Purtroppo il 23 luglio, scendendo da un bus di fronte al Colosseo, ho preso male il bordo del marciapiede ed ho sentito un dolore ad un piede. La mattina dopo, sabato,
ero dolorante e sono rimasto in casa tutta la giornata, il che mi ha impedito di andare a vedere il concerto che Debora Petrina dava a Frosinone, nella Cantina Mediterraneo.
Ancora 24 ore e domenica nel primo pomeriggio stavo già abbastanza meglio, così ho preso l'automobile e sono partito per il paesino del frusinate dove i mei
genitori sono in vacanza. Io sono nato in quella zona, anche se vivo a Roma da quando avevo poco meno di 5 anni di età.
Passato il pomeriggio con i genitori anziani, verso sera mi avvio verso Ceccano, cittadina a pochi chilometri da Frosinone e che comporta quindi solo una piccola deviazione dal
percorso di ritorno verso Roma.
Per trovare piazza Camillo Mancini, dove si tiene il concerto, mi affido al navigatore satellitare, ma il TomTom mi fa infilare in un dedalo di viuzze sempre più strette, finché non
arrivo ad una curva in cui a sinistra la gomma quasi sprofonda in basso ed a destra si sfiora un palazzo, per finire in una minuscola piazzetta... senza uscita! Solo scalinate dappertutto.
Provo a citofonare al palazzo di fronte e due signore si affacciano, per dirmi che piazza Mancini è proprio lì a pochi metri, ma ovviamente ci si arriva solo a piedi e l'unica via
per l'auto è tornare indietro.
Sono tentato di lasciare parcheggiata lì l'auto, tra l'altro facendo così tacere il mio istinto paranormale che mi dice che questa sera a Ceccano ci sono pericoli in agguato. Ma
sarebbe una follia tentare manovre al limite del possibile dopo la mezzanotte e da solo, per cui, aiutato da un signore che gentilmente scende da casa per darmi indicazioni,
riesco a fare una inversione di marcia, ripassare attraverso tutte le strettoie dell'andata ed arrivare infine nella piazza principale del paese. Indiana Jones mi fa un baffo!
Parcheggio nella piazza, che è in discesa, come il resto del paese che è tutto un saliscendi. Ecco forse perché, pur essendo a soli 15 km dalla piana di Frosinone, qui c'è un bel panorama
e si sente un leggero venticello che aiuta non poco a sopportare la calura.
Piazza Mancini è a 250 metri, incastonata tra i palazzi, un vero anfiteatro naturale. Quando arrivo, saranno le otto e mezza, Patrizia è già sul palco e sta provando con i musicisti. Apro
il nuovo zaino metà-foto-metà-porta-tutto e faccio qualche ripresa e qualche fotografia.
Vedo nella piazza la giornalista Roberta Balzotti che ballonzola in giro, un Santimone che parla al cellulare su un muretto, mentre altri bevono birra e mangiano salcicce vendute ad un piccolo
stand. Ci sono persino alcune bancarelle di chincaglierie ed un bancone di libri. Che nostalgia, gli stand con i libri!
Ogni tanto le prove si interrompono e Patrizia, più esile che mai e con i capelli tirati in su, scompare dal palco. Torno in piazza, guardo in giro e sono curioso, perché non ero mai
stato a Ceccano. Patria, tra l'altro, dell'astronomo Gianluca Masi, che non ho avvertito su Facebook solo perché ho deciso all'ultimo momento di partire, a causa del dolore al piede.
Ad un certo punto, durante le prove, succede un fatto strano: piazza Mancini viene sorvolata da un aereo ultraleggero, pilotato da un tizio che ha una sciarpa che gli vola dietro
il collo, tipo Barone Rosso (nella versione Peanuts, almeno). L'aereo fa tre passaggi sulla piazza, volando forse solo 10 o 15 metri al di sopra dei tetti delle case, e sembra proprio
interessato all'evento o almeno a farsi vedere da chi vi partecipa. Chi sarà mai il barone rosso di Ceccano?
Ad un certo punto vinco la ritrosia e mi presento a Roberta Balzotti, che è anche lei una grande appassionata della musica di Patrizia. Brevi saluti e torno a
fare fotografie e riprese delle prove.
Verso le dieci ed un quarto si presenta sul palco una delle organizzatrici, che presenta in breve Patrizia e poi lascia il palco ai musicisti. Patrizia inizia a cantare una delle
nuove canzoni "... mi parlava dei suoi viaggi / e di un castello tutto suo / mi giurava e spergiurava / che sarebbe stato mio / ero giovane e indifesa / e l'ho amato per un po' /
ma dopo un po' mi sono arresa / e con coraggio dissi no..". Che fascino, l'atmosfera che sa creare la voce di questa donna è unica, non esistono paragoni, anche perché vive ogni
canzone che canta. Lei canta se stessa, la sua vita, il suo punto di vista, l'interiorità delle emozioni, degli affetti, delle delusioni. Solo un Paese cieco e sordo la può tenere
in questa piazzetta invece di proiettarla sui palscoscenici più alti!
Riprendo con la telecamera varie canzoni, faccio foto, poi mi concedo una pausa, quando ascolto canzoni ben note che avrò sentito centinaia di volte, comprese quelle dal vivo. Mi sposto
di centro metri per sedermi su una panchina e mangiare un panino, con panorama notturno sulla valle. Poi torno nella piazzetta per il resto del concerto e riprendo due o tre canzoni di
seguito. Ma poi, quando voglio fare qualche foto, mi rendo conto che la macchina fotografica non c'è più. Una breve riflessione e capisco: l'ho lasciata sulla panchina!
Corro come un pazzo bofonchiando non so cosa e dicendo mentalmente addio alla mia bella Pentax K100D con teleobiettivo Sigma, qualcosa come 1200 euro di valore...
Arrivo trafelato alla panchina, dove trovo tre adolescenti che, tutti sorridenti, mi dicono che hanno trovato la macchinetta e si lamentano del mio ritardo nel tornare indietro a riprenderla!
Stavano per andare via e portarla alla polizia, mi dicono. Quasi non ci credo, li ringrazio e loro vanno via. Meritano almeno un gelato, accidenti, metto mano al portafogli, ma loro
stanno già andando via, nella più completa normalità. Penso a cosa sarebbe successo su una panchina a Roma e mi sento orgoglioso di essere nato da queste parti.
Il pubblico nella piazza è diviso in due settori, gli innamorati della musica di Patrizia, che ascoltano ipnotizzati le sue canzoni, ed i conviviali, che conversano cercando di
superare il volume della musica. Non è il tipico pubblico di Patrizia, comunque, la quale rende visibile la sua perplessità dicendo alla gente: "però, quanto siete silenziosi...".
Ad un certo punto chiama sul palco un certo Giordano, penso sia il nome, che suona qualche pezzo al pianoforte. Credo sia una concessione alle glorie locali, ma questo Giordano
sembra sia stato presente anche nel concerto del giorno prima in Toscana, dalle parti di Pisa. Mistero.
Patrizia è stata sempre molto magra, ma ultimamente, sarà una mia fissa, la vedo quasi esile, come fosse sul punto di evaporare. Ed è anche pallida (msg: se vuoi, ti invito
al mare dovunque tu voglia!) ma tutto ciò non ha alcun riflesso sulla sua voce, che è sempre suadente e potente, ora soave ora aggressiva, ora sognante ora
riflessiva, ma sempre di una espressività incomparabile. Forse anche troppa, per il pubblico presente, che non sempre sembra percepire tutta la poesia che si riversa dal palco.
Forse anche per questo, il concerto finisce tra gli applausi ma senza bis. Mi avvicino al palco per salutarla e lei sembra contenta di vedermi. Mi chiede quanti km ho fatto
da Roma per venirla a vedere. C'è anche un tizio napoletano e barbuto, anche lui venuto apposta per vedere il concerto. Stringo la mano a Patrizia e ci salutiamo.
Poi una corsa in autostrada fino a casa, meno di un'ora.
Andando a dormire, penso che è stata una giornata ricca di imprevisti, ma spesa bene.
Dopo il concerto a The Place dello scorso luglio, Naif Hérin è tornata in grande stile a Roma, per il concerto di questa sera all'Auditorium
Parco della Musica. L'evento fa parte della rassegna X Generation, che presenta una serie di giovani musicisti dal sicuro talento, ognuno
associato ad un artista già affermato, che viene ospitato nel corso dello spettacolo.
Ho fatto in modo di arrivare con un certo anticipo, verso le otto, così da avere tutto il tempo di piazzarmi in posizione avanzata (non c'era il
biglietto numerato, come per tutti i concerti che avvengono nella sala Teatro Studio) e magari fare in modo di salutare la brava artista valdostana.
Visto che non c'era nessuno nella zona di ingresso, sono arrivato nei pressi della sala e chi ti vedo, intenta a conversare con altre due persone?
Proprio lei, Naif! La saluto, la abbraccio, stringo la mano al batterista Momò e poi i due tornano nei camerini, a cenare e prepararsi. Tornando
verso l'uscita noto la sala del coro, che non conoscevo, completamente deserta. C'è qualcosa di surreale in quel semicerchio di leggii vuoti su più
file ed un pianoforte a coda solo soletto in basso al centro. No dico, un pianoforte a coda? Eh già! Così con molta titubanza, ma
anche con una certa nonchalance, mi tolgo il cappotto e mi siedo alla tastiera. Suono i pochi pezzi che conosco ed il ritornello di una canzone
composta da me alcuni mesi fa, ma con parole nuove ed adattate ad un lieto evento. Però pensavo fosse meglio, questo piano: ha i tasti duri come i modelli
da studio e qualche nota mi sembra pure da accordare... Meglio del mio studio verticale, ma peggio del mio piano digitale, però sempre
con il fascino del pianoforte "vero". Ad un certo punto entra la pianista autentica, quella che dovrà a breve far allenare il coro e
così le lascio il posto, uscendo fuori in attesa dell'inizio dello spettacolo, a cui manca poco.
Mi siedo in prima fila e poco dopo le 21, persino con una certa puntualità, le luci si spengono, i fari si accendono e Naif inizia a cantare.
La formazione è un po' diversa da luglio, quando erano in tre. Ora, oltre a Momò alla batteria, c'è Manouche alla chitarra, Andrea alle tastiere
e Lucas al basso, oltre naturalmente alla voce ed alla chitarra di Naif.
Le canzoni, tutte a me già note, sono arrangiate con uno stile un po' diverso, più rock, ed eseguite con una grande energia e determinazione, senza
però far mancare una affascinante alternanza di brani melodici e ritmici. Per chi non li conoscesse, si va dalle suggestive atmosfere di "Io sono il mare"
(tra i finalisti di Musicultura 2009 e lì eseguita in chiave quasi fantascientifica) alla autoironica "Oui maman" (ovvero, come sopportare una
mamma perfetta), dalla giocosa "Faites du bruit" (facciamo rumore, per non farci fregare...) alla malinconica ma ottimista "I tuoi sogni" (una delle
mie preferite). Tra gli altri brani eseguiti "Goodbye London" (quale ragazzo non ci ha passato un periodo?), una "Il cielo in una stanza" di Gino Paoli,
rivisitata nel ritmo, "Fiori di acacia" (un'altra delle mie preferite, per ora mai pubblicata in un album), "No"
(dedicata al matrimonio), la lirica ed intensa "Piove col sole" e poi le ironiche "Just a gigolo", "La ballata del povero Giuda desolato" e "Astronauti",
per finire con "Non, je ne regrette rien" di Edith Piaf.
