni Battista (dal Vangelo secondo Giovanni) La trasfigurazione (dagli altri tre Vangeli) A racchiudere il tutto quattro spessi costoloni si congiungono al centro della volta, dove un bassorilievo contiene le chiavi del Regno: come a dire al fedele che per raggiungere il regno dei cieli bisogna seguire il duro e lungo cammino di fede narrato dall'affrescatura.


Le pareti laterali


Parete di destra: più scene rappresentanti il Martirio dei Santi Pietro e Paolo. Parete di sinistra: scena discussa, forse del trionfo dei santi Pietro e Paolo; tradizionalmente detta La visione di Costantino.


I due affreschi della navata


Attribuiti a Giacomo Rota sono due affreschi molto rovinati causa le coperture a intonaco alle quali sono stati sottoposti nei secoli. Le due pitture si trovano, una di fronte all'altra, ai lati dell'arcone del presbiterio e, come testimoniato da un'iscrizione interna a uno dei due affreschi, la loro datazione è 1575. Le due scene sono tratte (al contrario di quelle della volta) dall'Antico Testamento e sono inscrivibili nel tema dell'obbedienza, anche forzata, al volere divino. Il sacrificio di Isacco (affresco di destra) Il profeta Giona accetta di andare a predicare la conversione a Ninive (affresco di sinistra)


Le cappelle laterali


Le cappelle di destra sono due, risalenti al secondo ampliamento della chiesa. In esse sono contenute due pale, una di anonimo veneto del XVI secolo, l'altra del Frigimelica, Beata Vergine con San Rocco e San Sebastiano (1620), entrambe restaurate tra anni Novanta e Duemila. Le capelle di sinistra sono tre, risalenti al XVI secolo e successivamente murate. Furono scoperte in occasione di restauri novecenteschi e riadattate. Le prime due cappelle che si incontrano muovendo verso l'abside sono comunicanti: in esse sono collocati due altari dedicati rispettivamente al Sacro Cuore e alla Madonna di Lourdes. In esse ha sede la tastiera dell'organo e vi si raccoglie il coro parrocchiale, durante le messe solenni. Qui inoltre si custodisce l'altra pala del Frigimelica, San Nicolò con Sant'Elena imperatrice e San Giuseppe (1620). La terza cappella contiene il fonte battesimale e, dagli anni Ottanta, la cornice dorata originale del trittico tizianesco con le copie delle tele (XX secolo).


La Pala di Tiziano


Le tele originali sono conservate nel Museo Diocesano d'Arte Sacra "Albino Luciani" di Vittorio Veneto, tuttavia nella chiesa parrocchiale di Castello sono visibili le copie del trittico e della cimasa, inserite nel contesto originale: un'elegante cornice lignea intagliata e dorata nel XVI secolo, sulla base della quale vi sono gli stemmi di Mons. Francesco Barbaro e di Mons. Jeronimo Grimani. Le tele, dipinte a olio, presentano le seguenti disposizione e misure:
  • nel comparto sinistro: San Pietro - 190x57 cm
  • nel comparto centrale: Madonna con Bambino - 240x80 cm
  • nel comparto destro: San Paolo - 190x70 cm
  • la cimasa: Cristo deposto sorretto dagli angeli - 50x80 cm
L'opera fu commissionata nel 1543, ma consegnata dopo lunghe peripezie sul piano economico, da relazionare coll'edificazione della casa di Col di Manza, solo nel 1549, luogo strategico per il pittore, sia sul piano artistico sia sul piano economico. Malgrado il restauro, lo stato delle tele originali è pessimo, causa le vicissitudini della Grande Guerra, quando il parroco di allora, Giovanni Pizzinato, fu costretto a nascondere i dipinti del Tiziano in un tragicamente umido sottotetto. Le non buone condizioni dell'opera rendono difficile anche il lavoro della critica, che discute sull'attribuzione: l'orientamento definitivo sembra verso l'attribuzione alla scuola di Tiziano.


