ventimaggio

V e n t i m a g g i o

se tante persone di poco conto facessero cose di poco conto in tanti posti di poco conto,
la vita sulla terra sarebbe migliore
(J.F.K.)

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GALAPAGOS TOUR - Febbraio 2004

LE ISOLE

Fino a quel giorno di Febbraio conoscevo le Isole Galapagos per quello che si vede nei documentari o si è letto sui libri di scuola grazie anche a Mr. Charles Darwin. Quando mai ti capita di sentire parlare tanto di un posto così remoto e poi hai l’occasione di andarci per davvero ?. Mai.
Ebbene questa volta il sogno si è avverato. Si sogno perché probabilmente di questo si è trattato.

(Immagine tratta dal web)

Già ti colpiscono le forme strane che le isole disegnano nel blu dell’Oceano Pacifico. Una volta a terra ti rendi conto come le Galapagos rappresentino più di qualsiasi alto luogo al mondo la
crudeltà e l’amore, la durezza e la tenerezza, l’aridità e la fertilità.

 

Un luogo in cui si fanno incontri unici, in cui puoi trovare migliaia di forme di vita diverse ma tutte accomunate da una sola parola d’ordine <<SOPRAVVIVERE>>.
Lo si vede in ogni angolo sulla terra ferma.


 

Lo si vede nel blu sotto il mare.


 

Lo si respira nell’aria calda e umida dell’Oceano.


 

Con queste premesse cominciò il nostro mitico viaggio; arcipelago delle Galapagos, Isola “Baltra”, dodici amici subacquei pronti per l’imbarco sul “MY Mistral”, rotta verso nord.

Eravamo lì nel mezzo del Pacifico da poche ore e, con l’aperitivo in una mano e l’immancabile fetta di salame nell’altra, già si parlava di fotografie e si discuteva: << ma quello era uno squalo grigio o un martello ?; invece quello dopo le aquile di mare, o forse erano mante ?>>. E pensare che era stata solo un’immersione di prova a pochi minuti di navigazione dal porto. Avevamo già visto quello che solitamente si incontra, se si è fortunati, in un’intera vacanza !!.

La prima escursione a terra fu sull’isolotto di “Seymour”. Una lingua di sabbia, rocce, arbusti e guano di uccelli dappertutto come se fosse nevicato da poco.

Quarantacinque minuti per percorrerne il perimetro e ad ogni passo una scoperta. Leoni di mare che giocavano o prendevano il sole. Altre femmine che allattavano i piccoli.

Le Sule dai piedi azzurri si corteggiavano improvvisando passi di danza, guardandoci impavide con il loro sguardo color acquamarina.

 

Dappertutto iguane. Iguane di terra e di mare; sorelle così diverse ma così uguali. Testimoni di un tempo ormai passato per tutti ma non per loro.

   Al centro dell’isola, dove cresce a macchie un po’ di vegetazione, trovammo una colonia di Fregate. Le femmine adulte accudivano piccoli come bianchi batuffoli di cotone.
I maschi in corteggiamento a mostrare i loro gozzi rigonfi e colorati.

Tornammo alla spiaggia al calare del sole. L’aria era colma di gridi e di richiami. Cuccioli di Leoni marini giocavano nelle onde come provetti surfisti californiani, mentre sulla battigia correva una moltitudine di grossi Granchi con i carapaci multicolori.


<<Chissà cosa ci aspetterà domani>> era il pensiero che tutti noi avevamo alla fine del primo giorno.

L’indomani prua fissa verso nord. La meta era l’isolotto di “Darwin”, ultimo lembo di terra emersa a nord dell’arcipelago. Qui il vento e l’acqua hanno modellato la roccia lavica di questo isolotto fino a farlo assomigliare a uno di quegli archi romani che si incontrano dalle nostre parti.

L’Oceano si rivelò clemente, regalandoci una navigazione tranquilla. Viaggiavamo quasi sempre di notte, per poterci svegliare alle prime luci dell’alba in prossimità del luogo di immersione.
Le prime immersioni furono a “Roca Cousin” e a “Roca Albany”, nei pressi dell’isola di “Santiago”.
Qui qualcuno ci stava già aspettando.

   Erano decine di “Lobos de mar” (Leoni marini) che, come dei bambini curiosi e giocherelloni, ci sfrecciavano intorno da tutte le direzioni. Veramente una sensazione unica !.
Poi arrivammo a “Roca Redonda”, sperduta in mezzo all’oceano. Qui incontrammo il primo branco di Squali Martello. Rimanemmo immobili a seguire le loro inconfondibili sagome bianche sopra alle nostre teste, insieme a curiosi Carangidi, Tonni e Barracuda.

Il giorno successivo raggiungemmo “Wolf”. Un grande scoglio pieno di gole e insenature, le pareti, tutte a picco sul mare, abitate da una moltitudine di uccelli diversi: Sule, Fregate, Cormorani.
Questa parte dell’arcipelago è il territorio dei grandi pesci pelagici di passo. Qui l’unica cosa di cui scoprimmo di avere bisogno fu un saldo appoggio dove aggrapparsi. Per il resto bastò gettare lo sguardo nel blu della corrente per vedere il traffico dell’ora di punta: Martelli, Tonni, Carangidi, Squali delle Galapagos e via dicendo. Chissà perché la guida ci disse che questo punto di immersione si chiamava “Avenida de Tiburones” (via degli Squali).

 


Nell’immersione di mezzogiorno la corrente fu ancora più forte: la sentivamo fischiare e rimanere aggrappati alle rocce era faticoso. Le fruste dei secondi stadi ci svolazzano intorno al punto da rendere faticoso il tenerle in bocca gli erogatori. Non si sapeva dove guardare. Carangidi e Barracuda che ci sfrecciavano davanti a forte velocità. La corrente era talmente forte che non sempre riuscivamo a girarci per seguire quello Squalo piuttosto che quei Barracuda. Adrenalina a mille e sensazioni incredibili erano la regola. Eravamo trenta metri sotto il mare in pieno Oceano Pacifico, sballottati da correnti d’acqua come se fossimo in mezzo ad una tromba d’aria sulla terra.  In tutto sto movimento solo gli scatti della macchina fotografica riuscirono a dare l’idea di calma.

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