Uno dei momenti clou della serata è stato segnato dall'ingresso sul palco di Paola Turci, che ha duettato con Naif in due canzoni. Molto
simpatico il modo con cui la Turci ha presentato Naif (cito a memoria): "L'ho notata a Musicultura, a Macerata: con questi dreadlock orrendi
e questo viso limpido, questo sorriso, mi ha subito colpito".
Ed anche l'esigente pubblico dell'auditorium alla fine si è arreso a Naif, al suo viso limpido, al suo sorriso e, soprattutto, alle sue canzoni
e le ha tributato applausi via via più convinti man mano che la serata procedeva. Non so perché, ma vedere un concerto di questa simpatica
ragazza mi mette addosso allegria ed ottimismo, cosa da non sottovalutare, di questi tempi.
La storia di Naif è nota: ha imparato da ragazzina, e da autodidatta, a suonare pianoforte, chitarra e basso, a cantare e comporre musica e testi.
Poi, insieme a Momò, ha fondato uno studio di registrazione, divenuto in seguito la sua casa discografica indipendente, con cui produce e
distribuisce i suoi dischi. Con questo concerto inizia in effetti la distribuzione ufficiale del suo ultimo album, intitolato
"...è tempo di raccolto" e che si può ordinare per corrispondenza inviando una e-mail a: midistribuisco@gmail.com.
Nei video qui accanto si può vedere una parte del duetto tra Naif Hérin e Paola Turci e poi "Il cielo in una stanza" eseguito
durante il programma "Effetto sabato" di Rai Uno.
Ecco una buona notizia: "Le Concert", film di Radu Mihaileanu e presentato al festival cinematografico di Roma lo scorso ottobre viene ora distribuito in Italia, doppiato in italiano con il titolo "Il concerto". Se vi capita, andatelo a vedere. E' un film pieno di scoperte...
Festival della Scienza - Scienza - 17 gennaio 2010
Dal 13 al 17 gennaio c'è stato il Festival della Scienza all'Auditorium di Roma.
Venerdì 15 ho assistito ad una una conferenza sulla robotica, intitolata "Uomini, robot e altre strane creature", con la partecipazione di
Giulio Sandini, Antonio Bicchi, Mark Cutkosky, Sandro Nannini e Alon Capua. È stata molto interessante e se c'è una cosa che ho notato
è stato l'atteggiamento completamente diverso del gruppo degli studiosi italiani, rispetto agli americani e israeliani presenti. Mentre gli italiani
tendevano a partire dai massimi sistemi - cos'è un uomo, cos'è l'intelligenza, ecc. - gli americani tendevano pragmaticamente a partire dalla
soluzione dei problemi più elementari e pratici (come far muovere un arto, come creare un serpente robot, ecc.). Solo il futuro ci dirà quale
impostazione è vincente, ma non scommetterei sugli italiani, in questo caso.
Mark Cutkosky ha fatto vedere il suo geco robotico, cioè un robot in grado di arrampicarsi sulle pareti, costruito grazie allo studio
delle zampe del geco, un simpatico rettile che sa arrampicarsi su qualsiasi superficie verticale. Alon Capua ha invece fatto vedere, anche dal vivo,
il suo serpente artificiale, anche è un po' triste sapere, dai giornali, che i primi utenti del robo-serpente sono stati i militari israeliani...
Finita la conferenza sui robot ho gironzolato un po' per il festival, dove ho curiosato negli stand allestiti dal laboratorio Telecom Italia.
Oddio, non è che ci fossero novità clamorose. Tra e-book un po' deludenti e telecamerine semoventi, c'era persino una automobile dotata di... pensate cosa...
non oso dirlo: un navigatore satellitare gps! Wow, che novità eh?
Poi mi sono recato all'evento successivo, intitolato "Tra Possibile e Immaginario - Dove ci porta il web?", con Franco Bernabè (Ad Telecom Italia),
Paolo Ferri, Stefano Maruzzi (Google Italia ed ex Microsoft), Nicholas Negroponte (MIT di Boston), Luca Sofri (blogger),
Riccardo Luna (rivista Wired Italia).
La cosa più interessante di questo incontro è stata la presentazione del progetto di Nicholas Negroponte, intitolato "One Laptop per Child",
che consiste in una società no-profit che costruisce pc portatili a basso costo e fatti apposta per i bambini in età scolare dei paesi in via di sviluppo.
Il laptop è colorato, sopporta le cadute, si connette in wireless con i pc degli altri bambini e contiene giochi, programmi educativi e 100 diversi libri
da leggere. Per le zone prive di elettricità, ne esiste una versione che si carica a manovella.
Inoltre, quando ad esempio in un villaggio sperduto vengono dati molti di questi pc, ognuno contiene libri diversi da quelli presenti negli altri pc.
Così, come ha detto Negroponte, se si danno 100 pc ad un villaggio africano, quei bimbi (ed adulti) si ritrovano a disposizione una biblioteca di 10.000 volumi,
cosa che non sarebbe possibile con i libri tradizionali.
Egli ha poi illustrato i primi risultati positivi avuti in molti paesi. In Uruguay, ad esempio, il governo ha deciso di dare il pc a tutti i bambini
in età scolare ed il risultato è stato l'azzeramento delle fughe dalla scuola, l'aumento dell'interesse nei bambini, il coinvolgimento dei genitori, ecc.
Ero quasi commosso, a sentire queste cose...
Qualcuno ha poi fatto presente quanto si spende poco per l'istruzione in Italia (solo lo 0,7% del PIL contro il 6% degli Usa, ad esempio, ed una media
del 2% nella UE).
Una nota stonata è venuta da Luca Sofri, il quale, volendo sottolineare come i giornali a volte sparano le notizie ed esagerano, ha citato i titoli
sul terremoto ad Haiti. Ora, il concetto uno può anche condividerlo, ma certo che l'esempio che ha scelto è stato proprio il peggiore. Quel terremoto
è stato così orrendo, infatti, che nessun titolo di giornale, per quanto a caratteri cubitali, potrà mai riuscire a comunicarci neanche una minima
parte dell'orrore reale che proveremmo stando sul posto. Sono sincero: questa frase di Sofri mi ha nauseato.
Divertente, invece, l'elegante battibecco tra Bernabé e Negroponte. Quando il primo diceva che pochi in Italia usano internet, il secondo rispondeva che
è forse perché le connessioni costano troppo (tra gli applausi del pubblico). Però, se la gente butta somme enormi per i telefonini, penso io, il
problema forse è soprattutto culturale.
Poi, dopo che Bernabè aveva illustrato le meraviglie di internet sui cellulari e sui televisori, Negroponte ha sentenziato che chi punta su telefonini e tv,
è destinato a morire (si notava leggero sbiancamento di Bernabè).
Sabato sono andato a vedere solo un incontro con il giornalista Gianluca Nicoletti sulla tecnologia e mi è piaciuta soprattutto una sua frase su
Pistorius. Visto poco, però, perché sono arrivato che era quasi finito.
Subito dopo mi sono però imbattuto in una lezione sulla storia della musica elettronica, dagli anni '30 ad oggi, tenuta da Enrico Cosmi.
È stata divertente ed interessante e mi ha fatto ricordare di quando giocavo nei primi anni '80 con gli oscillatori di un Commodore (lo avevo
trasformato in un piccolo moog), ascoltavo Stockhausen e mi interessavo al musicista greco Xenakis... Bei tempi.
Domenica sono andato a vedere un incontro sulla biologia e l'evoluzione, con Gianfranco Biondi ed Olga Rickards. Incontro molto
interessante e nel quale ho superato la mia innata ritrosia per fare due domande, che hanno avuta pronta risposta.
Nel mio filmato qui a fianco, una sintesi di quanto ho visto.
Questa sera ho visto un concerto di Elena Ledda qui a Roma.
La musicista sarda ha infatti tenuto un concerto nella basilica di San Lorenzo in Lucina, poco distante dal mio ufficio. Per cui, uscito abbastanza tardi dal lavoro
(c'era molto da fare, vi assicuro) non mi è restato altro da fare che fare qualche centinaio di metri con tutta calma, entrare nella chiesa ed assistere ai preparativi del concerto.
Quando sono entrato stavano intervistando Elena e così ho rimandato i saluti a dopo il concerto.
La basilica di San Lorenzo in Lucina, da non confondere assolutamente con quella... rimasta nell'oscurità, senza lucina insomma, si trova nell'omonima bellissima piazza
rettangolare lungo via del Corso ed è una delle tante magnifiche chiese che si incontrano nel centro storico di Roma, ovviamente con tutte le sue peculiarità che sarebbe troppo lungo
riassumere qui. Per questo, consultate Wikipedia.
Quello che conta sapere è che è una chiesa molto bella e grande, dove molti spettatori si sono seduti sui banchi, in attesa del concerto. Dietro di me ad esempio, una coppia
di turisti olandesi, incuriosita da tutti quegli strumenti messi di fronte all'altare.
Con questo concerto Elena Ledda ha presentato il suo ultimo album, che si intitola "Cantendi a Deus" e che comprende canti sacri della tradizione sarda, più alcuni brani spagnoli.
Come si può dunque immaginare, questa è davvero la cornice più adatta per presentare della musica sacra.
Tutti i brani sono stati assolutamente meravigliosi, con la voce di Elena capace di esprimere il profondo dolore della Madonna alla vista di suo figlio morto e poi invece la gioia
raggiante che saluta il nuovo nato e mille altre sensazioni e sentimenti. Alcune canzoni hanno creato nella sala una suggestiva atmosfera medioevale; sembrava quasi di vedere dame
e cavalieri e monaci sfilare salmodiando nelle navate mentre le melodie tessute dalla voce di Elena disegnavano arabeschi sulle vetrate...
Alla fine di un pezzo davvero difficile vocalmente e davvero molto bello, i due turisti olandesi si sono finalmente lasciati andare ad un lungo e convinto applauso.
Elena era accompagnata da un gruppo di musicisti, tra i quali ho riconosciuto il mandolinista (ma suona mille strumenti a corda, anche antichi) Mauro Palmas, che ha anche lui
pubblicato un album intitolato "Il colore del maestrale", che ha avuto la gentilezza di regalarmi.
E' proprio lui che ho salutato per primo alla fine del concerto, dopo aver acquistato una copia del disco di Elena, occupatissima a salutare tutti
i suoi ammiratori.
Poi mi sono avvicinato anche io e così ho avuto il piacere di abbracciarla e farmi dedicare il suo album. Qui accanto vedete alcuni brani del concerto, nelle mie riprese
Con il 2009 siamo arrivati alla quarta edizione del Festival del Film di Roma, durante il quale ho visto quattro film.
Ho iniziato vedendo il primo film in programma, nella serata di apertura di giovedì 15, ovvero "Triage", del regista bosniaco Danis Tanovic.
Prima del film si sono presentati sul palco Gian Luigi Rondi, la direttrice del festival, Piera Detassis, e l'attrice Margherita Buy.