Madonna con Bambino e santi Pietro e Paolo


Madonna col Bambino e santi Pietro e Paolo, noto anche come polittico di Castello Roganzuolo, è un'opera pittorica di Tiziano Vecellio, attualmente custodita nel Museo Diocesano di Arte Sacra "Albino Luciani" di Ceneda.
Il polittico fu commissionato dalla luminaria di Castello Roganzuolo al Tiziano nel 1543. Tutte le vicende del pagamento, nel quale era compresa la costruzione di una villa in Col di Manza, sono attestate nei registri conservati nella canonica. L'opera fu ultimata e consegnata solo sei anni dopo, nel 1549, e posta sull'altare maggiore della chiesa dei santi Pietro e Paolo, incorniciata dagli affreschi, ultimati un decennio prima, del pittore serravallese Francesco da Milano. Nel XX secolo, durante la prima guerra mondiale, l'allora parroco di Castello Roganzuolo, monsignor Giovanni Pizzinato, nascose le tele nel sottotetto della chiesa perché non fossero rubate dagli invasori austriaci, i quali lo sottoposero a duri interrogatori e lo arrestarono, senza ottenere la rivelazione del nascondiglio. Tuttavia, finita la guerra, le tele furono ritrovate in pessime condizioni, coi colori distrutti dall'umidità dell'ambiente in cui erano rimaste stipate. Malgrado i restauri, in seguito ai quali le tele furono trasferite al Museo Diocesano di Arte Sacra "Albino Luciani" di Vittorio Veneto, gran parte dell'opera versa in uno stato di irreversibile degrado. Inoltre, della quarta parte del polittico, costituita da una cimasa, non si hanno notizie. Nella chiesa di Castello Roganzuolo restano, posizionati in una cappella laterale, l'originale cassettone dorato del XVI secolo e le copie moderne di trittico e cimasa.


Le acquasantiere e il battistero


Vi sono due acquasantiere, una per ingresso, marmoree e di colore bianco. La loro semplicità si accorda con lo stile sobrio degli ingressi e della navata. Il battistero di marmo, vasca di forma circolare e povera di decorazioni, presenta sulla sommità una scultura lignea di Giovanni Battista.


Il campanile


Il campanile di Castello Roganzuolo è una torre medievale prospiciente il lato sud della chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Castello Roganzuolo, nella parte collinare del comune di San Fior. È il simbolo del paese.
Posto a destra della chiesa, il campanile è un'antica torre già appartenente al castello dei Da Camino (XI secolo) che nel 1337 fu abbattuto per mano veneziana. Unico elemento superstite, assieme alla cappella, esso fu convertito a campanile per la chiesa e, come essa, nei secoli si sviluppò fino a raggiungere l'attuale aspetto. Infatti della vecchia torre sono le murature della parte che va dalle fondamenta alla cella campanaria, mentre le bifore e il blocco superiore merlato sono un innalzamento successivo, i cui ultimi rifacimenti sono ottocenteschi. Attualmente in condizioni di conservazione non ottimali, soprattutto per quel che riguarda il basamento, gli intonaci e le strutture lignee interne, il campanile è in attesa di un restauro previsto per il 2010.
Sulla sommità, la struttura presenta una merlatura ghibellina: dodici merli a coda di rondine, al centro della quale, dove è presente una copertura in coppi non visibile dal basso, svetta un parafulmine abbellito da una caratteristica banderuola con un nero profilo di Sant'Ermagora, a ricordo della lunga appartenenza alla diocesi aquileiana. Scendendo si incontra, tra due cornici appena pronunciate, una bifora a tutto sesto per lato: all'interno di esse trovano posto le tre campane, i cui rintocchi risuonano nella campagna sottostante il colle a ogni scoccar dell'ore. Al di sotto delle bifore, su due lati adiacenti, quello che dà sul cortile e quello che dà sul cimitero, sono posti i due orologi; essi, identici, sono d'estrema semplicità: due circonferenze (inscritte in un quadrato appena accennato) e contenenti i numeri arabi da 1 a 12, a loro volta disegnati in piccoli cerchi, nero su bianco. Le lancette sono di colore grigio ed essenziali dal punto di vista formale. Scendendo, la base è una piattaforma allargata e tagliata, a partire dal cortile, da una piccola scala, i cui gradini consumati dai secoli conducono alla porticina d'ingresso; tale basamento è frutto di un rafforzamento strutturale di fine Ottocento. Intorno alla base, sul lato nord, sono poste delle piccole panchine e un tavolo in pietra, da cui, protetti dall'ombra della torre, si possono contemplare la chiesa e il paesaggio circostante.


Curiosità


Sul retro della chiesa (dove vi sono i piccoli locali della sacrestia), esternamente è posta, sopra la finestra della sacrestia, una piccola nicchia con una statuetta rappresentante Sant'Ermagora, simbolo del patriarcato di Aquileia; un'altra scultura con lo stesso santo fa da banderuola al parafulmine del campanile.


Chiesa nuova di San Martino


La chiesa nuova di San Martino è accessibile dalla S.S. 13 Pontebbana, passando per Piazza Venezia, sulla quale l'edificio si affaccia, mettendosi in dialogo con essa tramite il portico squadrato e la facciata priva di decori. Pensata per fini religiosi e pratici, la chiesa, voluta nel 1963 dall'allora vescovo Albino Luciani, è dotata di una rampa per i disabili. L'interno è disadorno: il coro stesso si mostra spoglio, con una parete lignea sul fondo, sulla quale, oltre al crocefisso, sono presenti solo due tele: Sant'Antonio da Padova con il Bambin Gesù (anonimo del XVII secolo) e Assunzione della Vergine (anonimo del XX secolo), rispettivamente pala d'altare e tela del soffitto dell'oratorio di Villa Liccer fino al 1979.


