18- L’altro rimedio col mezzo delle “Tratte”, certamente anch’esso non può essere, se non giovevole: ma non sarà però tale, quale si ricercherebbe al nostro bisogno, mentre nella parte del Lazio, che confina col mare, non è sperabile, che si possa avere quell’esito de’ grani, che la gente non a pieno informata forse troppo facilmente si persuade; imperciocchè de’ nostri frumenti mai a nostri giorni non ne sono stati mandati fuori d’Italia, salvo qualora la Francia ne ha avuta penuria, e si è trovata in guerra viva con tutte le altre nazioni, siccome fu nell’anno 1694 che se vogliamo fare le nostre riflessioni sopra l’Italia, il bisogno de’ grani in essa ordinariamente si riduce alle sole città, e Riviere dalla Liguria, ove però ne concorre ancora dalle Maremme della Toscana, dalla Sicilia, dalla Puglia, e dal resto del Regno di Napoli, come pure bene spesso dalla Francia, e dalla Barbaria ; sicchè la speranza, che i Genovesi vegano a ricercare i nostri frumenti, è assai mal sicura ed incerta ;

onde abbiamo veduto, che in tempo di pace gli affittuarj dello Stato di Castro, non ostante la libertà degl’imbarchi, quasi dal or soli goduta, particolarmente nel Pontificato della santa memoria d’Innocenzo XI° si erano ridotti in gravi angustie, essendo loro convenuto per mancanza di richieste, tenere per tempo considerabili i grani non venduti, o pure vendergli a’ prezzo assai vile di scudi cinque, e sei il rubbio, e alle volte anco a meno.

 

19- Ma perché alcuno potrebbe opporre la qualità de’ nostri grani superiore in perfezione a tutti gli altri, si avverte, che sebbene per questa ragione se ne spaccerà qualche porzione per uso della Città di Genova (il che però per alcuni anni né meno è seguito) ad ogni modo le Riviere, dove si averebbe a fare lo spaccio maggiore come ripiene di gente poverissima, applicheranno sempre a provvedersi di quelli di minor prezzo, quantunque di qualità inferiore a i nostri, specialmente, se riuscirà loro di avergli per cambio di altre merci, conforme altrove spesso si pratica. Il che però non può farsi da i nostri Agricoltori, i quali per soddisfare alle gravi e continue spese de’ lavori della “Campagna”, non si ritrovano in istato di commutare i loro grani con altro, che col denaro effettivo.

A questo si aggiunge, che tra i grani nostrali, e i forestieri ci sarà sempre una differenza molto notabile intorno al prezzo per cagione della spesa, che si ricerca assai maggiore nella Coltivazione della “Campagna di Roma”, come diversa dalle altre, per essere vota d’abitanti, e coloni, i quali perciò calando dalle provincie dell’Abruzzo, dell’Umbria, e della Marca, richieggono per conseguenza le mercedi più rigorose di quello, che farebbero quando fossero nativi, e paesani.

 

20- Ma, come anche fosse vero ciò, che dice più d’uno, che colle sicure speranze delle “Tratte” i grani avessero ad esitarsi alla Marina in copia ogni anno, e a prezzi vantaggiosi (il che però siccome ho detto, e molto dubbioso, ed incerto) e perciò si avessero ad animare le persone a seminare i terreni di qualche migliaia di rubbia di grano di più per ciascheduno anno, io non crederei già, che per questo si avesse a conseguire il fine, che alla S.V. si è prefisso nella mente, cioè di veder rifiorire, e risorgere di bel nuovo la nostra “Campagna”; imperciocchè in tal forma non si conseguirebbe niente di più, che una maggiore coltivazione de’ campi, i quali, ciò non ostante, rimarrebbono miseri, squallidi, spopolati, e insalubri, quali appunto sono stati da più secoli, e stanno tuttavia a nostri giorni, mentre la coltura si continuerà nella stessa maniera, e con gli stessi dispendi: e cosiì assai poco sollievo ne riceverà Roma, e lo Stato, al cui importante sollievo, e beneficio sta tanto applicata la SANTITA’ VOSTRA.