Quando dico presentati sul palco dico esattamente quello che è successo, senza un minimo di scenografia. Tra amplificazione di medio livello,
palscoscenico del tutto spoglio, la Buy che entra con qualche secondo di ritardo e Rondi con lunga sciarpa bianca, sembrava di stare in un teatro off...
"Triage" è un film sulle guerre contemporanee, quelle che avvengono mentre ce ne stiamo seduti a guardare la tv in una calda stanza europea.
Due fotoreporter irlandesi vanno in Kurdistan, siamo nel 1988, per documentare la guerriglia curda ed introiettano l'orrore. Uno torna, l'altro non si
sa bene che fine abbia fatto.
Ottime le intenzioni, ottimo l'impegno civile, molto buona anche la recitazione, con il protagonista Colin Farrell e poi lo psichiatra
Christofer Lee ed anche Kelly Reilly, nei panni della moglie incinta dello scomparso (sentiremo parlare ancora di Kelly).
Però si ha la netta sensazione che al film manchi qualcosa, ad esempio un minimo di approfondimento della psicologia dei protagonisti, specie nel
periodo pre-bellico, diciamo. O forse dei momenti di vero lirismo che bilancino l'orrore - d'accordo, non tutti si chiamano Michael Cimino, però... -
oppure dei dialoghi un po' meno banali.
Due giorni dopo, sabato, ho visto invece "After", film spagnolo di Alberto Rodriguez, sulle baldorie notturne di tre amici per la
pelle, due uomini ed una donna. Come nell'Italia degli anni '60, l'improvviso benessere della Spagna contemporanea fa perdere i punti di
riferimento e rende freddi e distanti. Tutti e tre benestanti, con belle villette con piscina, non sopportano la vita quotidiana e la routine familiare,
dove tra l'altro sono dei padri assenti o dei funzionari un po' stronzetti, e passano la notte girando da un locale all'altro, tra alcool, approcci
sessuali (ma mai tra di loro, perché l'amicizia è più forte) e droga, tanta droga. Diciamo che se tutta quella polverina fosse vera, ci sarebbe voluta
mezza produzione annuale della Colombia per girare questo film...
Anche qui simpatiche le intenzioni, bello il ritmo e le musiche, buona la recitazione (soprattutto Guillermo Toledo e poi Blanca Romero
e Tristán Ulloa), però forse c'è qualche baldoria troppo simile alle precedenti, il racconto rischia di avvitarsi su se stesso senza l'evolversi di
una vera storia, anche se ciò potrebbe essere il vero senso del film: la vita dei protagnosti è senza senso.
Diciamo che è un film interessante, una specie di documento sociologico sulla movida alla buona, ma disperata, dei nuovi ricchi. Oppure possiamo anche
dire che il vero tema della storia sono le carenze affettive.
La sera dopo, domenica, ho visto "Le concert" film del regista rumeno Radu Mihaileanu, ambientato tra la Mosca post-comunista e Parigi.
Un direttore d'orchestra, ridotto a fare l'uomo delle pulizie all'epoca di Breznev, scopre che un teatro parigino vuole invitare l'orchestra del
teatro Bolshoi e si organizza con i vecchi amici per andare a Parigi al posto dell'orchestra ufficiale. Film molto divertente, satira pungente che
colpisce a largo spettro, dai vecchi burocrati del comunismo ai nuovi arricchiti mafiosi, che vivono in grandi dacie arredate in modo che più kitsch
non si potrebbe, e poi musicisti, zingari, francesi ingenui, ristoratori arabi...
A volte la commedia diventa quasi farsa, ma complessivamente tutto quadra e si tiene, perché il film non solo diverte, ma riesce anche a
commuovere ed a far pensare. E poi, c'è la musica che lega tutto, la passione per l'arte più vicina all'animo umano.
Subito prima dell'inizio del film gli attori presenti in sala hanno improvvisato un breve concerto a base di canzoni russe e gitane, con tutti in
piedi a battere le mani, mentre alla fine tutti in piedi di nuovo, questa volta per applaudire convinti. Gli applausi non so bene quanto siano durati,
ma sembravano non finire mai, minuti e minuti. Inutile dire che se questo film fosse stato in concorso, avrebbe anche potuto vincere.
Lunedì ho visto l'ultima pellicola, "Plan B", film spagnolo diretto da Marco Berger e scelto perché sembrava essere una commedia.
Girato in modo che più francese non si potrebbe, narra le vicissitudini di un uomo che, una volta lasciato dalla sua ragazza per un altro e
scoperto da amicizie comuni che il nuovo arrivato ha avuto in passato una singola esperienza omosessuale, decide di tentare di sedurre lui, per
tornare insieme alla sua ragazza. Ma le cose andranno a finire in un modo un po' diverso e molto prevedibile.
Girato con visi e corpi quasi sempre in primo piano, sembra pensato apposta per i futuri passaggi sulle pay-tv. Lo stile è quello, vagamente alla
Rohmer, della introspezione psicologica continua, mentre tutto quello che sta intorno conta veramente poco. Ottima prova recitativa del protagonista
sedotto, risultato complessivo di medio livello. La storia in fondo non è altro che un pretesto per un film di genere. Presenti in sala
il regista, un attore, il distributore francese M. Tasca ed un tizio che mi è parso riconoscere come un giornalista francese
visto alcune volte su France 2.
Complessivamente, a parte "Le concert", niente ha potuto eguagliare i due bellissimi film brasiliani visti l'anno scorso e chissà perché
mai distribuiti in Italia, che io sappia...
Sabato scorso sono stato a Villa Adriana. Non la celebre villa dell'imperatore Adriano, ma la frazione di Tivoli che si trova nei pressi, dove,
in una piazza all'interno di un giardino, cantava Dolcenera.
Sono arrivato un po' prima dell'inizio del concerto e quindi l'ho visto per intero. Lei, Dolcenera, ha cantato e suonato per due ore filate, durante
le quali una grande energia si è riversata sugli spettatori. Energia musicale, innanzitutto, perché Dolcenera ed i suoi musicisti hanno eseguito molti
brani con uno stile che rasenta l'hard rock, e poi anche energia acustica, perché l'amplificazione era a un livello tale che le frequenze più
basse hanno spesso saturato l'audio della mia telecamera, con cui ho fatto alcune riprese.
Insomma, molta musica, molto ritmo, una grande forza che Dolcenera voleva a tutti i costi trasmettere alla platea, riuscendoci di sicuro. Naturalmente
ha cantato le sue canzoni più note, come "Il mio amore unico", e molti brani dal suo ultimo cd, che si intitola "Dolcenera nel paese delle meraviglie",
con brani anche melodici ed intimisti.
Il pubblico ha reagito con perplessità ad alcuni happening sul palco, ma ha gradito molto tutto il concerto, con continui applausi anche a scena
aperta. Sulla sinistra del palco c'era anche un gruppo di fan organizzati, che manifestava in modo molto visibile il suo entusiasmo.
Insomma, questo concerto mi ha fatto conoscere meglio questa artista simpatica e brava. Di fianco, un brano del concerto.
Ho conosciuto Debora Petrina da un video in cui accompagnava al pianoforte la cantante Patrizia Laquidara, in una canzone tradizionale veneta
intitolata "Stanotte m'ho insognà". O meglio: il pezzo iniziava come una canzone tradizionale per diventare con il trascorrere del tempo un pezzo
di musica contemporanea, proprio grazie al sofisticato accompagnamento della pianista padovana.
Ora Debora Petrina ha pubblicato il suo primo disco, intitolato "In Doma" che, distribuito dallo scorso giugno, ho comprato qui a Roma.
Il cd comprende dieci pezzi, tutti davvero molto interessanti e molto vari, sia linguisticamente (Debora canta in italiano, francese, inglese,
spagnolo e ungherese), che soprattutto dal punto di vista musicale. Si va dal rock "classico" o da musical di "She-shoe" alle microvariazioni
un po' alla Terry Riley dell'inizio di "Fuori stagione" (che diventa una bella canzone melodica, ma piena di sorprese) a mille altri stili, il che
rende ogni brano davvero unico.
Insomma, davvero un buon inizio come cantautrice per la giovane pianista veneta, già affermata come tale e caratterizzata da una grande
vitalità personale, unita ad una curiosità musicale senza limiti.
Quando ho acquistato "Alessandra Celletti plays Baldassarre Galuppi" ho preso anche l'altro cd che la pianista romana ha pubblicato
di recente con la casa discografica Transparency, di New York. Si tratta di "Sustanza di cose sperata", che comprende brani composti,
tranne uno, da Alessandra Celletti e Hans-Joachim Rœdelius.
Quest'ultimo è un po' il padre della musica elettronica tedesca, è nato nel 1934 e nel 1968 fondò a Berlino la comune "Essere Umano" e poi
il gruppo musicale Cluster. Tra le sue collaborazioni più durature, quella con Brian Eno. Ed ora, a 75 anni, continua ad essere estremamente
creativo e si rimette in gioco con questo disco di musiche composte insieme ad Alessandra.
Chi si aspettasse effettacci elettronici è però destinato a rimanere deluso. Al secondo o terzo ascolto vi renderete conto che in effetti di
elettronica ce n'è molta, ma è trasparente, perché del tutto funzionale al risultato musicale che si vuole raggiungere.
Tra le particolarità, alcuni brani cantati da Alessandra, Rœdelius che legge in un brano un testo di Rainer Maria Rilke ed il brano
"By the river", composto da Brian Eno. I miei preferiti, per ora, sono Magenta e Turquoise.
Andate in una casa con un bel panorama tranquillo, aprite le finestre e poi, mentre guardate le fronde che si muovono leggermente, ascoltate questo disco.
Piccolo nirvana occidentale.
A volte rifletto su come sia strano il modo con cui veniamo a conoscenza delle cose. Qualche anno fa ascoltai in televisione un pezzo al
pianoforte che faceva da sottofondo ad un certo servizio e ne rimasi colpito. Forse lo avevo già ascoltato in altre occasioni, ma mi sembrava
davvero bello, con la sua semplicità sofisticata.
Dopo qualche tempo scopro su internet una pianista che suona quel pezzo e così vendo a sapere che si tratta della "Gymnopédie n. 1" di Erik Satie
e che la pianista è Alessandra Celletti.
Preso dall'entusiasmo le scrivo una mail e lei risponde subito, gentile come sempre sarà successivamente. Scopro così che ha già inciso
vari dischi e la curiosità si fa sempre più forte. Alla prima occasione acquisto il suo "Esotérik Satie", dove suona vari brani del
compositore francese, ed anche "Metamorphosis", dove invece esegue brani di Philip Glass.
Già da questo si capisce che il percorso artistico di Alessandra Celletti è quanto mai vario e spazia dai classici del settecento agli
impressionisti dell'ottocento fino alla musica contemporanea. Poco dopo acquisto anche "The Golden Fly", che comprende sue composizioni,
e il quadro si fa ancora più chiaro. Può essere musica di alcuni secoli fa o scritta ieri o scritta da lei stessa, ma c'è sempre, dentro,
una specie di soffice vento che squarcia le nuvole ed apre il cielo, un senso di leggerezza e di apertura verso la riflessione.
Di recente Alessandra ha pubblicato due nuovi album con la casa americana Transparency ed il primo dei due comprende brani scritti da
Baldassarre Galuppi, musicista del settecento. Il titolo del cd è "Alessandra Celletti plays Baldassarre Galuppi" e comprende sei sonate
del giocoso (quindi arioso, guarda caso) compositore ed organista veneziano. Le mie preferite sono la sonata in do minore e quella in do maggiore.