Chiesa vecchia di San Martino


Si diparte dal piazzale della chiesa nuova via San Martino, che incrocia all'imbocco via Pomponio Amalteo, laddove ancora si trova l'antica e diroccata chiesetta di San Martino di Gai, degli anni 1450, costruita in luogo di una chiesa preesistente già attestata nell'XII secolo. La facciata a capanna presenta tre fori: (dal basso) il portale ad arco a tutto sesto, una piccola finestra rettangolare e, in alto, sotto una sottile cornice modanata, una finestrella a forma di croce. Sul lato destro, lungo la Pontebbana, dove sorge il piccolo campanile, una nicchia con bassorilievo negli anni quaranta fu posta in luogo della demolizione della vecchia sacrestia, avvenuta per volonta di don Angelo Munari: il bessorilievo riproduce Maria Mater Salvatoris, a protezione degli automobilisti. L'interno è un'unica navata, con travatura a vista e un presbiterio con due archi. Risulta che avesse delle tele e resta quella d'altare ora trasferita, con la scritta Petrus Antonius Novelli veneto pinxit 1796, con rappresentato San Martino nel gesto di condividere il suo mantello con un povero ed altri santi ai lati.


Oratorio di San Giovanni Battista


L'Oratorio di San Giovanni Battista è la piccola cappella privata di Villa Liccer, presso la quale si trova, mantenendo la sua autonomia rispetto al principale complesso. In posizione a sé stante, preceduto da un sagrato erboso, sorge l'oratorio del Battista, risalente al XVIII secolo e avente funzione di cappella gentilizia dei Liccer. La facciata a capanna dell'oratorio è timpanata e sostenuta ai lati da due lesene corinzie; il portale è timpanato e sopra di esso c'è un rosone, con semplice cornice in pietra. Sul lato sinistro un ingresso secondario conduce a uno spazio laterale interno che ha funzione di navatella e nartece. L'interno, arricchito da stucchi, è barocco. Di numerose opere d'arte resta solo il segno (chiodi di sostegno alle pareti, un'ampia cornice sul soffitto), poiché rimosse nel corso del XX secolo: tra queste il Sant'Antonio da Padova con il Bambin Gesù (di autore anonimo seicentesco) che dagli anni novanta è parte dell'arredo della nuova Chiesa di San Martino. Questa tela era la pala d'altare dell'oratorio, sostituita attualmente da un Giovanni Battista, copia eseguita nel 1963 sul modello del Giovanni Battista (1542) del Tiziano e inserita nell'originale dossale barocco con bassorilievi, che sta sopra l'altare.


I Capitelli


Il territorio del paese è disseminato di piccole strutture votive, i capitelli; quasi ogni borgo e quartiere ha il suo, presso il quale è tradizione che i membri della comunità parrocchiale, nelle sere di maggio, si riuniscano per la recita del Rosario. I capitelli testimoniano la sopravvivenza del culto della Vergine a livello popolare, presso la comunità parrocchiale: a darne prova l'edificazione di tali stutture interessa anche il tempo recente (anni 1990).


Sacello della Madonna del Rosario


Posto all'intersezione tra Borgo Gradisca e via Sante Cancian, esso risale al 1991, ricostruzione di una struttura preesistente demolita nel 1971 per esigenze di viabilità.


Tabernacolo di Sant'Antonio


Situato nella parte alta di via Pomponio Amalteo, addossato alle mura dell'asilo, risale probabilmente al XIX secolo. Si tratta di un capitello a edicola, nella cui nicchia dipinta (seppur il cattivo stato pregiudichi il risalto dei colori) è disposta una statua in pietra bianca di Sant'Antonio col Bambin Gesù.


Edicola della Sacra Famiglia


Nei giardini La Moranda di via XXV Aprile, al centro di un quartiere residenziale che si è sviluppato a partire dagli anni sessanta e che ha avuto negli anni novanta la sua massima crescita, è stato costruito nel 1996 e inaugurato nel 1998 il più recente capitello di Castello Roganzuolo. Si tratta di una revisione in chiave contemporanea della struttura tradizionale del capitello a edicola.


Colonna di Maria Immacolata


È un capitello a colonna, del 1954, sulla cui sommità è posta una statua della Madonna; oltre ad aver consacrato la nascita della zona residenziale nascente intorno ad esso negli anni Cinquanta, e perciò denominata Borgo Mariano, è stato posto lungo la Strada Statale Pontebbana a protezione degli automobilisti.


Sacello della Madonna


È il piccolo capitello timpanato di via Larghe Ongaresca, probabilmente edificato nella seconda metà del XIX secolo.


Tabernacolo di Sant'Antonio


Poco distante dal sacello della Madonna, in via Ongaresca si trova un capitello di origini incerte, ricostruito nel 2002; un basamento in pietra regge una nicchia in vetro e metallo, dov'è contenuta la statua del santo.