21- L’eccezione che patisce il discorso, fatto in questa maniera, viene unicamente originata dall’error popolare, o sia più tosto inavvertenza di coloro, che si persuadono, che la “Campagna di Roma” non sia capace ed atta a ricevere altra coltura, che quella, che vien fatta colla semenza de’ grani, laddove è cosa chiarissima, che tanti popoli, i quali in tempo dei Rè, della Repubblica, e dell’Imperio stavano sparsi in tante Città, Tribù, e Ville per tutto quanto il Lazio, e da Roma fino al mare, cavavano da questo terreno medesimo tutti i frutti della terra, necessari alla vita umana. Stradone, che scrisse ne’ tempi di Tiberio, ce ne fa chiara testimonianza dicendo :<<Totum Latium felix est, omnium rerum ferax, exceptis paucis quibusdam locis maritimis, quæ palustria sunt at que morbosa, qualis est Ardeatinus ager, quod est inter Antium, Lavinium usque ad Pometiam, Setini agri quædam, circa Terracinam Circeum>> ora, dunque perché non si procura di restituire all’Agro Romano, e al Lazio l’antica coltivazione, o almanco non si tenta di cominciare questa impresa tanto utile e necessaria, secondando il genio mobilissimo della SANTITA’ VOSTRA ? Uno dei suoi savj e zelanti ministri considerando il gran consumo, che si fa in Roma di tanti caci, olj, vini, e altre gresce forestiere, e che niuno mai pensa al grave danno, che riceve il Principato per tanto danaro, che continuamente si lascia andare via, più volte è stato da me udito esagerare, che il popolo di Roma per sua gran disavventura ha i suoi procoj a Parma, gli uliveti a Genova e in Calabria; e le vigne in Corsica e in Sicilia:

disordine simile a quello, che è Romani de’ tempi antichi fu acremente ripreso, prima da Marrone, e poi da Columella :<< Igitur (dice Varrone) quod nuc intra murum fere patres familiæ correpserunt, relictis falce aratro, manus movere maluerunt in teatro Circo quam in segetibus, vinetis frumentum locamus qui nobis aduebat, qui saturi fiamus ex Africa, Sardinia, novibus vindemiam condimus ex Insula Choa, Chia.>> E Columella :<<Itaque in hoc Latio Saturnia terra, ubi Dii cultus agrorum progeniem suam docuerunt, ibi nunc ad  bastam locamus, ut nobis ex transmarinis provinciis aduchatur frumentum, ne fame laboremus, vindemias condimus ex  insulsi Cycladibus, ac regionibus Bæticis, Gallicisque>>.

 

Grascia : Secondo gli statuti della città di Roma del sec. XIV, grasca <<intelligatur granum, farina, ordeum, mileum, legumen et omne genus bladi, carnes, untum, oleum, vinum>>. Una descizione simile degli oggetti che nel vocabolo “grascia” venivano compresi, si può trovare negli statuti dei principali comuni di quell’epoca, i quali miravano concordemente a favorire gli approvvigionamenti delle città. Era proibito il trasporto dei prodotti del suolo da luogo a luogo, e imposto che dovessero essere consumati nel luogo in cui erano stati raccolti, tranne che fossero diretti verso la città che era sempre preferita al contado.

Dal Libro degli “Statuti della Città di Orte” del 1584 si legge nel libro IV° cap. 109 pag. 243-244 :”La pena per chi porta fuori la grascia – Parimenti si è stabilito che nessuno oserà portar o far portar via dalla predetta Città di Orte e dal suo distretto apertamente o di nascosto, della grascia di grano, di spelta, di orzo, di saggina, e legumi o di qualche altro genere di biada, alla pena di 10 libbre per ogni mediale e per ogni volta; sarà lecito tuttavia all’ortano che abbia la soccida di scrofe fuori della Città di Orte e del suo distretto poter inviare o portare senza pena per ogni porcellatura e per ogni scrofa un mediale di orzo, ecc. ecc.”.

Procojo : Recinto per il bestiame, soprattutto ovino nella campagna Romana. La voce è nota in parecchie varianti (procuoio- proquoio- ecc.) e anticamente era diffusa in un area più vasta che non oggi dell’Italia Centromeridionale, anche con altri significati: mandria, cascina, costruzione rustica con stalla per mucche e attrezzatura per la produzione dei formaggi.