Quando si ascolta musica classica, si discute molto spesso di ciò che l'interprete aggiunge, o magari toglie, o comunque di come declina ciò che
il compositore aveva stabilito a suo tempo. In questo caso direi che la giocosità e leggerezza di Galuppi ben si sposa con l'indole di
Alessandra Celletti, per cui il risultato è una gioia per i nostri timpani.
Splendida serata ieri sera a The Place, che ha visto esibirsi la cantante valdostana Naif.
Avevo già ascoltato due o tre canzoni di questa splendida artista qualche settimana fa, quando ha aperto il concerto di Patrizia Laquidara
ed ora eccola qui di nuovo, per un concerto tutto suo, accompagnata da Momò alla batteria e percussioni e Neda, alle tastiere ed aggeggi elettronici.
Il concerto è iniziato con un certo ritardo e qualche polemica con il coro di un liceo di Roma che voleva a tutti i costi esibirsi, nonostante
le difficoltà tecniche. Alla fine il coro si è esibito e tutti i numerosi componenti ed i loro amici si sono subito defilati.
Dopo un bel po' ecco arrivare Naif, in compagnia dei due musicisti, che sale sul palco e dà il via al concerto. Una dopo l'altra, le sue
canzoni note e meno note vengono eseguite, con molti cambiamenti che, lo si intuisce, sono spesso decisi lì per lì, nel momento stesso
in cui vengono eseguiti.
A tratti Naif parla, scherza, fa battute e così emerge un altro lato del suo carattere, quello umoristico, caratterizzato da una grande ironia
beffarda e divertita. Mai sarcastica però, perché questa ragazza è una personcina davvero a modo e non ferirebbe mai nessuno con una sua battuta.
Quando fa la pausa, all'improvviso appare seduta alla base del palcoscenico e così molti spettatori, me compreso, si avvicinano per salutarla. Ho
anche occasione di acquistare in anteprima il suo prossimo cd e farmelo dedicare.
E basta guardarla negli occhi un attimo, per capire due cose di questa musicista: ha una straordinaria intelligenza e poi, anche se
si definisce anarco-femminista (cosa che non metto in dubbio), è la più brava ragazza che si possa desiderare di conoscere.
E' empatica, ti guarda e sembra che già ti capisca e accetta con un sorriso l'offerta di farsi una foto con me. Purtroppo quando passo la
macchinetta ad una ragazza mi dimentico di impostare l'autofocus e così lei scatta e le due foto vengono sfocate. Ma vedrò di ritoccarle un
po' per renderle almeno passabili, perché lei era venuta davvero bene in queste foto. Io no, perché mi sono venute espressioni
davvero strane e poi, diciamolo, sono comunque meno bello...
Si avvicinano anche un trio di persone un po' fuori dal normale target di The Place. Si qualificano come un commercialista, uno psichiatra e
non so cos'altro. Le fanno i complimenti, stringono mani, abbracciano. Erano arrivati molto tardi e mi sembrano davvero persone un po'
curiose per quel posto ed a quell'ora.
Quando riprende il concerto esegue anche "Fiori di acacia", una canzone che avevo lodato parlando con lei. Non l'ha ancora pubblicata, ma
è reperibile su YouTube. Ed è bellissima. Nel video si vede una parte delle sedute di registrazione fatte nel 2007 a Minneapolis,
negli studi dove va anche Prince, mentre viene incisa la traccia della batteria. Il batterista è un fenomeno, vedere per credere,
davvero molto bravo.
Inutile dire che, se per caso vi dovesse capitare un concerto di Naif nelle vostre vicinanze, non perdetelo, perché ne vale davvero la pena.
Quest'anno ha partecipato al festival Musicultura a Macerata, arrivando tra gli otto vincitori ufficiali e tra i quattro finalisti che
hanno partecipato alla serata finale nel teatro Sferisterio.
Anche la storia di Naif è straordinaria: ha imparato da autodidatta a suonare il pianoforte, la chitarra ed il basso, a cantare ed a comporre
le musiche ed i testi delle sue canzoni. Ha fondato uno studio di registrazione e lo ha trasformato in una piccola casa discografica indipendente,
che produce e distribuisce i suoi dischi in Italia. Ha prodotto persino dei video musicali di ottima fattura, di cui potete vedere qui accanto
un esempio. La canzone si intitola "No".
Sono arrivato alle 19 a The Place e si sentiva della musica uscire dalla sala, per cui ho chiesto se era possibile assistere alle prove.
Loro, gentilissimi, mi hanno fatto entrare e così ho ascoltato le prove del gruppo musicale. Poco dopo arriva Patrizia, con grandi
occhiali da sole, e va sul palco, un po' stupita di vedermi lì ("Vinicio, sei un po' in anticipo?").
Per circa un'ora ho modo di ascoltarla provare, decidere come iniziare e terminare le varie canzoni, scegliere le luci, il volume
degli strumenti, gli accompagnamenti. E' lei che, con la sua voce dolce, tenue e dal forte accento veneto, decide tutto con
grande lucidità. Solo Alfonso Santimone, il tastierista, interloquisce e propone ogni tanto qualcosa.
Inizia poi una lunga attesa, che impegno chiacchierando con lo staff di The Place e con i primi arrivati.
Ad un certo punto arriva una ragazza con i capelli biondi avvitati sulla testa, occhi azzurri ed un sorriso sbarazzino e disarmante.
Viene dalla Valle d'Aosta, si chiama Naif Hérin e suonerà in apertura di concerto.
Sono circa le 22.30 e Naif si presenta sul palco con la sua chitarra. Si scatena, canta, e bisogna dire che il suo stile è
davvero originale. Il suo nome, che credo sia un nome d'arte, non potrebbe essere più indicato, visto che la sua
caratteristica fondamentale è proprio la grande spontaneità e freschezza con cui propone le sue canzoni.
Tocca poi a Patrizia e le canzoni sono meravigliose ed eseguite sicuramente meglio di ieri sera a Tivoli.
L'auditorio è in estasi e sono ancora una volta colpito dalla bellezza della canzone brasiliana di Adriana Calcanhotto,
che lei canta in modo molto ispirato. Che artista straordinaria! Non ho davvero parole per definire questa piccola
grande musa della musica.
Alla fine del concerto incontro un fan di Patrizia che riconosco dalle foto pubblicate su MySpace.
Lui vuole scendere nei camerini per salutare Patrizia e così mi accodo e scendo anche io.
Dopo varie persone che la salutano, entra un cameriere a portare una bella bistecca ai ferri con insalata, proprio per Patrizia, che ha
evidentemente bisogno di riprendere le forze dopo la fatica del concerto. Entra anche una giornalista del TG3, che abbraccia Patrizia.
Saluto anche io Patrizia, le stringo la mano e, visto che in quel momento proprio non so di
cosa parlare (dovrei raccontarle una storia lunga molti anni, ma la bistecca si raffredderebbe) le ricordo solo che di recente
ho creato le sue pagine wikipedia in francese e portoghese, oltre ad aver aggiornato quelle in italiano. Lei mi stringe la mano, la saluto e vado via.
La mattina di mercoledì 10 giugno, prima di uscire di casa ho regolato il dvd recorder per incidere l'edizione del TG2 delle ore 10.45,
perché avevo letto che era prevista la partecipazione di Patrizia Laquidara.
Il giorno dopo ho visto la registrazione ed in effetti il TG2 ha commemorato la splendida voce di Demetrio Stratos, il cantante
di origine greca che fu noto per le sue straordinarie capacità vocali.
Hanno chiesto poi a Patrizia cosa pensasse di Demetrio ed hanno presentato lei ed il suo gruppo agli spettatori, hanno parlato
della sua prossima tournée americana e le hanno fatto eseguire due brani.
Sono davvero contento per questo evento, perché significa che Patrizia, già riconosciuta come la più brava cantante di
musica popolare in Italia, veleggia ormai verso una popolarità davvero universale.
Martedì 9 giugno sono tornato a Tivoli per un nuovo spettacolo della rassegna "Vite in Jazz", un concerto di Patrizia Laquidara.
Si è presentata in compagnia dei suoi musicisti ed ha iniziato a cantare vestita di un completo rosso e bianco.
Brava come sempre, incantevole come non mai, ha presentato anche nuove canzoni, come una versione italiana di una canzone di
Adriana Calcanhotto, davvero molto bella, che ha cantato parte in italiano e parte in portoghese.
Ad accompagnarla, i fratelli Santimone, tastiere e chitarra, Lorenzo Pignattari al basso e Nelide Bandello alla batteria.
Mancava invece Mirco Maistro e l'assenza della sua fisarmonica ha reso un po' meno robusta la base musicale su cui la voce di
Patrizia si ergeva comunque decisa e dolce, come sempre.
Alla fine del concerto un tizio, che poi Patrizia stessa mi ha presentato come "il produttore dello spettacolo", mi ha chiesto
di non divulgare le riprese da me fatte con telecamera piazzata su treppiede.
Ho spiegato a questo signore, alto, piazzato, con camicia blu ed un orecchino all'orecchio sinistro formato da tante attaches
infilate a catena una dentro l'altra, che non poteva vietarmi niente, visto che il concerto era stato effettuato sulla pubblica
piazza ed in modo assolutamente gratuito: qualunque passante poteva vederlo e riprenderlo.
Il tizio ha fatto anche un gesto un po' sgarbato, stringendo con la mano la mia spalla destra...
Comunque, visto che Patrizia era lì vicina, questa è stata anche l'occasione per salutarla.
Le ho chiesto se voleva che il video fosse diffuso o no e lei mi ha chiesto di non farlo, perché c'erano delle nuove canzoni.
Ho accettato di buon grado la sua gentile richiesta e le ho raccontato di un incontro che avrei dovuto avere tanti anni fa con una
ragazza, in una città lontana. Poi ci siamo salutati e sono andato via, sicuro che l'avrei rivista presto.
Oggi ho visto un concerto di Rocco Papaleo, per la rassegna "Vite in Jazz", organizzato da un ristorante di Tivoli, il "Bar della Vite".
Il concerto si è svolto in una piazzetta del centro di Tivoli, che sembra fatta apposta per ospitare concerti, perché è piccola e raccolta.
Essendo arrivato abbastanza presto, ho persino trovato posto a sedere ed ho atteso con calma l'inizio dello spettacolo.
Come si sa, questo attore e cantautore (a suo modo) fa una specie di monologo musicato, dove le canzoni sono legate e spiegate dal racconto delle sue disavventure.
Insomma, una specie di spleen lucano declinato in forma di jazz.
Siccome poi ci sono anche battute divertenti, la gente del posto è stata piacevolmente intrattenuta.
Simpatico concerto in piazza del Campidoglio a Roma, in occasione della Festa della Repubblica, organizzato dal comune di Roma ed
intitolato "La Repubblica dei Giovani". Hanno partecipato artisti come Simona Molinari e Giò Di Tonno, oltre ad altri che non
conoscevo ancora, tra cui ho trovato interessanti Roberto Casalino ed Emma Re.
L'edizione Mosca 2009 del Festival della Eurovisione è stata vinta da una canzone norvegese, "Fairytale", cantata da Alexander Rybak.
La canzone è sicuramente carina e poi il fatto di incorporare atmosfere nostalgiche e ricordi di gioventù le ha sicuramente giovato. Possiamo dire che è una vittoria meritata.
C'erano però altre canzoni interessanti, come ad esempio la canzone islandese, seconda classificata, "Is it true?", cantata dalla bellissima Yohanna e
poi la portoghese "Todas as ruas do amor", di Flor-de-Lis. Yohanna è molto giovane, ha una voce davvero meravigliosa e penso che abbia davanti a sé un
brillante futuro nel mondo della musica.
Lo spettacolo c'è stato tutto e mi sono sicuramente divertito, specie quando gli ucraini hanno presentato una canzone in inglese scatenato, con dei gladiatori
romani a fare da contorno, o come quando gli armeni, l'anno scorso con una bella canzone, cantano in inglese, ma sotto le pesanti tuniche dei loro vestiti tradizionali.
Molto divertente anche l'accento inglese esagerato del presentatore russo, accompagnato da una bella morettina moscovita ed anche la canzone tedesca,
di livello medio, ma con sul palco niente di meno che Dita Von Teese in abiti succinti, a far alzare l'indice di gradimento ecumenicamente in tutta Europa.
Per quanto riguarda la scenografia, niente da dire, è stata organizzata in modo perfetto, con il palco che cambiava tema e colore ad ogni canzone, con i cambi
camera in accordo con il ritmo della canzone, con effetti luminosi e pirotecnici, riprese a volo d'uccello ecc. Così ogni canzone è diventata un piccolo
video musicale in diretta. Davvero spettacolare e gradevole! Gente di Sanremo: imparate...
Rimane un mistero in questa manifestazione e cioè come mai l'Italia sia l'unico paese europeo a non partecipare.
Quest'anno partecipavano ben 43 paesi, pensate, ma l'Italia manca dall'edizione del 1999, se non vado errato.
Proprio oggi è uscito un album, pubblicato dalla Sony Music, contenente una raccolta di canzoni capoverdiane, eseguite dai cantanti di Capo Verde insieme
ad artisti italiani. Molte canzoni sono adattate in italiano e partecipano grandi nomi della musica italiana. I musicisti di Capo Verde sono Cesária
Évora e Teófilo Chantre, molto conosciuti nel loro paese ed anche nei paesi di lingua portoghese, mentre gli italiani che hanno
partecipato a questa bella operazione culturale sono: Gianni Morandi, Ornella Vanoni, Bungaro, Giua, Eugenio Bennato, Patrizia Laquidara, Lucilla Galeazzi,
Peppe Voltarelli, Antonella Ruggiero, Mario Lavezzi, Antonino, Grazia Di Michele, Gigi D'Alessio.
Il ricavato delle vendite sarà interamente devoluto al programma alimentare infantile delle Nazioni Unite.
Questa sera sono andato all'Auditorium di Roma a vedere il concerto jazz in favore dei terremotati dell'Abruzzo.
Hanno partecipato diversi gruppi jazz, anche se non di quelli che piacciono di più a me, ma naturalmente va encomiato lo sforzo organizzativo
per raccogliere fondi in favore delle popolazioni colpite dal terremoto del 6 aprile scorso.
Mentre i musicisti suonavano, un grande schermo alle loro spalle mostrava scene da documentari storici sul sisma di Messina del 1908 o scene
da altri film, tutti aventi come argomento le catastrofi naturali.
Questa sera ho visto, sempre sulla web tv di The Place, il concerto di Simona Molinari.
Il concerto è iniziato verso le 23, con Simona che ha cantato varie cover di Capossella e Ornella Vanoni e naturalmente molte delle sue canzoni, da "Egocentrica",
con cui ha partecipato all'ultimo festival di Sanremo, a molte altre canzoni tratte dal suo primo album e da un musical a cui ha partecipato l'anno scorso.
Il concerto è stato un crescendo, dal punto di vista artistico, visto che Simona ha iniziato un po' alla chetichella, eseguendo ad esempio Egocentrica senza molto
entusiasmo vocale. Sarà stata anche l'emozione di quegli spettatori così vicini, anche se è comunque riuscita a divertire molto con alcune canzoni del suo musical.
Poi però si è scaldata e tutta la sua classe è venuta fuori alla grande. Ha cantato in modo commovente, ad esempio, una canzone che parlava di un amico scomparso
e che oggi ha dedicato invece a tutti coloro che sono finiti sotto le macerie del terremoto dell'Aquila, la sua città. Ha proseguito con alcune cover e
poi, dopo l'intervallo, ha ripreso le sue canzoni, cantando di nuovo Egocentrica, in versione bossa nova e con una voce davvero straordinaria.
Dal punto di vista umano, si è dimostrata una ragazza sincera, dalla simpatia innata, una che è capace di dire: "non scrivo canzoni d'amore perché
dell'amore ancora devo capirci qualcosa" o che presenta tutti i suoi musicisti dicendo di ognuno gli aspetti salienti del carattere o che alla fine,
prima che gli spettatori lo chiedano, annuncia che "il bis ce lo facciamo da noi".
Non perdiamola di vista, è già straordinaria ora e farà cose sempre migliori.
(il filmato qui accanto si riferisce ad un evento successivo)
Sono andato a vedere il concerto di Teresa Salgueiro insieme al Lusitania Ensemble, all'Auditorium Parco della Musica di Roma.
La sala Sinopoli era piena e nella prima parte Teresa ed il suo gruppo hanno eseguito soprattutto pezzi del repertorio medioevale portoghese,
derivanti evidentemente da un attento studio e riscoperta della tradizione musicale del paese lusitano.
Teresa, nota fino a poco tempo fa come voce del gruppo Madredeus, ha presentato i brani parlando un ottimo italiano, quasi senza accento,
dal che si intuisce un interesse per la lingua e la cultura del nostro paese.
Il gruppo musicale era costituito da chitarra, violino, violoncello, batteria, percussioni, contrabbasso e fisarmonica e, dopo una breve pausa, Teresa è tornata
sul palco da sola insieme al chitarrista, per quella che è stata secondo me la canzone più bella della serata, che non a caso ha strappato una immensa quantità
di applausi: un bellissimo brano di Fado.
Ha continuato così, con canzoni provenienti dalla tradizione, anche recente, della musica portoghese, ed in un paio di canzoni ha anche danzato sul palco,
al ritmo della sua canzone, con grazia, eleganza e semplicità. Quanto alla sua voce, non ci sono commenti possibili. Conoscevo già molte sue canzoni ed ho
sempre considerato la sua voce straordinaria, ma dal vivo è una cosa assolutamente incredibile. Una voce melodiosa, corposa, capace di una gamma dinamica
incredibile, da far rimanere a bocca aperta.
Penso sia davvero uno dei più bei concerti che ho visto ultimamente e spero che Teresa Salgueiro abbia ancora occasione di tornare a Roma.
Avevo comprato da tempo anche questo biglietto per il concerto dei due musicisti sardi Elena Ledda e Mauro Palmas, che ho visto questa sera all'Auditorium di Roma.
La sala era il Teatro Studio, raccolta e riempita di un pubblico di appassionati del genere.
Pur avendo già ascoltato Mauro Palmas in altri spettacoli, questa è stata la prima volta che ho potuto ascoltare dal vivo la voce di Elena Ledda.
Voce molto bella ed espressiva, che rende superflue le parole (per me incomprensibili perché in lingua sarda) e parla direttamente al cuore.
Tutte canzoni in sardo, dunque, tradizionali ma non solo. Una canzone è ad esempio una bellissima ninna nanna al contrario, dove si invita il bimbo
a stare ben sveglio ed affrontare la vita, un'altra parla della guerra in Iraq ed una del popolo curdo.
Mauro Palmas, poi, è un virtuoso degli strumenti a corda ed in alcuni pezzi si scatena letteralmente, tanto da fargli guadagnare, nel mio giudizio,
il titolo di Jimi Hendrix del mandolino.
Tanti applausi e due bis chiesti a gran voce, giusto per convincere benevolmente la gente ad abbandonare la sala.
Questa sera mi sono diviso tra una cena con festa ed un concerto della cantante cubana Omara Portuondo, all'Auditorium di Roma.
Purtroppo sono arrivato a concerto iniziato ed ho scoperto che in questi casi non fanno più entrare in platea (avevo un biglietto
per la sesta fila!) e dirottano su Cuba, ops!, voglio dire in galleria. Così sono finito in piccionaia, ma mi sono goduto lo stesso il concerto.
Conosco poco la Portuondo, ma molti in sala erano suoi appassionati, che sono finiti a cantare insieme a lei il ritornello di più di una canzone.
Verso la fine del concerto, Omara sfodera il suo italiano ed annuncia un ospite: Joe Barbieri. Ma tu guarda chi si rivede! Il romantico cantante
napoletano visto a The Place molti mesi fa insieme a Patrizia Laquidara.
Imbraccia la chitarra e fa una bellissima canzone, poi Omara termina il concerto con un paio delle sue canzoni più conosciute.
I musicisti che erano con lei sono stati uno più bravo dell'altro, ma ho notato il contrabbassista e poi soprattutto il pianista, davvero fenomenale.
Insomma, bella serata.
Questa sera Irene Grandi ha cantato a The Place.
Si trattava di una serata definita "ad inviti" ed io ho provato a farmi invitare in vari modi, ma senza successo.
Poi però ho scoperto come era organizzata la cosa. Cinquanta biglietti, ognuno per due persone, erano stati estratti tra tutti gli acquirenti di una canzone
di Irene Grandi online, penso su un sistema dedicato ai cellulari. Quindi Irene ha tenuto questo concerto per i vincitori del concorso.
Ma io me lo sono visto lo stesso! In streaming sul sito di The Place.
La cosa simpatica è stata vedere Irene Grandi, nonostante la fama raggiunta, visibilmente emozionata per questo concerto "tra amici".
Avevo saputo dell'ennesimo concerto di Patrizia Laquidara e così mi sono recato a The Place la sera del 18 marzo, ma, curiosamente, il locale era chiuso ed il concerto evidentemente annullato. Così non ho potuto far altro che tornarmente a casa, con i timpani delusi.
Festival di Sanremo - Televisione - 17-21 febbraio 2009
Un Sanremo molto diverso dal solito quest'anno, presentato da Paolo Bonolis e Luca Laurenti, entrambi molti simpatici e molto in vena. Sono persino riusciti a mantenere la loro esuberante verve comica
entro limiti accettabili per una manifestazione come questa.
Molto spazio alla musica, siparietti simpatici e non molto lunghi, niente "dopofestival": è sicuramente la
formula giusta, anche se a mio avviso solo le ultime due serate, quelle di venerdì e sabato, dovrebbero durare oltre la mezzanotte.
Quanto alle canzoni, le novità più interessanti si sono viste tra i giovani, con Arisa, che ha vinto
con la fresca ed orecchiabile "Sincerità" e con la musicalmente meravigliosa "Egocentrica" di
Simona Molinari.
Tra i big, ho apprezzato soprattutto Dolcenera, con la sua "Il mio amore unico", canzone a due
tempi e due stili, che parte ritmata e quasi rock e si scioglie in un bellissimo ritornello melodico che dà
una sensazione di disgelo ed apertura verso gli altri.
Ho apprezzato anche qualche altra canzone: la voce di Nicky Nicolai, il ritornello di Povia (peccato per il testo, ispirato da qualche psicologo da spiaggia) e poco altro.
Bref, per me avrebbero dovuto vincere, nelle due categorie, Dolcenera e Simona Molinari. Arisa non mi sconvolge
più di tanto (io la vedevo seconda), mentre non riesco a capacitarmi di come sono andate le cose tra i big.
Ma, si sa, Sanremo è Sanremo e non sarebbe tale senza qualche porcata sesquipedale.
Una stazione televisiva, Antenna Sicilia, organizza da vari anni il "Festival della Nuova Canzone Siciliana", in un teatro di Catania. Ogni serata viene trasmessa il giorno dopo in televisione, anche sul
canale satellitare Sicilia Channel, per cui ho potuto seguire la cosa anche da casa mia a Roma.
Durante la quarta serata la cantante Patrizia Laquidara si è presentata in concorso con la canzone
"Su li stiddi", scritta da Puccio Castrogiovanni. E' la storia di una donna che fa, lei, la serenata
all'uomo che desidera amare.
Nei giorni seguenti ho visto i risultati del televoto sul sito di Antenna Sicilia: "Su li stiddi" è risultata
la canzone più votata fra le cinque della serata, con oltre mille voti e circa il 70% dei consensi.
Ennesimo concerto di Patrizia Laquidara al The Place di Roma, appuntamento che ovviamente non potevo mancare.
Questa volta sono arrivato molto in anticipo, in autobus, e mi sono scelto un bel puff in posizione centrale
un po' rialzata, da dove posso vedere molto bene il palco.
Poco prima del concerto mi si siede accanto una ragazza che dice di lavorare in una società
che si occupa di carte di credito e che ha deciso all'ultimo momento di venire al concerto da sola.
Patrizia canta divinamente, anche se ogni tanto guarda verso il pubblico ed appare quasi
nervosa, irrequieta, come se ci fosse qualcosa che la disturba profondamente.
Io ascolto la musica e chiacchiero un po' con la sconosciuta, che decide di defilarsi poco prima del bis
di Patrizia.
Alla fine del concerto c'è molta confusione. Mi fermo per qualche minuto fuori del locale, incerto sul da farsi.
Vorrei magari cercarla per salutarla, ma ho paura di darle fastidio, così dopo un po' vado via.
Qui a fianco un filmato del 27 marzo 2008.
Avevo letto nel sito dell'Auditorium Parco della Musica di Roma di questo concerto dedicato ai canti
natalizi tradizionali di varie regioni italiane, con la partecipazione della cantante veneta Patrizia Laquidara.
Allora ho acquistato il biglietto e sono partito, di sera, con la mia auto, lungo il percorso indicato dal navigatore, ma già ben noto per averlo fatto molte altre volte.
Bene, mentre imbocco una piazzetta il motore della mia auto si spegne all'improvviso e per fortuna c'è una specie di piazzola al centro della carreggiata, che mi protegge dal traffico. Provo a far ripartire il motore, ma non c'è niente da fare.
E' una freddissima sera di gennaio e per giunta c'è nebbia, cosa strana per Roma. Dopo aver chiamato un taxi,
mi toccherà aspettare quasi venti minuti, quasi congelando, perché il tassista aveva capito male l'indirizzo,
e sopportare lo sguardo interrogativo di un paio di automobili che si fermano a guardarmi, mentre sono solo in quella piazza deserta.
Quando finalmente arriva il tassista, mi aiuta gentilmente a spostare l'auto in un parcheggio lì vicino e mi
dice che quel posto non è certo raccomandabile. Fosse stato più tardi avrei rischiato qualche disavventura ancora peggiore.
Il taxi mi porta all'Auditorium e corro in sala, occupo il mio posto e dopo qualche minuto le cornamuse danno inizio al concerto di Ambrogio Sparagna e dei suoi musicisti. Per fortuna, contrariamente alle mie abitudini, ero uscito con molto anticipo e questo perché volevo trovarmi dalle parti della sala ben prima che il concerto iniziasse.
Dopo il pezzo iniziale, viene annunciato un canto popolare veneto ed ecco che entra Patrizia Laquidara, con
la sua meravigliosa voce. Il concerto prosegue con canti di altre regioni italiane ed anche di altri paesi.
Verso la fine, ecco di nuovo Patrizia con una nuova canzone.
Terminato il concerto, prendo un altro taxi per tornare a casa. Che serata!
Ma sono stato contento di essere comunque riuscito a vedere questo concerto così bello.
Durante la trasmissione di Rai Due intitolata Scalo 76 si sono esibiti due personaggi a me noti:
la cantante Patrizia Laquidara ed il gruppo dei Rossoantico.
Patrizia ha cantato la canzone "Ziza", dal suo album Funambola, dalla quale ha anche realizzato
un video musicale.
E' stato quasi commovente vederla mentre cantava in televisione.
I Rossoantico, invece, hanno presentato una ballata intitolata "Gioia".
Quando andavo al liceo uno dei miei registi preferiti era Woody Allen ed ho continuato a vedere tutti i suoi film per molti
anni ancora, fino al momento in cui ho pensato che, nonostante rimanesse creativo e facesse molti film, forse aveva detto tutto
ciò che aveva da dire. Quindi molti film recenti di questo regista non li ho visti o li ho visto molto tempo dopo l'uscita.
Questa sera invece sono andato a vedere il recente Vicky, Cristina, Barcelona e sono rimasto impressionato.
È la storia di due giovani donne americane, una in procinto di sposarsi, che passano l'estate a Barcellona, dove conoscono
un pittore spagnolo. Poi succede di tutto e raccontare la trama sarebbe un'ingiustizia verso il futuro spettatore, ma quello che mi
ha colpito è il modo con cui il film è realizzato, il tentativo, per lo più riuscito, di scendere nell'animo umano alla ricerca di
desideri, aspirazioni, creatività, voglia di vivere, coraggio di fare delle scelte o paura di affrontare un futuro ignoto.
In certi momenti mi sono venuti in mente i Contes moraux di Rohmer, ma sarebbe un paragone ingiusto, perché lo stile di
Woody è completamente diverso, pur se altrettanto efficace.
Mi ha anche intenerito il modo sarcastico con cui viene descritto lo stile di vita americano: i ragazzi americani stanno lì a
parlare solo di computer e di case interamente cablate, di golf e di bridge, mentre il pittore spagnolo e la sua squinternata compagna
almeno vivono. Siamo evidentemente molto lontani dall'elegia di New York fatta in film come Manhattan o Radio Days,
che rimane uno dei miei preferiti.
È come se un Woody Allen forse un po' stanco e deluso dai suoi concittadini cerchi ispirazione nello stile di vita europeo.
E credo anche che un giorno la sua opera omnia sarà utilizzata per capire come vivevamo nella nostra epoca, quali erano le nostre
aspirazioni o le nostre incertezze, i desideri e le paure.
Sono uscito dal cinema con una stima completamente rinnovata verso Woody Allen.
Sono tornato al centro culturale St. Louis de France alle ore 18, per vedere la conferenza del regista Patrice Leconte,
di cui era appena stato proiettato il film "il mio migliore amico".
Devo confessare che conosco poco l'opera di questo regista, ma la conferenza è stata decisamente interessante.
Tema principale: l'amicizia, che è il tema del suo film. Leconte ha anche annunciato che farà ancora solo altri tre film, dopo di che si
ritirerà. Mi è sembrato una gran bella persona, gentile ed ironica.
Molti presenti in sala hanno posto le loro domande, in un'alternanza di italiano e di francese e molte risposte sono state argute e divertenti.
Teranova è un festival italo-francese di musica, pittura, poesia ed arte in genere. Si è svolto in Francia per vari anni e
quest'anno per la prima volta è approdato anche in Italia, con tre serate, dal 26 al 28 novembre, rispettivamente al
centro culturale St. Louis de France, all'ambasciata francese ed a Villa Medici.
Io ho partecipato alla serata inaugurale, il 26 novembre, nel centro St. Louis, molto comodo da raggiungere uscendo dal mio ufficio.
La sala per gli spettacoli è in una via accanto al centro culturale e si scende in un ampio atrio, con attigua una sala per teatro e cinema.
L'organizzatore di Teranova è Mario Salis, cantautore franco-sardo dalla simpatia innata e che ho potuto brevemente salutare all'ingresso,
dove ho anche acquistato un suo cd.
La serata ha visto alternarsi sul palco gruppi musicali, come appunto quello di Mario Salis, un paio di cantautori francesi,
il pianista Eros Kristiani, la scantautrice Momo, Fabrizio Emili e qualche altro che non ricordo, a poeti, tra cui una giovanissima
ragazza thai che ha letto dei suoi bei versi in francese, mentre un pittore creava in diretta sul palco una strana opera a metà strada
tra la pittura e la scultura.
Si è anche parlato di cinema, con degli spezzoni di film proiettati e con la presenza sul palco del regista D'Alatri.
Che dire di questa serata? Sicuramente piacevole, soprattutto perché varia. Nessun gruppo ha eseguito più di due pezzi di seguito
e così si è stati continuamente stimolati dagli eventi che si susseguivano, anche se bisogna dire che in certi momenti si è
respirata un'aria un po' da sagra di paese o teatrino liceale, peraltro comunque piacevole.
Tra tanti personaggi bravi ed interessanti è difficile dire cosa mi abbia interessato di più, ma sono stato entusiasmato da
una canzone, molto bella, di un cantautore che, devo confessare, non conoscevo minimamente: Fabrizio Emili. Fabrizio canta
e suona la chitarra ed è accompagnato da un basso e da un sax soprano, una formazione molto interessante per le sonorità che
è in grado di produrre.
Questo è stato l'ultimo film visto nell'ambito del festival del cinema di Roma. Si tratta di Jogo de Cena (Gioco di scena),
di Eduardo Coutinho.
È un film rigoroso e coerente, che racconta di un progetto semplice e toccante: un annuncio su un quotidiano di Rio de Janeiro
invita delle persone di sesso femminile a presentarsi per raccontare ciò che vogliono.
Il risultato è una panoramica a largo spettro dell'universo femminile. La donna che è rimasta incinta per sbaglio ad una fermata
dell'autobus, precede quella di una adolescente che ha litigato con il padre, provocandogli un infarto, o quella della donna che
ne ama un'altra e viene rispettata pienamente da colleghi ed amici.
Storie tristi e storie tenere, storie comunque toccanti e bisogna davvero lodare questo rigore nel tenere per due ore delle persone
che parlano davanti ad una macchina da presa immobile.
Certo, da un punto di vista puramente cinematografico forse qualche dubbio rimane, perché in fondo quel che si vede appartiene forse
di più al dominio teatrale.
Coutinho era presente in sala e, invitato a presentare il suo film, ha burberamente fatto presente che sono le immagini che devono
parlare, mentre lui non ha niente da dire, il che me lo ha reso molto simpatico.
Presente in sala anche un altro regista, Joao Moreira Salles, autore del documentario sul pianista Nelson Freire.
Mentre Coutinho ha una certa età, è corpulento ed ha i capelli bianchi, Salles è giovane e magro. Visti i documentari che ha
già realizzato, davvero molto belli, penso che ne sentiremo ancora parlare.
Documentario del 2003, realizzato da João Moreira Salles, sulla vita e le opere del famoso pianista brasiliano Nelson Freire.
E' pieno di arguzia, ironia, commozione ed anche, ovviamente, di tanta buona musica.
Ne ho visto solo l'ultima mezz'ora, perché la proiezione era in parziale sovrapposizione con quella di un altro film.
Uscendo, ho notato un pianoforte a coda e non ho resistito alla tentazione di aprire la tastiera e suonare un po' della
Gymnopédie n. 1 di Satie. Come unica spettatrice, la ragazza che fa la maschera in quella sala.
Film brasiliano molto recente, di inizio 2008, di Mauro Lima, con Selton Mello e Cléo Pires. Racconta la storia di un ragazzo della
buona borghesia carioca, senza problemi economici e con molti amici, il quale, dopo la separazione dei genitori e con il padre
rassegnatamente malato, passa quasi senza accorgersene dal consumo al piccolo spaccio di cocaina.
Il suo giro si allarga sempre più, fino a farlo divenire un vero e proprio trafficante internazionale, che però non bada tanto a mettere
soldi da parte quanto a spendere tutti i guadagni illeciti in droga e consumi lussuosi, fino all'inevitabile giorno in cui qualcuno
entra in casa sua senza bussare. Nel processo confessa tutto e viene condannato, da un giudice donna in vena di generosità sociale, a soli
due anni di manicomio criminale, passati i quali torna in libertà ed inizia a lavorare onestamente come impresario di spettacoli musicali.
La sceneggiatura del film è tratta dal libro omonimo, che racconta una storia veramente accaduta. Nel film c'è una grande voglia di
raccontare e Selton Mello, visto appena ieri in "Os Desafinados", dà qui un'altra prova della sua indiscutibile bravura.
Film brasililano diretto da Walter Lima jr., con Rodrigo Santoro, Cláudia Abreu, Selton Mello e Alessandra Negrini.
Narra la storia di un gruppo brasiliano di bossa nova, dalla gavetta in Brasile, fino al successo negli Usa ed in patria.
Ma è soprattutto l'epopea di un gruppo di amici, della loro solidarietà, degli scontri, dell'amicizia e dell'amore.
È la storia di molte vite, vissute intensamente e senza risparmio. È la storia di ogni vita, mentre sullo sfondo
si intravede il percorso di un'intera generazione, con l'America del boom ed il golpe in Brasile, i desaparecidos argentini
ed i locali di jazz.
Divertente e commovente, sempre toccante e molto ben recitato. Da vedere assolutamente.
Tutti bravi gli attori e personalmente sono rimasto colpito dall'interpretazione di Cláudia Abreu, specie nella parte finale.
Primo film visto durante il festival del cinema di Roma di quest'anno. Diretto da James Marsh, narra la storia di Philippe Petit, funambolo
francese che riuscì nell'impresa, bislacca e temeraria al tempo stesso, di camminare su un filo d'acciaio teso a
480 metri d'altezza, tra le due torri gemelle di New York, le stesse che poi finiranno distrutte nel terribile
attentato del settembre 2001.
Si tratta quindi di un documentario, ma girato con grande verve narrativa, per cui in fondo non c'è grande differenza
con un normale film d'azione. Anche perché di azioni Philippe ne ha sempre fatte molte, fin da quando nella natia
Francia camminò tra le due torri della cattedrale di Notre Dame, a Parigi.
Il Philippe di oggi, la sua ragazza di allora ed i suoi amici, ci raccontano gli eventi ed il racconto è mescolato alle
riprese fatte all'epoca dei fatti ed a ricostruzioni. Il tutto condito da abbondante autoironia, che si aggiunge alla
simpatia innata che ispirano i personaggi.
Poi ad un certo punto, nei momenti più importanti, come colonna sonora hanno messo due pezzi di Satie, tra cui
Gymnopédie n. 1, e lì mi sono commosso, ma non tanto per il film, quanto per altre cose correlate.
Concerto di fine stagione a The Place, dove hanno portato sul palco Patrizia Laquidara, Joe Barbieri,
Ivan Segreto, Rocco Papaleo, Garage 63 e Ilaria, che è una nuova cantante (disco omonimo in uscita il 27 giugno) e
che è la prima a salire sul palco. Ma, prima di iniziare, gli spettatori hanno anche potuto assistere
alle prove e così mi sono ritrovato sul lato del palco a fischiettare alcune canzoni di Patrizia, la
quale mi riconosce ed esce dal palco per salutarmi. Così ho l'occasione per darle altri dischi e
chiacchierare un po', poi lei torna a provare per il concerto che inizierà di lì a poco.
Serata davvero bella: Ilaria ha una bella voce e sicuramente avrà successo, Patrizia e Joe Barbieri, che
incredibilmente mi riconosce anche lui, cantano separatamente ed insieme, affascinando tutti.
Rocco Papaleo fa divertire con le sue storie lucane, mentre il suo quintetto suona del buon jazz.
E poi Ivan Segreto, tutto tastiera, voce ed emozioni. Resto incantato da tutti e me ne sto un po' trasognato
ad aspettare una nuova canzone di Patrizia, ma i musicisti sono tanti e la rivedrò solo rapidamente all'uscita. Bellissima serata.
Di fianco una fotogramma del video girato il 12 giugno.
Nuovo concerto di Patrizia Laquidara, ma questa volta lo spettacolo è totalmente diverso.
"Creuza de luna" è un viaggio attraverso la musica mediterranea che, partendo da Napoli e dalla Liguria,
attraversa la Spagna ed il Portogallo, per approdare al Brasile ed all'Argentina.
Canzoni e poesie si mescolano e si rincorrono e creano un'atmosfera suggestiva e struggente, alla quale
non sono estranee le straordinarie capacità vocali della cantante.
Poco prima del concerto ho avuto la fortuna di incrociare Patrizia nei pressi del locale e così
abbiamo chiacchierato per qualche minuto e le ho regalato un disco con delle foto scattate ad un
suo precedente concerto. E' una persona semplice e diretta, elegante anche se parla del tempo,
profonda anche se chiede che ore sono, sognante e concreta al tempo stesso.
Nuova data e nuovo appuntamento con Patrizia Laquidara, in concerto a The Place, dove inziano
a guardarmi un po' con simpatia e un po' con sospetto, anche perché per prenotare dò ogni
volta un nome diverso (sarà deformazione professionale, ma odio i database...).
Questa volta arrivo presto e mi piazzo su un comodo puff in posizione centrale,
da dove mi vedo tutto il concerto, che è un evento unico ed irripetibile, visto che
questa straordinaria artista sembra odiare la serialità più di ogni altra cosa e
cerca di esibirsi in una maniera sempre nuova, a volte sorprendente.
Il filmato qui accanto è dal concerto del 27 marzo.
Massimo Carlotto, noto scrittore noir, ha pubblicato di recente un romanzo storico, intitolato "Cristiani
di Allah", dove narra le vicende dei rinnegati cristiani che si rifugiavano ad Algeri e diventavano dei corsari.
Ho anche scritto un commento più esteso a questo libro, ma qui si tratta dello
spettacolo di teatro musicale con cui l'autore ha presentato il suo libro in molte città italiane e che io
ho visto a Roma nel Teatro Quarticciolo. Massimo Carlotto recita sul palco alcuni brani del libro,
alternati alla esecuzione di brani musicali della tradizione
mediterranea. Alcuni brani sono originali, altri più propriamente tradizionali, come Le grand coureur,
canto bretone.
Ed è in effetti la parte musicale quella più interessante, perché basta chiudere gli occhi e ci sembra di essere
davvero sul ponte di una nave corsara, o in un porto del maghreb o sentire la dolce voce di una schiava veneziana
che sogna la libertà. Dolce voce che è - c'è bisogno di dirlo? - quella della bravissima Patrizia Laquidara.
I filmati qui sopra sono stati girati alla Fiera del Libro di Torino.
Dopo il bellissimo concerto del mese scorso, come potevo mancare il nuovo concerto di Patrizia Laquidara?
Nonostante un forte mal di denti (che mi ha portato dal dentista nei giorni seguenti), sono arrivato
in tempo per l'inizio del concerto e mi sono piazzato sul posto più avanzato sulla sinistra, praticamente
sul palco. E' da questa prospettiva, a pochi metri dai musicisti, che ho visto tutto il concerto, anche
questo musicalmente molto bello ed emotivamente coinvolgente.
Il filmato qui a fianco si riferisce comunque al concerto del 27 marzo, perché non ne ho trovati per
questa data.
Dopo il primo ascolto da vivo, avvenuto l'anno scorso, mi ero ripromesso di vedere un concerto di
Patrizia Laquidara e così mi sono recato a The Place, locale romano caratterizzato da
una programmazione musicale di ottima qualità. Sono arrivato a concerto iniziato da poco e con la sala
gremita all'inverosimile. Patrizia ha eseguito brani dai suoi album Indirizzo Portoghese e
Funambola, ma in una maniera completamente diversa, con alcuni brani che diventano dei veri
e propri pezzi jazz ed altri in cui il lirismo si fa toccante. Il gruppo in ottima forma, con musicisti
di livello indiscutibile, ed il buon umore di Patrizia hanno segnato una serata che si potrebbe
anche definire perfetta.
Tanto per non smentire l'eclettismo che la caratterizza in positivo, la Laquidara ha cantato anche
una canzone di Caetano Veloso, una di Sergio Endrigo ed una di Luigi Tenco. Lacrime sparse in platea,
sorrisi beati all'uscita, dopo il secondo bis e gli applausi che sembravano non finire mai.
Cristina Donà è una cantautrice italiana che incide dischi da circa dieci anni.
Canzoni melodiche con una robusta base rock, testi che parlano degli spazi
sconfinati del cosmo e della loro collisione galattica con le sensazioni più
intime: macrocosmo e microcosmo al prezzo di uno.
L'ultimo album si intitola "La quinta stagione" e lo ha presentato a Roma,
nel giorno della sua uscita, nella libreria Feltrinelli di via del Corso,
dove mi sono recato ad ascoltarla. Dal vivo e con la sola chitarra, regge
molto bene la complessità dei suoi brani ed il concerto è stato gradito
da tutti i presenti.
Questo album ha coinciso con il suo passaggio ad una grande casa discografica,
il che prelude sicuramente al grande successo che questa musicista merita.
Bel film visto in un lunedì estivo con cinema ovviamente semideserti, per la necessità di distrarmi un attimo da problemi
un po' angoscianti.
Nella vecchia Repubblica Democratica Tedesca (DDR)
degli attori ed autori di teatro hanno rapporti ambigui con il potere politico ed i servizi segreti, la famigerata Stasi.
Molti di loro si barcamenano tra la voglia di ribellione, che li porta ad esempio a pubblicare di nascosto articoli
sulla stampa della Germania occidentale, e la necessità di non esporsi troppo direttamente, il che li porterebbe diritti
in galera. Ma l'oppressione, tanto più atroce in quanto subdola ed ambigua, colpisce senza scampo: un intellettuale messo alla berlina
finisce con il suicidarsi, mentre un ministro senza scrupoli approfitta dei favori sessuali di un'attrice.
Ma il film racconta soprattutto la storia della progressiva presa di coscienza di un capitano della Stasi che ha il compito di
spiare ventiquattr'ore su ventiquattro la coppia dei protagonisti, un drammaturgo e l'attrice ricattata dal ministro.
Preso tra la necessità di fare il suo dovere di spia e la crescente empatia per gli spiati, finisce per aiutare questi ultimi,
falsificando tutti i suoi rapporti.
Il film è girato in modo asciutto e diretto, dove è la cruda realtà dei fatti a parlare e dove l'epilogo riesce comunque ad
essere estremamente toccante e commovente.
Uscendo dal cinema sorridevo un po', pensando a quello che succede spesso nella storia: i vincitori finiscono con l'assorbire
i vizi degli sconfitti. Così, oggi che la DDR per fortuna non c'è più, in occidente siamo ormai forse più spiati e controllati
di quello che erano i cittadini della Germania Est.
Simpatico e soprattutto interessante speech di Jeremy Rifkin nella Sala della Lupa
di Montecitorio. Autore del saggio Economia all'idrogeno, Rifkin sostiene la necessità
di passare dalla produzione centralizzata di energia, basata sui combustibili fossili ed il nucleare, ad una
produzione decentrata e fondata sulle fonti rinnovabili. E l'Italia, piena di montagne, di coste e di sole, è
il posto ideale per far partire questa rivoluzione, è l'Arabia Saudita dell'energia rinnovabile.
Difficile dargli torto, anche se le cose non sono certo semplici da realizzare, ma io ho sorriso quasi tutto il
tempo, pensando a qual è purtroppo il livello di dibattito in Italia su questi temi. Tanto per dirne una, di recente
un oncologo ha proposto di costruire dieci centrali nucleari. Ora, sentire un oncologo che parla
a favore del nucleare è come sentire un cardiologo che parli a favore del colesterolo.
Cose da pazzi...
Ma forza Rifkin! Magari ce la farai a convincere qualche italiano. Sono stato davvero contento di partecipare a
questo evento, anche se avrei preferito che alla fine fosse consentito di rivolgere qualche domanda, cosa che
sicuramente il professore americano avrebbe gradito.
Alcuni anni fa ero rimasto colpito dalla bellissima voce
di Patrizia Laquidara e mi sono quindi recato nella libreria Feltrinelli di
Roma dove presentava il suo ultimo album, intitolato "Funambola".
Non conoscevo le ultime canzoni e l'emozione è stata proprio per questo ancora
più forte, visto che sono davvero molto belle.
Quando ho poi ascoltato l'album a casa, mi sono reso che, anche se è inciso
con impeccabile qualità tecnica, manca di qualcosa. E' come se neanche le più moderne
tecniche digitali riescano a catturare tutta la straordinaria estensione
vocale (ed emozionale) della cantante veneta.
All'inizio dell'incontro Patrizia ha chiesto se volevamo chiacchierare o
ascoltare la musica e la risposta è stata unanime. E' così iniziato un
vero e proprio concerto ed anche se avevamo di fronte una cantante ed il
chitarrista Tony Canto, sembrava di ascoltare un'intera orchestra sinfonica.
Insomma, se vi dovesse capitare uno dei suoi spettacoli nei paraggi, non fatevelo
sfuggire perché è un'esperienza davvero unica.
Alla fine del concerto Patrizia ha anche dimostrato una grande disponibilità
umana, rispondendo a varie domande del pubblico e poi conversando amabilmente
con molti dei presenti.
Curioso un festival sulla matematica, no? Così ho deciso di fare un
salto all'Auditorium di Roma nella giornata conclusiva di questa manifestazione.
Ho visitato per prima cosa lo spazio serra, che era però calibrato per i ragazzi
delle elementari, che infatti affollavano gli stand, seguiti dagli animatori.
Una tizia giocava alle torri di Hanoi, il che mi ha fatto ricordare i primi
programmi ricorsivi scritti in linguaggio Pascal, decenni fa...
Ho poi tentato di entrare alla conferenza di Benoit Mandelbrot, il matematico
frattale, ma tutti i posti erano esauriti e non sono riuscito a vederne neanche
un trancio. Ho così ripegato sulla mostra archelogica ed ho trovato un tizio
che spiegava ai visitatori come erano fatte le tessellature dei pavimenti dei
Mercati di Traiano, un centro commerciale della Roma antica.
Sono infine capitato per caso in una dimostrazione fatta dalla Casa Paganini,
in collaborazione con l'Università di Genova. I movimenti di un attore,
inquadrati da una telecamera, sono interpretati da un computer che pilota
una traccia musicale. Affascinante, ma, sarà per il mio lavoro di programmatore,
la cosa non mi ha impressionato più di tanto.
Gli studi sulle nuove interfaccie uomo-computer sono interessanti, ma mi piacerebbe
vedere sviluppi più complessi di questa tecnologia, cosa di cui ho brevemente
parlato con i due genovesi lì presenti.
Complessivamente dalla mostra, intesa come spazio espositivo, mi aspettavo di più,
ma è anche vero che la vera attrazione erano le conferenze. Uscendo ho visto
l'immensa fila di coloro che si apprestavano ad entrare all'incontro finale
con Serena Dandini ed il matematico Piergiorgio Odifreddi. Contenti loro...
Commedia molto divertente, scritta da Gianluca Ansanelli e Tito Buffulini.
Due donne, Ester (Selvaggia Lucarelli) e Ramona (Laura Rovetti), convivono e
si amano, ma per rendere più completa la loro unione vogliono avere un figlio.
Pensano quindi di fare ricorso a Riccardo (Gianluca Ansanelli), ex fidanzato
di Ester, pur tra mille dubbi e gelosie.
Riccardo, assicuratore sfortunato, vitale e confusionario, sempre alla ricerca
dell'affare che può cambiargli la vita e sempre in crisi economica, viene preso
alla sprovvista, ma finisce per accettare. Il personaggio è splendidamente
interpretato da Ansanelli, che riesce ad esprimere tutte le contraddizioni,
ma anche tutta la voglia di vivere, di Riccardo.
Quanto alla Lucarelli, ero partito un po' prevenuto e con l'idea che fosse lì
sul palco non per un autentico talento teatrale, ma bisogna dire che la ragazza
recita davvero. Ed anche molto bene!
Brava anche la Rovetti, nei panni della donna tenera, ma anche possessiva e gelosa
nei confronti della sua convivente.
Durante la commedia non c'è un attimo di stanca e si ride più o meno di
continuo, dall'inizio alla fine, oltretutto senza mai far ricorso a battute volgari.
Sicuramente da consigliare.
Importante: la scena che vedete nel video qui accanto è stata recitata molto meglio,
secondo me, il giorno della prima, ma è l'unica che ho trovato su internet.
Ho seguito tutte le serate del festival di Sanremo in televisione, ma non in diretta.
Ho infatti utilizzato il mio dvd recorder per rivedermele in differita, qualche
giorno dopo, quando ho avuto tempo. La visione in differita offre molti vantaggi: si
può saltare la pubblicità, risentire una battuta sciocca per capire se era sciocca
davvero (lo era), ecc.
Quanto alle canzoni, la mia classifica personale è la seguente:
1) "Amami per sempre", cantata da Amalia Gré. Una bella voce al servizio di
una canzone altrettanto bella con atmosfera lirica, ma anche piacevolmente jazzata.
Ariosa ed emozionante. Nessun dubbio, è la canzone che mi è piaciuta di più.
2) "Pensa", di Fabrizio Moro e, a pari merito, "Tutto da rifare",
cantata da Velvet. La prima unisce una buona musica ad un testo poetico e di
grande impegno civile, sul tema della lotta alla ciminalità organizzata. Ogni volta
che la ascolto sento dei brividi. La seconda è una canzone apparentemente semplice, ma dalla buona musicalità.
Secondo me ripeterà il successo che fu l'anno scorso degli Zero Assoluto,
purtroppo quest'anno un po' deludenti, con un pezzo che rimane un po' troppo sospeso
a mezz'aria.
3) "Luna in piena", cantata da Nada e, a pari merito, "Ninna nanna", di
Mariangela. Quando ho ascoltato Nada mi sono detto che era un orrore, tra
l'altro con quel "den, den, den..." dissonante, ma al secondo e poi al terzo ascolto mi
è apparsa molto diversa. Sicuramente molto originale ed anche molto femminile. Anche erotica, se si fanno caso ai dettagli, e
mai melodia fu più corrispondente ai contenuti. Dunque una bella canzone che merita
sicuramente il terzo posto nella mia classifica personale. Mariangela canta invece
una canzone che parte dal ritmo di una tipica ninna nanna mediterranea e la espande,
forse aspettando un po' troppo, in sonorità più moderne e metalliche. Anche in questo
caso la semplicità è solo apparente e l'effetto è gradevole.
Simpatica commedia che si ispira al noto black-out avvenuto durante la
prima edizione della Notte Bianca a Roma. Centinaia di migliaia di persone si
ritrovarono a vagare in una metropoli oscura, divenuta improvvisamente estranea.
Ma questo è solo il pretesto cui si ispira questa commedia, tutta ambientata
all'interno di un ascensore, dove si ritrovano bloccati per molte ore tre
personaggi: Andrea, un trentenne di buona famiglia, eterno studente fuori corso,
Camilla, una giovane donna laureata ed in cerca di un lavoro migliore, e poi Davide,
un giovane disilluso e sarcastico che lavora nella consegna delle pizze a domicilio.
I tre, dopo il panico iniziale, iniziano ad aprirsi, a conoscersi, a mescolare
la saccenza di Andrea (Gabriele Pignotta, anche autore del testo), con le fobie di
Camilla (Veruska Rossi) e le battute di Davide (Fabio Avaro).
La commedia è piuttosto divertente, anche se a mio avviso per essere perfetta avrebbe
dovuto produrre qualche momento di lirismo o tenerezza esistenziale. Invece le battute
restano sempre un po' in superficie, ma l'effetto è comunque assicurato e gli attori
incarnano perfettamente la stralunata realtà dei personaggi (Davide è davvero il
romano della porta accanto).
Insomma, si può dire che la serata a teatro sia stata spesa bene.
E' molto difficile che un comico televisivo riesca a trasformare in un bel film la
raccolta delle sue scenette e quest'opera non fa eccezione. Girato dal comico americano Sacha Baron Cohen,
narra la storia di Borat, giornalista kazako inviato negli Stati Uniti per scoprire le meraviglie del
mondo occidentale.
La satira ha come bersaglio, o meglio vorrebbe avere, sia gli stati della ex Unione Sovietica che l'americano
medio, razzista e beghino. Gli intenti sono ottimi, ma il risultato fa piangere, visto che le scenette carine si
contano sulle dita di una sola mano e oltretutto durano inspiegabilmente molto poco. Tutto il resto è
la storia noiosa e volgare del viaggio dei due sedicenti kazaki attraverso gli Usa.
Se poi volessimo andare a vedere i dettagli, qui si che ci sarebbe da ridere: la fisionomia del personaggio è
tutto meno che kazaka, le scene nel villaggio kazako sono in realtà state girate in Romania (e si vede),
le parole che Borat pronuncia sono per lo più in polacco, ecc.
Uscendo dal cinema piangevo e pensavo a come sarebbe stata divertente una storia simile, messa in mano
al più scalcinato dei comici italiani. Non andate a vedere questo film, ignoratelo.